Valida la notifica dell’istanza di fallimento all’indirizzo PEC risultante dal registro delle imprese

Deve considerarsi valida la notifica dell’istanza di fallimento effettuata all’indirizzo PEC della società risultante dal registro delle imprese anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 16-ter d.l. n. 179/2012, inserito dalla l. n. 228/2012.

Notifica dell’istanza di fallimento. Con la sentenza n. 5652/19, depositata il 26 febbraio, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dagli eredi del socio unico e liquidatore di una società avverso la dichiarazione di fallimento di quest’ultima. In particolare, la decisione impugnata riteneva valida la notifica dell’istanza di fallimento eseguita all’indirizzo PEC della società risultante dal registro delle imprese. Con il ricorso per cassazione, viene invece dedotta la nullità di tale notifica in quanto l’art. 16- ter d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2001, inserisce il registro delle imprese tra i pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni a mezzo PEC a far data da un momento successivo rispetto a quello della notifica. Indirizzo PEC. La doglianza risulta priva di fondamento. Ripercorrendo i vari passaggi normativi succedutisi sul tema, il Collegio chiarisce infatti che, prima dell’entrata in vigore della puntualizzazione della nozione di pubblici elenchi di cui all’art. 16- ter d.l. n. 179/2012, tale nozione era indicata nella l. n. 53/1994 in termini più generici, ma pur sempre vigente semplicemente, il compito di definirne i contorni, genericamente delineati con le parole pubblici elenchi”, era affidato all’interprete mediante l’uso degli ordinari criteri ermeneutici . Da tale premessa discende che deve essere escluso ogni dubbio sul fatto che l’elenco degli indirizzi PEC del Registro delle imprese, al quale tutti gli imprenditori sono tenuti a comunicare la propria mail, sia qualificabile come pubblico elenco”. Tornando al caso di specie, risulta che la notifica ai sensi dell’art. 93- bis l. n. 53/1994 era stata correttamente effettuata all’indirizzo PEC della società risultante dal Registro delle imprese. Per questi motivi, il ricorso viene rigettato e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 aprile 2018 – 26 febbraio 2019, n. 5652 Presidente Didone – Relatore De Chiara Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Bologna ha respinto il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento della Società Sportiva dilettantistica a responsabilità limitata in liquidazione proposto dal sig. R.F. e dalla sig.ra P.A.A. , rispettivamente figlio e moglie del defunto socio unico e liquidatore della società, sig. R.L.G. . La Corte ha confermato, in particolare, la validità della notifica dell’istanza di fallimento eseguita all’indirizzo di posta elettronica certificata della società debitrice risultante al registro delle imprese, nonché l’assoggettabilità della medesima società a fallimento, quale società esercente non già un’attività sportiva no profit, bensì un’attività commerciale consistente nella gestione di palestre e nell’organizzazione di corsi a carattere sportivo, occupando decine di dipendenti e conseguendo guadagni derivanti dai servizi offerti a terzi. 2. I reclamanti hanno quindi proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui hanno resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato per un motivo, le sig.re B.T. , Bu.Lo. e G.B. , creditrici che avevano presentato l’istanza di fallimento. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione di norme di diritto, viene riproposta l’eccezione - già respinta dalla Corte d’appello - di nullità della notifica dell’istanza di fallimento, con il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione davanti al tribunale, eseguita il 16 ottobre 2013 dall’avvocato delle istanti, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo pec della società risultante al registro delle imprese, nonostante il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 ter, conv. con modif. nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserisca solo a decorrere dal 15 dicembre 2013 le risultanze di tale registro tra i pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni a mezzo pec. 1.1. Il motivo è infondato. La L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, inserito dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 quater, a decorrere dal 1 gennaio 2013, consente agli avvocati autorizzati di eseguire le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi . Il richiamato D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, inserito dalla successiva L. 24 dicembre 2012, n. 228, dispone che a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 16, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 bis, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia . Il D.L. n. 185 del 2008, art. 16, cit., prevede appunto l’obbligo delle società di comunicare il proprio indirizzo pec al registro delle imprese. Ciò significa che, prima dell’entrata in vigore della puntualizzazione della nozione di pubblici elenchi contenuta nel D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, detta nozione era indicata nella L. n. 53 del 1994 in termini più generici, ma era pur sempre vigente semplicemente, il compito di definirne i contorni, genericamente delineati con le parole pubblici elenchi , era affidato all’interprete mediante l’uso degli ordinari criteri ermeneutici. Applicando tali criteri, non è contestabile che un elenco degli indirizzi pec come quello risultante dalle comunicazioni che gli imprenditori commerciali sono tenuti ad inviare al registro delle imprese, ossia a un registro tenuto da una pubblica autorità per ragioni di pubblico interesse, sia qualificabile come pubblico elenco. Pertanto non è revocabile in dubbio che anche nell’ottobre 2013, epoca della notifica che qui rileva, anteriore al 15 dicembre dello stesso anno, la notifica ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, potesse essere eseguita all’indirizzo pec di una società risultante al registro delle imprese. I ricorrenti principali deducono, infine, anche l’incostituzionalità della disciplina della notificazione a mezzo pec, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., sul rilievo che essa non assicurerebbe sufficienti garanzie di effettiva conoscenza dell’atto in casi come quello di specie, in cui il defunto liquidatore della società, sig. R.L.G. , era l’unica persona che aveva accesso in concreto alla casella di posta elettronica certificata della società. Tale questione, però, è inammissibile in quanto basata su dati di fatto non dedotti nel giudizio di merito e non deducibili per la prima volta nel giudizio di legittimità. 2. Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce la nullità della notifica in questione per violazione della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, comma 5, essendo stata omessa nella relata l’indicazione - prevista alla lett. f della disposizione richiamata dell’elenco da cui era stato estratto l’indirizzo pec della società destinataria. 2.1. Il motivo è infondato perché tale indicazione non è imposta dalla legge speciale a pena di nullità, né la nullità è predicabile in applicazione della norma generale di cui all’art. 160 c.p.c 3. Con il terzo motivo del ricorso principale, denunciando violazione della L. Fall., art. 1, si contesta che la società esercitasse un’attività commerciale, richiamando le contrarie risultanze degli atti di causa. 3.1. Il motivo è inammissibile sostanziandosi in una censura dell’accertamento di fatto operato dai giudici di merito in ordine alle caratteristiche dell’attività svolta dalla società debitrice. 4. Il ricorso incidentale condizionato è assorbito. 5. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna i ricorrenti principali al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.