RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 22 NOVEMBRE 2010, N. 23635 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CONTRATTO COLLETTIVO - INTERPRETAZIONE. Ricorso per cassazione - Mera contrapposizione di una tesi interpretativa diversa - Irrilevanza - Specifica denuncia di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale o di vizi della motivazione - Necessità - Fattispecie relativa a prestazioni giornalistiche in RAI. Nel giudizio di legittimità le censure relative all'interpretazione del contratto collettivo offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione fra l'interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell'annullamento di quest'ultima. Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un'interpretazione diversa da quella criticata. Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con congrua e logica motivazione e sulla base dell'interpretazione dell'accordo integrativo per i giornalisti RAI 18 luglio 1997, aveva dichiarato la sussistenza di un contratto di assunzione a tempo indeterminato . Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 15653/2006 e 11038/2006. L'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune secondo Cassazione 11078/2001 è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, a un sindacato che è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo di una motivazione coerente e logica. Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un'interpretazione diversa da quella criticata. SEZIONE LAVORO 12 NOVEMBRE 2010, N. 23037 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - ASSICURAZIONE PER L'INVALIDITÀ, VECCHIAIA E SUPERSTITI - CONTRIBUTI - FIGURATIVI. Congedi per maternità non in costanza di rapporto di lavoro subordinato - Accredito figurativo - Condizioni - Legge 244/2007 art. 2, comma 504 . La contribuzione figurativa spetta, a domanda, anche per i congedi per maternità non in costanza del rapporto di lavoro subordinato, quale che sia, all'epoca, la gestione assicurativa di iscrizione ed anche in caso di lavoratore inoccupato, a condizione che il lavoratore sia in possesso di cinque anni di contribuzione AGO in costanza di rapporto di lavoro e, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 151/2001 27 aprile 2001 , non sia pensionato e sia iscritto in servizio ex art. 2, comma 504, della legge 244/2007, di interpretazione autentica dell'art. 25 del D.Lgs. 151/2001 , non essendo richiesto che debba svolgere anche effettiva attività lavorativa. In senso conforme di vada Cassazione 18273/2005. Il principio di cui all'art. 2, comma 4, del D.Lgs. 564/1996, che consente che i periodi corrispondenti all'astensione obbligatoria dal lavoro verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro siano oggetto di accredito figurativo, nell'ambito del fondo pensioni lavoratori dipendenti o di forme sostitutive ed esclusive dell'a.g.o., e subordinatamente alla esistenza di un quinquennio di contribuzione, non richiede l'attualità di un rapporto lavorativo né di un lavoro di tipo subordinato, e si applica anche in favore della lavoratrice a domicilio, sebbene all'epoca della maternità non esistesse ancora la tutela previdenziale in favore delle lavoratrici a domicilio Cassazione 15081/2008. SEZIONE LAVORO 11 NOVEMBRE 2010, N. 22901 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - PER MUTUO CONSENSO DIMISSIONI. Comportamento valutabile come dimissioni - Interpretazione - Criteri - Indagine rigorosa - Necessità. Nel caso in cui non sia prevista alcuna forma convenzionale per il recesso del lavoratore, un determinato comportamento da lui tenuto può essere tale da esternare esplicitamente, o da lasciar presumere secondo il principio dell'affidamento , una sua volontà di recedere dal rapporto di lavoro, restando incensurabile in sede di legittimità il relativo accertamento del giudice di merito, ove congruamente motivato. In ogni caso nel giudizio promosso dal lavoratore al fine di impugnare un dedotto licenziamento, l'indagine circa la sussistenza di dimissioni del lavoratore deve essere rigorosa, essendo in discussione beni giuridici primari, oggetto di particolare tutela da parte dell'ordinamento, sicché occorre accertare che da parte del lavoratore sia stata manifestata in modo univoco l'incondizionata volontà di porre fine al rapporto. In caso di dimissioni presentate dal lavoratore in stato di incapacità naturale, per Cassazione 8886/2010 il diritto a riprendere il lavoro sorge con la sentenza di annullamento ai sensi dell'art. 428 c, i cui effetti retroagiscono al momento della domanda giudiziaria in applicazione del principio generale secondo cui la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice. Ne consegue che anche il diritto alle retribuzioni maturate sorge solo dalla data della domanda giudiziale, dovendosi escludere che l'efficacia totalmente ripristinatoria dell'annullamento del negozio unilaterale risolutivo del rapporto di lavoro si estenda al diritto alla retribuzione che, salvo diversa espressa eccezione di legge, non è dovuta in mancanza dell'attività lavorativa. Sempre in materia di recesso dal rapporto di lavoro, secondo Cassazione 23235/2009 deve ritenersi valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro, dovendosi escludere che tale accordo si ponga in contrasto con l'art. 1750 cod. civ., di cui va esclusa l'applicazione, attesa l'impossibilità di ravvisare una analogia fra il contratto di lavoro subordinato e quello d'agenzia, nel quale il lavoratore autonomo sopporta il rischio economico. SEZIONE LAVORO 4 NOVEMBRE 2011, N. 22443 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - VOLONTARIO AD NUTUM - PREAVVISO. Principio dell'efficacia obbligatoria e non reale del preavviso - Fondamento - Conseguenze - Esercizio del recesso con effetto immediato - Diritto all'indennità sostitutiva del preavviso - Sussistenza - Fattispecie relativa a doppio licenziamento. Alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 2118 cc, nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale - che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine - ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso. Nella specie la S.C., rilevato che il datore di lavoro aveva licenziato il lavoratore per giustificato motivo, individuandolo nell'abolizione della qualifica rivestita dal lavoratore, per poi convertirlo, due mesi dopo, in licenziamento per giusta causa, asserendo l'esistenza di gravi inadempimenti, ha dichiarato il secondo licenziamento privo di efficacia, in quanto intervenuto nell'ambito di un rapporto già estinto . Il preavviso di licenziamento non ha efficacia reale, bensì obbligatoria, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva. Ne consegue che tale indennità non rientra nella base di calcolo delle mensilità supplementari, delle ferie e del trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore dimissionario, non riferendosi ad un periodo lavorato dal dipendente Cassazione 21216/2009. Il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con esonero per il lavoratore dalla relativa prestazione, determina l'immediata risoluzione del rapporto di lavoro a tutti gli effetti giuridici, con la conseguenza che il periodo di preavviso non lavorato non può essere computato ai fini del raggiungimento del requisito dei due anni d'iscrizione nell'AGO contro la disoccupazione involontaria per la corresponsione dell'indennità ordinaria di disoccupazione Cassazione 13959/2009. Il preavviso di licenziamento non ha efficacia reale, bensì obbligatoria, con la conseguenza che, nell'ipotesi in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva. Ne consegue che, in caso di trasferimento di azienda, ove il cedente receda dal rapporto per giustificato motivo, l'effetto estintivo si produce immediatamente, senza che sia ipotizzabile il trasferimento del rapporto al cessionario Cassazione 15495/2008. SEZIONE LAVORO 27 OTTOBRE 2010, N. 21967 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTIFICATO MOTIVO - OBIETTIVO. Licenziamento per ragioni tecniche, organizzative e produttive - Limiti - Contemperamento con il rispetto della dignità umana - Necessità - Fondamento costituzionale. In tema di licenziamento, sebbene il giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive sia rimesso alla valutazione del datore di lavoro, come espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., esso deve essere pur sempre contemperato con il rispetto della dignità umana, trattandosi di diritto fondamentale della persona - richiamato dalla stessa norma costituzionale nonché dalla legislazione del lavoro anche in relazione al diritto alla conservazione del posto di lavoro - sul quale si fondano sia l'art. 18 St. lav. che l'art. 30 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, entrato in vigore dal 1 gennaio 2009. Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l'onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego Cassazione 6559/2010. Per il profilo inerente alla ripartizione dell'onere della prova si veda Cassazione 7381/2010 per la quale in materia di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo determinati da ragioni inerenti all'attività produttiva, il datore di lavoro ha l'onere di provare, con riferimento alla capacità professionale del lavoratore ed alla organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento, anche attraverso fatti positivi, tali da determinare presunzioni semplici come il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non vi siano state nuove assunzioni nella stessa qualifica del lavoratore licenziato , l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, giustificandosi il recesso solo come extrema ratio . In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore distaccato presso un terzo, invece Cassazione 5403/2010 ritiene che gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo devono essere verificati con riferimento all'ambito aziendale del datore di lavoro distaccante, sul quale ricade anche l'onere di provare, con riguardo all'organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento, l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore e mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, con la conseguenza che non è sufficiente ad integrare il giustificato motivo oggettivo di licenziamento la mera cessazione dell'interesse al distacco o la soppressione del posto presso il terzo distaccato.