RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 26 OTTOBRE 2010 N. 21919 LAVORO LAVORO SUBORDINATO ESTINZIONE DEL RAPPORTO LICENZIAMENTO INDIVIDUALE RISARCIMENTO DEL DANNO. Eccezione del datore di lavoro concernente il conseguimento da parte del lavoratore di altro reddito o la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno Carattere di eccezione in senso lato Configurabilità Relativi fatti allegati, incontroversi o provati Utilizzazione d'ufficio ai fini della quantificazione del danno Ammissibilità Aliunde perceptum Prova relativa Onere gravante sul datore di lavoro. In tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto del riconoscimento ad opera del giudice della nullità del termine apposto al contratto di lavoro, l'eccezione, con la quale il datore di lavoro deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno, non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte. Pertanto, allorquando vi è stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d'ufficio anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato. Ai fini della sottrazione dell' aliunde perceptum dalle retribuzioni dovute al lavoratore, è necessario che risulti la prova, il cui onere grava sul datore di lavoro, non solo del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova occupazione, ma anche di quanto percepito, essendo questo il fatto che riduce l'entità del danno presunto. In caso di illegittimo licenziamento del lavoratore, per Cassazione 10164/2010, il risarcimento del danno spettante a norma dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, commisurato all'importo delle retribuzioni che sarebbero maturate dalla data del licenziamento, non può essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti a titolo di indennità di mobilità, che si sottraggono alla regola della compensatio lucri cum danno , in quanto tali somme, percepite ad altro titolo dall'istituto previdenziale, con l'annullamento del licenziamento perdono il titolo giustificativo e devono essere restituite, a richiesta dell'ente previdenziale, con la conseguenza che non realizzano un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore. Per un caso di detrazione dell'aliunde percettum nell'ipotesi di Trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato di più contratti a termine illegittimi con corresponsione del risarcimento del danno si veda Cassazione 9464/2009. Il principio è affermato anche in tema di assunzioni obbligatorie da Cassazione 488/2009 per la quale il datore di lavoro, che rifiuti ingiustificatamente di assumere il lavoratore avviato ai sensi della legge n. 482 del 1968, è tenuto, per responsabilità contrattuale, a risarcire l'intero pregiudizio patrimoniale che il lavoratore ha conseguenzialmente subito durante tutto il periodo in cui si è protratta l'inadempienza del datore di lavoro medesimo. Tale pregiudizio può essere in concreto determinato, senza bisogno di una specifica prova del lavoratore, sulla base del complesso delle utilità salari e stipendi che il lavoratore avrebbe potuto conseguire, ove tempestivamente assunto, mentre spetta al datore di lavoro provare l' aliunde perceptum , oppure la negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione. Sulla tempestività dell'allegazione da parte del datore di lavoro si veda infine Cassazione 20500/2008 per la quale la relativa allegazione è ammissibile anche nel giudizio di rinvio purché avvenga nel primo atto difensivo utile dalla conoscenza dei fatti, dovendo il datore di lavoro fornire la prova del momento di acquisizione della notizia. SEZIONE LAVORO 26 OTTOBRE 2010 N. 21912 LAVORO LAVORO SUBORDINATO ESTINZIONE DEL RAPPORTO LICENZIAMENTO INDIVIDUALE DISCIPLINARE. Principio di immutabilità delle contestazioni Funzione Ambito di operatività Fattispecie. L'operatività del principio d'immutabilità della contestazione dell'addebito al lavoratore licenziato non preclude le modificazioni dei fatti contestati che non si configurino come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave di quella contestata ma che, riguardando circostanze prive di valore identificativo della stessa fattispecie, non precludano la difesa del lavoratore sulla base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati a seguito della contestazione dell'addebito. Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso del lavoratore licenziato, ha ritenuto corrette le valutazioni della Corte territoriale in relazione all'avvenuta osservanza del principio di immutabilità da parte del datore di lavoro che aveva contestato al ricorrente atteggiamenti di insofferenza e di sfida nei confronti dei superiori e dei colleghi oltre che lentezza e negligenza nel lavoro adempiuto al di sotto di ogni standard quantitativo accettabile . Poiché il principio di immutabilità della contestazione dell'addebito al lavoratore assolve la funzione di garanzia del diritto di difesa di quest'ultimo, per Cassazione 9167/2003 non risultano precluse dalla operatività di tale principio le modificazioni dei fatti contestati che non si configuri come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave di quella contestata, ma che, riguardando circostanze prive di valore identificativo della stessa fattispecie, non precludano la difesa del lavoratore sulla base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati, a seguito della contestazione dell'addebito. Secondo Cassazione 21795/2009 il principio dell'immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'articolo 7 dello statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e collocantisi a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell'imprenditore. Infine per Cassazione 22752/2004 con riferimento al principio della immutabilità della contestazione, il passaggio nella specie operato dal datore di lavoro nel giudizio di appello da una contestazione per essere stato il dipendente autore di un fatto a quella di omesso controllo ovvero insufficiente indagine per accertare chi fosse stato l'autore del fatto costituisce ampliamento della contestazione stessa non consentito, perché argomentare il contrario significherebbe ammettere la legittimità di contestazioni in progress o di contestazioni allusive , rimettendo al giudice un compito che, lungi dal costituire esercizio istituzionale dei poteri di interpretazione della volontà negoziale, si tradurrebbe in una inammissibile integrazione, o correzione, della medesima. SEZIONE LAVORO 15 OTTOBRE 2010 N. 21278 LAVORO LAVORO SUBORDINATO TRASFERIMENTO D'AZIENDA IN GENERE. Art. 2112 cod. civ. Ambito di applicazione Trasferimento d'azienda avvenuto in forza di provvedimento autoritativo Applicabilità Presupposti Sussistenza di cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese Sufficienza Mutamento realizzato in mancanza di vincoli contrattuali diretti tra cedente e cessionario Irrilevanza Interpretazione adeguatrice del diritto nazionale al diritto comunitario Fattispecie. L'articolo 2112, cod. civ., nel testo modificato dall'articolo 47, legge 29 dicembre 1990, n. 428, che ha recepito la direttiva comunitaria 77/187/CE successivamente modificato dall'articolo 1, d.lgs.2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione del canone dell'interpretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario ed in considerazione dell'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee con le sentenze 20 novembre 2003, C 340-01, 25 gennaio 2001, C-172/99, 26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000, C-343/98, deve ritenersi applicabile anche nei casi in cui il trasferimento dell'azienda non derivi dall'esistenza di un contratto tra cedente e cessionario ma sia riconducibile ad un atto autoritativo della P.A., con conseguente diritto dei dipendenti dell'impresa cedente alla continuazione del rapporto di lavoro subordinato con l'impresa subentrante, purché si accerti l'esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva ritenuto applicabile l'articolo 2112 cod. civ. ai dipendenti di una società concessionaria di trasporto i quali, fallita la società datrice di lavoro, avevano costituito una cooperativa avente ad oggetto lo svolgimento del medesimo servizio ed erano poi passati sostanzialmente senza soluzione di continuità, dopo essere stati messi in mobilità dalle cooperative alle dipendenze di una nuova società, continuando a svolgere le stesse mansioni, tanto da maturare il diritto, loro riconosciuto dalla Corte territoriale, all'inquadramento nel 5° livello del CCNL a seguito del compimento di sedici anni di guida effettiva . Principio assolutamente conforme è affermato anche da Cassazione 25235/2009. Di contrario avviso risulta Cassazione 80/2006, secondo la quale, in caso di trasferimento di attività e servizi attuato da un ente facente parte integrante della pubblica amministrazione, quale che sia il mezzo tecnico giuridico utilizzato ancorché risultante da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà, pur dovendosi configurare un trasferimento d'azienda alla stregua della direttiva comunitaria n. 187/77 secondo l'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia europea con la sentenza 14 settembre 2000 C-343/98 -, tuttavia va escluso il diritto dei lavoratori alla conservazione dell'anzianità di servizio maturata nella precedente gestione, posto che in base a quanto affermato dalla stessa Corte di giustizia la predetta direttiva intende tutelare la continuità del rapporto di lavoro solo nei confronti dei soggetti che siano già inizialmente titolari di un rapporto della stessa natura di quello che viene a costituirsi con l'impresa acquirente e soggetti, all'atto del trasferimento, allo statuto di diritto comune del lavoro e non ad uno statuto di diritto pubblico. In altra fattispecie Cassazione 22067/2007 ha ritenuto che ove, nell'ambito della requisizione d'azienda o di una parte di essa, un dipendente dell'azienda requisita prosegua ininterrottamente lo svolgimento della propria prestazione con l'imprenditore che gestisce l'azienda requisita e poi, senza soluzione di continuità, nuovamente con l'originario datore cui sia stato ritrasferito , è da configurare, in applicazione dell'articolo 2112, primo comma, cod. civ. , un unitario ininterrotto rapporto lavorativo. Nell'ambito di siffatto unitario rapporto, deve ritenersi, da un lato, che la responsabilità solidale, ai sensi dell'articolo 2112 cod. civ., del gestore dell'azienda requisita ha per oggetto i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento nonché gli eventuali crediti maturati nel periodo della gestione e l'accantonamento del T.F.R., sicché, al momento del ritrasferimento del lavoratore all'originario datore, un obbligo del predetto gestore al pagamento del T.F.R. maturato nel periodo della sua gestione non è ipotizzabile dall'altro, che, ove a seguito di ritrasferimento del lavoratore all'originario datore il rapporto naturalmente prosegua, siffatto ritrasferimento , non determinando cessazione del rapporto di lavoro, non integra un licenziamento ed il diritto ad un'indennità per recesso ad nutum non è ipotizzabile. SEZIONE LAVORO 15 OTTOBRE 2010 N. 21274 LAVORO LAVORO SUBORDINATO RETRIBUZIONE DETERMINAZIONE MINIMI SALARIALI. Giusta retribuzione ai sensi dell'articolo 36 Cost. Minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva Riferimento Necessità Non iscrizione del datore di lavoro ad un'associazione sindacale stipulante Irrilevanza. La giusta retribuzione spettante al lavoratore, ai sensi dell'articolo 36 Cost., deve essere individuata nei minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, i quali devono applicarsi necessariamente, indipendentemente dall'iscrizione o meno del datore di lavoro ad un'associazione sindacale stipulante, ed anche nel caso si tratti di imprese di non rilevanti dimensioni, ove non sussista una separata contrattazione collettiva. In tema di diritto all'equa retribuzione per i lavoratori subordinati, secondo Cassazione 7528/2010, il giudice di merito, nel determinare il compenso o la retribuzione base spettante al lavoratore subordinato, può, in mancanza di una specifica contrattazione di categoria, utilizzare alla stregua dell'articolo 36 Cost. la disciplina collettiva di un settore diverso da quello in cui di fatto ha operato il datore di lavoro a semplici fini parametrici o di raffronto per la determinazione della sola retribuzione base spettante al lavoratore subordinato senza riguardo agli altri istituti contrattuali . Tale determinazione può essere impugnata dal lavoratore in cassazione, ex articolo 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., in caso di disapplicazione del criterio giuridico della sufficienza della retribuzione volto a garantire la soddisfazione dei bisogni di una esistenza libera e dignitosa nonché di quello della proporzionalità volto a correlare la stessa retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, rimanendo di contro l'apprezzamento in concreto dell'adeguatezza della retribuzione riservato al giudice di merito. Analogamente Cassazione 15148/2008 ritiene che il giudice del merito, il quale assuma come criterio orientativo un contratto collettivo non vincolante per le parti, non può fare riferimento a tutti gli elementi e gli istituti retributivi che concorrono a formare il complessivo trattamento economico, ma deve prendere in considerazione solo quelli che costituiscono il cosiddetto minimo costituzionale, con esclusione degli istituti retributivi legati all'autonomia contrattuale, come la quattordicesima mensilità, la cui eventuale considerazione nel caso concreto da parte del giudice di merito richiede una specifica e adeguata motivazione. In applicazione del principio in ambito di lavoro giornalistico Cassazione 6983/2004 ha affermato ai fini della determinazione dell'equa retribuzione spettante al giornalista in esecuzione del contratto di lavoro subordinato, risulta illogica e incoerente la sentenza di merito che operi la riduzione a metà del compenso contrattuale, in considerazione del carattere ridotto della prestazione, a causa dell'espletamento di altre attività e del notevole grado di autonomia goduto dal lavoratore, atteso che la non quotidianità della prestazione e l'autonomia del suo svolgimento costituiscono carattere peculiare del rapporto di lavoro giornalistico, di cui si tiene conto in sede di contrattazione collettiva nel determinare la misura delle retribuzioni. SEZIONE LAVORO 12 OTTOBRE 2010 N. 20989 LAVORO LAVORO SUBORDINATO ORARIO DI LAVORO IN GENERE. Contratto di lavoro a tempo parziale Art. 5 d.l. n. 726 del 1984. L'articolo 5 d.l. n. 726 del 1984, convertito nella legge n. 863 del 1984, deve essere interpretato nel senso che il requisito della pattuizione per iscritto dell'orario di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale è soddisfatto allorché, anche mediante rinvio alle tipologie contrattuali previste in sede collettiva, risulti precisata la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e la distribuzione di tale riduzione per ciascun giorno cosiddetto part-time orizzontale ovvero con riferimento alle giornate di lavoro comprese in una settimana, in un mese o in un anno cosiddetto part-time verticale . Ne consegue che è perfettamente valido un contratto di lavoro a tempo parziale che non specifichi l'orario di inizio e di cessazione della prestazione lavorativa nei giorni in cui deve essere resa. Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 6903/2000. In tema di lavoro a tempo parziale, secondo Cassazione 6226/2009, la mancata predeterminazione di un orario rigido non comporta l'automatica trasformazione del rapporto part-time in rapporto a tempo pieno, né la nullità della clausola relativa all'orario si estende all'intero contratto, a meno che non si provi che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità ne consegue che, in tale ipotesi, deve ritenersi perdurante il rapporto di lavoro part-time, sia pure senza specificazione dell'orario rigido. Sui riflessi di tipo previdenziale della riduzione dell'orario di lavoro si veda Cassazione 1589/2004 per la quale al contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale prevista dall'articolo 5, quinto comma, D.L. n. 726 del 1984, convertito in legge n. 863 del 1984 introdotta per i contratti di lavoro part time , al fine di favorire i livelli occupazionali, e per effetto della quale si rapporta la contribuzione ai livelli retributivi per la prestazione di lavoro a tempo parziale, inferiori ai minimi di categoria previsti per le prestazioni a tempo pieno, applicabile solo in presenza di tutti i presupposti previsti dai precedenti commi dello stesso articolo, e condizionato dalla osservanza dei prescritti requisiti formali deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione, prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi, e così anche la più recente disciplina di cui all'articolo 1 D.L. n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989, in tema di limite minimo di retribuzione imponibile, atteso che la contribuzione previdenziale deve essere calcolata in rapporto al minimale retributivo giornaliero stabilito dalla legge, e non già alla retribuzione effettivamente corrisposta in relazione alla quantità della prestazione. Ciò in quanto risulterebbe privo di razionalità un sistema che imponga a soggetti rispettosi della legge la osservanza del principio minimale, con l'applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, ed esenti invece da detti vincoli colui che si sottragga alle prescrizioni di legge nella stipulazione del contratto di lavoro part time , assicurandogli un trattamento di fatto privilegiato. In siffatte ipotesi di esecuzione di contratto di lavoro a tempo parziale nullo per difetto di forma, il ruolo dell'articolo 2126 cod. civ. diventa residuale, limitandosi al solo profilo retributivo del rapporto, e rimanendo il rapporto contributivo assoggettato al regime ordinario e generale dei minimali giornalieri di retribuzione imponibile.