L’efficacia ed i limiti dell’assegno divorzile

La Corte di Cassazione si è espressa sul tema affermando che l’assegno divorzile ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, permettendo al giudice di merito di poter anticiparne la decorrenza con adeguata motivazione e in relazione alle circostanze del caso concreto. L’assegno di mantenimento trova il suo limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Solo qualora nel giudizio divorzile, nella fase presidenziale o istruttoria, siano emessi provvedimenti provvisori, temporanei ed urgenti, questi ultimi si sostituiscono a quelli emessi nel giudizio di separazione.

Sul tema, la Suprema Corte con l’ordinanza n. 3852/21, depositata il 15 febbraio. Il Tribunale di Velletri pronunciava sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio , ponendo a carico dell’ex marito l’assegno divorzile di euro 2000. La Corte d’Appello di Roma accoglieva parzialmente il ricorso proposto dall’uomo, stabilendo la riduzione dell’assegno mensile per una cifra di euro 1000. L’ex moglie propone ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte territoriale non abbia esplicitato in modo congruo il ragionamento effettuato a riguardo, e sostenendo che la Corte di merito non abbia considerato il reddito dell’ex marito, notaio di due studi e professore universitario, quindi notevolmente superiore al suo. Ella si duole poichè ritiene che la Corte territoriale non abbia disposto nulla per il periodo intercorrente ed attuale, con conseguente impossibilità di vivere nelle condizioni economiche simili a quelle godute precedentemente. La giurisprudenza più recente ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio , cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’ accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’ impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. In particolare, si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l’ assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno deli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto . In base all’orientamento più recente di questa Corte, quindi, qualora vi sia uno squilibrio effettivo tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, come nel caso di specie, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due. Ne consegue l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso. Per ciò che attiene al terzo motivo di doglianza, quest’ultimo resta assorbito. La Suprema Corte ha infatti affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di regolamentazione dei rapporti economici tra le parti nella pendenza del giudizio divorzile, poiché l’assegno di divorzio, traendo la sua fonte del nuovo ‘status’ delle parti, ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, con il temperamento previsto dal comma 13 dell’art. 4 l. n. 898/1970, che consente al giudice di merito di anticiparne la decorrenza con adeguata motivazione e in relazione alle circostanze del caso concreto, i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a regolare i rapporti economici tra i coniugi fino al passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, ove non ricorra l’ipotesi derogatoria di cui all’art. 4, comma 13, citato, e pertanto la debenza dell’assegno di mantenimento disposta nel giudizio separativo trova il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Solo qualora nel giudizio divorzile, nella fase presidenziale o istruttoria, siano emessi provvedimenti provvisori, temporanei ed urgenti, questi ultimi si sostituiscono a quelli emessi nel giudizio di separazione . La Corte cassa quindi la sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 11 novembre 2020 – 15 febbraio 2021, n. 3852 Presidente Genovese - Relatore Parise Fatti di causa 1. Con sentenza n. omissis , il Tribunale di Velletri pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dai coniugi S.M. e G.L. e poneva a carico dell’ex marito l’assegno divorzile di Euro2.000, oltre rivalutazione Istat. 2. Con sentenza n. 428/2016 depositata 21-1-2016 la Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto l’appello proposto da S.M. avverso la citata sentenza del Tribunale di Velletri, disponendo, per l’effetto, la riduzione dell’assegno divorzile, a carico dell’ex marito, all’importo mensile di Euro 1.000, oltre rivalutazione annuale Istat con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza con cui era stato pronunciato il divorzio. La Corte d’appello, dopo aver esaminato le situazioni economiche degli ex coniugi, ha ritenuto che, valutate comparativamente le risorse economiche e patrimoniali degli ex coniugi, la determinazione dell’assegno di divorzio in Euro 1.000 fosse adeguata, in considerazione della potenzialità lavorativa della G. , che aveva un’esperienza pluriennale nel settore del commercio e che aveva collaborato, successivamente alla separazione, nell’attività commerciale del fratello, pur se non era stata provata l’entità del suo apporto in detta attività commerciale e la percezione di redditi correlata alla stessa. 3. Avverso questa sentenza G.L. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di S.M. , che resiste con controricorso. 4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c Le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. La ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia i con il primo motivo la violazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, per non avere la Corte territoriale esplicitato in modo congruo, veridico e logico il percorso del ragionamento effettuato, pur avendo accertato la sussistenza di palese divario tra le condizioni economiche degli ex coniugi, nonché per non avere la Corte di merito considerato che il reddito dell’ex marito, notaio titolare di due studi e professore universitario, era stato sempre notevolmente superiore al suo, omettendo, altresì, di valutare il contributo dato dalla ricorrente nel corso della vita matrimoniale e il tenore di vita in costanza di matrimonio ii con il secondo motivo il mancato rispetto degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte d’appello effettuato una distorta valutazione delle posizione delle parti, non essendo provata l’attività di collaborazione della ricorrente nell’attività svolta dal fratello, nè la sua convivenza con un compagno, nonché per avere la Corte territoriale presupposto la possibilità lavorativa della ricorrente in contrasto con gli atti e documenti prodotti iii con il terzo motivo la violazione della L. 1 dicmebre 1970, n. 898 per avere la Corte territoriale erroneamente statuito la decorrenza dell’assegno divorzile dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, nulla disponendo per il periodo intercorrente ed attuale, con conseguente impossibilità della ricorrente di vivere nelle condizioni economiche simili a quelle godute in costanza di matrimonio. 2. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei limiti che si vanno ad illustrare. 2.1. La giurisprudenza più recente di questa Corte ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. In particolare, si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l’assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi Cass. Sez. U. n. 18287/2018 Cass. n. 1882/2019 Cass. n. 21926/2019 . 2.2. Passando all’esame delle censure, la Corte territoriale, pur dando atto della disparità reddituale tra gli ex coniugi, non ha esplicitato in modo logico e chiaro il percorso del ragionamento in base al quale ha ritenuto di valorizzare, al fine di ridurre l’importo dell’assegno divorzile riconosciuto alla ricorrente in primo grado, esclusivamente una generica potenzialità lavorativa dell’ex moglie, senza, peraltro, neppure indicare la sua età e senza tener conto delle eventuali aspettative professionali dalla stessa sacrificate, per aver ella cessato ogni attività lavorativa, ed anche la sua precedente attività commerciale, in costanza di matrimonio, e ciò nonostante non fosse dimostrata l’entità della collaborazione della G. nell’impresa commerciale del fratello, nè la percezione dei redditi in tale contesto pag. n. 3 della sentenza impugnata e la sua convivenza stabile con altro compagno. L’affermazione di circostanze tra loro inconciliabili, ossia, da un lato, la cessazione di ogni attività lavorativa della G. in costanza di matrimonio e cioè a partire dal XXXX, l’assenza di prova sull’entità dell’apporto lavorativo prestato, dopo la separazione, nell’impresa del fratello e sui corrispondenti redditi percepiti o stimabili quali tali, e, dall’altro lato, la ritenuta potenzialità lavorativa della stessa per la sua esperienza pluriennale nel settore del commercio , non meglio specificata, e senza alcun riferimento all’età della richiedente tale da giustificarne la perdurante capacità di guadagno, rende perplesso e non comprensibile l’iter logico seguito dalla Corte di merito nella formazione del convincimento espresso. 2.3. Inoltre la Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e dei principi suesposti, atteso che, nonostante abbia ritenuto provato il sostegno dato dalla ricorrente all’ex marito nel raggiungimento dell’affermazione professionale dello stesso, non ha dato conto dei parametri di cui si è detto e, in particolare, non ha considerato il nesso causale tra la rilevata sproporzione reddituale e l’apporto effettivo dato dalla G. alla conduzione del menage familiare, alla costituzione del patrimonio comune ed alla formazione di quello personale dell’altro coniuge, avendo la Corte d’appello menzionato solo la durata della convivenza matrimoniale XXXXXX , dalla quale non erano nati figli. Sulla scorta dell’orientamento più recente di questa Corte cfr. nello specifico Cass. n. 21926/2019 citata , qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due. 2.4. In conclusione, sebbene siano da ritenersi inammissibili le doglianze relative alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito Cfr. tra le tante Cass. n. 1229/2019 , meritano accoglimento, nei termini precisati, le censure relative alla carenza motivazionale della decisione impugnata, espresse, principalmente, nell’illustrazione del primo motivo, e quelle relative alla mancata applicazione dei criteri infra indicati, mediante i quali al coniuge richiedente è riconosciuto il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito nella realizzazione della vita familiare in ogni ambito di rilevanza. Ne consegue, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso nei limiti di cui si è detto, la cassazione della sentenza impugnata. 3. Resta da aggiungere che, come di recente pure chiarito da questa Corte Cass. n. 11178/2019 , la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo i termini giuridici della controversia così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio. 4. Il terzo motivo resta assorbito, pur dovendosi affermare ai sensi dell’art. 363 c.p.c., secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità Cass. n. 24991/2010 Cass. n. 20024/2014 Cass. n. 212/2016 Cass. n. 7547/2020 e Cass. n. 27205/2019 , il principio di diritto secondo il quale, in tema di regolamentazione dei rapporti economici tra le parti nella pendenza del giudizio divorzile, poiché l’assegno di divorzio, traendo la sua fonte nel nuovo status delle parti, ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, con il temperamento previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 13 che consente al giudice di merito di anticiparne la decorrenza con adeguata motivazione e in relazione alle circostanze del caso concreto, i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a regolare i rapporti economici tra i coniugi fino al passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, ove non ricorra l’ipotesi derogatoria di cui all’art. 4, comma 13, citato, e pertanto la debenza dell’assegno di mantenimento disposta nel giudizio separativo trova il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Solo qualora nel giudizio divorzile, nella fase presidenziale o istruttoria, siano emessi provvedimenti provvisori, temporanei ed urgenti, questi ultimi si sostituiscono a quelli emessi nel giudizio di separazione , e ciò in ragione dell’autonomia, sul piano sostanziale e su quello processuale, tra separazione e divorzio. Tuttavia, il coordinamento, processuale e sostanziale, tra i due istituti consente di assicurare sempre continuità all’erogazione del contributo in favore del coniuge economicamente più debole, considerato che, proprio perché la sentenza, anche non definitiva e parziale, di divorzio opera ordinariamente ex nunc facendo venir meno il vincolo matrimoniale che è il presupposto dei provvedimenti di mantenimento in regime separativo, questi ultimi continuano a regolare il rapporto economico tra le parti fino al passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, nei termini di cui si è detto. 5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i primi due motivi di ricorso meritano accoglimento, nei limiti precisati, restando assorbito il terzo, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. 6. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52. P.Q.M. La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i primi due motivi di ricorso, dichiarato assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.