RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 15 LUGLIO 2010, N. 16587 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI - INDENNITÀ E RENDITA - REVISIONE DELLE RENDITE. Revisione per errore - Procedimento ex art. 55, comma 5, della legge 88/1989, applicabile ratione temporis - Scelte difensive dell'ente previdenziale - Allegazione di un errore iniziale sulla diagnosi ovvero sulla verifica di miglioramenti successivi delle condizioni dell'assicurato - Influenza ai fini dell'accertamento giudiziale - Esclusione - Fondamento. In tema di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali e con riferimento alla revisione per errore delle rendite, la possibilità per l'ente previdenziale di articolare le proprie deduzioni in sede giudiziale ai sensi dell'art. 55, comma 5, della legge 88/1989 che consente la rettifica dell'errore in ogni tempo ed è applicabile ratione temporis per effetto della sentenza 191/2005 della Corte costituzionale, che ha escluso l'applicazione retroattiva del termine decadenziale introdotto con l'art. 9, commi, 5, 6 e 7 del D.Lgs. 38/2000 allegando un errore iniziale sulla diagnosi posta a fondamento del provvedimento di attribuzione della rendita ovvero, in alternativa, sulla verifica di miglioramenti successivi dell'attitudine al lavoro, non limita l'accertamento giudiziale il cui oggetto è incentrato sull'esistenza del diritto al trattamento previdenziale, con onere della prova a carico del beneficiario, atteso che l'ordinamento consente l'attribuzione dei soli trattamenti effettivamente dovuti per legge, dovendosi riconoscere agli atti dell'Istituto di previdenza una valenza meramente ricognitiva. In argomento si veda Cassazione 3486/2007 per la quale, con riferimento alla revisione per errore delle rendite, stante la dichiarazione di illegittimità - pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza 191/2005 - dell'art. 9, quinto, sesto e settimo comma, del D.Lgs. 38/2000 - che consentiva di impugnare i provvedimenti di rettifica, emanabili senza limiti di tempo, adottati nel vigore dell'art. 55, quinto comma, della legge 88/1989, al fine di far valere retroattivamente la violazione del termine decadenziale decennale introdotto dalla nuova disciplina contenuta nello stesso art. 9 - non è più possibile l'applicazione retroattiva del termine decadenziale, con la conseguenza che ai provvedimenti di rettifica adottati prima della entrata in vigore delle disposizioni suddette continua a trovare applicazione la disciplina dell'articolo 55, cit., sebbene abrogato espressamente, con effetto ex nunc, dal comma 4 dello stesso articolo 9 del D.Lgs. 38/2000, ancora in vigore alla data della loro adozione. Per Cassazione 6166/1999 poiché il diritto alla prestazione previdenziale nasce dalla legge, quando si realizzano le condizioni previste, gli atti dell'istituto assicuratore che riconoscono e soddisfano tale diritto hanno natura di meri atti di certazione, ricognizione e adempimento - e non di concessione della prestazione - rispetto ai quali, pertanto, non è configurabile un potere di autotutela decisoria che si estrinsechi in annullamento o revoca di essi. Tanto più che, essendo l'istituto assicuratore un soggetto pubblico e trattandosi di materia indisponibile, la volontà dello stesso di obbligarsi non può desumersi per implicito da fatti o atti più o meno indicativi di una aspirazione o inclinazione intenzionale, ma deve essere manifestata nelle forme richieste dalla legge. Ne consegue che all'art. 55 della legge 88/1989, nella parte in cui contempla la possibilità di porre riparo in qualunque momento agli errori di qualsiasi natura commessi nell'erogazione delle prestazioni, deve essere attribuita una portata meramente ricognitiva di dati normativi già presenti nell'ordinamento. A tale norma, quindi, l'INAIL può fare ricorso nell'ipotesi in cui dopo aver riconosciuto il diritto alla rendita si renda conto, prima della liquidazione della prestazione, di un errore di valutazione e quindi non provveda ad erogarla. Sul limite decennale al potere di rettifica si veda Cassazione 11031/2007 per la quale il relativo fondamento risiede nell'esigenza di tutela delle aspettative del titolare di rendita protratta nel tempo, riconosciuta costituzionalmente legittima Corte cost. 191/2005 , prevalente, con il decorso di un decennio, anche sull'esigenza di rimuovere un diritto erroneamente riconosciuto l'istituto della decadenza non tollera, tuttavia, applicazioni retroattive sicché la disciplina originaria dell'art. 9, quinto, sesto e settimo comma, del D.Lgs. 38/2000, retroattiva in senso tecnico - in quanto consentiva all'interessato di chiedere il riesame della rettifica da parte dell'INAIL e l'applicazione delle medesime condizioni di legittimità della rettifica ai rapporti prescritti, definiti con sentenza passata in giudicato, o ancora sub iudice , anche a ritroso rispetto al termine di decadenza decennale derivante dall'applicazione immediata - è stata dichiarata costituzionalmente illegittima Corte cost. 191 cit. , con conseguente legittimità dei provvedimenti di rettifica adottati nel vigore dell'art. 55, quinto comma, della legge 88/1989, dichiarato indirettamente legittimo dal Giudice delle leggi, e inapplicabilità della disciplina del citato art. 9. SEZIONE LAVORO 16 LUGLIO 2010, N. 16700 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - IN GENERE. Personale degli enti locali - Inquadramento dei lavoratori addetti a compiti di coordinamento e controllo di altri operatori nella categoria D - Applicabilità dell'art. 29, lett. B del c.c.n.l. del 14 settembre 2000 - Condizioni - Decorrenza. In materia di inquadramento del personale degli enti locali, l'art. 29 lett. B del c.c.n.l. del 14 settembre 2000, nel prevedere l'inquadramento dei lavoratori addetti a compiti di coordinamento e controllo di operatori di pari o inferiore qualifica, già collocati a seguito di precedenti procedure concorsuali nella ex sesta qualifica funzionale, nella categoria D, non contiene alcuna limitazione temporale al proprio ambito di operatività. Ne consegue che, ai fini della promozione del personale preposto a mansioni di coordinamento e controllo, non è necessario che, alla data del 1 aprile 1999, fossero già state conferite le suddette mansioni - come previsto dall'art. 2 del precedente c.c.n.l. del 1 aprile 1999, che richiedeva lo svolgimento dei compiti alla data della sua entrata in vigore - ma è sufficiente che le stesse fossero svolte prima della data di entrata in vigore del nuovo contratto collettivo del 14 settembre 2000, atteso che, salvo diversa volontà delle parti, le disposizioni collettive trovano applicazione solo per il futuro. In tema di pubblico impiego privatizzato, Cassazione 15210/2010 afferma che la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata demandata, dalla legge, alla contrattazione collettiva, che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità in materia di mansioni. Ne consegue la legittimità del sistema di classificazione del personale dettato dall'art. 29 del c.c.n.l. regioni e autonomie locali del 14 settembre 2000, che prevede l'inquadramento nell'area D dei dipendenti già inquadrati nell'ex VI livello, presupponendo, in conformità ai principi costituzionali di cui all'art. 97 Cost., che il pregresso collocamento in detta qualifica fosse avvenuto a seguito di procedura concorsuale e prevedendo l'adozione di verifiche e procedure selettive per la realizzazione da parte della P.A. del passaggio alla categoria D, posizione economica D1. Tale principio è sancito da Sezioni Unite 16038/2010 le quali inoltre specificano che, proprio in forza di tale delega alla contrattazione collettiva ed al rapporto di tali norme con quelle inderogabili in materia di mansioni, ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui all'art. 45 del D.Lgs. 165/2001 non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo. In punto di inquadramento del personale si veda anche Cassazione 10628/2006 secondo cui la violazione, da parte delle Amministrazioni datrici di lavoro, dell'obbligo di adibire il prestatore di lavoro alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti art. 52, comma primo, D.Lgs. 165/2001 , va accertata, in concreto, con riferimento alle modificazioni dei contenuti professionali delle attribuzioni della qualifica, non essendo sufficiente il riscontro dell'alterazione dei precedenti assetti organizzativi, ancorché non conformi a legge. SEZIONE LAVORO 5 AGOSTO 2010, N. 18258 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - IN GENERE. Art. 420 bis Cpc - Decisione del giudice di primo grado sulla questione di accertamento pregiudiziale - Ricorribilità immediata per cassazione - Condizioni - Mancata decisione anche nel merito - Necessità - Conseguenze. L'art. 420 bis Cpc, nel consentire l'immediata ricorribilità per cassazione avverso le sentenze che decidano su una questione di accertamento pregiudiziale in ordine alla validità, efficacia o interpretazione dei contratti collettivi, postula rigorosamente che la decisione del giudice di merito non abbia affrontato o risolto le questioni concernenti la sussistenza dei diritti azionati. Qualora queste ultime siano state, invece, affrontate, avverso la sentenza va proposto appello ed il ricorso per cassazione che la riguarda deve essere dichiarato inammissibile. Tra i precedenti in argomento si veda Cassazione 24654/2008 per la quale nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all'art. 420 bis Cpc, la Corte di legittimità, pur adottando i canoni di ermeneutica negoziale indicati dal codice civile, si muove secondo una metodica peculiare in ragione della portata che assume la sua decisione, destinata a provocare una pronuncia che tende a fare stato in una pluralità di controversie cosiddette seriali , non essendo, quindi, vincolata dall'opzione ermeneutica adottata dal giudice di merito, pur se congruamente e logicamente motivata, giacché può autonomamente pervenire, anche tramite la libera ricerca all'interno del contratto collettivo di qualunque clausola ritenuta utile all'interpretazione, ad una diversa decisione sia per quanto attiene alla validità ed efficacia di detto contratto, sia in relazione ad una diversa valutazione del suo contenuto normativo e ciò in quanto la funzione nomofilattica che essa esercita presuppone la certezza e la stabilità delle statuizioni, per cui non è possibile avere sulla medesima disposizione contrattuale interpretazioni contrastanti. Ne consegue che la parte ha l'onere, ai sensi dell'art. 369, comma secondo, n. 4, Cpc, di depositare tempestivamente, a pena di improcedibilità del ricorso, il testo integrale del contratto collettivo al quale la domanda si riferisce. Per Cassazione 21023/2008 l'esegesi eseguita dalla Corte di Cassazione all'esito di tale procedimento, in sede di interpretazione diretta del contratto collettivo, non solo produce gli effetti previsti dalla norma in ordine al giudizio estinto, ma non può non assumere rilievo anche in controversie sottratte all'applicazione della disciplina del richiamato procedimento, poiché il rafforzamento della funzione nomofilattica, cui è volto l'indicato procedimento, anche in relazione a fonti negoziali come i contratti collettivi nazionali, riferibili ad una serie indefinita di destinatari persegue il fine di assicurare ai potenziali interessati quella reale parità di trattamento che si fonda sulla certezza e stabilità delle statuizioni giurisprudenziali, secondo un regime incompatibile con la possibilità che possano darsi di un'identica disposizione contrattuale interpretazioni corrette ed al tempo stesso fra loro contrastanti.