RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 9 MARZO 2011, N. 5552 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE - IN GENERE. Determinazione del trattamento economico - Rapporto qualificato come autonomo dalle parti - Accertamento del suo carattere subordinato - Confronto globale tra quanto corrisposto e quanto dovuto - Necessità - Retribuzione eccedente i minimi fissati dal contratto collettivo - Legittimità - Principio dell'assorbimento - Applicabilità - Limiti - Conseguenze - Erogazione di mensilità aggiuntive - Esclusione - Richiesta di restituzione della retribuzione eccedente - Condizioni - Onere probatorio gravante sul datore di lavoro - Contenuto. In tema di determinazione del trattamento retributivo spettante al lavoratore subordinato, una volta accertata in giudizio l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in contrasto con la qualificazione del rapporto come autonoma operata dalle parti, trova applicazione - salvo che per le indennità di fine rapporto che maturano al momento della cessazione del rapporto medesimo - il principio dell'assorbimento, per cui ove il trattamento economico complessivamente erogato in concreto dal datore di lavoro risulti superiore a quello minimo dipendente dalla qualificazione del rapporto, non debbono essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai compensi periodicamente corrisposti, dovendosi, peraltro, escludere che il lavoratore sia tenuto, sulla mera richiesta del datore di lavoro, a restituire tale eccedenza, atteso che i contratti collettivi stabiliscono le retribuzioni minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che ciò impedisca al datore di lavoro di erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse semplicemente offerte al lavoratore o determinate da una contrattazione ovvero conseguenti alla diversa e inesatta qualificazione del rapporto tra le parti, la quale può essere frutto di un errore delle parti ma anche della volontà di usufruire di una normativa specifica ovvero di eluderla. Ne consegue che il datore di lavoro, ove chieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva, ha l'onere di dimostrare che la maggior retribuzione è stata determinata da un errore essenziale avente i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 cc In tema di distinzione tra il rapporto di lavoro subordinato e il rapporto di lavoro autonomo, si veda Cassazione 17455/2009 per la quale le concrete modalità di svolgimento del rapporto prevalgono sulla diversa volontà manifestata nella scrittura privata eventualmente sottoscritta dalle parti, ben potendo le qualificazioni riportate nell'atto scritto risultare non esatte, per mero errore delle parti o per volontà delle stesse, che intendano usufruire di una normativa specifica o eluderla. La valutazione degli elementi probatori, ivi compresa l'interpretazione degli atti scritti, è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, insindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento. Analogamente per Cassazione 5645/2009, l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse. In tema di superminimi individualmente pattuiti si veda Cassazione 19750/2008 per la quale il cosiddetto superminimo, ossia l'eccedenza della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, che sia stato individualmente pattuito, è normalmente soggetto al principio generale dell'assorbimento nei miglioramenti contemplati dalla disciplina collettiva, tranne che sia da questa diversamente disposto, o che le parti abbiano attribuito all'eccedenza della retribuzione individuale la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e sia quindi sorretto da un autonomo titolo, alla cui dimostrazione, alla stregua dei principi generali sull'onere della prova, è tenuto lo stesso lavoratore. SEZIONE LAVORO 4 MARZO 2011, N. 5237 RISARCIMENTO DEL DANNO - PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE DANNI MORALI . Demansionamento professionale - Danno all'immagine - Risarcibilità - Condizioni - Gravità della lesione e non futilità del danno - Fattispecie. In caso di accertato demansionamento professionale, la risarcibilità del danno all'immagine derivato al lavoratore a cagione del comportamento del datore di lavoro presuppone che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità, e che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi. Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato la correttezza della decisione della corte territoriale che non solo ha escluso che la retrocessione da capo turno ad addetto alla sorveglianza comportasse l'esistenza di un danno in re ipsa rispetto alla dedotta lesione dell'immagine professionale, ma ha ritenuto di poter trarre una presunzione di segno contrario in relazione all' estrema modestia della limitata supremazia esercita in precedenza dal lavoratore . In caso di accertato demansionamento professionale, per Cassazione 20980/2009, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore non può prescindere dalla prova del danno e del relativo nesso causale con l'asserito demansionamento, ferma la necessità di evitare, trattandosi di danno non patrimoniale, ogni duplicazione con altre voci di danno non patrimoniale accomunate dalla medesima fonte causale. Quanto al danno non patrimoniale derivante dalla lesione dei diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, secondo Cassazione 24030/2009, esso è risarcibile a condizione che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale, che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale, e che il danno non sia futile, ovvero non consista in meri disagi o fastidi ossia nella lesione di diritti del tutto immaginari. SEZIONE LAVORO 3 MARZO 2011, N. 5139 IMPIEGO PUBBLICO - IN GENERE NATURA, CARATTERI, DISTINZIONI . Lavoro pubblico contrattualizzato - Contratto individuale - Principio della parità di trattamento - Necessità - Attribuzione di beneficio negato da accordo collettivo di interpretazione autentica - Conseguenza - Conservazione del miglior trattamento - Esclusione - Recepimento nel contratto individuale - Irrilevanza. In materia di pubblico impiego contrattualizzato, i contratti individuali di lavoro sono validi e conservano la loro validità purché rispettino il principio di parità di trattamento ex art. 45, comma 2, D.Lgs. 165/2001, non potendo attribuire al singolo lavoratore un beneficio negato dal contratto collettivo per l'intera categoria di lavoratori. Ne consegue che ove il beneficio sia stato prima attribuito dal contratto collettivo e, successivamente, negato dal contratto di interpretazione autentica, stipulato ai sensi dell'art. 64, comma 2, D.Lgs. 165/2001 ed avente efficacia retroattiva, il lavoratore non può conservare il miglior trattamento attribuitogli ancorché recepito nel contratto individuale. In argomento, secondo Sezioni Unite 10454/2008 il principio espresso dall'art. 45, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, secondo il quale le amministrazioni pubbliche devono garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell'ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva, rispetto al quale lo svolgimento delle mansioni di fatto assume rilevanza soltanto nei limiti segnati dall'art. 52 dello stesso D.Lgs. 165/2001. Tra i precedenti si veda anche Cassazione 19007/2010 per la quale nel rapporto di lavoro pubblico privatizzato, la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva del settore pubblico che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato. Ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui all'art. 45 del D.Lgs. 165/2001 non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo. SEZIONE LAVORO 2 MARZO 2011, N. 5095 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTA CAUSA. Nozione legale - Specificazioni in sede interpretativa - Rilevanza nel giudizio di cassazione quali norme di diritto - Sussistenza - Accertamento dei fatti e della loro concreta idoneità a costituire giusta causa - Giudizio di fatto - Configurabilità - Sindacabilità in cassazione - Condizioni - Fattispecie. La giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto , è una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale. Nella specie, il lavoratore, durante un periodo di assenza dal servizio per malattia, aveva sottoscritto certificati di sanità veterinaria - rilasciabili solo dal veterinario in servizio presso il distretto di appartenenza - per la spedizione internazionale di prodotti caseari con apposizione di falsi protocolli alle certificazioni medesime, così realizzando una grave violazione del vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro la S.C., in applicazione del principio su esteso, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso . In senso conforme si veda tra le varie Cassazione 25144/2010 la quale inoltre afferma che l'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole generali come quella di cui all'art. 2119 o all'art. 2106 cc, che dettano tipiche norme elastiche , non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare anche collettiva in cui la fattispecie si colloca. Secondo Cassazione 9266/2005 l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'art. 2119 cc norma cosiddetta elastica , compiuta dal giudice di merito - ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento - mediante riferimento alla coscienza generale , è sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale.