La notifica telematica deve essere effettuata presso l’indirizzo PEC del difensore

Nell’attuale contesto normativo, l’unico indirizzo PEC rilevante ai fini processuali è quello indicato dal difensore al proprio Consiglio dell’ordine, non dovendo egli procedere ad indicare negli atti di parte l’indirizzo stesso.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20915/18, depositata il 22 agosto. Il caso. Il provvedimento in oggetto origina dalla richiesta del titolare di un’impresa di autoriparazione diretta ad ottenere il pagamento, da parte del convenuto, di una somma di denaro per soccorso stradale ed opere di riparazione dell’auto. Il Giudice di Pace accoglieva solo in parte la domanda attorea. Nel successivo giudizio di appello, l’appellato, seppur ritualmente citato, non si era costituito ed era stato dichiarato contumace. Impugna dunque la sentenza del Tribunale con ricorso in Cassazione dolendosi della nullità del provvedimento per violazione del contraddittorio in conseguenza della nullità della notificazione della citazione introduttiva dell’appello, nonché della violazione delle disposizioni in tema di notificazioni presso il domicilio digitale, da lui espressamente indicato nella comparsa di costituzione in primo grado con specificazione dell’indirizzo PEC del difensore. Notifica telematica. Il Collegio ricostruisce il quadro normativo sul tema richiamando in primo luogo l’art. 125 c.p.c., modificato dal d.l. n. 90/2014, convertito in l. n. 114/2014 che ha soppresso l’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo PEC del difensore. Il medesimo intervento legislativo ha inoltre aggiunto al d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012, l’art. 16- sexies intitolato Domicilio digitale”. Tale disposizione prevede che Salvo quanto previsto dall'art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'art. 6- bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia . La norma da ultimo citata prevede l’istituzione presso il Ministero per lo sviluppo economico di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti, c.d. INI-PEC. In conclusione, nell’attuale contesto normativo, l’unico indirizzo PEC rilevante ai fini processuali è quello indicato dal difensore al proprio Consiglio dell’ordine, non dovendo egli procedere ad indicare negli atti di parte l’indirizzo stesso. Non è ugualmente consentito all’avvocato indicare un diverso indirizzo né restringere l’operatività di quello registrato alle sole comunicazioni di cancelleria. È invece richiesta l’indicazione del codice fiscale, quale criterio di univoca individuazione dell’utente SICID che consente di risalire, tramite il registro INI-PEC, all’indirizzo di posta elettronica certificata. Nel caso di specie risulta però applicabile ratione temporis l’art. 82 r.d. n. 37/1934 che richiede, agli avvocati che esercitino il proprio ufficio in un giudizio al di fuori della circoscrizione del tribunale a cui sono assegnati, l’elezione di domicilio, all’atto della costituzione n giudizio, dove ha sede l’autorità giudiziaria procedente, intendendosi, in mancanza, il domicilio eletto presso la cancelleria. La notificazione della citazione in appello è dunque stata correttamente effettuata presso la cancelleria del giudice adito, non avendo il difensore eletto domicilio nel luogo in cui ha sede l’ufficio giudiziario e posto che l’indicazione dell’indirizzo PEC era riferita alle sole comunicazioni di cancelleria. In conclusione, il ricorso viene dichiarato inammissibile essendo ormai passata in giudicato la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 23 maggio – 22 agosto 2018, numero 20915 Presidente Armano – Relatore Gianniti Rilevato che 1. Il Tribunale di Cuneo con sentenza numero 147/2014, in parziale riforma della sentenza numero 131/2012 del Giudice di Pace di Mondovì che aveva accolto la domanda attorea limitatamente alle spese dovute per il soccorso stradale, pari ad Euro 400 , ha condannato G.M.R. al pagamento in favore di M.F. della somma di Euro 1975,00 oltre agli interessi legali dalla data della messa in mora 24/8/2011 al saldo, oltre che al pagamento delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio. Nel 2011 il M., titolare dell’omonima impresa individuale di autoriparazioni, aveva convenuto in giudizio il G.M. chiedendo la condanna al pagamento in suo favore di somme dovute a vario titolo soccorso stradale, smontaggio del motoremano d’opera per la diagnosi relativa ai problemi dell’auto, custodia dell’automobile presso la propria officina dal 7/7/2011 al 13/7/2012 . Il G.M., nel costituirsi in giudizio, sia pure tardivamente, aveva contestato la domanda attorea e in particolare aveva invocato la garanzia dovuta da parte attrice in ragione di revisione svolta nel gennaio 2011. Il Giudice di Pace, esaurita l’istruttoria, aveva accolto la domanda attorea limitatamente alle spese dovute per il soccorso stradale. La sentenza del giudice di primo grado era stata impugnata dal M., che aveva chiesto l’integrale accoglimento delle domande proposte in primo grado con condanna dell’appellato al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio. Nel corso del giudizio di appello - secondo quanto si legge nella sentenza impugnata p. 2 - l’appellato era stato ritualmente citato, ma non si era costituito, di talché era stato dichiarato contumace. 2. Il G.M. ricorre avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Cuneo, quale giudice di appello, articolando un unico motivo. Resiste il M. con controricorso. Ritenuto che 1. Con un unico motivo G.M.R. denuncia, in relazione all’art. 360 primo comma numero 3, 4 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 170, 149 bis, 291, 330, 350 c.p.c., nonché dell’art. 125 c.p.c. come novellato dalla L. 183/2011 e dal d.l. 138/2011, nonché degli artt. 51 comma 3 del D.L. 112/2008 e dell’art. 16 comma 6 del D.L. 179/2012. Si duole nel contempo della nullità della sentenza impugnata per violazione del contraddittorio in conseguenza della nullità della notificazione della citazione introduttiva dell’atto di appello della violazione delle disposizioni del codice di rito che regolano le notificazioni degli atti a seguito della legittimazione del domicilio digitale e della mancata considerazione del fatto che era stato da lui indicato il domicilio digitale nella comparsa di costituzione in primo grado. Fa presente che lui, dopo la sentenza del Giudice di Pace, aveva convenuto in giudizio il M. davanti al Tribunale di Cuneo, chiedendo la condanna al pagamento dei danni subiti per effetto della indebita ritenzione del veicolo che era stata affermata dal giudice di pace . Sottolinea che soltanto in quel diverso giudizio, dalla comparsa di costituzione 9/7/2014 del M., aveva appreso che quest’ultimo aveva impugnato la sentenza del Giudice di pace e che questa era stata riformata in appello. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Cuneo, lui, quale appellato non era stato ritualmente citato ed detto Tribunale, non ordinando la rinnovazione della citazione, aveva violato l’art. 291 c.p.c Il Tribunale di Cuneo, secondo il ricorrente, sarebbe incorso nei vizi denunciati nella parte in cui con ordinanza 19/3/2013 ha dichiarato la sua contumacia, senza dar contezza della previa verifica circa la notifica della citazione che l’art. 291 c.p.c. impone di operare e, quindi, ha ritenuto rituale la sua citazione in appello, notificata presso la Cancelleria del Giudice di Pace, pur avendo lui indicato nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado il proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Osserva che, proprio per tale ragione, la notificazione avrebbe dovuto essere dichiarata irrituale nel domicilio ex lege, tanto più che il suo domicilio digitale era stato recepito nella stessa intestazione della sentenza appellata. In definitiva, secondo il ricorrente, l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore, a partire dal 01.02.2012, data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c., assolve all’onere di elezione di domicilio, con la conseguenza del venir meno della necessità per il procuratore di altra circoscrizione di eleggere domicilio fisico nel Comune ove ha sede il giudice adito . Le disposizioni che stabiliscono che le comunicazioni e le notificazioni si effettuano al procuratore della parte in via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante dagli elenchi di cui al Registro degli indirizzi elettronici gestito dal ministero della giustizia , in considerazione della ratio semplificatoria ed acceleratoria che le sorregge, sarebbero prevalenti rispetto alla disposizione di cui all’art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934 numero 37. 2. Il ricorso è inammissibile. 2.1. Appare utile in primo luogo ricostruire il quadro vigente. L’art. 125 cod. proc. civ., nella formulazione vigente, è stato rimaneggiato, ad opera dell’art. 45-bis, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, numero 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, numero 114 Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari . La modifica è consistita nella soppressione dell’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo PEC del difensore. Inoltre, il decreto-legge 24 giugno 2014, numero 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, numero 114, ha aggiunto al d.l. 18 ottobre 2012, numero 179 convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, numero 221 c.d. Agenda digitale , l’art. 16-sexies, intitolato Domicilio digitale . Detta disposizione prevede che, salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, numero 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia . Il menzionato art. 6-bis d.lgs. numero 82 del 2005 Codice dell’amministrazione digitale prevede l’istituzione, presso il Ministero per lo sviluppo economico, di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata INI-PEC delle imprese e dei professionisti. L’indirizzo di posta elettronica certificata è agganciato in maniera univoca al codice fiscale del titolare. In conclusione, oggi l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza. In tal modo, l’art. 125 cod. proc. civ. è stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale. Il difensore non ha più l’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo di posta elettronica certificata, né ha la facoltà di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell’ordine o di restringerne l’operatività alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale ciò vale come criterio di univoca individuazione dell’utente SICID e consente, tramite il registro pubblico UNI-PEC, di risalire all’indirizzo di posta elettronica certificata. 2.2. Diversa normativa e diversi principi operano nel caso di specie, nel quale l’atto introduttivo del giudizio di primo grado è stato notificato in data 21/10/2011, quando era applicabile la normativa di cui all’art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, numero 37. In base a detta norma, come è noto, gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita. Orbene, il G., nell’atto con il quale si era costituito nel giudizio di primo grado, aveva eletto domicilio in omissis , ragion per cui - ai sensi del citato art. 82 comma 2 r.d. numero 37/1934 - è stato correttamente considerato domiciliato ex lege presso la cancelleria. Vero che il G., nell’atto con il quale si era costituito nel giudizio di primo grado, oltre ad aver indicato domicilio in omissis , aveva anche indicato il proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Ed è altrettanto vero che le Sezioni unite di questa Corte già da alcuni anni hanno osservato che, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, numero 183, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell’art. 82 del r.d. numero 37 del 1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 cod. proc. civ. per gli atti di parte e dall’art. 366 cod. proc. civ. specificamente per il giudizio di cassazione , non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine Sez. U, Sentenza numero 10143 del 20/06/2012, Rv. 622883 . Senonché, occorre osservare che, da un lato, la sopra menzionata legge numero 183/2011 è entrata in vigore il 1 febbraio 2012, e, dunque, successivamente, all’introduzione del giudizio di primo grado avvenuta con atto di citazione notificato il 21/10/2011 e, d’altronde, la giurisprudenza di legittimità di questa Corte, successivamente alla menzionata sentenza delle Sezioni Unite, ha ridimensionato il rilievo della elezione in senso improprio del domicilio telematico. È stato affermato, infatti, che l’indicazione della PEC è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica nel caso in cui la PEC sia stata indicata senza ulteriori specificazioni, ma è stato escluso detto obbligo nel diverso caso, che ricorre per l’appunto nel caso di specie, nel quale l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria Sez. 3, Sentenza numero 17048 del 11/07/2017, Rv. 644961 - 01 Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 2133 del 03/02/2016, Rv. 638920, in motivazione Sez. 6 - 3, Sentenza numero 25215 del 27/11/2014, Rv. 633275 . In definitiva, il G. si lamenta di essere stato erroneamente dichiarato contumace vuol fare valere la sua impugnazione tardiva deduce, a sostegno del suo assunto, che nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, aveva indicato il proprio indirizzo telematico, per cui, pur avendo eletto domicilio in Torino, l’atto di citazione in appello gli era stato erroneamente notificato in Cancelleria. Senonché dall’esame della suddetta comparsa di costituzione - al quale il Collegio procede in considerazione della natura processuale della doglianza - si rileva che il G., da un lato, aveva eletto domicilio presso lo studio legale di un avvocato esercente fuori distretto e, dall’altro, aveva indicato l’indirizzo telematico soltanto per le comunicazioni di Cancelleria. Tale limitazione, eseguita prima dell’entrata in vigore della legge numero 183/2011, era possibile ed efficace, come questa Corte ha avuto modo di precisare nelle richiamate sentenze. Ne consegue che a la citazione in appello è stata correttamente notificata presso la Cancelleria del Giudice di Pace ad avvocato esercente fuori circoscrizione che non aveva eletto domicilio nel luogo sede dell’ufficio giudiziario adito b il Tribunale, quale giudice di appello, ha correttamente dichiarato contumace il G.M.R. c la sentenza del giudice di appello, risultando in atti notificata il 10 giugno 2014, è nelle more passata in giudicato. Pertanto, il ricorso introduttivo del presente giudizio legittimità, notificato nel febbraio 2015, deve essere dichiarato inammissibile perché tardivo. 3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente, in favore della controparte al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 2500, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’art. 1 comma 17 della L. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.