RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 21 FEBBRAIO 2011 N. 4159 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - SUBORDINAZIONE - SANZIONI DISCIPLINARI. Lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni - Collegio arbitrale di disciplina previsto dall'art. 59 del d.lgs. n. 29 del 1993 - Natura rituale dell'arbitrato - Conseguenze - Impugnabilità del lodo ex art. 828, cod. proc. civ. - Proposizione al tribunale anziché alla corte d'appello - Principio della cosiddetta translatio iudicii - Applicabilità - Esclusione - Conseguenze - Inammissibilità della impugnazione. In tema di arbitrato nelle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nella ipotesi di proposizione al tribunale, anziché alla corte d'appello, della impugnazione per nullità del lodo arbitrale emesso dal consiglio di disciplina ai sensi dell'art. 59 d.lgs. n. 29 del 1993, trattandosi di incompetenza per grado, non opera il principio secondo il quale la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza della impugnazione, determinando la cosiddetta translatio iudicii , e l'impugnazione è inammissibile. In tema di arbitrato nelle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, per Cassazione 16772/2005, in ragione di una interpretazione letterale delle norme imposta dal tenore delle stesse, gli artt. 412 ter e quater cod. proc. civ. vanno applicati unicamente agli arbitrati irrituali previsti dai contratti collettivi, mentre la decisione emessa dal collegio arbitrale di disciplina di cui all'art. 59 , del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, ha natura di arbitrato rituale, come tale disciplinato dagli artt. 827 e ss. cod. proc. civ., sicché competente sull'impugnativa del lodo non è il tribunale, nella cui circoscrizione l'arbitrato ha avuto sede, ma la corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitro. Conseguentemente, nella ipotesi di proposizione al tribunale, anziché alla corte d'appello, della impugnazione per nullità del lodo arbitrale, trattandosi di incompetenza per grado, non opera il principio secondo il quale la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza della impugnazione, determinando la cosiddetta translatio iudicii , e l'impugnazione è inammissibile. Per Sezioni Unite 25253/2009 nell'ipotesi in cui il lavoratore al quale il datore di lavoro abbia irrogato una sanzione disciplinare richieda la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato - secondo quanto previsto dall'art. 7, comma sesto, della legge n. 300 del 1970 o da analoghe disposizioni della contrattazione collettiva - l'arbitrato in questione ha natura irrituale e non già rituale . Ne consegue che la relativa decisione non è impugnabile in sede giudiziaria in ordine alle valutazioni affidate alla discrezionalità degli arbitri quali quelle relative al materiale probatorio, ovvero alle scelte operate per comporre la controversia , ma soltanto per vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata percezione o falsa rappresentazione dei fatti, ovvero per inosservanza delle disposizioni inderogabili di legge o di contratti o accordi collettivi. SEZIONE LAVORO 21 FEBBRAIO 2011 N. 4149 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - MANSIONI - DIVERSE DA QUELLE DELL'ASSUNZIONE. Diritto del sostituto all'inquadramento superiore proprio del dipendente sostituito - Accertamento in ordine alla natura delle mansioni svolte - Necessità - Carattere vicario delle mansioni svolte - Diritto al superiore inquadramento - Esclusione - Fattispecie relativa alla sostituzione di funzionario del San Paolo IMI. Nel rapporto di lavoro subordinato, il carattere vicario delle mansioni svolte preclude il diritto del sostituto all'inquadramento nella qualifica superiore del sostituito, e lo stesso diritto alla maggiore retribuzione per il periodo della sostituzione, sia quando la sostituzione non abbia riguardato mansioni proprie della qualifica rivendicata né comportato l'assunzione dell'autonomia e della responsabilità tipiche della qualifica stessa, sia quando le mansioni proprie della qualifica del sostituto comprendano compiti di sostituzione di dipendenti di grado più elevato. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato la richiesta di riconoscimento della superiore qualifica, proposta da dipendente del San Paolo IMI avente la qualifica di capo ufficio del ruolo A , il quale aveva svolto attività in mera sostituzione di altro dipendente rivestente qualifica superiore . Tra i precedenti conformi si vedano Cassazione 9141/2004 e Cassazione 14738/1999. Per una applicazione del principio al settore del pubblico impiego privatizzato si veda Cassazione 16469/2007 per la quale il profilo lavorativo relativo alla posizione economica C3, contemplata dall'allegato A del CCNL del Comparto Ministeri del 16 febbraio 1999 - la cui violazione e falsa applicazione è censurabile con ricorso per cassazione art. 63, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 - fa espresso riferimento, come caratteristiche professionali di base, a Lavoratori che, per le specifiche professionalità assumono temporaneamente funzioni dirigenziali in assenza del dirigente titolare , quale ipotesi di portata più limitata delle funzioni di reggenza, sicché - posto che il carattere vicario delle mansioni svolte preclude il diritto del sostituto all'inquadramento nella qualifica superiore del sostituito e lo stesso diritto alla maggiore retribuzione per il periodo della sostituzione, quando le mansioni proprie della qualifica del sostituto comprendano compiti di sostituzione di dipendenti di grado più elevato - deve escludersi come correttamente ritenuto, nella specie, dal giudice di merito il riconoscimento del diritto alla maggiore retribuzione dirigenziale in favore di dipendente pubblico, inquadrato nella qualifica della posizione economica C3, che abbia assunto solo temporaneamente funzioni dirigenziali in sostituzione del direttore amministrativo titolare del posto. Per lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, la cui sostituzione da parte di altro lavoratore avente una qualifica inferiore non attribuisce a questi - in relazione al disposto dell'art. 2103 cod. civ. - il diritto alla promozione, per Cassazione 21021/2006, deve intendersi soltanto quello che non sia presente in azienda a causa di una delle ipotesi di sospensione legale o convenzionale del rapporto di lavoro, e non anche quello destinato, per scelta organizzativa del datore di lavoro, al di fuori dell'azienda od in un'altra unità produttiva. In particolare, poi, il principio che, quando tra le mansioni tipiche della qualifica di appartenenza del lavoratore siano compresi compiti di sostituzione del dipendente di grado più elevato, la sostituzione di questo superiore dipendente non attribuisce al primo alcun diritto ai sensi del citato art. 2103 cod. civ., vale sempreché si tratti di sostituzione occasionale, in relazione ad impedimenti temporanei, e non nel caso in cui la funzione vicaria sia travalicata in ragione del carattere permanente della sostituzione e della persistenza solo formale della titolarità in capo al superiore delle mansioni proprie della relativa qualifica, per effetto di una stabile scelta organizzativa del datore di lavoro. SEZIONE LAVORO 18 FEBBRAIO 2011 N. 4051 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - PROCEDIMENTO DI PRIMO GRADO - COSTITUZIONE DELLE PARTI E LORO DIFESA - CONVENUTO - MEMORIA DIFENSIVA. Specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore per la quantificazione del credito - Onere del convenuto - Operatività in caso di contestazione in radice del credito - Sussistenza - Contestazione generica - Conseguenze - Contestazione effettuata per la prima volta in appello - Ammissibilità - Esclusione. Nel rito del lavoro, il convenuto ha l'onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore, ai sensi degli artt. 167, primo comma, e 416, terzo comma cod. proc. civ., e tale onere opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l'affermazione dell'erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell'esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all'attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la mancata o generica contestazione in primo grado rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile. Si sono pronunciate in senso conforme Cassazione 945/2006 e Cassazione 9285/2003. Entrambe le pronunce fanno applicazione del principio di diritto espresso da Sezioni Unite 761/2002 per le quali nel rito del lavoro, il difetto di specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore per la quantificazione del credito oggetto di domanda di condanna, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l'esistenza del credito avversario, a può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti, non semplicemente alle regole legali o contrattuali di elaborazione dei conteggi medesimi, e sempre che si tratti di fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull' an debeatur b rileva diversamente, a seconda che risulti riferibile a fatti giuridici costitutivi della fattispecie non conoscibili di ufficio, ovvero a circostanze dalla cui prova si può inferire l'esistenza di codesti fatti, giacché mentre nella prima ipotesi la mancata contestazione rappresenta, in positivo e di per sè, l'adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto e, quindi, rende inutile provarlo, in quanto non controverso, nella seconda ipotesi cui può assimilarsi anche quella di difetto di contestazione in ordine all'applicazione delle regole tecnico - contabili il comportamento della parte può essere utilizzato dal giudice come argomento di prova ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ. c si caratterizza, inoltre, per un diverso grado di stabilità a seconda che investa fatti dell'una o dell'altra categoria, perché, se concerne fatti costitutivi del diritto, il limite della contestabilità dei fatti originariamente incontestati si identifica con quello previsto dall'art. 420, primo comma, del codice di rito per la modificazione di domande e conclusioni già formulate, mentre, se riguarda circostanze di rilievo istruttorio, trova più ampia applicazione il principio della provvisorietà, ossia della revocabilità della non contestazione, le sopravvenute contestazioni potendo essere assoggettate ad un sistema di preclusioni solo nella misura in cui procedono da modificazioni dell'oggetto della controversia. SEZIONE LAVORO 17 FEBBRAIO 2011 N. 3869 AGENZIA CONTRATTO DI - SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO - RECESSO - IN GENERE. Concetto di giusta causa previsto per il lavoro subordinato - Applicabilità - Giudizio di merito - Sindacabilità in cassazione - Limiti - Fattispecie. Al fine di stabilire se lo scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto per fatto imputabile al preponente o all'agente può essere utilizzato per analogia il concetto di giusta causa previsto per il lavoro subordinato, pur nella diversità delle rispettive prestazioni e della configurazione giuridica, e il relativo giudizio costituisce valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da adeguata e logica motivazione. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva adeguatamente valutato gli addebiti contestati all'agente - consistenti nell'avere emesso polizze auto su diverse piazze italiane non perfezionate, né registrate, né talvolta rinvenute presso l'agenzia preponente - ed aveva ritenuto che la gravità degli stessi avesse fatto venir meno il rapporto fiduciario e giustificato la risoluzione del rapporto . In senso conforme si vedano Cassazione 3595/2011 e Cassazione 20497/2008 per la quale il recesso per giusta causa previsto dall'art. 2119 cod. civ. si applica anche al contratto di agenzia purché vi sia un'inadempienza imputabile all'agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Non è, quindi, idonea a concretare detta inadempienza la sospensione dell'esecuzione della prestazione operata dall'agente che si trovi in stato di detenzione in carcere, non sussistendo in tal caso il requisito indispensabile dell'imputabilità dell'inadempimento.