Le motivazioni della Consulta su maternità surrogata e fecondazione eterologa: ecco perché deve intervenire il legislatore

Sono state depositate le motivazioni delle due decisioni con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale relative, da un lato, alla tutela dei nati da maternità surrogata e, dall’altro, alla garanzia di tutela per i nati da fecondazione eterologa praticata da due donne all’estero.

Le decisioni erano già state anticipate all’esito della camera di consiglio tenutasi lo scorso mese di gennaio v. la news Maternità surrogata e fecondazione eterologa la Consulta esorta il legislatore ad intervenire e ieri sono state depositate le motivazioni delle due pronunce. Tutelare i nati da maternità surrogata. Con la sentenza n. 33/2021, la Corte ha chiarito che per tutelare i nati da maternità surrogata occorre il riconoscimento giuridico del legame tra il bambino e la coppia che se ne prende cura , esercitando di fatto la responsabilità genitoriale. La Corte ha dunque dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione in relazione all’impossibilità di riconoscere in Italia una sentenza straniera che abbia attribuito lo stato di genitori a due uomini uniti civilmente in Italia, che abbiano fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero. La sentenza ha sottolineato la necessità di un indifferibile intervento del legislatore per rimediare all’attuale vuoto normativo e all’insufficienza di tutela per gli interessi del minore. Fermo restando infatti che il divieto , sanzionato penalmente, di ricorrere alla pratica della maternità surrogata mira alla tutela della dignità della donna e ad evitare i rischi di sfruttamento, la Consulta ritiene che la questione ora sottoposta alla sua attenzione è focalizzata sui migliori interessi” del bambino nei suoi rapporti con la coppia omosessuale o eterosessuale che abbia condiviso il percorso che va dal suo concepimento, in un paese in cui la maternità surrogata è lecita, fino al suo trasferimento in Italia, dove la coppia si è presa quotidianamente cura del bambino . In tale situazione, l’interesse del minore è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata . Si tratta di legami che costituiscono parte integrante della stessa identità del minore, che vive e cresce nell’ambito di una determinata comunità di affetti. Con riferimento alla disciplina dell’ adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, l. n. 184/1983, la Corte condivide l’osservazione dei Giudici di legittimità secondo cui tale istituto costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali . Dev’essere in conclusione il legislatore a dover intervenire con una disciplina che assicura una piena tutela degli interessi del minore, in aderenza alle peculiarità della situazione. Fecondazione eterologa praticata da due donne all’estero tutela del minore. La sentenza n. 32/2021 ha ugualmente ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento agli artt. 8 e 9, l. n. 40/2004 e all’art. 250 c.c Sottolineando come il vuoto normativo circa la tutela dell’interesse del minore nato da fecondazione eterologa sia ormai intollerabile, la Consulta ha affermato che spetta al legislatore individuare il ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, per fornire, in maniera organica, adeguata tutela ai diritti del minore alla cura, all’educazione, all’istruzione, al mantenimento, alla successione e, più in generale, alla continuità e al conforto di abitudini condivise, evitando di generare disarmonie nel sistema . La pronuncia depositata ieri fa riferimento ad alcuni precedenti da cui emerge la costante attenzione al miglior interesse del minore , anche nato da PMA prima ancora che la pratica della fecondazione eterologa fosse disciplinata, e la valorizzazione della genitorialità sociale, se non coincidente con quella biologica, poiché il dato genetico non è requisito imprescindibile della famiglia . La sentenza cita poi gli strumenti internazionali dei diritti umani e la giurisprudenza delle Corti europee per sottolineare il quadro ampio e sinergico di riferimenti alla tutela degli interessi preminenti” e migliori” dei minori nello stabilire legami con entrambi i genitori . Il legislatore è dunque sollecitato ad intervenire per disciplinare gli ambiti della materia, tra cui, a titolo esemplificativo, la Consulta ha indicato la riscrittura delle previsioni dello status filiationis e una nuova tipologia di adozione che garantisca tempestivamente la pienezza dei diritti dei nati.

Corte Costituzionale, sentenza 27 gennaio - 9 marzo 2021, n. 32 Presidente Coraggio – Redattore Sciara Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 9 dicembre 2019, il Tribunale ordinario di Padova ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita e 250 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU , firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 1.1.– Il Collegio premette di essere stato adito dalla madre intenzionale di due gemelle, nate a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita PMA – cui si è sottoposta l’allora partner della stessa – per ottenere, in via principale, l’autorizzazione a dichiarare all’ufficiale dello stato civile di essere genitore, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, o di essere dichiarata tale dalla sentenza dello stesso Tribunale per aver prestato il consenso alla fecondazione eterologa, ai sensi dell’art. 6 della medesima legge. Il rimettente precisa che la ricorrente ha anche chiesto, in via subordinata, di essere autorizzata a riconoscere davanti all’ufficiale di stato civile le minori quali proprie figlie ovvero di accertare tale riconoscimento, pronunciando ai sensi dell’art. 250, quarto comma, cod. civ., una sentenza che tenga luogo del consenso da lei stessa prestato e rifiutato dalla madre che ne dichiarò la nascita e le riconobbe. In via ulteriormente subordinata, è stato chiesto al Tribunale di Padova di ordinare all’ufficiale dello stato civile la rettificazione degli atti di nascita delle minori, sì che risulti che le stesse sono nate a seguito di fecondazione eterologa, sulla base del consenso prestato dalla madre biologica e dalla ricorrente, madre intenzionale. Il Collegio premette che la ricorrente chiede anche di attribuire alle minori, in forza dell’art. 250, quarto comma, ultimo periodo, cod. civ. e dell’art. 262 cod. civ., il proprio cognome e che siano pronunciati gli opportuni provvedimenti in relazione al loro affidamento e mantenimento, ai sensi dell’art. 315-bis cod. civ. Dalla discussione della causa in udienza pubblica, dai documenti prodotti e dalle allegazioni non contestate, il Tribunale dichiara che è inequivocabile la condivisione del progetto di PMA. Le parti hanno convissuto, pur senza residenza anagrafica comune, anche dopo la nascita delle bambine per quasi cinque anni, con coinvolgimento di entrambe nella cura, nell’educazione e nella crescita delle stesse. La peculiarità della fattispecie in esame – prosegue il rimettente – è costituita dalla circostanza che le minori sono nate in Italia, ma non vi è stata alcuna dichiarazione congiunta davanti all’ufficiale di stato civile in occasione della nascita. La relazione fra le due donne è cessata e l’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lettera d , della legge 4 maggio 1983, n. 184 Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori è risultata impraticabile, in quanto l’art. 46 della medesima legge prescrive l’assenso del genitore legale dell’adottando, che, nella specie, è stato negato. Il Collegio osserva che, nonostante la partecipazione al progetto condiviso di maternità, la convivenza durata cinque anni e una relazione genitoriale di fatto intrattenuta con le bambine fino al 2017, queste ultime sono legalmente figlie della sola madre biologica, che non consente né il riconoscimento, né l’adozione e vieta ogni rapporto con la ricorrente madre intenzionale. Il Tribunale di Padova segnala, inoltre, che anche il Tribunale per i minorenni è intervenuto, ai sensi dell’art. 333 cod. civ., finora senza esito nel ripristinare i rapporti con la ricorrente. 1.2.– Il Collegio rimettente ritiene pertanto che gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 – che dispongono che i nati a seguito di PMA anche di tipo eterologo hanno lo stato di figli riconosciuti dalla coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di PMA, stato che non può essere oggetto di disconoscimento di paternità, né di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità – non possano essere interpretati se non nel senso di escludere il riconoscimento dello stato di figli dei nati da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, in violazione dell’art. 5 della citata legge n. 40 del 2004. Analogamente, anche l’art. 250, quarto comma, cod. civ. non consentirebbe di autorizzare il riconoscimento dello stato di figli dei nati da PMA eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, da parte della madre intenzionale, superando il dissenso della madre biologica. Il Tribunale di Padova, pertanto, ritiene che – sulla base delle norme censurate – non sia possibile accogliere le domande della ricorrente. Proprio per questo riscontra un vuoto di tutela nel garantire l’interesse delle minori. Le disposizioni richiamate, infatti, sistematicamente interpretate, non consentirebbero al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche da parte della madre intenzionale, che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa, se non sia possibile procedere all’adozione nei casi particolari, qualora sia accertato giudizialmente l’interesse del minore. Il rimettente segnala, inoltre, che nella specie non sarebbero neppure utilizzabili gli strumenti individuati dalla giurisprudenza di legittimità in casi simili per tutelare l’interesse dei minori, consistenti nella trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, ove la nascita sia avvenuta in un altro Paese la cui legislazione ammette l’omogenitorialità, e nell’adozione in casi particolari, per il fatto che l’assenso della madre biologica e legale, indispensabile ai sensi dell’art. 46 della legge n. 183 del 1984, è stato negato. Il denunciato vuoto di tutela si risolverebbe, quindi, nella lesione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti dagli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, come interpretati dalla Corte di Strasburgo, e agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo. In particolare, gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ. lascerebbero privo di tutela il diritto inviolabile del minore all’identità garantito dall’art. 2 Cost., da cui discende l’azionabilità dei suoi diritti nei confronti di chi si è assunto la responsabilità di procreare nell’ambito di una formazione sociale che, benché non riconducibile alla famiglia tradizionale, sarebbe comunque meritevole di tutela. In tal modo sarebbe violato il diritto di ciascun bambino ad avere due persone che si assumono la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione, nei cui confronti poter vantare diritti successori, ma soprattutto agire in caso di inadempimento e di crisi della coppia. Il contrasto evidenziato è con gli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU. Il Collegio rimettente ricorda che tale disposizione è al centro di numerose pronunce della Corte EDU sono richiamate le sentenze 26 giugno 2014, Mennesson contro Francia, e Labassee contro Francia . Dell’art. 8 CEDU si occupa anche il parere reso il 10 aprile 2019 ai sensi del Protocollo n. 16 alla CEDU, per affermare che l’assenza di riconoscimento di un legame tra il bambino e la madre intenzionale pregiudica il bambino, lasciandolo in una situazione di incertezza giuridica quanto alla sua identità nella società, e può ledere gravemente il suo diritto alla vita privata. Le norme censurate, inoltre, là dove non comprendono anche i nati da PMA eterologa praticata da coppie dello stesso sesso, determinerebbero una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di questi ultimi, rispetto ai nati da PMA praticata da coppia eterosessuale e anche rispetto ai nati da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nella situazione in cui la madre biologica presta il suo assenso all’adozione in casi particolari. I nati da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, per i quali non si possa ricorrere all’adozione in casi particolari, sarebbero destinati a un perenne stato di figli con un solo genitore, non riconoscibili dall’altra persona che ha contribuito al progetto procreativo. Essi si troverebbero in una situazione giuridica diversa e deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati compresi i nati da rapporto incestuoso , senza che si possa rinvenire altra giustificazione se non l’orientamento sessuale delle persone che hanno partecipato al progetto procreativo, in violazione dell’art. 3 e dell’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 14 CEDU. La nuova categoria di nati non riconoscibili” contrasterebbe anche con il principio di unicità dello status giuridico dei figli, che ha connotato tutti gli interventi legislativi più recenti in materia di filiazione la legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali , e il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 recante Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 . Sarebbe, infine, violato l’impegno assunto dallo Stato italiano, in sede di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo in specie agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 ad adottare tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, dalle opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali e dei suoi familiari art. 2 , nonché a tenere in considerazione l’interesse prevalente del minore in tutte le decisioni relative ai bambini art. 3 . Pertanto, il Tribunale conclude dichiarando non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti delle norme di cui agli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ. là dove, sistematicamente interpretate, non consentono al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche della donna che, insieme alla madre biologica, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore. Quanto alla rilevanza delle questioni, il Collegio rimettente osserva che l’applicazione delle norme censurate è evidentemente ineliminabile nell’iter logico-giuridico che si deve percorrere per la decisione. Solo l’accoglimento delle questioni consentirebbe di accogliere le domande della ricorrente, laddove, in caso opposto, l’attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto. 2.– Si è costituita in giudizio la ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che le questioni sollevate con l’ordinanza del Tribunale di Padova siano accolte. In via preliminare, la difesa della ricorrente sottolinea che il carattere additivo della questione di legittimità costituzionale sollevata non ne pregiudica l’ammissibilità, poiché l’addizione richiesta sarebbe a rime obbligate”. Il vuoto di tutela potrebbe essere colmato solo nel modo indicato dal rimettente, estendendo anche ai nati nell’ambito di un progetto di PMA, praticata da una coppia di donne, quel che già le disposizioni censurate garantiscono agli altri nati da fecondazione assistita, ossia l’attribuzione dello status di figlio e il riconoscimento della responsabilità genitoriale di ambedue i genitori, che siano tali per aver preso parte e aver consentito in condivisione al progetto di procreazione, quando sia accertato l’interesse del minore. Ciò anche in considerazione dei limiti specifici derivanti dalla disciplina dell’adozione in casi particolari, per cui è necessario l’assenso dei genitori biologici dell’adottando, perché l’adottante – che abbia instaurato un rapporto di coniugio o di convivenza con il genitore biologico – è soggetto terzo che tipicamente subentra in una fase successiva al concepimento e alla nascita. Nel caso di conflittualità, l’impossibilità di superare il dissenso del genitore biologico, ai sensi dell’art. 46 della legge sull’adozione, rivelerebbe la necessità di applicare direttamente la disciplina generale di costituzione del rapporto di filiazione fuori dal matrimonio, unico strumento di tutela dell’interesse del minore. Nel merito, la difesa della ricorrente nel giudizio principale sottolinea come non sia in discussione la legittimità del divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso, su cui la Corte si è di recente pronunciata con la sentenza n. 221 del 2019, ma esclusivamente l’irragionevole discriminazione operata nei confronti dei nati e concepiti da PMA per effetto di un progetto genitoriale avviato e condotto a termine da due persone dello stesso sesso. Le norme censurate, infatti, là dove impediscono il riconoscimento del legame fra nato e partner della coppia omosessuale femminile non legata dal punto di vista biologico e genetico, non farebbero altro che impedire l’adempimento dei doveri di cura da parte di entrambi i genitori, prescritto dall’art. 30 Cost., sottraendo al minore una figura che pure intende continuare ad assumersi i compiti insiti nell’esercizio della responsabilità genitoriale. La declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate mirerebbe a impedire che le vicende personali che intercorrono nella coppia eterosessuale o omosessuale possano compromettere la definizione dello status di figlio e renderlo oggetto di contrattazione. La discrezionalità del legislatore e il favor da quest’ultimo espresso per la famiglia tradizionale incontrerebbe, comunque, il limite degli interessi dei minori e del divieto di scelte discriminatorie per motivi di genere e orientamento sessuale. Tale limite sarebbe superato, considerato, tra l’altro, che taluni orientamenti nazionali e internazionali delle scienze psicologiche e cliniche evidenziano l’assenza di pregiudizi per il benessere dei figli minori quando si instaura un legame con due figure genitoriali dello stesso sesso. 3.– Si è costituita in giudizio anche la madre biologica, parte resistente nel giudizio a quo, e ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova siano dichiarate inammissibili. La difesa della parte resistente ritiene che il riconoscimento del minore concepito mediante PMA di tipo eterologo, da parte di una donna legata affettivamente, in quel momento, a quella che lo ha partorito, ma non avente alcun legame biologico con lo stesso, si ponga in contrasto con l’art. 5 della legge n. 40 del 2004, e con l’esclusione del ricorso a tali tecniche da parte di coppie omosessuali, riconosciuto non illegittimo dalla sentenza di questa Corte n. 221 del 2019, non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate dal rapporto biologico. Non sarebbe, quindi, possibile desumere dall’art. 9 della legge n. 40 del 2004 un principio generale secondo cui, ai fini dell’instaurazione del rapporto di filiazione, può considerarsi sufficiente il mero dato volontaristico o intenzionale rappresentato dal consenso prestato alla procreazione medicalmente assistita o comunque dall’adesione a un comune progetto genitoriale. L’intera disciplina del rapporto di filiazione, così come delineata dal codice civile, sarebbe tuttora saldamente ancorata al rapporto biologico tra il nato e i genitori, la cui esclusione richiederebbe, a pena di inevitabili squilibri, radicali modifiche di sistema, non realizzabili attraverso un intervento episodico del giudice. La stessa Corte costituzionale – prosegue la difesa della resistente – pur avendo posto in risalto la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori, ne ha riconosciuto il necessario bilanciamento, da demandare al legislatore, con altri valori costituzionalmente protetti. La difesa della parte resistente nel giudizio principale esclude, inoltre, che sia ravvisabile un contrasto, sul punto, con la giurisprudenza della Corte EDU, che ha ritenuto non sussistente la violazione del diritto al rispetto della vita familiare del minore a causa del mancato riconoscimento del rapporto di filiazione, ove sia assicurata in concreto la possibilità di condurre un’esistenza paragonabile a quella delle altre famiglie. Una simile violazione non sarebbe configurabile nel caso di specie, in cui non è in discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore d’intenzione, il cui mancato riconoscimento non precluderebbe al minore l’inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale, né l’accesso al trattamento giuridico ricollegabile allo status filiationis, pacificamente riconosciuto nei confronti dell’altro genitore. Nessun contrasto si ravviserebbe con il riconoscimento dell’efficacia nel nostro ordinamento dell’atto di nascita formato all’estero, da cui risulti che il nato, concepito con il ricorso a tecniche di PMA, è figlio di due persone dello stesso sesso, ancorché una di esse non abbia alcun rapporto biologico con il minore. Il riconoscimento dell’atto di nascita straniero non farebbe venir meno l’estraneità dello stesso all’ordinamento italiano, che si limiterebbe a consentire la produzione dei relativi effetti, così come previsti e regolati dall’ordinamento di provenienza, nei limiti del rispetto dell’ordine pubblico, inteso quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico. 4.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che chiede che le questioni vengano dichiarate inammissibili. Anzitutto, la difesa statale ritiene che il rimettente si limiti a censurare l’inerzia del legislatore, in una materia in cui quest’ultimo dispone di un ampio ambito di discrezionalità, mentre questa Corte non avrebbe gli strumenti per imporre al legislatore di attivarsi. L’addizione richiesta dal rimettente non sarebbe, pertanto, costituzionalmente necessaria. Inoltre, l’ostacolo all’interpretazione estensiva degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, che consenta il riconoscimento dello status di figlio del nato da PMA, praticata da coppie dello stesso sesso, sarebbe rinvenibile non già nelle norme citate e censurate, quanto piuttosto negli artt. 4 e 5 della medesima legge, non censurati. Infine, tutte le argomentazioni svolte a sostegno delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova sarebbero prive di rilevanza, in quanto non sarebbe stato fatto valere in giudizio il diritto delle minori a ottenere il riconoscimento da parte del secondo genitore, quanto piuttosto il diritto della madre intenzionale a essere considerata genitore legale delle minori, come emergerebbe dalla circostanza che le minori non risultano essere parti del giudizio. 5.– Ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale sono state depositate tre opinioni scritte, a titolo di amici curiae. Con decreto presidenziale del 3 dicembre 2020, sono state ammesse – perché conformi ai criteri previsti al citato art. 4-ter delle Norme integrative – le opinioni scritte del Centro Studi Rosario Livatino” e della Avvocatura per i diritti LGBTI – Associazione di promozione sociale”. Il Centro Studi Rosario Livatino chiede che la Corte dichiari manifestamente infondate le questioni sollevate dal Tribunale di Padova. L’accoglimento delle questioni introdurrebbe una genitorialità omosessuale fondata su uno status filiationis pieno anche nei confronti del genitore non biologico, che priverebbe il minore di ogni diritto verso il genitore biologico di sesso diverso dall’altro, rispetto al quale la filiazione resterebbe sempre accertabile, eludendosi, inoltre, la necessità dell’assenso del genitore biologico esercente la responsabilità. L’Avvocatura per i diritti LGBTI auspica che questa Corte individui una soluzione in linea con la giurisprudenza di Corti costituzionali straniere, ampiamente illustrata nell’opinione scritta, al fine di offrire adeguata tutela al nato, reputando applicabile l’art. 8 della legge n. 40 del 2004, o accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Padova. Il consenso alla PMA – espresso all’estero da due donne in forme equivalenti a quelle previste dall’art. 6 della medesima legge n. 40 del 2004 – sarebbe idoneo e sufficiente all’assunzione della responsabilità genitoriale rispetto al nato in Italia, dal momento che l’art. 8 della citata legge tutela il nato a prescindere dalle concrete condotte di chi lo ha voluto. 6.– All’udienza pubblica le parti e la difesa statale hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle memorie scritte. Considerato in diritto 1.– Il Tribunale ordinario di Padova dubita della legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita e 250 del codice civile, in quanto, sistematicamente interpretati, non consentirebbero al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore. Secondo il rimettente, le citate disposizioni garantirebbero il riconoscimento del legame di filiazione del nato, a seguito del ricorso a tecniche di PMA eterologa, nei confronti di entrambi i soggetti che hanno prestato il consenso e che si sono, conseguentemente, assunti la responsabilità genitoriale, solo ove tali soggetti rientrino fra coloro che hanno potuto accedere a una tale tecnica procreativa ai sensi dell’art. 5 della medesima legge n. 40 del 2004 e cioè solo ove siano di sesso diverso. Pertanto, esse lascerebbero privo di tutela l’interesse del minore, nato a seguito di fecondazione assistita praticata da due donne, al riconoscimento del rapporto di filiazione con la madre intenzionale, non essendovi nella fattispecie in esame neppure le condizioni per procedere all’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lettera d , della legge 4 maggio 1983, n. 184 Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori , a causa del mancato assenso del genitore biologico-legale, previsto quale condizione insuperabile art. 46 . Tale vuoto di tutela esorbiterebbe dal margine di discrezionalità riservata in tale materia al legislatore e determinerebbe la violazione di una serie di diritti e interessi costituzionalmente e convenzionalmente garantiti. Anzitutto, sarebbe violato il diritto del nato a far valere, nei confronti delle due persone, pur dello stesso sesso, che si sono comunque assunte la responsabilità della procreazione, i propri diritti al mantenimento, all’educazione, all’istruzione, ma anche i diritti successori, soprattutto in caso di inadempimento e di crisi della coppia, in contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo, in specie, in relazione all’art. 8 CEDU. Si profilerebbe – in linea con la giurisprudenza della Corte EDU – una grave lesione del diritto alla vita privata del bambino, cui sia impedito il riconoscimento del legame con la madre intenzionale, lasciandolo così esposto a una situazione di incertezza giuridica nelle relazioni sociali, quanto alla sua identità personale. Si realizzerebbe, in tal modo, una ingiustificata disparità di trattamento sia rispetto ai nati da PMA praticata da coppia eterosessuale, sia rispetto ai nati da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, che possano accedere all’adozione in casi particolari, in virtù del consenso prestato dalla madre biologica. In mancanza di tale assenso, i nati a seguito di PMA eterologa praticata da coppie dello stesso sesso sarebbero destinati perennemente a uno stato di figli con un solo genitore, non riconoscibili dall’altra persona che ha intenzionalmente contribuito al progetto procreativo. Essi si troverebbero in una situazione giuridica deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati compresi i nati da rapporto incestuoso , per il solo fatto dell’orientamento sessuale delle persone che hanno condiviso la scelta di procreare con ricorso alle tecniche citate, in violazione dell’art. 3 e dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 CEDU. Un tale vuoto di tutela entrerebbe in contrasto con l’impegno assunto dallo Stato italiano, in sede di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 in specie agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 , volto a considerare l’interesse prevalente del minore in tutte le decisioni relative ai bambini art. 3 e, comunque, ad adottare tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, dalle opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari art. 2 . 2.– In linea preliminare, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa statale. 2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che le questioni sollevate dal Tribunale di Padova siano prive di rilevanza. Nella specie, non sarebbe fatto valere nel giudizio principale il diritto delle minori a essere riconosciute quali figlie di entrambe le madri, ma la pretesa della ricorrente di essere riconosciuta genitore legale. Ciò sarebbe dimostrato dalla circostanza che la convenuta, madre biologica delle minori, non sarebbe stata citata in giudizio come esercente la responsabilità genitoriale sulle minori e il Tribunale non ha ritenuto di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle stesse. Non sarebbe, quindi, chiara la fattispecie sottoposta all’esame del Tribunale, tanto da non consentire di comprendere l’individuazione delle norme censurate, quali norme applicabili nel giudizio principale. 2.1.1.– L’eccezione è priva di fondamento. Nell’ordinanza di rimessione emerge chiaramente che le domande, proposte nel giudizio principale dalla ricorrente sulla base degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, oltre che, in subordine, dell’art. 250 cod. civ., mirano alla tutela delle minori, proprio perché volte a consentire l’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti delle stesse anche da parte della madre intenzionale, in virtù del riconoscimento formale dello status di figlie dalla stessa auspicato. Il rimettente chiarisce che si tratta di una richiesta orientata a garantire stabilità nel rapporto genitoriale, impostato in modo continuativo fin dalla nascita delle bambine e tale da non arrecare pregiudizio alle stesse. Si fa riferimento all’intervento, pur infruttuoso, del Tribunale per i minorenni, a seguito della brusca interruzione di contatti regolari, causata dalla madre biologica, con l’insorgere di una situazione conflittuale all’interno della coppia, di ogni rapporto tra le medesime minori e la madre intenzionale, nonostante il consolidato legame affettivo fra le stesse. Il riconoscimento dello status di figlio, oggetto delle norme censurate, corrisponde, secondo l’art. 30 Cost., al dovere di cura del genitore che è, al contempo, garanzia del diritto del minore di essere curato. Tanto basta per ritenere che gli argomenti del rimettente non siano implausibili nell’individuare come oggetto del giudizio che lo occupa il diritto delle minori a essere riconosciute figlie di entrambe le madri, in linea con l’indirizzo costante di questa Corte, che, nel delibare l’ammissibilità della questione, effettua in ordine alla rilevanza solo un controllo esterno”, applicando un parametro di non implausibilità della relativa motivazione sentenza n. 267 del 2020 nello stesso senso, sentenze n. 224 e n. 32 del 2020 . 2.2.– La difesa statale eccepisce, inoltre, l’inammissibilità delle questioni per aberratio ictus. L’ostacolo giuridico all’accoglimento della domanda della ricorrente nel giudizio principale, volta al riconoscimento dello status di figlie nei confronti delle bambine nate a seguito di PMA eterologa praticata da una coppia di donne, risiederebbe non già nelle disposizioni censurate, ma nelle norme della medesima legge n. 40 del 2004 che fissano i limiti all’accesso alla PMA eterologa, contenute negli artt. 4 e 5 della legge n. 40 del 2004, non oggetto di censure. 2.2.1.– Anche questa eccezione è priva di fondamento. Il rimettente premette che la domanda proposta, in prima istanza, dalla ricorrente è proprio quella di riconoscere lo status di figlie delle minori, applicando estensivamente gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, muovendo dal loro tenore letterale. L’art. 8, infatti, si limita a stabilire che i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti dalla coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’art. 6 , il che vuol dire prestando il consenso informato. L’art. 9, inoltre, sanciva il divieto del disconoscimento della paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità nel caso di fecondazione eterologa, anche quando quest’ultima non era ancora consentita prima dell’intervento di questa Corte con la sentenza n. 162 del 2014 . Il Tribunale di Padova, tuttavia, afferma di non poter accogliere l’istanza della ricorrente, ritenendo che l’ambito di applicazione delle citate disposizioni, sulla base dell’interpretazione sistematica e logica delle stesse e a seguito della sentenza n. 237 del 2019 di questa Corte, sia implicitamente limitato ai nati da PMA eterologa praticata da coppie di sesso diverso, in base a quanto previsto dall’art. 5 della medesima legge n. 40 del 2004. Il rimettente, però, rileva che, sebbene la fecondazione eterologa fra coppie dello stesso sesso non sia consentita in Italia per una scelta del legislatore non costituzionalmente censurabile sentenza n. 221 del 2019 , essa è comunque praticata e praticabile in altri Paesi. I nati a seguito del ricorso a queste tecniche sono, dunque, titolari di diritti, indipendentemente dalle modalità del loro concepimento. Il rimettente non contesta la legittimità costituzionale dei limiti posti alle coppie omosessuali nell’accesso alla PMA. Denuncia, piuttosto, l’illegittimità costituzionale della compressione dei diritti dei nati, su cui si farebbe ricadere la responsabilità inerente all’illiceità delle tecniche adottate nella procreazione. Poiché ricorre l’inammissibilità delle questioni per aberratio ictus solo ove sia erroneamente individuata la norma in riferimento alla quale sono formulate le censure di illegittimità costituzionale sentenza n. 224 del 2020 , si deve ritenere che questo non accada nel caso qui esaminato. Il Collegio rimettente correttamente censura gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, poiché da essi si desume l’impossibilità di riconoscere lo status di figli ai nati da PMA eterologa, praticata da una coppia di donne, e da essi si fa discendere il vuoto di tutela, quando si manifesta il dissenso della madre biologica all’accesso della madre intenzionale all’adozione in casi particolari, con conseguente pretesa lesione degli indicati parametri costituzionali. 2.3.– Gli argomenti appena richiamati inducono a escludere un ulteriore profilo – pur non eccepito – di inammissibilità, inerente alla mancata sperimentazione dell’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, auspicata dalla ricorrente nel giudizio principale. 2.3.1.– Come già sottolineato, il Collegio rimettente muove dalla verifica della possibilità di un’interpretazione dei citati artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004, che consenta di assicurare la tutela dei nati a seguito del ricorso a tecniche di PMA eterologa da parte di due donne, effettuato all’estero, riconoscendo loro lo status di figli di entrambe. La ritiene, tuttavia, impraticabile muovendo da un’interpretazione sistematica e logica, poiché allo stato della legislazione, il requisito soggettivo della diversità di sesso per accedere alla procreazione medicalmente assistita , prescritto dall’art. 5 della legge n. 40 del 2004, ma anche letto [] in relazione alle norme del codice civile sulla filiazione, esclude l’opzione ermeneutica proposta dalla ricorrente . L’interpretazione accolta dal Collegio rimettente, peraltro, è stata successivamente confermata dalla giurisprudenza di legittimità Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 aprile 2020, n. 8029, e sentenza 3 aprile 2020, n. 7668 . Alcune pronunce di merito l’hanno, invece, disattesa, proprio in considerazione della preminente esigenza, costituzionalmente garantita, di tutelare la condizione giuridica del nato, conferendogli, da principio, certezza e stabilità , tenendo distinta la questione relativa allo stato del figlio da quella inerente alla liceità della tecnica prescelta per farlo nascere fra gli altri, Tribunale di Brescia, decreto 11 novembre 2020, Tribunale di Cagliari, sentenza n. 1146 del 28 aprile 2020. In termini analoghi, Corte d’appello di Roma, decreto 27 aprile 2020 . In ogni caso, l’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa denunciata è stata esplorata e consapevolmente scartata dal Collegio rimettente, il che basta ai fini dell’ammissibilità della questione sentenza n. 189 del 2019 sentenza n. 32 del 2020 . 2.4.– La difesa statale eccepisce, infine, che le questioni sollevate dal Tribunale di Padova siano inammissibili, poiché le integrazioni alla disciplina vigente, richieste dal giudice a quo, sarebbero protese a colmare un vuoto di tutela in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità del legislatore. 2.4.1.– L’eccezione è fondata nei termini di seguito precisati. 2.4.1.1.– In epoca antecedente all’adozione della legge n. 40 del 2004, in relazione a una questione inerente alla tutela dello status filiationis del concepito tramite fecondazione eterologa, ancora non disciplinata, questa Corte ha evidenziato una situazione di carenza dell’attuale ordinamento, con implicazioni costituzionali sentenza n. 347 del 1998 . Senza addentrarsi nel valutare la legittimità di quella tecnica, è stata in quell’occasione espressa l’urgenza di individuare idonei strumenti di tutela del nato a seguito di fecondazione assistita, non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità diritti che è compito del legislatore specificare sentenza n. 347 del 1998 . Gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 stanno a dimostrare che, nell’ascoltare quel monito, il legislatore ha inteso definire lo status di figlio del nato da PMA anche eterologa, ancor prima che fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale del relativo divieto sentenza n. 162 del 2014 . Nel fondare un progetto genitoriale comune, i soggetti maggiorenni che, all’interno di coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi, avessero consensualmente fatto ricorso a PMA art. 5 della legge n. 40 del 2004 , divenivano, per ciò stesso, responsabili nei confronti dei nati, destinatari naturali dei doveri di cura, pur in assenza di un legame biologico. L’evoluzione dell’ordinamento, del resto, muovendo dalla nozione tradizionale di famiglia, ha progressivamente riconosciuto – e questa Corte lo ha evidenziato – rilievo giuridico alla genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica sentenza n. 272 del 2017 , tenuto conto che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa sentenza n. 162 del 2014 . L’art. 9 della legge n. 40 del 2004, nel valorizzare, rispetto al favor veritatis, il consenso alla genitorialità e l’assunzione della conseguente responsabilità nell’ambito di una formazione sociale idonea ad accogliere il minore – come questa Corte ha rimarcato – dimostra la volontà di tutelare gli interessi del figlio , garantendo il consolidamento in capo al figlio di una propria identità affettiva, relazionale, sociale, da cui deriva l’interesse a mantenere il legame genitoriale acquisito, anche eventualmente in contrasto con la verità biologica della procreazione sentenza n. 127 del 2020 . A questo intervento del legislatore hanno fatto seguito, in progressione armonica, le modifiche successivamente apportate dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 in tema di filiazione. Al centro si pongono i diritti del minore crescere in famiglia e [] mantenere rapporti significativi con i parenti art. 315-bis cod. civ. mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, [] ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi art. 337-ter cod. civ. . Parallelamente, al posto dell’originario istituto della potestà genitoriale si introduce la responsabilità genitoriale art. 316 cod. civ. , che recepisce l’indicazione dell’art. 30 Cost., nella formula sintetica, già da tempo espressamente individuata da questa Corte, volta a tradurre” gli obblighi di mantenimento ed educazione della prole, derivanti dalla qualità di genitore sentenza n. 308 del 2008 nello stesso senso sentenza n. 394 del 2005 . L’evoluzione dell’ordinamento segna dunque un’ancor più accentuata consonanza con i diritti sanciti nella Costituzione. Inoltre, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, all’art. 24, comma 2, si afferma che è preminente” la considerazione dell’interesse del minore in tutti gli atti che lo riguardano. In questa direzione, proprio con riferimento a tale disposizione, si è orientata anche la Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha affermato il diritto dei figli di mantenere relazioni regolari e contatti diretti con entrambi i genitori, se questo corrisponde al loro interesse sentenza 5 ottobre 2010, in causa C-400/10 PPU, J. McB. . 2.4.1.2.– Come questa Corte ha già ricordato sentenza n. 102 del 2020 , il principio posto a tutela del miglior interesse del minore si afferma nell’ambito degli strumenti internazionali dei diritti umani, in specie nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1959 principio 2 , in cui si prevede che, nell’approvazione di leggi e nell’adozione di tutti i provvedimenti che incidano sulla condizione del minore, ai best interests of the child deve attribuirsi rilievo determinante paramount consideration” . Successivamente esso è ribadito nella Convenzione sui diritti del fanciullo, in cui, all’art. 3, paragrafo 1, si fa menzione del rilievo preminente primary consideration” da riservare agli interessi del minore. Pur in assenza di una espressa base testuale riferita al minore, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ricondotto all’art. 8, spesso in combinato disposto con l’art. 14 CEDU, l’affermazione che i diritti alla vita privata e familiare del fanciullo devono costituire un elemento determinante di valutazione the child’s rights must be the paramount consideration Corte EDU, sezione seconda, sentenza 5 novembre 2002, Yousef contro Paesi Bassi sezione prima, sentenza 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo, paragrafo 133 Bearing in mind that the best interests of the child are paramount in such a case grande camera, sentenza del 26 novembre 2013, X contro Lettonia, paragrafo 95 the best interests of the child must be of primary consideration . Questa è la prospettiva prescelta dalla Corte EDU per riconoscere la permanenza e la stabilità dei legami che si instaurano tra il bambino e la sua famiglia e per salvaguardare il suo diritto a beneficiare di relazioni e contatto continuativo con entrambi i genitori Corte EDU, grande camera, sentenza 10 settembre 2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, paragrafo 202 . A meno che un distacco si renda necessario nel suo superiore interesse, di volta in volta rimesso alla valutazione del giudice, il minore non deve essere separato dai genitori contro la sua volontà Corte EDU, grande camera, sentenza 10 settembre 2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, paragrafo 207 . Incombe, infatti, sugli Stati aderenti alla Convenzione di New York art. 9, paragrafo 1 l’obbligo di rendere effettivi tali diritti e di garantire art. 9, paragrafo 3 la stabilità dei legami e delle relazioni del minore in riferimento a tutte le persone con cui quest’ultimo abbia instaurato un rapporto personale stretto, pur in assenza di un legame biologico persons with whom the child has had strong personal relationships così il paragrafo 64 del General Comment No. 14 2013 on the right of the child to have his or her best interests taken as a primary consideration art. 3, para. 1 , adottato dal Comitato sui diritti del fanciullo il 29 maggio 2013, CRC/C/GC/14 una simile affermazione anche nel paragrafo 60 dello stesso documento a meno che ciò non sia contrario ai suoi superiori interessi. La Corte EDU ha ripetutamente ricondotto all’art. 8 CEDU la garanzia di legami affettivi stabili con chi, indipendentemente dal vincolo biologico, abbia in concreto svolto una funzione genitoriale, prendendosi cura del minore per un lasso di tempo sufficientemente ampio Corte EDU, sezione prima, sentenza del 16 luglio 2015, Nazarenko contro Russia, paragrafo 66 . Ha inoltre assimilato al rapporto di filiazione il legame esistente tra la madre d’intenzione e la figlia nata per procreazione assistita, cui si era sottoposta l’allora partner legame che tient donc, de facto, du lien parent-enfant , coerentemente con la nozione di vita familiare” di cui al medesimo art. 8 CEDU Corte EDU, sezione quinta, sentenza 12 novembre 2020, Honner contro Francia, paragrafo 51 . La considerazione che la tutela del preminente interesse del minore comprende la garanzia del suo diritto all’identità affettiva, relazionale, sociale, fondato sulla stabilità dei rapporti familiari e di cura e sul loro riconoscimento giuridico è, inoltre, al centro delle stesse pronunce gemelle” Corte EDU, sezione quinta, sentenze 26 giugno 2014, Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia , richiamate dall’odierno rimettente. In esse la Corte EDU ha ravvisato la violazione del diritto alla vita privata del minore nel mancato riconoscimento del legame di filiazione tra lo stesso, concepito all’estero ricorrendo alla specifica tecnica della surrogazione di maternità, e i genitori intenzionali, proprio in considerazione dell’incidenza del rapporto di filiazione sulla costruzione dell’identità personale Corte EDU, sezione quinta, sentenze 26 giugno 2014, Mennesson contro Francia, paragrafo 96, e Labassee contro Francia, paragrafo 75 . Tale indirizzo – confermato da successive pronunce fra le altre, Corte EDU, sezione quinta, sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia che hanno richiamato il parere consultivo reso, ai sensi del Protocollo n. 16, dalla Corte EDU, grande camera, il 10 aprile 2019, relativo al riconoscimento nel diritto interno di un rapporto di filiazione tra un minore nato da una gestazione per altri effettuata all’estero e la madre intenzionale, richiesto dalla Corte di cassazione francese – fonda proprio nell’art. 8 CEDU l’obbligo degli Stati di prevedere il riconoscimento legale del legame di filiazione tra il minore e i genitori intenzionali. Pur lasciando agli stessi un margine di discrezionalità circa i mezzi da adottare – fra cui anche l’adozione – per pervenire a tale riconoscimento, li vincola alla condizione che essi siano idonei a garantire la tutela dei diritti dei minori in maniera piena. Se il rapporto di filiazione è già diventato una realtà pratica , la procedura prevista per il riconoscimento deve essere attuata in modo tempestivo ed efficace . L’identità del minore è dunque incisa quale componente della sua vita pivata, identità che il legame di filiazione rafforza in modo significativo. Tutte queste precisazioni aggiungono chiarezza al riscontro che la Corte EDU opera di ogni elemento volto a rafforzare la tutela dei minori dentro un perimetro di diritti concretamente azionabili, che si traducono in altrettanti obblighi degli Stati a intervenire se la tutela non è effettiva. 2.4.1.3.– Le norme oggetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova riguardano, come si è detto, la condizione di nati a seguito di PMA eterologa praticata in un altro paese, in conformità alla legge dello stesso, da una donna, che aveva intenzionalmente condiviso il progetto genitoriale con un’altra donna e, per un lasso di tempo sufficientemente ampio, esercitato le funzioni genitoriali congiuntamente, dando vita con le figlie minori a una comunità di affetti e di cure. La circostanza che ha indotto la madre biologica a recidere un tale legame nei confronti della madre intenzionale, coincidente con il manifestarsi di situazioni conflittuali all’interno della coppia, ha reso affatto evidente un vuoto di tutela. Pur in presenza di un rapporto di filiazione effettivo, consolidatosi nella pratica della vita quotidiana con la medesima madre intenzionale, nessuno strumento può essere utilmente adoprato per far valere i diritti delle minori il mantenimento, la cura, l’educazione, l’istruzione, la successione e, più semplicemente, la continuità e il conforto di abitudini condivise. L’elusione del limite stabilito dall’art. 5 della legge n. 40 del 2004, come già detto, non evoca scenari di contrasto con principi e valori costituzionali. Questa Corte ha già avuto occasione di affermare, in linea con la giurisprudenza di legittimità in materia di accesso alla PMA, che, da un lato, non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, pur spettando alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina dall’altro, non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore sentenza n. 221 del 2019 . Al contrario, la concomitanza degli eventi prima descritti, svela una preoccupante lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi, a fronte di quanto in forte sintonia affermato dalla giurisprudenza delle due corti europee, oltre che dalla giurisprudenza costituzionale, come necessaria permanenza dei legami affettivi e familiari, anche se non biologici, e riconoscimento giuridico degli stessi, al fine di conferire certezza nella costruzione dell’identità personale. Nell’escludere l’esistenza di un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso, questa Corte sentenza n. 230 del 2020 ha lasciato emergere un profilo speculare, direttamente inerente alla tutela del miglior interesse del minore, nato a seguito di PMA praticata da due donne. Pur richiamando gli approdi della giurisprudenza di legittimità, che, al fine di evitare un vulnus, ha ritenuto applicabile l’adozione cosiddetta non legittimante in base a un’interpretazione estensiva dell’art. 44, comma 1, lettera d , della legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore, questa Corte ha preannunciato l’urgenza di una diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la madre intenzionale”, che ne attenui il divario tra realtà fattuale e realtà legale , invocando l’intervento del legislatore. Le questioni sollevate dal Tribunale di Padova confermano, in modo ancor più incisivo, l’impellenza di tale intervento. Esse rivelano in maniera tangibile l’insufficienza del ricorso all’adozione in casi particolari, per come attualmente regolato, tant’è che nello specifico caso è resa impraticabile proprio nelle situazioni più delicate per il benessere del minore, quali sono, indubitabilmente, la crisi della coppia e la negazione dell’assenso da parte del genitore biologico/legale, reso necessario dall’art. 46 della medesima legge n. 184 del 1983. La previsione di tale necessario assenso, d’altro canto, si lega alle caratteristiche peculiari dell’adozione in casi particolari, che opera in ipotesi tipiche e circoscritte, producendo effetti limitati, visto che non conferisce al minore lo status di figlio legittimo dell’adottante, non assicura la creazione di un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante considerata l’incerta incidenza della modifica dell’art. 74 cod. civ. operata dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali e non interrompe i rapporti con la famiglia d’origine. Da quanto detto risulta evidente che i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Essi, destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi. La loro condizione rivela caratteri solo in parte assimilabili a un’altra categoria di nati cui, per molti anni, è stato precluso il riconoscimento dello status di figli i cosiddetti figli incestuosi , destinatari di limitate forme di tutela, a causa della condotta dei genitori. Ciò ha indotto questa Corte a ravvisare una capitis deminutio perpetua e irrimediabile , lesiva del diritto al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, che è elemento costitutivo dell’identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall’art. 2 della Costituzione , e in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza sentenza n. 494 del 2002 . 2.4.1.4.– Al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore, che ha pieno riscontro nei richiamati principi costituzionali, questa Corte ritiene di non poter ora porre rimedio. Serve, ancora una volta, attirare su questa materia eticamente sensibile l’attenzione del legislatore, al fine di individuare, come già auspicato in passato, un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana sentenza n. 347 del 1998 . Un intervento puntuale di questa Corte rischierebbe di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato. Il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, dovrà al più presto colmare il denunciato vuoto di tutela, a fronte di incomprimibili diritti dei minori. Si auspica una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale. In via esemplificativa, può trattarsi di una riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento, ovvero dell’introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione. Solo un intervento del legislatore, che disciplini in modo organico la condizione dei nati da PMA da coppie dello stesso sesso, consentirebbe di ovviare alla frammentarietà e alla scarsa idoneità degli strumenti normativi ora impiegati per tutelare il miglior interesse del minore”. Esso, inoltre, eviterebbe le disarmonie” che potrebbero prodursi per effetto di un intervento mirato solo a risolvere il problema specificamente sottoposto all’attenzione di questa Corte. Come nel caso in cui si preveda, per il nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, il riconoscimento dello status di figlio, in caso di crisi della coppia e rifiuto dell’assenso all’adozione in casi particolari, laddove, invece, lo status – meno pieno e garantito – di figlio adottivo, ai sensi dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983, verrebbe a essere riconosciuto nel caso di accordo e quindi di assenso della madre biologica alla adozione. Il terreno aperto all’intervento del legislatore è dunque assai vasto e le misure necessarie a colmare il vuoto di tutela dei minori sono differenziate e fra sé sinergiche. Nel dichiarare l’inammissibilità della questione ora esaminata, per il rispetto dovuto alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario, questa Corte non può esimersi dall’affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore, riscontrato in questa pronuncia. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita e 250 del codice civile, sollevate – in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU , firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – dal Tribunale ordinario di Padova, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Corte Costituzionale, sentenza 27 gennaio - 9 marzo 2021, n. 33 Presidente Coraggio – Redattore Viganò Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 29 aprile 2020, la Corte di cassazione, sezione prima civile, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo CEDU , agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , dell’art. 64, comma 1, lettera g , della legge 31 maggio 1995, n. 218 Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato e dell’art. 18 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127 , nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri altrimenti detta maternità surrogata” del c.d. genitore d’intenzione non biologico . 1.1.– Secondo quanto espone il giudice a quo, il caso che ha dato origine al giudizio riguarda un bambino nato nel 2015 in Canada da una donna nella quale era stato impiantato un embrione formato con i gameti di una donatrice anonima e di un uomo di cittadinanza italiana P. F. , unito in matrimonio in Canada – con atto poi trascritto in Italia nel registro delle unioni civili – con altro uomo, pure di cittadinanza italiana F. B. , con il quale aveva condiviso il progetto genitoriale. Al momento della nascita del bambino, le autorità canadesi avevano formato un atto di nascita che indicava come genitore il solo P. F., mentre non erano stati menzionati né F. B., né la madre surrogata che aveva partorito il bambino, né la donatrice dell’ovocita. Accogliendo il ricorso dei due uomini, nel 2017 la Corte Suprema della British Columbia aveva dichiarato che entrambi i ricorrenti dovevano essere considerati genitori del bambino, e aveva disposto la corrispondente rettifica dell’atto di nascita in Canada. I due uomini avevano quindi chiesto all’ufficiale di stato civile italiano di rettificare anche l’atto di nascita del bambino in Italia, sulla base del provvedimento della Corte Suprema della British Columbia. In seguito al rifiuto opposto a tale richiesta, essi avevano chiesto alla Corte d’appello di Venezia il riconoscimento del provvedimento canadese in Italia ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218 del 1995. Nel 2018 la Corte d’appello di Venezia aveva accolto il ricorso, riconoscendo l’efficacia in Italia del provvedimento. L’Avvocatura dello Stato aveva tuttavia interposto ricorso per cassazione nell’interesse del Ministero dell’interno e del Sindaco del Comune ove era stato trascritto l’originario atto di nascita del minore. 1.2.– Investita di tale ricorso, la prima sezione civile della Corte di cassazione prende atto che nel frattempo è stata depositata la sentenza delle Sezioni unite civili 8 maggio 2019, n. 12193, la quale ha affermato il principio secondo cui non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che riconosca il rapporto di genitorialità tra un bambino nato in seguito a maternità surrogata e il genitore d’intenzione”. Secondo le Sezioni unite, tale riconoscimento troverebbe infatti ostacolo insuperabile nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione. Tuttavia, la Sezione rimettente dubita della compatibilità di tale principio di diritto, costituente diritto vivente, con una pluralità di parametri costituzionali. 1.3.– Anzitutto, il divieto di riconoscimento in esame violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai diritti del minore al rispetto della propria vita privata e familiare art. 8 CEDU , a non subire discriminazioni, a vedere preso in considerazione preminente il proprio interesse, a essere immediatamente registrato alla nascita e ad avere un nome, a conoscere i propri genitori, a essere da loro allevato e a non esserne separato rispettivamente, artt. 2, 3, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo , al principio della responsabilità comune dei genitori per l’educazione e la cura del figlio art. 18 della medesima Convenzione , nonché ai diritti riconosciuti dall’art. 24 CDFUE. La sussistenza di tali violazioni si desumerebbe in particolare, secondo la Corte rimettente, dal parere consultivo della grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, reso su richiesta della Corte di cassazione francese il 10 aprile 2019, con il quale si è affermato, da un lato, che il diritto al rispetto della vita privata del bambino, ai sensi dell’art. 8 CEDU, richiede che il diritto nazionale offra una possibilità di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore d’intenzione e, dall’altro, che tale riconoscimento non comporta necessariamente l’obbligo di trascrivere l’atto di nascita straniero nei registri dello stato civile, ben potendo il diritto al rispetto della vita privata del minore essere tutelato anche per altra via, e in particolare mediante l’adozione da parte del genitore d’intenzione, a condizione però che le modalità di adozione previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità di tale procedura, conformemente all’interesse superiore del bambino. Secondo la Sezione rimettente, l’attuale diritto vivente in Italia non sarebbe adeguato rispetto agli standard di tutela dei diritti del minore stabiliti in sede convenzionale, dal momento che la possibilità del ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari da parte del genitore d’intenzione”, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d , della legge 4 maggio 1983 n. 184 Diritto del minore ad una famiglia , riconosciuta dalle Sezioni unite civili nella richiamata sentenza n. 12193 del 2019, non creerebbe un vero rapporto di filiazione . Tale forma di adozione porrebbe infatti il genitore non biologico in una situazione di inferiorità rispetto al genitore biologico non creerebbe legami parentali con i congiunti dell’adottante ed escluderebbe il diritto a succedere nei loro confronti e non garantirebbe, comunque, quella tempestività del riconoscimento del rapporto di filiazione che è richiesta dalla Corte EDU nell’interesse del minore. D’altra parte, l’adozione in casi particolari resterebbe rimessa alla volontà del genitore d’intenzione”, lasciando così aperta la possibilità per quest’ultimo di sottrarsi all’assunzione di responsabilità già manifestata e legittimata nel paese in cui il minore è nato e sarebbe, altresì, condizionata all’assenso all’adozione da parte del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo in caso di crisi della coppia. 1.4.– Il diritto vivente cristallizzato dalla pronuncia delle Sezioni unite risulterebbe, altresì, contrastante con gli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., dai quali si evincerebbero – in materia di filiazione – i principi di uguaglianza, non discriminazione, ragionevolezza e proporzionalità. Sarebbe infatti violato il diritto del minore all’inserimento e alla stabile permanenza nel proprio nucleo familiare, inteso come formazione sociale tutelata dalla Carta costituzionale, nonché il diritto alla stessa identità del minore, senza che tale violazione possa ritenersi giustificata nell’ottica di tutela della madre surrogata”, che non trarrebbe comunque alcun vantaggio dal mancato riconoscimento del rapporto di filiazione tra il bambino e il genitore d’intenzione. In secondo luogo, il figlio nato da maternità surrogata sarebbe discriminato rispetto a ogni altro bambino, in conseguenza di circostanze delle quali egli non porta alcuna responsabilità. Sarebbe, altresì, irragionevole consentire di riconoscere il rapporto di genitorialità in capo al genitore biologico e non a quello d’intenzione”, posto che il primo – avendo fornito i propri gameti nella formazione dell’embrione – sarebbe ancor più coinvolto nella pratica procreativa, dalla cui illiceità nel nostro ordinamento deriva l’asserita contrarietà all’ordine pubblico italiano del riconoscimento dello status di genitore del padre d’intenzione”. Infine, sarebbe irragionevole precludere al giudice la possibilità di valutare caso per caso l’interesse del minore al riconoscimento del legame con il genitore d’intenzione”, con ciò sacrificandosi automaticamente la tutela dei diritti del bambino per condannare il comportamento dei genitori sono citate le sentenze di questa Corte n. 7 del 2013, n. 31 del 2012 e n. 494 del 2002 . 2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate. 2.1.– L’inammissibilità discenderebbe a dall’erronea assunzione a parametro interposto del giudizio di costituzionalità del parere consultivo della Corte EDU, non vincolante e reso in base al Protocollo n. 16 alla CEDU, che non è stato ratificato dall’Italia b dall’omessa sperimentazione dell’interpretazione conforme a fronte del novum costituito dal parere della Corte EDU, la Sezione rimettente avrebbe potuto e dovuto investire nuovamente della questione le sezioni unite, ai sensi dell’art. 374, terzo comma, del codice di procedura civile, invece di promuovere l’incidente di costituzionalità. 2.2.– Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate. 2.2.1.– Le conclusioni cui sono pervenute le sezioni unite della Corte di cassazione nella richiamata sentenza n. 12193 del 2019 non sarebbero contraddette dal parere della Corte EDU, che, pur affermando la necessità del riconoscimento del rapporto tra il minore nato all’estero tramite surrogazione di maternità e il genitore d’intenzione, riconosce un margine di apprezzamento degli Stati contraenti sulla scelta delle modalità di tale riconoscimento trascrizione dell’atto di nascita straniero nei registri di stato civile oppure adozione . 2.2.2.– Per altro verso, l’adozione ex art. 44, primo comma, lettera d , della legge n. 184 del 1983 non configurerebbe un procedimento più lungo o complesso rispetto al riconoscimento dell’atto o provvedimento straniero e alla sua trascrizione nei registri di stato civile italiani, che presupporrebbe pur sempre l’attivazione di un procedimento giurisdizionale in caso di rifiuto di annotazione da parte dell’ufficiale di stato civile. 2.2.3.– Le norme censurate, nell’interpretazione offertane dalle sezioni unite della Corte di cassazione, sarebbero poi pienamente conformi agli orientamenti espressi da questa Corte nelle sentenze n. 221 del 2019 che ha ritenuto non contrastante con la Costituzione la preclusione, per le coppie dello stesso sesso, all’accesso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e n. 237 del 2019 che ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma che si desume dagli artt. 250 e 449 del codice civile, 29, comma 2, e 44, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000, 5 e 8 della legge n. 40 del 2004, censurata nella parte in cui non consentiva, ad avviso del rimettente, la formazione in Italia di un atto di nascita in cui venissero riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso . Nemmeno nella sentenza n. 162 del 2014 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa in caso di patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili – questa Corte avrebbe mai messo in discussione la legittimità del divieto di surrogazione di maternità di cui all’art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004. La stessa sezione prima civile della Corte di cassazione, in una pronuncia coeva all’ordinanza di rimessione sentenza 22 aprile 2020, n. 8029 , si sarebbe conformata ai principi stabiliti dalle Sezioni unite nella sentenza n. 12193 del 2019. 2.2.4.– Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, della Corte EDU e della Corte di cassazione, pertanto, le norme censurate dalla Sezione rimettente non lederebbero alcuno dei parametri costituzionali invocati non l’art. 2, da cui non discenderebbe alcun diritto alla genitorialità, inteso come aspirazione a procreare e a crescere dei figli non l’art. 3, per l’incomparabilità tra la condizione di sterilità o infertilità delle coppie eterosessuali cui è consentita la procreazione medicalmente assistita, e la condizione di fisiologica infertilità delle coppie omosessuali non gli artt. 30 e 31 Cost., poiché la tutela dell’interesse del minore non potrebbe essere affidata alla pratica della surrogazione di maternità, offensiva della dignità della donna e lesiva delle relazioni umane non, infine, gli artt. 117, primo comma, Cost. e 8 CEDU, alla luce della sentenza della Corte EDU, grande camera, del 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, che ha ritenuto insufficiente, per l’accertamento di un legame di vita familiare , la mera esistenza di un progetto genitoriale, in assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori. 2.2.5.– Non sussisterebbe, infine, alcuna discriminazione in base all’orientamento sessuale, atteso che la surrogazione di maternità è vietata tanto alle coppie eterosessuali, quanto a quelle omosessuali. 2.2.6.– Né indicazioni di segno contrario si potrebbero trarre dagli artt. 12 CEDU e 9 CDFUE, che, nel riconoscere il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, demandano alle legislazioni nazionali il compito di disciplinare tali diritti. La scelta del legislatore italiano di non equiparare unioni civili e matrimonio, per quanto concerne la filiazione, riposerebbe sull’esigenza di fornire adeguata tutela ai best interests del minore e si collocherebbe pienamente nel solco della giurisprudenza costituzionale, che ha da un lato escluso che l’aspirazione al riconoscimento giuridico dell’unione omosessuale possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione al matrimonio sentenza n. 138 del 2010 , e dall’altro lato ha posto l’accento sull’ elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità sentenza n. 272 del 2017 . 2.2.7.– Quanto all’art. 24 CDFUE, parimenti assunto a parametro interposto, non si rinverrebbe nell’ordinanza alcuna disamina specifica in relazione a tale profilo. 3.– Si sono costituiti in giudizio F. B. e P. F., in proprio e in qualità di genitori del minore P. B.F., chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione ed evidenziando come il riconoscimento degli interessi preminenti del minore, consacrato dalle fonti costituzionali e pattizie, faccia parte di un patrimonio comune del costituzionalismo contemporaneo, che non può non essere partecipato anche dal nostro ordinamento . Tali interessi risulterebbero irragionevolmente pregiudicati – con violazione degli artt. 2, 3, 30, 31, 117, primo comma, Cost., 8 e 14 CEDU – dalla disciplina censurata, che impedisce al giudice di compiere il bilanciamento più opportuno in ciascun caso concreto a salvaguardare tutti gli interessi in gioco, non essendo costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sugli interessi del minore è richiamata la sentenza di questa Corte n. 272 del 2017 . 4.– J.E. N., madre gestazionale del minore P. B.F., ha spiegato intervento ad adiuvandum, dichiarato inammissibile da questa Corte con ordinanza n. 271 del 2020. 5.– Sono state depositate varie opinioni scritte ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Con decreto del Presidente della Corte del 2 dicembre 2020, tutte le opinioni sono state ammesse, tranne quella presentata dalla Rete Italiana contro l’Utero in Affitto, in difetto di allegazioni e produzioni documentali atte a dimostrare il possesso dei requisiti di legittimazione richiesti dal comma 1 del richiamato art. 4-ter. 5.1.– Con l’opinione presentata l’11 settembre 2020, l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica a.p.s. e l’Associazione radicale Certi Diritti a.p.s. auspicano l’accoglimento delle questioni, che non porrebbero in discussione il divieto di maternità surrogata vigente nell’ordinamento italiano, ma riguarderebbero unicamente lo status del minore nato attraverso tale pratica. La preclusione al riconoscimento dello status filiationis costituito all’estero tramite surrogazione di maternità avrebbe effetti punitivi e discriminatori in danno di un soggetto terzo incolpevole, ossia il minore. Le norme censurate sarebbero inoltre affette da irrazionalità per inappropriatezza ed inefficacia , poiché il dato sociale dimostrerebbe l’ampia diffusione del fenomeno della genitorialità delle coppie dello stesso sesso e la valutazione complessiva pubblica in termini di normalità, di pregi e di difetti, di positivo e negativo, come per tutte le coppie . In subordine, le associazioni sollecitano una pronuncia di inammissibilità o infondatezza delle questioni, basata sulla possibilità di interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina censurata. 5.2.– Con l’opinione presentata il 14 settembre 2020, l’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie ANFAA auspica invece la reiezione delle questioni, osservando che l’istituto dell’adozione, disciplinato dalla legge n. 184 del 1983, realizza il diritto del minore ad avere una famiglia, nell’ambito di un procedimento che impone una previa rigorosa verifica dell’idoneità dei genitori affidatari e adottivi e nel quadro di un sistema che prevede severe sanzioni penali a presidio del rispetto delle procedure di adozione. La maternità surrogata, non imponendo alcuna verifica sull’idoneità degli aspiranti genitori e consentendo una sorta di compravendita del minore, attuata attraverso lo sfruttamento delle madri gestazionali, sarebbe invece fenomeno assimilabile al traffico di minori, come tale meritevole di essere disincentivato e represso. 5.3.– Con l’opinione presentata il 14 settembre 2020, anche l’Associazione Amici dei Bambini Ai.Bi. , l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e l’associazione Famiglie per l’Accoglienza ritengono che la repressione penale della maternità surrogata non sia contraria all’interesse del minore, ma intenda, al contrario, tutelarlo, proteggendo la relazione con la madre, che, invece, la surrogazione mira intenzionalmente a interrompere. L’interesse del minore si realizzerebbe attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando – nel solo caso di abbandono del minore, o di incapacità della famiglia d’origine a garantirne la cura – all’adozione, attuata con le garanzie del procedimento giurisdizionale e previa puntuale verifica dell’idoneità degli aspiranti genitori adottivi, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal dato biologico. Tali elementi di garanzia per il minore sarebbero assenti nella surrogazione di maternità, la cui legittimazione – tramite il riconoscimento dello status filiationis costituito all’estero mediante il ricorso a detta pratica – rischierebbe di indebolire la capacità del corpo sociale ad apprestare sostegno, tramite gli istituti dell’affidamento e della adozione, a minori che risultano privi di una adeguata famiglia di origine . 5.4.– Con l’opinione presentata il 15 settembre 2020, l’Avvocatura per i diritti LGBTI a.p.s. auspica invece l’accoglimento delle questioni, sottolineando la necessità di distinguere tra divieto di surrogazione di maternità e tutela del nato a seguito del ricorso a tale pratica. Dalla giurisprudenza costituzionale si trarrebbe il principio per cui, al di là delle scelte che i genitori possono compiere anche in violazione della legge italiana, l’interesse primario da salvaguardare deve rimanere quello del nato al riconoscimento formale del proprio status filiationis, elemento costitutivo della sua identità personale protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della Convenzione dei diritti del fanciullo del 1989, anche dagli artt. 2, 30 e 31 della Costituzione . Le conclusioni cui sono pervenute le sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 12193 del 2019 si porrebbero in contrasto con la stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui il divieto della gestazione per altri non preclude al giudice di valutare nel singolo caso la sussistenza dell’interesse del minore a mantenere il proprio status nei confronti del genitore che non vanti con esso alcun legame biologico è citata la sentenza n. 272 del 2017 . Ciò tanto più che la legge n. 40 del 2004, pur vietando la surrogazione di maternità, nulla dispone quanto alle conseguenze per il nato da tale pratica. Occorrerebbe infine considerare come altri ordinamenti, come quello francese e tedesco, pur vietando la gestazione per altri, apprestino tutela al minore nato dal ricorso a tale pratica, consentendo la trascrizione degli atti di nascita stranieri che indichino una doppia paternità. 6.– Con articolata memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza pubblica, le parti F. B. e P. F. hanno insistito per l’accoglimento delle questioni. 6.1.– Queste ultime sarebbero pienamente ammissibili il rimettente non avrebbe potuto disattendere la sentenza n. 12193 del 2019 delle sezioni unite della Corte di cassazione, qualificabile in termini di diritto vivente, ma solo sollevare questione di legittimità costituzionale della disciplina censurata, così come interpretata da detta pronuncia sono citate le sentenze di questa Corte n. 299 del 2005 e n. 266 del 2006 . Né sarebbe configurabile alcun obbligo di rimettere nuovamente le questioni alle Sezioni unite, atteso che l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte Costituzionale non ammette alcun filtro preventivo fra il giudice a quo e la Corte . 6.2.– Il parere del 10 aprile 2019 della Corte EDU sarebbe stato correttamente preso in considerazione dal rimettente non in quanto parametro interposto o fonte normativa vincolante, ma quale strumento interpretativo che il giudice nazionale non può ignorare , essendo stato pronunziato all’unanimità dalla Grande camera e costituendo codificazione di un diritto consolidato relativo alla Convenzione. 6.3.– La fattispecie in discussione nel giudizio a quo differirebbe sia da quella che veniva in rilievo nella sentenza n. 272 del 2017 di questa Corte per il significativo collegamento con un ordinamento straniero, stante la cittadinanza canadese del minore P. B.F. , sia da quella oggetto della richiamata sentenza Paradiso e Campanelli della Corte EDU per la sussistenza di un legame genetico tra uno dei genitori e il bambino , sia, infine, da quella considerata dalla Corte di cassazione, sezione prima civile, nella sentenza 11 novembre 2014, n. 24001 per la piena conformità della gestazione per altri alla lex loci . 6.4.– L’ordine pubblico di cui all’art. 64 della legge n. 218 del 1995 cui rinvia l’art. 65 della stessa legge, a sua volta richiamato dal successivo art. 66 , unico ostacolo al riconoscimento di uno status filiationis già stabilito dallo Stato di cittadinanza del minore, dovrebbe essere interpretato in senso restrittivo e l’interesse del minore, al pari degli altri valori supremi dell’ordinamento che, con esso, determinano la nozione di ordine pubblico, non potrebbe che essere valutato dal giudice in ciascun caso concreto, conformemente alle indicazioni della sentenza n. 272 del 2017 di questa Corte e del parere consultivo della Corte EDU. 6.5.– Anche il confronto con le esperienze di altri ordinamenti mostrerebbe come il divieto di maternità surrogata non sia d’ostacolo alla possibilità di garantire la continuità dello status familiare dei minori nati in Stati che ammettano tale pratica. 6.6.– Il richiamo all’art. 24 CDFUE operato dal rimettente sarebbe meramente funzionale a dimostrare la sussistenza di un’irragionevole disparità di trattamento, rilevante ex art. 3 Cost. mentre gli status familiari costituiti – anche a seguito di gestazione per altri – in uno Stato membro dell’Unione europea o costituiti in uno Stato terzo e ivi riconosciuti possono circolare negli altri Stati membri, in forza della libertà di circolazione del cittadino dell’Unione, i minori italiani vedrebbero la propria continuità di status interrotta per il sol fatto che entrambi i genitori sono italiani o per il fatto che non hanno risieduto in un altro Stato membro . 6.7.– L’orientamento delle sezioni unite della Corte di cassazione negherebbe al minore la possibilità di conseguire l’ allineamento dello status giuridico con lo stato di fatto , in contrasto con le esigenze di tutela del diritto all’identità personale discendenti dalla stessa giurisprudenza costituzionale sono citate le sentenze di questa Corte n. 494 del 2002 e n. 120 del 2001 . Tale diritto, riconosciuto anche dall’art. 9, primo comma, della Convenzione sui diritti del fanciullo, implicherebbe anche il riconoscimento della genitorialità così come affermata da altro Stato di cui il minore è cittadino e con il quale possiede un legame qualificato . 6.8.– L’attuale assetto del diritto vivente implicherebbe per il minore nato da maternità surrogata una capitis deminutio del tutto analoga, se non più grave, rispetto a quella in danno ai figli cosiddetti incestuosi, rimossa da questa Corte con la sentenza n. 494 del 2002, atteso che il bambino dovrebbe patire le conseguenze sanzionatorie di una condotta posta in essere dai genitori, in nome di una concezione totalitaria” della famiglia . 6.9.– Il riconoscimento dello status filiationis rispetto al genitore d’intenzione non minerebbe il diritto del minore a conoscere le proprie origini ma, al contrario, lo rafforzerebbe, in quanto proprio la prospettiva di poter conseguire la trascrizione dell’atto di nascita del minore nato all’estero da maternità surrogata incentiverebbe i genitori a versare nei registri di stato civile italiani la relativa documentazione, così consentendo al figlio di avere accesso alle informazioni relative alla propria nascita. 6.10.– Quanto al ricorso all’adozione in casi particolari, esso non sarebbe conforme alle esigenze di tutela degli interessi del minore, considerati da un lato i limitati effetti di tale istituto e, dall’altro lato, le caratteristiche del procedimento di adozione, attivabile solo su domanda dell’adottante e con l’assenso dell’altro genitore. La procedura di adozione sarebbe inoltre caratterizzata da cadenze temporali particolarmente dilatate, pari a circa cinque anni, non compatibili con le esigenze di celerità evidenziate dalla Corte EDU nel parere del 10 aprile 2019. Del resto, la stessa Corte EDU, nella sentenza 28 giugno 2007, Wagner e J.M.W.L. contro Lussemburgo, avrebbe ritenuto insufficiente a garantire il rispetto dell’art. 8 CEDU la possibilità, offerta dall’ordinamento lussemburghese, dell’adozione semplice assimilabile all’adozione in casi particolari di una minore la cui adozione piena , pronunciata in Perù, non era stata riconosciuta in Lussemburgo. Al contrario, nel contesto del giudizio sulla riconoscibilità del provvedimento straniero ex art. 67 della legge n. 218 del 1995, la Corte d’appello potrebbe svolgere con celerità ogni opportuna indagine circa il contesto familiare e il legame tra minore e genitore d’intenzione e prendere altresì in considerazione le modalità di realizzazione della gestazione per altri nell’ordinamento straniero di volta in volta considerato. 6.11.– Sarebbe infine estranea al thema decidendum ogni considerazione relativa all’orientamento sessuale dei soggetti che ricorrono alla gestazione per altri, alla luce dell’ininfluenza dell’orientamento sessuale sull’idoneità genitoriale. Considerato in diritto 1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione, sezione prima civile, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31, 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo CEDU , agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , dell’art. 64, comma 1, lettera g , della legge 31 maggio 1995, n. 218 Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato e dell’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127 , nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri altrimenti detta maternità surrogata” del c.d. genitore d’intenzione non biologico . 2.– In sostanza, le questioni di legittimità che questa Corte è chiamata a esaminare riguardano lo stato civile dei bambini nati attraverso la pratica della maternità surrogata, vietata nell’ordinamento italiano dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004. Più in particolare, è qui in discussione la possibilità di dare effetto nell’ordinamento italiano a provvedimenti giudiziari stranieri che riconoscano come genitore del bambino non solo chi abbia fornito i propri gameti, e dunque il genitore cosiddetto biologico” ma anche la persona che abbia condiviso il progetto genitoriale pur senza fornire il proprio apporto genetico, e dunque il cosiddetto genitore d’intenzione”. La prima sezione civile della Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale del diritto vivente, risultante dalla sentenza delle Sezioni unite civili 8 maggio 2019, n. 12193, che esclude il riconoscimento dell’efficacia nell’ordinamento italiano del provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato dichiarato un rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d’intenzione” cittadino italiano, in ragione del ritenuto contrasto di tale riconoscimento con il divieto di surrogazione di maternità stabilito dal menzionato art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, qualificabile secondo le Sezioni unite come principio di ordine pubblico. Tale soluzione violerebbe, ad avviso del giudice a quo, tutti i parametri costituzionali e sovranazionali sopra indicati, per le ragioni di cui si è analiticamente dato conto nel Ritenuto in fatto. Conseguentemente, la prima sezione civile della Corte di cassazione solleva questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto – dell’art. 64, comma 1, lettera g , della legge n. 218 del 1995, che vieta il riconoscimento di sentenze straniere allorché producano effetti contrari all’ordine pubblico – dell’art. 18 del d.P.R. n. 396 del 2000, che vieta la trascrizione nei registri dello stato civile italiani di atti formati all’estero contrari all’ordine pubblico e – dell’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, che prevede sanzioni penali a carico di chiunque in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità . 3.– Devono essere vagliate preliminarmente le eccezioni di inammissibilità formulate dall’Avvocatura generale dello Stato. 3.1.– Non è fondata, anzitutto, l’eccezione che fa leva sul carattere non vincolante del parere consultivo reso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 10 aprile 2019, ampiamente citato nell’ordinanza di rimessione. Il giudice rimettente, pur richiamando tale parere, invoca infatti correttamente – quale parametro interposto in un giudizio di legittimità costituzionale fondato, tra l’altro, sull’art. 117, primo comma, Cost. – l’art. 8 CEDU, che riconosce il diritto alla vita privata e familiare del minore diritto sul quale si imperniano le argomentazioni sviluppate nell’ordinanza di rimessione. D’altra parte, non v’è dubbio che il parere consultivo reso dalla Corte EDU su richiesta della Corte di cassazione francese non sia vincolante, come espressamente stabilisce l’art. 5 del Protocollo n. 16 alla CEDU né per lo Stato cui appartiene la giurisdizione richiedente, né a fortiori per gli altri Stati, tanto meno per quelli – come l’Italia – che non hanno ratificato il protocollo in questione. Cionondimeno, tale parere è confluito in pronunce successive, adottate in sede contenziosa dalla Corte EDU sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia decisione 19 novembre 2019, C. contro Francia ed E. contro Francia . 3.2.– Infondata è altresì l’ulteriore eccezione di inammissibilità imperniata sull’omessa sperimentazione da parte del Collegio rimettente di un’interpretazione conforme alla CEDU alla luce del citato parere consultivo interpretazione, peraltro, che secondo l’Avvocatura generale dello Stato avrebbe dovuto essere rimessa nuovamente alle Sezioni unite, ai sensi dell’art. 374, terzo comma, del codice di procedura civile, dal momento che la richiamata sentenza n. 12193 del 2019 non avrebbe potuto tenere conto di tale parere, sopravvenuto alla decisione. La Sezione rimettente ha plausibilmente motivato nel senso dell’impraticabilità di una interpretazione conforme, proprio in ragione dell’intervenuta pronuncia delle Sezioni unite, che ha formato il diritto vivente che il giudice a quo sospetta di contrarietà alla Costituzione. Ciò deve ritenersi sufficiente ai fini dell’ammissibilità di una questione di legittimità costituzionale ex plurimis, da ultime, sentenze n. 75 del 2019, n. 39 del 2018, n. 259 e n. 122 del 2017 . D’altra parte, l’obbligo per una sezione semplice della Corte di cassazione di astenersi dal decidere in contrasto con il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite attiene al piano dell’interpretazione della legge, non a quello della verifica della compatibilità della legge così come interpretata dalle Sezioni unite con la Costituzione verifica, questa, che l’ordinamento italiano affida a ogni autorità giurisdizionale durante qualsiasi giudizio, consentendo a tale autorità di promuovere direttamente questione di legittimità costituzionale innanzi a questa Corte, senza dover sollecitare allo scopo altra istanza superiore di giudizio art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, recante Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale . 4.– Deve invece essere dichiarata, d’ufficio, l’inammissibilità della questione formulata dal giudice a quo in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 24 CDFUE, non avendo la Sezione rimettente motivato sulla sua riconducibilità all’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea ai sensi dell’art. 51 CDFUE, ciò che condiziona la stessa applicabilità delle norme della Carta ex multis, sentenze n. 190 del 2020, n. 279 del 2019, n. 37 del 2019 . Il che non esclude, naturalmente, che le norme della Carta possano essere comunque tenute in considerazione come criteri interpretativi degli altri parametri, costituzionali e internazionali, invocati dal giudice rimettente come è accaduto, ad esempio, nelle sentenze n. 102 del 2020 e 272 del 2017 per l’appunto in relazione all’art. 24 CDFUE . 5.– Quanto alle restanti questioni sottoposte alla Corte, anche esse debbono essere dichiarate inammissibili, per le ragioni di seguito esposte. 5.1.– Il diritto vivente censurato dal giudice a quo si impernia sulla qualificazione, operata dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, del divieto penalmente sanzionato di surrogazione di maternità di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali , tra cui segnatamente la dignità umana della gestante. Questa Corte si è recentemente espressa in termini analoghi, osservando che la pratica della maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane sentenza n. 272 del 2017 . A tale prospettiva si affianca l’ulteriore considerazione – su cui pongono l’accento anche l’Avvocatura generale dello Stato e una parte degli amici curiae – che gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita. Tali preoccupazioni stanno verosimilmente alla base della condanna di qualsiasi forma di maternità surrogata a fini commerciali espressa dal Parlamento europeo nella propria Risoluzione del 13 dicembre 2016 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea nel 2015 2016/2009-INI paragrafo 82 . 5.2.– Le questioni ora sottoposte a questa Corte sono però focalizzate sugli interessi del bambino nato mediante maternità surrogata, nei suoi rapporti con la coppia omosessuale, come nel caso che ha dato origine al giudizio a quo, ovvero eterosessuale che ha sin dall’inizio condiviso il percorso che ha condotto al suo concepimento e alla sua nascita nel territorio di uno Stato dove la maternità surrogata non è contraria alla legge e che ha quindi portato in Italia il bambino, per poi qui prendersene quotidianamente cura. Più precisamente, si tratta di fornire una risposta all’interrogativo se il diritto vivente espresso dalle Sezioni unite civili, alla luce della complessità della vicenda, sia compatibile con i diritti del minore sanciti dalle norme costituzionali e sovranazionali invocate dal giudice a quo. 5.3.– Questa Corte ha recentemente avuto modo di rammentare sentenza n. 102 del 2020 che il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei migliori interessi” best interests o dell’ interesse superiore” intérêt supérieur del minore, secondo le formule utilizzate nelle rispettive versioni ufficiali in lingua inglese e francese, fu espresso anzitutto nella Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959. Di qui tale principio è confluito – tra l’altro – nell’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e nell’art. 24, comma 2, CDFUE. Tale principio è stato altresì considerato dalla giurisprudenza della Corte EDU come specifica declinazione del diritto alla vita familiare di cui all’art. 8 CEDU ex multis, Grande camera, sentenza 26 novembre 2013, X contro Lettonia, paragrafo 96 . Il principio in parola è stato felicemente riformulato da una risalente sentenza di questa Corte, con riferimento all’art. 30 Cost., come necessità che nelle decisioni concernenti il minore venga sempre ricercata la soluzione ottimale in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior cura della persona” sentenza n. 11 del 1981 ed è stato ricondotto da plurime pronunce di questa Corte altresì all’ambito di tutela dell’art. 31 Cost. sentenze n. 272 del 2017, n. 76 del 2017, n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014 . 5.4.– I parametri costituzionali e sovranazionali questi ultimi rilevanti nell’ordinamento italiano per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost. invocati dall’ordinanza di rimessione convergono, dunque, attorno al principio della ricerca della soluzione ottimale in concreto per l’interesse del minore. Principio che deve essere ora declinato in relazione alle peculiarità delle situazioni all’esame. Non v’è dubbio, in proposito, che l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita nel caso oggetto del giudizio a quo, ormai da quasi sei anni da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata. E ciò, quanto meno, da una duplice prospettiva. Anzitutto, questi legami sono parte integrante della stessa identità del bambino Corte EDU, sentenza 26 giugno 2014, Mennesson contro Francia, paragrafo 96 , che vive e cresce in una determinata famiglia, o comunque – per ciò che concerne le unioni civili – nell’ambito di una determinata comunità di affetti, essa stessa dotata di riconoscimento giuridico, e certamente riconducibile al novero delle formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost. sentenza n. 221 del 2019 . Sicché indiscutibile è l’interesse del bambino a che tali legami abbiano riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico, a tutti i fini che rilevano per la vita del bambino stesso – dalla cura della sua salute, alla sua educazione scolastica, alla tutela dei suoi interessi patrimoniali e ai suoi stessi diritti ereditari – ma anche, e prima ancora, allo scopo di essere identificato dalla legge come membro di quella famiglia o di quel nucleo di affetti, composto da tutte le persone che in concreto ne fanno parte. E ciò anche laddove il nucleo in questione sia strutturato attorno ad una coppia composta da persone dello stesso sesso, dal momento che l’orientamento sessuale della coppia non incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale sentenza n. 221 del 2019 Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962 sezione prima civile, sentenza 11 gennaio 2013, n. 601 . Sotto un secondo e non meno importante profilo, non è qui in discussione un preteso diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino. Ciò che è qui in discussione è unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali. Doveri ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi per una analoga sottolineatura, si veda la sentenza n. 347 del 1998, che – seppur nel diverso contesto della fecondazione eterologa – già evocava i diritti del minore nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità . Proprio per queste ragioni, del resto, l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte EDU afferma la necessità, al metro dell’art. 8 CEDU, che i bambini nati mediante maternità surrogata, anche negli Stati parte che vietino il ricorso a tali pratiche, ottengano un riconoscimento giuridico del legame di filiazione lien de filiation con entrambi i componenti della coppia che ne ha voluto la nascita, e che se ne sia poi presa concretamente cura sentenza Mennesson contro Francia, paragrafo 100 sentenza D. contro Francia, paragrafo 64 . Né l’interesse del minore potrebbe ritenersi soddisfatto dal riconoscimento del rapporto di filiazione con il solo genitore biologico”, come è accaduto nel caso dal quale è scaturito il giudizio a quo, in cui l’originario atto di nascita canadese, che designava come genitore il solo P. F., era stato trascritto nei registri di stato civile italiani. Laddove, infatti, il minore viva e cresca nell’ambito di un nucleo composto da una coppia di due persone, che non solo abbiano insieme condiviso e attuato il progetto del suo concepimento, ma lo abbiano poi continuativamente accudito, esercitando di fatto in maniera congiunta la responsabilità genitoriale, è chiaro che egli avrà un preciso interesse al riconoscimento giuridico del proprio rapporto con entrambe, e non solo con il genitore che abbia fornito i propri gameti ai fini della maternità surrogata. 5.5.– È peraltro vero che l’interesse del bambino non può essere considerato automaticamente prevalente rispetto a ogni altro controinteresse in gioco. La frequente sottolineatura della preminenza” di tale interesse ne segnala bensì l’importanza, e lo speciale peso” in qualsiasi bilanciamento ma anche rispetto all’interesse del minore non può non rammentarsi che [t]utti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri []. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona sentenza n. 85 del 2013 . Gli interessi del minore dovranno essere allora bilanciati, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore scopo di cui si fanno carico le sezioni unite civili della Corte di cassazione, allorché negano la trascrivibilità di un provvedimento giudiziario straniero, nella parte in cui attribuisce lo status di genitore anche al componente della coppia che abbia partecipato alla surrogazione di maternità, senza fornire i propri gameti. 5.6.– Di tale bilanciamento tra gli interessi del bambino e la legittima finalità di disincentivare il ricorso a una pratica che l’ordinamento italiano considera illegittima e anzi meritevole di sanzione penale – bilanciamento alla cui necessità alludeva anche la già menzionata sentenza n. 272 del 2017 di questa Corte – si è, del resto, fatta carico anche la giurisprudenza della Corte EDU, poc’anzi citata. Dal complesso delle pronunce rese sul tema dalla Corte di Strasburgo, si evince che – anche a fronte della grande varietà di approccio degli Stati parte rispetto alla pratica della maternità surrogata – ciascun ordinamento gode, in linea di principio, di un certo margine di apprezzamento in materia ferma restando, però, la rammentata necessità di riconoscimento del legame di filiazione con entrambi i componenti della coppia che di fatto se ne prende cura. La Corte EDU riconosce, in particolare, che gli Stati parte possano non consentire la trascrizione di atti di stato civile stranieri, o di provvedimenti giudiziari, che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al genitore d’intenzione” e ciò proprio allo scopo di non fornire incentivi, anche solo indiretti, a una pratica procreativa che ciascuno Stato ben può considerare potenzialmente lesiva dei diritti e della stessa dignità delle donne che accettino di portare a termine la gravidanza per conto di terzi. Tuttavia, la stessa Corte EDU ritiene comunque necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il bambino e il genitore d’intenzione”, al più tardi quando tali legami si sono di fatto concretizzati Corte EDU, decisione 12 dicembre 2019, C. contro Francia ed E. contro Francia, paragrafo 42 sentenza D. contro Francia, paragrafo 67 lasciando poi alla discrezionalità di ciascuno Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all’adozione del minore. Rispetto, peraltro, a quest’ultima soluzione, la Corte EDU sottolinea come essa possa ritenersi sufficiente a garantire la tutela dei diritti dei minori nella misura in cui sia in grado di costituire un legame di vera e propria filiazione” tra adottante e adottato Corte EDU, sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia, paragrafo 66 , e a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della sua messa in opera, conformemente all’interesse superiore del bambino ibidem, paragrafo 51 . 5.7.– Il punto di equilibrio raggiunto dalla Corte EDU – espresso da una giurisprudenza ormai consolidata – appare corrispondente anche all’insieme dei principi sanciti in materia dalla Costituzione italiana, parimenti invocati dal giudice a quo. Essi per un verso non ostano alla soluzione, cui le sezioni unite civili della Cassazione sono pervenute, della non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori dell’originario atto di nascita, che indichino quale genitore del bambino il padre d’intenzione” ma per altro verso impongono che, in tal caso, sia comunque assicurata tutela all’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto con entrambi i componenti della coppia che non solo ne abbiano voluto la nascita in un Paese estero in conformità alla lex loci, ma che lo abbiano poi accudito esercitando di fatto la responsabilità genitoriale. Una tale tutela dovrà, in questo caso, essere assicurata attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino. Ogni soluzione che non dovesse offrire al bambino alcuna chance di un tale riconoscimento, sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, finirebbe per strumentalizzare la persona del minore in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata. Proprio questo rischio, d’altronde, questa Corte ha inteso evitare allorché ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che vietava il riconoscimento dei figli nati da incesto, precludendo loro l’acquisizione di un pieno status filiationis in ragione soltanto della condotta penalmente illecita dei loro genitori sentenza n. 494 del 2002 , e allorché – più recentemente – ha dichiarato pure costituzionalmente illegittima l’automatica applicazione della sanzione accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale in capo al genitore autore di un grave delitto commesso a danno del figlio, in ragione della possibilità che tale automatismo – finalizzato anche a lanciare un messaggio di deterrenza nei confronti dei potenziali autori di reati – finisse per risolversi in un pregiudizio per gli stessi interessi del minore sentenza n. 102 del 2020 . 5.8.– Come correttamente sottolinea l’ordinanza di rimessione, il possibile ricorso all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d , della legge 4 maggio 1983, n. 184 Diritto del minore ad una famiglia , ritenuto esperibile nei casi all’esame dalla stessa sentenza n. 12193 del 2019 delle Sezioni unite civili, costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali rammentati. L’adozione in casi particolari non attribuisce la genitorialità all’adottante. Inoltre, pur a fronte della novella dell’art. 74 cod. civ., operata dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali , che riconosce la generale idoneità dell’adozione a costituire rapporti di parentela, con la sola eccezione dell’adozione di persone di maggiore età, è ancora controverso – stante il perdurante richiamo operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 330 cod. civ. – se anche l’adozione in casi particolari consenta di stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono socialmente, e lui stesso percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso in cui l’adottante abbia già altri figli propri. Essa richiede inoltre, per il suo perfezionamento, il necessario assenso del genitore biologico” art. 46 della legge n. 184 del 1983 , che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, nelle quali il bambino finisce per essere così definitivamente privato del rapporto giuridico con la persona che ha sin dall’inizio condiviso il progetto genitoriale, e si è di fatto presa cura di lui sin dal momento della nascita. Al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali poc’anzi ricapitolati attraverso l’adozione, essa dovrebbe dunque essere disciplinata in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame, che è in effetti assai distante da quelle che il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell’art. 44, comma 1, lettera d , della legge n. 184 del 1983. 5.9.– Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco. Di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica, questa Corte non può, allo stato, che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita , dell’art. 64, comma 1, lettera g , della legge 31 maggio 1995, n. 218 Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato , e dell’art. 18 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127 , sollevate – in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo CEDU , agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE – dalla Corte di cassazione, sezione prima civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.