L’eccezione di nullità per omessa notifica del decreto di citazione può essere trasmessa via PEC?

Nel processo penale alle parti private è inibito l’utilizzo della PEC per effettuare comunicazioni, notificazioni e istanze. L’uso di tale strumento è limitato agli atti provenienti dalle cancellerie.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 19236/19, depositata il 7 maggio. Il fatto. In primo e secondo grado di giudizio, l’imputato veniva condannato alla pena di giustizia per il reato di lesioni personali commesse con l’uso di un bastone. Avverso la decisione della Corte d’Appello, l’imputato propone ricorso per cassazione lamentando violazione di legge per omessa notifica al difensore del decreto di citazione e violazione del diritto di difesa. L’utilizzo della PEC. Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel processo penale alle parti private è inibita l’utilizzo della PEC per effettuare comunicazioni, notificazioni e istanze. Infatti, nel processo penale, l’uso dello strumento della PEC è limitato agli atti provenienti dalle cancellerie, con esclusione di estensione ai difensori della possibilità di effettuare comunicazioni, notificazioni, istanze mediante tale utilizzo. Esistono, sul punto, diversi orientamenti giurisprudenziali, come quello che consente l’utilizzo del telefax per trasmettere istanze all’autorità giudiziaria procedente infatti tale orientamento espone che detta modalità di trasmissione, anche se irregolare, non rende le istanze inviate né irricevibili né inammissibili ma il giudice deve valutarle, restando a carico dell’istante il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell’istanza al giudice competente a valutarla. Nel caso in esame, quella trasmessa a mezzo PEC non è un’istanza di parte ma un’eccezione di nullità per omessa notifica del decreto di citazione, rispetto alla quale il difensore non deduce né dimostra che si tratta di una questione tempestivamente pervenuta all’attenzione della competente autorità giudiziaria. Da ciò deriva l’inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 gennaio – 7 maggio 2019, n. 19236 Presidente Catena – Relatore Calaselice Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Firenze ha confermato, con il provvedimento impugnato, la sentenza del Tribunale di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, del 18 gennaio 2012, con la quale C.G.P. era stato condannato alla pena di giustizia, per il reato di lesioni personali commesse con l’uso di un bastone, in data 8 agosto 2008. 2. Avverso l’indicata pronuncia ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato tramite il difensore deducendo, nei motivi di seguito riassunti, quattro vizi. 2.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge, omessa notifica al difensore dell’imputato del decreto di citazione e violazione del diritto di difesa, con vizio di motivazione. Si assume che il decreto di citazione in appello, come eccepito con memoria inviata a mezzo PEC il 17 novembre 2015, non era stato notificato al difensore. Nonostante ciò all’udienza veniva pronunciata sentenza, pur avendo la Corte territoriale, nella precedente udienza del 6 maggio 2015, edotto del rinvio la difesa dopo aver accolto l’eccezione difensiva di omessa notifica. Ciò senza che il nuovo decreto di citazione, emesso il 16 ottobre 2015, sia stato notificato al difensore dell’imputato, diversamente da quanto avvenuto per la parte civile alla quale la notifica era stata effettuata. 2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione posto che l’eccezione, proposta a mezzo PEC, non risulta esaminata nella sentenza. 2.3. Con il terzo motivo si contesta la valutazione di credibilità della parte offesa, svolta dai giudici di merito di primo e secondo grado deducendo che, anzi, proprio la parte lesa avrebbe avuto motivi di risentimento nei confronti dell’imputato, suo rivale in amore in quanto convivente dell’ex moglie. 2.4. Con il quarto motivo si deduce l’intervenuta prescrizione, maturata alla data del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono manifestamente infondati. 2.1. Risulta dall’esame degli atti, non inibito a questa Corte vista la natura del vizio lamentato, che l’eccezione era stata formulata dalla difesa e fatta pervenire alla Corte territoriale a mezzo PEC, senza comparizione del difensore all’udienza del 20 novembre 2015, fissata a seguito di rinvio disposto il 6 maggio 2015, per omessa notifica del decreto di citazione all’imputato. Risulta dall’esame del verbale dell’udienza indicata che, in quella sede, era stato disposto il rinvio rilevandosi l’omessa citazione regolare dell’imputato non anche quella del difensore che, dunque, per quell’udienza era stato regolarmente citato. Sicché, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, la mancata nuova notifica al difensore in proprio del decreto di citazione in appello non produce alcuna nullità, risultando già regolare la notifica per la prima udienza del 6 maggio 2015. Peraltro si osserva che la proposta eccezione risulta pervenuta a mezzo PEC alla Cancelleria della Corte di appello procedente. È principio affermato da questa Corte Sez. 5, n. 48911 del 01/10/2018, N., Rv. 274160 - 01, di cui si ripercorrono le condivisibili argomentazioni Sez. 5, 15 marzo 2018, n. 32013, non massimata quello secondo il quale, nel processo penale, alle parti private è inibita l’utilizzazione della posta elettronica certificata per effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze. Il D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 4, come convertito, secondo detto indirizzo, infatti, non consente diversa lettura se non quella secondo la quale nel processo penale, è espressamente limitato l’uso dello strumento della Posta Elettronica Certificata agli atti provenienti dalle cancellerie, con esclusione di ogni estensione ai difensori della possibilità di effettuare comunicazioni, notificazioni e di presentare istanze mediante l’utilizzo di tale strumento. La questione inerente la possibilità dei privati di valersi legittimamente della PEC nel processo penale per far pervenire istanze al giudice è oggetto di diversi indirizzi di questa Corte. Alcune decisioni hanno escluso l’ammissibilità di istanze quale quella di rinvio per legittimo impedimento avanzate a mezzo della posta elettronica certificata dal difensore di fiducia dell’imputato Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P, Rv. 270702 Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante . Altri arresti evidenziano che l’invio a mezzo posta elettronica in cancelleria, di istanze, non è irricevibile nè inammissibile, comportando, tuttavia, a cura della parte, l’onere di accertarsi del regolare arrivo della mail in cancelleria, oltre che della sua tempestiva sottoposizione all’attenzione del giudice procedente Sez. 6, n. 35217 del 19/04/2017, C, Rv. 270912 Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, Rv. 260963 . Tale ultimo indirizzo fonda in particolare sul medesimo ragionamento svolto da questa Corte in relazione all’utilizzazione del telefax per trasmettere istanze all’autorità giudiziaria procedente quali le richieste di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato o del difensore . Tale orientamento espone che detta modalità di trasmissione, pur se irregolare, non rende le istanze in tal modo inviate nè irricevibili nè inammissibili e si evidenzia che ove queste istanze siano portate a conoscenza del giudice, questi sia tenuto a valutarle. Resta, tuttavia, a carico dell’istante il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell’istanza al giudice competente a valutarla e l’onere di verificare, ove intenda impugnare l’omessa valutazione dell’istanza, che questa sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice procedente e sia stata tempestivamente sottoposta all’attenzione di quest’ultimo Sez. 1, n. 1904 del 16/11/2017, dep. 2018, Deriù, Rv. 27204901 Sez. 2, n. 24515 del 22/05/2015, Mennella e altro, Rv. 264361 Sez. 5, n. 7706 del 16/10/2014, dep. 2015, Chessa, Rv. 262835 Sez. 2, n. 9030 del 05/11/2013 - dep. 25/02/2014, Stucchi, Rv. 258526 . Nel caso al vaglio, poi, quella trasmessa a mezzo PEC non è un’istanza di parte, ma un’eccezione di nullità per omessa notifica del decreto di citazione, rispetto alla quale la difesa non deduce nè dimostra che, comunque, si tratta di questione tempestivamente pervenuta all’attenzione della Corte territoriale, nella data del 20 novembre 2015, cioè nel corso dell’udienza in cui il processo è stato definito con la sentenza impugnata, rispetto alla quale si lamenta l’omesso esame dell’eccezione formulata. Del resto nella stessa istanza si fa espresso riferimento alla mancata comparizione del difensore che ha proposto l’eccezione, assenza indicata come finalizzata proprio ad evitare sanatorie. 2.1. Il terzo motivo è inammissibile. Si contesta il giudizio di credibilità della parte lesa, prospettando un motivo di risentimento che avrebbe animato le sue dichiarazioni accusatorie. Sul punto si osserva che gli accertamenti giudizio ricostruttivo dei fatti e gli apprezzamenti giudizio valutativo dei fatti cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di questa Corte e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e delle parti lese, nonché sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione. Nel caso in esame, poi, si osserva che la sentenza di appello opera una adeguata e non manifestamente illogica valutazione della credibilità della parte lesa, spiegando, anzi, che l’istruttoria svolta aveva condotto a concludere nel senso che era, invece, proprio l’imputato animato di risentimento verso la persona offesa, che aveva raggiunto in piazza ove questa si trovava con alcuni amici per attaccare briga . Del resto la condanna non fonda solo sulla deposizione della parte lesa, ma anzi 2 attribuisce decisivo rilievo all’inverosimiglianza della versione difensiva del C. , alla documentazione sanitaria, del tutto contrastante rispetto alla prospettazione difensiva. Dati con i quali il ricorso non si confronta, specificamente. 2.2. Il quarto motivo è manifestamente infondato. L’inammissibilità del ricorso impedisce di rilevare la prescrizione del reato maturata, nelle more del giudizio di legittimità, dopo la sentenza di appello, tenuto conto della data del fatto 8 agosto 2008 , della pena edittale massima e del tempestivo intervento di una causa interruttiva del corso della prescrizione sentenza di primo grado del 18 gennaio 2012 . A tale termine di anni sette e mesi sei, ex artt. 157 e 160 c.p., spirato in data 8 febbraio 2016 vanno aggiunti 41 giorni, per rinvio dell’udienza del 28 gennaio 2010, al 11 marzo 2010, per ragioni che hanno determinato la sospensione del corso della prescrizione adesione dei difensori alla astensione di categoria . Va ricordato, infatti, che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119 Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni . Sicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturata, come nella specie, dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello emessa il 20 novembre 2015 . 4. Segue la pronuncia di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, somma che si ritiene determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.