Omessa valutazione dell’istanza di legittimo impedimento inviata a mezzo PEC. Tutto regolare

Nel processo penale, alle parti non è consentito effettuare notificazioni e comunicazioni né presentare istanze mediante l’utilizzo della PEC, poiché l’uso della posta elettronica certificata è consentito solo per effettuare notificazioni da parte delle cancellerie a persona diversa dall’imputato.

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 24861/19, depositata il 4 giugno. Nel caso in esame, la Corte d’Appello condannava l’imputata per il reato di detenzione ai fini di spaccio di droga. Avverso tale decisione ricorre il difensore dell’imputata deducendo violazione di legge per omessa valutazione della richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore stesso. Istanza inviata a mezzo PEC, ricorso inammissibile. In realtà tale richiesta era stata inviata dal difensore a mezzo PEC e la Corte territoriale ha emesso sentenza senza motivare in merito al mancato accoglimento della stessa. Come già più volte chiarito dalla Suprema Corte, nel processo penale, alle parti non è consentito effettuare notificazioni e comunicazioni né presentare istanze mediante l’utilizzo della PEC, poiché l’uso della posta elettronica certificata è consentito, a partire da dicembre 2014, solo per effettuare notificazioni da parte delle cancellerie, nei procedimenti penali a persona diversa dall’imputato. Quest’ultimo dunque non può utilizzare la PEC quale forma generalizzata di comunicazione o notificazione, né per la presentazione di atti. Da ciò deriva che non si può dedurre nessuna censura quanto alla lamentata omissione della Corte distrettuale, avendo scelto una modalità di invio dell’istanza di legittimo impedimento del difensore di fiducia non consentita. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 marzo - 4 giugno 2019, n. 24861 Presidente Petitti – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la sentenza emessa il 21/06/2016 dal Tribunale di Pescara che condannava P.F. , all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 4.000 di multa per il reato di detenzione ai fini di spaccio di 496 grammi di hashish da cui erano ricavabili 2.444 dosi medie giornaliere e 5 grammi di marijuana da cui erano ricavabili 27 dosi medie giornaliere . 2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione P. , a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi 2.1. Violazione di legge con riferimento agli artt. 178 e 179 c.p.p. e all’art. 24 Cost. per omessa valutazione della richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore di fiducia. Il difensore aveva inviato due giorni prima dell’udienza a mezzo PEC istanza di rinvio per legittimo impedimento professionale e la Corte di appello ha emesso sentenza senza motivare in merito al mancato accoglimento della stessa. Immediatamente dopo la pronuncia della sentenza il difensore, giunto in udienza, ha avuto modo di verificare che l’istanza non era stata inserita dalla cancelleria all’interno del fascicolo processuale. La Corte, pur avendo già letto il dispositivo, ha riaperto il verbale disponendo che la documentazione relativa al legittimo impedimento venisse allegata al verbale. Il mancato inserimento dell’istanza inviata a mezzo PEC ha quindi pregiudicato l’intero processo. 2.2. Vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato con riferimento alla finalità di spaccio della sostanza e in relazione alla mancata riqualificazione del reato in violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibili per i motivi di seguito indicati. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. 2.1.Questa Corte ha già chiarito che, nel procedimento penale, alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni nè presentare istanze mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata Sez. 3, n. 7058 dell’11/02/2014, Rv. 258443, con specifico riferimento ad un’istanza di rinvio per legittimo impedimento vedi anche Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Rv. 263189, con riferimento ad una istanza di rimessione in termini . Ai sensi dell’art. 148 c.p.p., comma 2-bis, artt. 149 e 150 c.p.p., art. 151 c.p.p., comma 2, e della L. n. 221 del 2012, di conversione del D.L. n. 179 del 2012 , l’utilizzo della PEC è consentito, a partire dal 15/12/2014, soltanto per effettuare notificazioni da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall’imputato Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, Rv. 270702 . Ne consegue, pertanto, che all’imputato, nel procedimento penale, non è allo stato - consentito l’utilizzo della Posta Elettronica Certificata quale generalizzata forma di comunicazione o notificazione, nè per la presentazione di atti istanze, memorie . 2.2. Nessuna censura può, pertanto, essere dedotta dall’imputato quanto alla lamentata omissione della Corte di appello, avendo egli stesso scelto una forma di comunicazione dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento non consentita. 2.3. Deve, peraltro, rilevarsi che, per espressa previsione dell’art. 420-ter c.p.p., commi 1, 2 e 5, il giudice è tenuto - anche d’ufficio - a prendere atto dell’esistenza di un legittimo impedimento a comparire dell’imputato o del difensore, quando gli risulti, in qualsiasi modo, o comunque appaia probabile, che l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. Se, pertanto, l’istanza in oggetto - pur irricevibile - fosse stata cionondimeno portata a conoscenza della Corte di appello tempestivamente, ovvero prima della celebrazione dell’udienza de qua, sarebbe stato comunque necessario valutarla. Ma ciò, nel caso in esame, non è avvenuto, come ammesso dallo stesso difensore. 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato e generico perché reitera motivi di appello in ordine ai quali la Corte territoriale ha ampiamente motivato. In particolare la Corte d’appello ha esaurientemente, logicamente e razionalmente argomentato con motivazione senz’altro non affetta da vizi rilevabili in questa sede le ragioni del proprio convincimento, sottolineando che la destinazione allo spaccio era da ritenersi provata alla luce dell’importante quantitativo di stupefacente detenuto dall’imputato già frazionato in dosi. 3.1. Quanto alla riconducibilità della condotta nell’ambito della fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, la Corte ha sottolineato puntualmente che già il Tribunale, pur essendo contestata nell’imputazione la fattispecie di cui al comma 1 del suindicato D.P.R., ha comunque ritenuto sussistente la fattispecie invocata, partendo da una pena base di anni 3 e mesi 9 di reclusione ed Euro 9.000 di multa, di molto inferiore rispetto a quella prevista dal comma 1. 4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.