RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 3 GIUGNO 2011, N. 12138 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - CONTRIBUTI ASSICURATIVI - RETRIBUZIONE IMPONIBILE. Calciatori professionisti - Attività lavorativa - Ambito - Attività in comune diverso dalla residenza - Compenso - Natura retributiva - Fondamento - Integrale imponibilità contributiva. L'attività lavorativa ordinaria dei calciatori professionisti non concerne soltanto la partecipazione alle gare in cui è impegnata la società di appartenenza, ma anche l'espletamento della preparazione atletica e tecnica i cosiddetti allenamenti , la quale, essendo funzionale alla vera e propria prestazione agonistica, costituisce anch'essa espletamento della prestazione lavorativa contrattualmente pattuita l'impianto sportivo normalmente destinato agli allenamenti quotidiani, ancorché situato in comune diverso da quello di residenza, dev'essere considerato quale sede aziendale, al pari di quello dove si svolgono le gare. Ne consegue che la permanenza presso campi di calcio diversi da quello ove sono disputate le gare casalinghe e gli spostamenti necessari per raggiungerli costituiscono per i calciatori interessati salvo che risultino determinati da fatti occasionali e contingenti un'immanente modalità di lavoro, ossia un aspetto strutturale della prestazione connesso alla causa tipica del contratto, e il relativo compenso con una somma prefissata non rappresenta un mero rimborso spese ma retribuzione, in quanto diretto a compensare il particolare disagio e la gravosità connessi alla prestazione. Pertanto, le somme corrisposte a tale titolo sono soggette ad integrale imponibilità contributiva, non potendo trovare applicazione ratione temporis le minori percentuali di imponibilità stabilite dall'art. 12, secondo capoverso, n. 1 , della legge 153/1969, come interpretato dall'art. 9 ter del Dl 103/1991, convertito con modifiche nella legge 166/1991, ovvero dal combinato disposto dell'art. 48, sesto comma, del Dpr 917/1986, e dell'art. 12, secondo comma, della legge 153/1969, come rispettivamente sostituiti dagli artt. 3 e 6 del D.Lgs. 314/1997. In argomento si veda Cassazione 85/2003 per la quale nell'esercizio di attività sportiva a livello professionistico, le società sportive o la Federazione, con riferimento a sinistri avvenuti nello svolgimento di competizioni delle squadre nazionali sono tenute a tutelare la salute degli atleti - nel caso di specie, calciatore - sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psico - fisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie che possono trovare causa nei rilevanti sforzi caratterizzanti la pratica professionale di uno sport, potendo essere chiamate a rispondere in base al disposto degli artt. 1218 e 2049 cc dell'operato dei propri medici sportivi e del personale comunque preposto a tutelare la salute degli atleti ed essendo comunque tenute , come datore di lavoro del calciatore, ad adottare tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, tenuto conto in particolare del fatto che le cautele a tutela della salute cui è tenuto il datore di lavoro devono parametrarsi alla specifica attività svolta dallo sportivo professionista ed alla sua particolare esposizione al rischio di infortuni. Con riferimento ad altro aspetto, per Cassazione 3545/2004 le violazioni di norme dell'ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento anche per l'ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico non può infatti ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell'interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell'ordinamento sportivo, e senza l'osservanza delle prescrizioni formali all'uopo richieste, e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell'ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi. SEZIONE LAVORO 3 GIUGNO 2011, N. 12131 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - ASSUNZIONE - COLLOCAMENTO AL LAVORO - CIECHI, INVALIDI E MUTILATI - ASSUNZIONE OBBLIGATORIA. Centralinisti non vedenti della Regione Sicilia - Rifiuto di assunzione - Conseguenze - Obbligo di costituzione del rapporto di lavoro - Esecuzione in forma specifica - Ammissibilità - Fondamento. In tema di collocamento obbligatorio di centralinisti telefonici non vedenti della Regione Sicilia e con riferimento al rifiuto di assunzione da parte del datore di lavoro, il rapporto tra l'art. 10 legge della Regione Sicilia 12/1991 e la legge 68/1999, in ragione dei limiti alla potestà legislativa regionale stabiliti dall'art. 17 dello statuto di autonomia, deve essere risolto alla luce del principio di cedevolezza delle disposizioni regionali che non siano compatibili con i principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato contenuti nella legislazione statale sopravvenuta, improntata ad una serie di controlli, pienamente compatibili con l'art. 41, secondo comma, della Costituzione, posto che si coniugano con l'utilità sociale, come rettamente intesa dal legislatore costituzionale, attento ai valori della libertà, anche dal bisogno, e della dignità umana dei concittadini, nella specie, non vedenti. Ne consegue che, per il centralinista non vedente al quale sia stata rifiutata l'assunzione, in presenza delle condizioni di legge, è ammessa la tutela ex art. 2932 cod. civ., perché il sistema legale assicura allo stesso un inquadramento contrattuale in cui sono prestabilite le mansioni, la qualifica e il trattamento economico, ivi compresa l'indennità legale di mansione. In argomento si veda Cassazione 15913/2004 per la quale in caso di legittimo avviamento di centralinista privo della vista, la cui assunzione sia indebitamente rifiutata dal destinatario dell'obbligo di assumerlo, il Giudice, se richiestone, deve applicare l'art. 2932 cc e rendere tra le parti sentenza che produca in forma specifica gli effetti del contratto non concluso, trattandosi di fattispecie possibile e non esclusa dal titolo, atteso che sono prestabiliti dalla legge 113/1985, in tema di disciplina del collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti, la qualifica, le mansioni e il trattamento economico e normativo del lavoratore avviato, ivi compresa l'indennità legale di mansione, mentre assume carattere residuale il risarcimento economico art. 1223 e ss cc destinato ad assicurare l'integrale soddisfazione del diritto del centralinista, indebitamente pretermesso dalla prestazione lavorativa per l'inadempimento del datore di lavoro. Tra i precedenti in merito si veda anche Sezioni Unite 302/1999 per le quali in tema di collocamento obbligatorio, mentre in una prima fase, relativa agli accertamenti della pubblica amministrazione in ordine alla invalidità, volti a verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge, il lavoratore è titolare esclusivamente di interessi legittimi, in una seconda fase, consequenziale al positivo esito della prima con l'accertamento dello status di invalido, diviene titolare delle posizioni di diritto soggettivo che si fondano sull'art. 38 della Costituzione, cioè del diritto al mantenimento e all'assistenza sociale attribuito a ciascun cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere e del diritto dell'inabile e del minorato all'educazione ed all'avviamento professionale, attraverso organi ed istituti predisposti ed integrati dallo Stato. Ne consegue che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia instaurata da un invalido, avviato quale centralinista cieco per l'assunzione presso un ente regionale, per ottenere il risarcimento del danno, sofferto a causa della mancata o ritardata assunzione ivi compreso in tale secondo caso il pregiudizio per la mancata decorrenza degli effetti economici e giuridici della costituzione del rapporto di pubblico impiego oggetto dell'avviamento, per il periodo precedente la ritardata assunzione , poiché la causa petendi dell'azione è costituita dalla violazione di un diritto soggettivo, il diritto all'assunzione, il quale, sussistendo a prescindere dalla decorrenza degli effetti giuridici del rapporto stesso, non può considerarsi da esso derivante o ad esso inerente e deve essere osservato dalla Pubblica Amministrazione attraverso un'attività vincolata. SEZIONE LAVORO 30 MAGGIO 2011, N. 11905 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ORARIO DI LAVORO - IN GENERE. Svolgimento continuativo e costante di lavoro supplementare - Trasformazione del rapporto da part-time a full-time - Rilevanza dei fatti concludenti - Modifica del sinallagma negoziale. Il rapporto di lavoro a tempo parziale si trasforma in rapporto a tempo pieno per fatti concludenti, in relazione alla prestazione lavorativa resa, costantemente, secondo l'orario normale, o addirittura con orario superiore. Il comportamento negoziale concludente, nel senso di modificare stabilmente l'orario di lavoro, è conseguente all'accertamento che la prestazione eccedente quella inizialmente concordata non risponda ad alcuna specifica esigenza di organizzazione del servizio, idonea a giustificare, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, l'assegnazione di ore ulteriori rispetto a quelle negozialmente pattuite. La libertà del lavoratore di rifiutare la prestazione oltre l'orario del part-time è ininfluente, posto che l'effettuazione in concreto, delle prestazioni richieste, determina l'accettazione della nuova regolamentazione , con ogni conseguente effetto obbligatorio, risultandone una modifica non accessoria dei contenuti del sinallagma negoziale. In tema di prestazioni di lavoro subordinato per Cassazione 9769/2011, la mancata concessione della trasformazione a part time del rapporto a tempo pieno, ove nel caso concreto quest'ultima risulti giuridicamente doverosa, ai sensi e per gli effetti della contrattazione collettiva, costituisce violazione dei criteri di buona fede e correttezza che debbono ispirare l'esecuzione del contratto e, quindi, inadempimento contrattuale, di cui si può chiedere l'accertamento in relazione alla domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla mancata trasformazione del rapporto di lavoro. Secondo Cassazione 6226/2006 nel regime precedente il D.Lgs. 61/2000, nel rapporto di lavoro part-time il superamento del monte ore massimo previsto dalla contrattazione collettiva per detto tipo di rapporto, in difetto di previsione legale o contrattuale collettiva, non determina la trasformazione del rapporto in lavoro a tempo pieno, salva la possibilità che, a causa della continua prestazione di un orario pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, possa ritenersi che la trasformazione si sia verificata per fatti concludenti. Per Cassazione 1721/2009 le cosiddette clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di richiedere a comando la prestazione lavorativa dedotta in un contratto part - time , sono illegittime, atteso che l'esigenza della previa pattuizione bilaterale della riduzione di orario comporta - stante la ratio dell'art. 5 della legge 863/1984 - che, se le parti concordano per un orario giornaliero inferiore a quello ordinario, di tale orario debba essere determinata la collocazione nell'arco della giornata e che, se parimenti le parti convengono che l'attività lavorativa debba svolgersi solo in alcuni giorni della settimana o del mese, anche la distribuzione di tali giornate lavorative sia previamente stabilita. Dall'accertata illegittimità di tali clausole non consegue l'invalidità del contratto part - time , né la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma solo l'integrazione del trattamento economico ex artt. 36 Cost. e 2099, comma secondo, cc , atteso che la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, di fatto richiesta al lavoratore, pur non potendo essere equiparata a lavoro effettivo, deve comunque trovare adeguato compenso, tenendo conto della maggiore penosità ed onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a disposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato, a tal fine rilevando la difficoltà di programmazione di altre attività, l'esistenza e la durata di un termine di preavviso, la percentuale delle prestazioni a comando rispetto all'intera prestazione. Al lavoratore incombe l'onere di dimostrare la maggiore penosità ed onerosità delle prestazioni effettuate in ragione degli effetti pregiudizievoli prodotti dalla disponibilità richiesta.