Non è nulla l’ordinanza comunicata via PEC e priva della firma digitale del cancelliere

Le copie informatiche del fascicolo digitale equivalgono all’originale anche se prive di firma del cancelliere. Tale disposizione è applicabile a tutti gli atti digitalizzati, riferendosi all’intero contenuto del fascicolo informatico.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 93/20, depositata il 7 gennaio. La vicenda. La Corte d’Appello dichiarava inammissibile il gravame proposto da un cittadino nigeriano avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale con cui era stata rigettata la domanda sul riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e umanitaria. Per la Corte territoriale, dopo aver rilevato che l’ordinanza impugnata era stata depositata e comunicata il 27 ottobre 2015 e che la comunicazione del testo integrale del provvedimento era avvenuta il 28 ottobre 2015, dichiarava inammissibile per tardività l’appello proposto con citazione oltre il termine perentorio di 30 giorni. Avverso tale provvedimento il ricorrente propone ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Interno, denunciando vizio di nullità dell’ordinanza emessa dal Tribunale e comunicata a mezzo PEC poiché priva della firma digitale del cancelliere a suo avviso, dunque, l’appello poteva essere proposto, vista tale nullità, entro il termine di 6 mesi ai sensi dell’art. 327 c.p.c Mancata firma digitale del cancelliere. Per la Suprema Corte il ragionamento del ricorrente è infondato, in virtù del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai sensi dell’art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, nel testo ratione temporis ” vigente, le copie informatiche del fascicolo digitale equivalgono all’originale anche se prive di firma del cancelliere. Tale disposizione è applicabile a tutti gli atti digitalizzati, riferendosi all’intero contenuto del fascicolo informatico. E ciò vale anche nel caso di specie, poiché non è affetta da nullità l’ordinanza emessa dal Tribunale, comunicata a mezzo PEC, priva della firma digitale del cancelliere. Il ricorso viene quindi rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 28 maggio 2019 – 7 gennaio 2020, n. 93 Presidente De Chiara – Relatore Parise Fatti di causa 1.Con sentenza n. 288/2017 depositata il 5-6-2017, la Corte d’appello di Potenza ha dichiarato inammissibile l’appello di D.H. , cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Potenza con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente, nel riferire la propria vicenda personale, aveva dichiarato di essere fuggito dal Paese di origine dopo la morte, avvenuta durante il parto del loro primogenito, della sua fidanzata, figlia di un potente uomo politico che voleva convertirlo alla religione islamica. La Corte territoriale, rilevato che, per affermazione dello stesso appellante, l’ordinanza impugnata era stata depositata e comunicata il 27-10-2015 e che la comunicazione del testo integrale del provvedimento era avvenuta in data 28-10-2015 alle ore 11,37, come da attestazione contenuta nel fascicolo di primo grado, ha dichiarato inammissibile per tardività l’appello, proposto con citazione notificata il 9/12/2016 e depositata in cancelleria il 16-2-2016, ossia oltre il termine perentorio di trenta giorni, previsto dal combinato disposto dell’art. 702 quater c.p.c. e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza. 2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. Il ricorrente lamenta Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 702 ter c.p.c., art. 702 quater c.p.c., art. 327 c.p.c., art. 133 c.p.c. così come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45 convertito con modificazioni nella L. n. 114 del 2014 . Denuncia il vizio di nullità dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Potenza, comunicata a mezzo pec il 28-10-2015, in quanto priva della firma digitale del cancelliere. Ad avviso del ricorrente, dal difetto di detta firma deriva la nullità dell’ordinanza e la proponibilità dell’appello entro il termine di sei mesi ai sensi dell’art. 327 c.p.c Il ricorrente adduce altresì che ai sensi dell’art. 133 c.p.c. così come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45 convertito con modificazioni nella L. n. 114 del 2014, la comunicazione da parte del cancelliere del testo integrale del provvedimento non è idonea a far decorrere il termine di impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c Sottolinea che si tratta di norma di carattere generale, applicabile a qualsiasi provvedimento di natura decisoria, sia esso sentenza oppure ordinanza, e che si applica anche alle comunicazioni a mezzo pec. 2. Il motivo è infondato. 2.1.La giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con un orientamento a cui il Collegio intende dare continuità, che Ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis, conv. in L. n. 221 del 2012, nel testo ratione temporis vigente, le copie informatiche del fascicolo digitale equivalgono all’originale, anche se prive della firma del cancelliere, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis, conv. in L. n. 221 del 2012, nel testo ratione temporis vigente, disposizione applicabile a tutti gli atti digitalizzati, come si desume dal tenore letterale della norma, riferito all’intero contenuto del fascicolo informatico Cass. n. 26479/2017 . Non ricorrono pertanto nel caso di specie, a cui si applica la disciplina sopra indicata l’ordinanza appellata è stata comunicata il 28-102015 , le violazioni di legge denunciate, in base ai principi appena esposti. Poiché non è affetta da nullità, in quanto priva della firma digitale del cancelliere, l’ordinanza emessa dal Tribunale di Potenza, comunicata a mezzo pec, restano superate le consequenziali argomentazioni svolte dal ricorrente sull’inidoneità di detta comunicazione a far decorrere il termine di trenta giorni per la proposizione dell’appello. 3. Nulla si dispone per le spese del presente giudizio, essendo rimasto intimato il Ministero. 4. Poiché il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.