RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 7 APRILE 2011, N. 7948 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTA CAUSA. Gravità delle infrazioni commesse dal lavoratore e proporzione tra addebito disciplinare e sanzione - Interpretazione del giudice di merito - Valutazione - Censurabilità in cassazione - Portata - Fattispecie. In tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento del lavoratore e dell'adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità. Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto illegittimo e sproporzionato il licenziamento di un dipendente bancario che aveva negato alla società datrice di lavoro di aver comunicato ai propri colleghi di essere in procinto di presentare le dimissioni, dovendosi ritenere che la ricerca di un diverso posto di lavoro costituisca un fatto attinente alla sfera privata del lavoratore, suscettibile di assumere rilevanza disciplinare solo se accompagnato ad una effettiva violazione dell'obbligo di fedeltà . Tra i precedenti in senso conforme si veda Cassazione 24349/2006. Per Cassazione 17514/2010, l'insussistenza di alcuni dei fatti contestati in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore di lavoro nell'esercizio del suo potere disciplinare, non preclude al giudice di merito la possibilità di ritenere ugualmente giustificato il recesso, posto che non rileva il giudizio attribuito dal datore di lavoro circa la gravità dei fatti posti a fondamento della sua volontà di risolvere il rapporto con il lavoratore inadempiente spettando al giudice di merito l'apprezzamento della legittimità e congruità della sanzione applicata, apprezzamento che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, si sottrae a censure in sede di legittimità. Per Cassazione 14586/2009, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che della mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto ed alla sua durata ed all'assenza di precedenti sanzioni , alla sua particolare natura e tipologia. SEZIONE LAVORO 7 APRILE 2011, N. 7946 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO - INFORTUNI E MALATTIE - COMPORTO. Superamento - Licenziamento - Legittimità - Limiti - Infermità dipendente dalla nocività delle mansioni - Rilevanza - Onere probatorio relativo - Incidenza sul lavoratore. In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l'infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza art. 2087 cc o di specifiche norme. Peraltro, incombe sul lavoratore l'onere di provare il collegamento causale tra la malattia che ha determinato l'assenza e le mansioni espletate, in mancanza del quale deve ritenersi legittimo il licenziamento. Tra i precedenti in senso conforme si veda Cassazione 5066/2000. In argomento si veda anche Cassazione 5413/2003 per la quale la fattispecie di recesso del datore di lavoro, per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi cosiddetta eccessiva morbilità , si inquadra nello schema previsto, ed è soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 cc, che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità e del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza cosiddetto periodo di comporto , predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all'uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo ne' della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, ne' della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali. Le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro ove l'infermità sia comunque imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che egli abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza o di specifiche norme, incombendo, peraltro, sul lavoratore l'onere di provare il collegamento causale fra la malattia e il carattere morbigeno delle mansioni espletate. SEZIONE LAVORO 6 APRILE 2011, N. 7898 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - ASSUNZIONE - DIVIETO DI INTERMEDIAZIONE E DI INTERPOSIZIONE APPALTO DI MANO D'OPERA . Appalti endoaziendali aventi ad oggetto prestazioni lavorative - Nozione - Mancanza di una organizzazione autonoma della prestazione di lavoro da parte dell'appaltatore - Violazione del divieto - Configurabilità - Fattispecie. Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro art. 1 legge 1369/1960 , in riferimento agli appalti endoaziendali, caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore - datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione , senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo. Nella specie, relativa allo svolgimento di attività di pulizie dei locali del teatro Bellini di Napoli, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che aveva desunto, con insufficiente motivazione, il carattere vietato dell'appalto dalla mancanza nell'oggetto sociale della società interponente dello svolgimento di attività di pulizia, elemento secondario e meramente formale, nonché dall'esistenza di ingerenze nell'attività della società interposta, che, tuttavia, erano identificate in condotte in parte del tutto irrilevanti - quali l'esistenza di numerose società operanti all'interno del teatro, gli orari di lavoro, il godimento delle ferie da parte dei lavoratori - e in parte, pur astrattamente pertinenti come l'anticipazione delle retribuzioni dei lavoratori della società interposta ovvero l'esistenza di direttive , rimaste prive di adeguato riscontro e approfondimento . Principio analogo è espresso da Cassazione 3681/2010 per la quale inoltre tale divieto si applica anche agli appalti concessi dalle Ferrovie dello Stato successivamente all'entrata in vigore della legge 210/1985, senza incontrare limiti nella disciplina dettata dall'art. 2, primo comma, lett. i speciale e posteriore rispetto all'art. 1 della legge 1369/1960 , la quale, pur conferendo ampio rilievo alle finalità di economicità ed efficienza dell'organizzazione delle Ferrovie ed alle conseguenti esigenze di elasticità e flessibilità nella dislocazione dei servizi e del personale, non ha, tuttavia, inteso consentire all'Ente Ferrovie dello Stato più di quanto non fosse consentito all'imprenditore privato in tema di appalti di mano d'opera. Secondo Cassazione 17444/2009 l'illecita intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, ai sensi della legge 1369/1960, sussiste nel caso in cui l'appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione lavorativa, con avvio dei dipendenti al lavoro presso l'appaltante senza il loro inserimento nell'espletamento di opere o servizi coinvolgenti l'organizzazione gestionale dell'appaltatore o, comunque, richiedenti l'impiego di un apparato di mezzi da questi fornito, senza che assuma rilievo che l'appaltatore sia dotato, sul piano della dotazione strumentale e patrimoniale, di una obbiettiva consistenza e che si occupi della gestione amministrativa del rapporto di lavoro. SEZIONE LAVORO 6 APRILE 2011, N. 7892 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - CONTRIBUTI ASSICURATIVI - FISCALIZZAZIONE DEGLI ONERI SOCIALI. Fruizione del beneficio - Decadenza - Mancata corresponsione della retribuzione - Ritardato pagamento - Assimilabilità - Portata - Fondamento. In tema di fiscalizzazione degli oneri sociali e con riguardo alla previsione decadenziale di cui all'art. 6, nono comma, del Dl 338/1989, convertito in legge 389/1989, all'ipotesi in cui la retribuzione, sebbene denunciata nella misura minima indispensabile per la fruizione dei benefici, non sia effettivamente corrisposta, va assimilata quella della sua mancata corresponsione con periodicità mensile, posto che il ritardato pagamento integra, anch'esso, un inadempimento della primaria obbligazione gravante sul datore di lavoro, ai sensi dell'art. 1218 cc prescrivendo l'art. 2099 cc che la retribuzione debba essere corrisposta non solo nell'importo ma anche nei termini stabiliti dalle norme regolatrici del rapporto ed incide sulla effettiva consistenza del diritto dei lavoratori, essendo le somme di cui è composta la retribuzione finalizzate a garantire ai lavoratori una dignitosa esistenza. Sul punto si veda Cassazione 18940/2004 per la quale l'imprenditore che intenda usufruire del beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali ha l'onere di corrispondere ai propri dipendenti una retribuzione non inferiore a quella prevista dalla contrattazione collettiva di settore di carattere nazionale, ovvero, se si tratti - come nel caso di specie - di impresa artigiana priva di una contrattazione collettiva di settore, una retribuzione non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo nazionale corrispondente al settore industriale. Secondo Cassazione 13794/2010, in tema di fiscalizzazione degli oneri sociali, l'art. 3 del Dl 71/1993, convertito nella legge 151/1993, contiene un duplice autonomo richiamo alla contrattazione collettiva, finalizzato, da un lato, all'individuazione delle imprese suscettive di godere dei benefici le imprese rientranti nella sfera di applicazione dei contratti collettivi nazionali dell'artigianato , e, dall'altro, all'identificazione della condizione a cui è soggetta l'attribuzione del beneficio, costituita dall'integrale rispetto degli istituti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi di lavoro , senza che, in relazione a quest'ultima, risulti apposta alcuna delimitazione in ordine alla natura ed all'ambito territoriale di riferimento delle previsioni collettive. Ne consegue che, ove l'applicazione sia stata limitata alle sole previsioni dei contratti collettivi nazionali e non siano stati rispettati altri istituti, normativi od economici, previsti da contratti collettivi di diverso livello nella specie, regionali applicabili al rapporto, va escluso il riconoscimento dei benefici previdenziali per mancata realizzazione della condizione di legge. SEZIONE LAVORO 5 APRILE 2011, N. 7747 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - LAVORO A DOMICILIO - IN GENERE. Giudizio di accertamento negativo di obbligo contributivo - Qualificazione del lavoro a domicilio come autonomo o subordinato - Criteri distintivi - Ripartizione dell'onere probatorio. PROVA CIVILE - ONERE DELLA PROVA - IN GENERE. Giudizio di accertamento negativo di obbligo contributivo - Qualificazione del lavoro a domicilio come autonomo o subordinato - Criteri distintivi - Ripartizione dell'onere probatorio. Nel giudizio di accertamento negativo dell'obbligo contributivo e con riguardo alla qualificazione del lavoro a domicilio come autonomo o subordinato, è onere del contribuente provare la sussistenza degli elementi che escludono la sussistenza del vincolo della subordinazione, quali la possibilità attribuita al lavoratore di accettare o rifiutare le singole commesse, la pattuizione di un prezzo con il committente di volta in volta, la piena discrezionalità in ordine ai tempi di consegna del lavoro stesso, non potendo certo richiedersi una prova negativa al riguardo da parte dell'istituto di previdenza, una volta accertata la presenza di elementi che connotano in termini di subordinazione il rapporto, con particolare riferimento all'inesistenza di una microunità imprenditoriale, idonea a configurare un'autonomia organizzativa del lavoratore. In tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 cc, da ultima, Cassazione 22862 ribadisce che l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell'INPS, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall'Istituto con riguardo ai fatti costitutivi rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria. Ai fini della qualificazione del lavoro a domicilio come autonomo o subordinato - secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella legge 877/1973, che, nel superare la distinzione fra lavoro a domicilio autonomo e subordinato, ha innovato rispetto a quella prevista dalla legge 264/1958 - secondo Cassazione 461/2011, assume rilevanza la possibilità attribuita al lavoratore di accettare o rifiutare le singole commesse, all'esito di trattative concernenti le caratteristiche del lavoro ed il prezzo da stabilire di volta in volta, dovendosi accertare, in particolare, se tale possibilità di negoziazione sia limitata in ambiti prefissati dal contratto di lavoro, inserendosi in esso quale modalità di esecuzione, ovvero sia espressione di una realtà incompatibile con il lavoro subordinato, configurandosi, in tal caso, tanti contratti di lavoro autonomo per quante sono le singole commesse.