Gli Ermellini ribadiscono l’improcedibilità del ricorso privo dell’attestazione di conformità

Nell’esaminare un ricorso avverso una pronuncia in tema di scioglimento della comunione ereditaria, la Suprema Corte ha l’occasione di tornare sul principio, ormai consolidato, secondo cui è improcedibile il ricorso di legittimità laddove non sia corredato dall’attestazione di conformità della copia analogica della sentenza impugnata all’originale notificata via PEC.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15139/18, depositata l’11 giugno, decidendo sull’impugnazione di una sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che si era pronunciata su un caso di scioglimento di una comunione ereditaria. Improcedibilità del ricorso. Il ricorso di legittimità si rivela improcedibile per violazione dell’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. per il mancato deposito della copia autentica della sentenza impugnata, notificata al ricorrente a mezzo PEC, e della relazione di notificazione. Parte ricorrente a infatti depositato la sola copia della sentenza di appello con attestazione di conformità della cancelleria, né risulta che la copia autentica sia stata versata in atti dal controricorrente, circostanza che avrebbe impedito la dichiarazione di improcebilità Cass. SS.UU. n. 10648/17 . Gli Ermellini richiamano dunque il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, laddove la sentenza impugnata sia stata notificata con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente deve estrarre copia cartacee del messaggio PEC pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente, attestando con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate depositandole nei termini presso la cancelleria di Piazza Cavour. In conclusione, la Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controparte.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 maggio – 11 giugno 2018, n. 15139 Presidente Lombardo – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione Il Tribunale di Nuoro rigettava la domanda con la quale M.S. aveva esercitato il diritto di cui all’art. 732 c.c. nei confronti di G.G., per la vendita della quota indivisa della proprietà di un mezzo del terreno in località del Comune di , e ciò sul presupposto che al momento della pronuncia era venuto meno lo stato di comunione ereditaria, che invece doveva permanere fino alla data della sentenza di accoglimento del retratto successorio. A seguito di appello del M., la Corte d’Appello di Cagliari - sezione distaccata di Sassari, con la sentenza n. 173 del 15 aprile 2016, riformava la decisione di prime cure, in quanto, sebbene fosse effettivamente intervenuto lo scioglimento della comunione, per effetto del verbale di conciliazione giudiziale del 10/5/2011, la domanda era stata avanzata in pendenza dello stato di indivisione dei beni relitti, dovendosi altresì reputare che l’efficacia retroattiva della divisione sia una mera fictio iuris, che però non può cancellare il periodo durante il quale i beni sono rimasti in comunione. Poiché dal verbale di conciliazione era stata esclusa la vicenda concernente la domanda di retratto, e dovendosi ritenere ormai irrilevante indagare se l’atto di alienazione fosse effettivamente tale ovvero se avesse efficacia meramente obbligatoria, essendo nelle more stato trascritto un atto di ratifica che sicuramente aveva prodotto l’effetto del trasferimento della proprietà, sussistendo tutti i requisiti posti dalla norma per l’accoglimento della domanda, dichiarava il diritto dell’attore a subentrare quale parte acquirente nell’atto con cui il G. aveva acquistato i diritti dagli altri coeredi. G.G. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di cinque motivi. M.S. ha resistito con controricorso. Ritiene il Collegio che il ricorso sia improcedibile per la violazione dell’art. 369 co. 2 n. 2 c.p.c., in quanto, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata le è stata notificata a mezzo PEC in data 7/6/2016, non risulta però depositata copia autentica con la relazione di notificazione né risulta che tale copia autentica sia stata versata in atti dal controricorrente, atteso che secondo quanto di recente affermato da Cass. S.U. n. 10648/2017, l’improcedibilità non potrebbe essere dichiarata se la copia autentica della sentenza con relata di notifica, sia stata prodotta dalla controparte , avendo la parte solo depositato copia della sentenza di appello con attestazione di conformità della cancelleria del 28 luglio 2016. A tal fine va richiamato l’orientamento di questa Corte per il quale, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, della l. n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la cancelleria della Corte Cass. n. 24442/2017 Cass. n. 17450/2017 Cass. n. 6657/2017 . Trattasi peraltro di orientamento che è stato di recente ribadito da questa Sezione con l’ordinanza n. 30765/2017, che dando conto della necessità di contemperare i principi del processo telematico con le peculiarità del giudizio di cassazione, ha ribadito che se il destinatario della notifica del provvedimento impugnato intende proporre ricorso per cassazione, dovrà depositare nella cancelleria della Corte copia analogica del messaggio di posta elettronica ricevuto e dei relativi allegati, atto impugnato e relazione di notifica, e dovrà attestare la conformità di tali documenti cartacei agli originali digitali. L’autenticazione del messaggio p.e.c. è poi necessaria, perché solo di lì si evince giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario, essendo altresì necessaria l’autenticazione dei suoi due allegati relazione della notificazione a mezzo p.c.c. e provvedimento impugnato autenticato dall’avvocato che ha provveduto alla notifica, in quanto solo così si adempie a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., laddove richiede, a pena d’improcedibilità, il deposito di copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta . Pertanto l’avvocato che propone un ricorso per cassazione, anche quando il provvedimento impugnato gli è stato notificato con modalità telematiche, ha gli strumenti per procedere agli adempimenti richiesti, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., e quindi, qualora, trascorsi venti giorni dalla notificazione del ricorso per cassazione non siano state depositate le copie analogiche dei suddetti documenti digitali, corredate dalla attestazione di conformità, nel senso sopra indicato, e qualora le stesse, con attestazione di conformità, non siano state depositate dal controricorrente o non siano comunque agli atti, il ricorso è improcedibile, senza che l’improcedibilità possa essere sanata da una produzione successiva alla scadenza del termine di venti giorni dalla notifica. In assenza di tali documenti il ricorso pertanto deve essere dichiarato improcedibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato improcedibile, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Dichiara il ricorso improcedibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.