RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 17 GIUGNO 2011, N. 13353 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - DISCIPLINARE. Previsione contrattuale di sanzione non espulsiva per una determinata mancanza - Valutazione più grave del comportamento da parte del giudice - Condizioni - Fattispecie. In materia di licenziamenti disciplinari, deve escludersi che, ove un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, essa possa formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, a meno che non accerti che le parti avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva. Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato che correttamente il giudice di merito aveva valutato la condotta - costituita dal rifiuto del dipendente di consegnare la posta - alla luce dell'art. 56 n. 4 del C.c.n.l. di settore che prevedeva, in tale evenienza, l'applicazione di sanzioni di tipo solo conservativo . In senso conforme si veda Cassazione 4932/2003 per la quale, in tema di licenziamento disciplinare, ed in presenza di una specifica previsione contrattuale di illecito disciplinare, il giudice è tenuto ad uniformarsi alla definizione contrattuale, salva l'ipotesi che questa permetta il licenziamento arbitrario o discriminatorio, operando in tale caso la nullità ex art. 1418 cc. In tema di licenziamento disciplinare, nell'ipotesi in cui il contratto collettivo nazionale di settore ricolleghi la sanzione esclusivamente al fatto di aver riportato condanna penale per determinati titoli di reato, secondo Cassazione 19786/2010, il Collegio arbitrale è privo di apprezzamento discrezionale e non può tenere conto della applicazione delle attenuanti generiche in sede penale, dovendo limitarsi ad irrogare la sanzione a fronte della rigida indicazione contrattuale, atteso che la facoltà di sindacare l'esistenza della giusta causa da parte dell'organo giudicante, pur in presenza di previsione ad hoc dei contratti collettivi presuppone l'esistenza una norma elastica che non si ravvisa quando di fronte a reati particolarmente gravi commessi nell'ambito del servizio sia prevista la sanzione del licenziamento la quale, pertanto, non può essere derubricata. Analogamente Cassazione 2906/2005 afferma il principio ormai consolidato secondo il quale la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità. Il relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, ed il giudice può escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato. SEZIONE LAVORO 16 GIUGNO 2011, N. 13158 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE - IN GENERE. Insolvenza del datore di lavoro - Pagamento delle ultime tre mensilità da parte del Fondo di garanzia - Prescrizione annuale - Decorrenza - In caso di opposizione allo stato passivo - Dalla definizione dell'opposizione - Interpretazione dell'atto di opposizione - Spettanza - Al giudice di merito - Omessa distinzione tra crediti contestati e non contestati - Censurabilità in cassazione - Esclusione. Con riferimento all'obbligo del Fondo di garanzia costituito presso l'INPS, ai sensi del D.Lgs. 80/1992, di pagare ai lavoratori la retribuzione delle ultime tre mensilità rientranti nei dodici mesi che precedono la data del provvedimento di apertura della procedura concorsuale a carico del datore di lavoro, la prescrizione annuale dei crediti di lavoro decorre dal giorno di definizione dell'opposizione proposta dall'INPS contro lo stato passivo dell'imprenditore datore di lavoro. Ne consegue che, restando riservata al giudice adito per il soddisfacimento delle somme dovute ai sensi del D.Lgs. 80/1992 l'interpretazione dell'atto di opposizione e l'individuazione dei crediti oggetto di contestazione, non è deducibile in cassazione da parte del Fondo di garanzia che il giudice di merito non abbia distinto tra crediti contestati con l'opposizione e crediti non contestati e, conseguentemente, non abbia fatto decorrere la prescrizione per questi ultimi fin dal deposito dello stato passivo. Il diritto del lavoratore di ottenere dall'INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione degli emolumenti retributivi inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto del rapporto di lavoro, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale , diritto che si perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presupposti previsti dall'art. 2 della legge 297/1982, richiamato dagli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 80/1992 insolvenza del datore di lavoro, domanda di ammissione al passivo, verifica dell'esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, deposito dello stato passivo reso esecutivo dal giudice delegato ai sensi dell'art. 97 legge fallimentare , con la conseguenza che, prima del verificarsi di tali presupposti, nessuna domanda può essere rivolta all'INPS e, pertanto, non può decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia Cassazione 4183/2006. Per Cassazione 22647/2009, a norma dell'art. 2, commi dal primo al settimo, della legge 297/1982, qualora il datore di lavoro sia un imprenditore commerciale soggetto alle disposizioni di cui al Rd 267/1942, il lavoratore, per potere ottenere l'immediato pagamento nel rispetto del termine di sessanta giorni dalla domanda del trattamento di fine rapporto da parte del Fondo di garanzia istituito presso l'INPS, deve provare, oltre alla cessazione del rapporto di lavoro e all'inadempimento, in tutto o in parte, posto in essere dal debitore, anche lo stato di insolvenza in cui versa quest'ultimo, utilizzando, a tal fine, la presunzione legale prevista dalla legge l'apertura del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa o del concordato preventivo nei confronti del medesimo debitore viceversa, ove non sia possibile l'applicazione della legge fallimentare perché non ricorre la condizione soggettiva di cui all'art. 1 del Rd 267/1942, il lavoratore, allo scopo sopra indicato, oltre alla prova dell'avvenuta conclusione del rapporto di lavoro e all'inadempimento, in tutto o in parte, posto in essere dal datore di lavoro, deve fornire anche l'ulteriore prova che quest'ultimo non è soggetto alle procedure esecutive concorsuali e deve, inoltre, dimostrare, in base alla diversa presunzione legale pure prevista dalla legge l'esperimento di una procedura esecutiva individuale, senza che ne sia necessario il compimento , che mancano o sono insufficienti le garanzie patrimoniali del debitore. SEZIONE LAVORO 14 GIUGNO 2011, N. 12978 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - SUBORDINAZIONE - SANZIONI DISCIPLINARI. Procedimento disciplinare - Difese del lavoratore - Libertà di forme - Richiesta di audizione orale - Obbligo per il datore di lavoro - Sindacabilità - Esclusione - Fondamento - Fattispecie. In tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l'art. 7, secondo comma, della legge 300/1970 si interpreta nel senso che il lavoratore è libero di discolparsi nelle forme da lui prescelte, oralmente o per iscritto, con l'assistenza o meno di un rappresentante sindacale. Ne consegue che, ove il lavoratore eserciti il proprio diritto chiedendo espressamente di essere sentito a difesa nel termine previsto dallo stesso art. 7, quinto comma, dello statuto dei lavoratori, il datore di lavoro ha l'obbligo della sua audizione, senza che tale istanza - fuori dai casi in cui la richiesta appaia ambigua ed incerta - sia sindacabile dal datore di lavoro in ordine all'effettiva idoneità difensiva, rispondendo tale esito all'esigenza di consentire la piena rispondenza del giudizio disciplinare al principio del contraddittorio tra le parti e all'espressa previsione dell'impossibilità di applicare qualsiasi sanzione più grave del rimprovero verbale senza che il lavoratore, che ne abbia fatto richiesta, sia sentito a sua discolpa. Nella specie, la S.C. ha ritenuto la correttezza della decisione del giudice di merito che, nel valutare l'obbligo delle parti di conformare la propria condotta a buona fede e lealtà contrattuale, aveva ritenuto, con motivazione logica ed adeguata, che la convocazione del lavoratore presso la sede di Cremona e non di Milano dovesse ritenersi legittima in relazione alle vaste dimensioni dell'azienda, organizzata sul territorio attraverso uffici rispondenti a direzioni diverse, e alla facile raggiungibilità per il lavoratore rispetto alla sua sede di lavoro, sita in Rivolta d'Adda . In tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, per Cassazione 5864/2010, le garanzie apprestare dall'art. 7 della legge 300/1970 per consentire all'incolpato di esporre le proprie difese in relazione al comportamento addebitatogli non comportano per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l'audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla richiesta del lavoratore di essere sentito di persona, sicché le discolpe fornite dall'incolpato per iscritto consumano il suo diritto di difesa solo quando dalla dichiarazione scritta emerga la rinuncia ad essere sentito o quando la richiesta appaia, sulla base delle circostanze del caso, ambigua o priva di univocità al di fuori di tali ipotesi, un sindacato del datore di lavoro in ordine all'effettiva idoneità difensiva della richiesta di audizione orale non può ritenersi consentito neppure alla stregua dell'obbligo delle parti di conformare la propria condotta a buona fede e lealtà contrattuale, il quale può assumere rilievo ai fini della valutazione in ordine all'ambiguità della richiesta, ma non consente di dare ingresso ad una valutazione di compatibilità della facoltà di audizione esercitata dal lavoratore incolpato alla luce delle difese già svolte e della sua idoneità ad utilmente integrare queste ultime. Tra le conformi si veda anche Cassazione 1661/2008 per la quale l'art. 7 della legge 300/1970 - il quale subordina la legittimità del procedimento di irrogazione delle sanzioni disciplinari alla previa contestazione degli addebiti, al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in relazione al comportamento ascrittogli - non comporta in ogni caso l'obbligo per il datore di lavoro di convocare il lavoratore stesso per consentirgli di discolparsi oralmente, atteso che è in facoltà di quest'ultimo di esercitare il suo diritto di difesa nella più completa libertà di forme e, dunque, anche per iscritto o mediante l'assistenza di un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisca o conferisca mandato.