La dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile, può essere contenuta anche in un testamento essa non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma soltanto effetto confermativo del resistente rapporto nascente dal patto fiduciario, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della «contra se pronuntiatio», dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.
Questo il contenuto dell’ordinanza della Suprema Corte numero 26988/20, depositata il 26 novembre. L’erede, sorella della defunta, conveniva in giudizio il convivente della de cuius, erede testamentario, per sentir dichiarare lo scioglimento della comunione ereditaria. Il convivente si costituiva in giudizio deducendo l’esistenza di un testamento integrativo, posteriore rispetto al precedente, nel quale la testatrice dava atto che l’immobile, di cui aveva disposto nella precedente scheda testamentaria, apparteneva nella misura del 50% allo stesso. In detto scritto si attestava che l’appartamento era formalmente intestato alla de cuius, che invece era proprietaria del 50%, sicché di detta quota ella disponeva, istituendo eredi in pari quota la sorella e il convivente. Lo scritto citava che, «nel pieno possesso delle sue facoltà» doveva riconoscersi al convivente della de cuius la proprietà del bene immobile nella misura del 50%, in ragione della protratta convivenza di oltre trent’anni che aveva fatto maturare per entrambi il diritto di entrare in possesso dell’appartamento. Nel giudizio di primo grado il Tribunale negò che tale scrittura potesse essere qualificata come scheda testamentaria, mentre la Corte di Appello riformò la decisione ritenendo che la scrittura posteriore rispetto al testamento contenesse invece delle disposizioni a valere post mortem. In particolare la Corte di merito, valorizzando l’incipit del documento che testualmente affermava «nel pieno rispetto delle sue facoltà» e riconoscendo in essa l’espressione tipica associata alle ultime volontà del testatore, concludeva che detta dichiarazione riguardava un riconoscimento del diritto del convivente alla metà dell’immobile, il quale assumeva significato solo in vista della disposizione per il futuro. Proponeva quindi ricorso per Cassazione la sorella, la quale contestava la mancanza di qualsiasi riferimento delle disposizioni su citate quale valore e volere post mortem. La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso della sorella e cassata la sentenza, rinviava innanzi alla Corte d’Appello indicando il principio di diritto a cui attenersi. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte di merito aveva correttamente ravvisato una serie di elementi convergenti ad individuare una volontà di disporre per il futuro del de cuius, ma aveva nel contempo errato nel ricondurre detti elementi all’attribuzione della comproprietà dell’immobile al convivente, anziché ravvisare in dette affermazioni il riconoscimento di un patto fiduciario avente ad oggetto l’appartamento. La Corte di Cassazione infatti, richiamandosi alla recente sentenza delle Sezioni Unite del 2020, numero 6459, ha inquadrato dette dichiarazioni unilaterali in un patto fiduciario con oggetto immobiliare, il quale è riconducibile alla figura del mandato senza rappresentanza. Secondo tale orientamento, l’accordo fiduciario, anche quando ha ad oggetto beni immobili, non necessita di una forma scritta ai fini della validità del patto, ben potendo la prescrizione di forma venire soddisfatta dalla dichiarazione unilaterale redatta per iscritto, con cui il fiduciario si impegna a trasferire determinati beni al fiduciante, in attuazione esplicita del medesimo pactum fiduciae. È quindi l’accordo concluso verbalmente la fonte dell’obbligo del fiduciario di procedere al successivo trasferimento al fiduciante, anche quando il diritto acquistato dal fiduciario per conto del fiduciante abbia natura immobiliare. Se le parti non formalizzano il loro accordo fiduciario in una scrittura, ma lo hanno concluso solo verbalmente, potranno tutt’al più porsi un problema di prova, ma non di validità del pactum. Pertanto la dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto l’effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando così un astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della «contra se pronuntiatio», dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria. Nel caso di specie, quindi, l’atto posteriore al testamento, in cui si attestava che il 50% dell’appartamento era di proprietà del convivente, conteneva certamente delle disposizioni da far valere per il tempo in cui il fiduciario avrebbe cessato di vivere, alla luce del più ampio contenuto delle disposizioni testamentarie ma, detta attestazione unilaterale scritta dal fiduciario, anche se contenuta in un atto mortis causa, non costituiva un’autonoma fonte di obbligazione, mantenendo invece la validità di una dichiarazione posteriore resa dal testatore, con effetto confermativo del patto fiduciario che esonera il fiduciante dall’onere di provare il rapporto fondamentale. La Corte di Cassazione ha perciò ritenuto che il bene rimaneva nella proprietà del de cujus, ma il fiduciante, sulla base dell’atto di cognitivo del patto fiduciario, poteva valersi della presunzione iuris tantum, con inversione dell’onere della prova per cui chi intende contrastare il contenuto di tale dichiarazione assume l’onere di dare la prova contraria dell’esistenza, validità, efficacia ed esigibilità o estinzione del pactum.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 24 luglio – 26 novembre 2020, numero 26988 Presidente Gorjan – Relatore Giannaccari Fatti di causa 1. S.M.G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma B.H. per sentire dichiarare lo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all’apertura della successione di S.R. , che aveva disposto dei propri beni con testamento del omissis . 1.1. Il contraddittorio venne esteso anche a Che Banca S.p.A., quale creditore ipotecario della de cuius. 1.2. B.H. si costituì in giudizio e dedusse l’esistenza di un testamento integrativo e posteriore rispetto al precedente, nel quale la testatrice dava atto che l’immobile, di cui aveva disposto nella precedente scheda testamentaria, apparteneva per il 50% al B. , con il quale era convissuta per oltre trentadue anni e che era stato ristrutturato con gli apporti di entrambi i conviventi. Nella scrittura del omissis , si attestava che l’appartamento era solo formalmente intestato alla de cuius, che era invece proprietaria del 50%, sicché di detta quota ella disponeva, istituendo eredi in pari quota la sorella ed il B. . 1.3. Il Tribunale negò che tale scrittura potesse essere qualificata come scheda testamentaria, mentre la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 17.2.2008, riformò la decisione di primo grado. 1.4. La corte di merito ritenne che la scrittura del omissis fosse integrativa di quella del omissis in quanto, indipendentemente dall’utilizzo di formule sacramentali, conteneva delle disposizioni a valere post mortem. In particolare, ai fini dell’interpretazione dell’atto, valorizzò l’incipit del documento, che testualmente affermava nel pieno rispetto delle sue facoltà , espressione associata alle ultime volontà del testatore. Altra affermazione contenuta nella scrittura riguardava il riconoscimento del diritto del convivente alla metà dell’immobile, che assumeva significato solo in vista della disposizione per il futuro. 2. Ha proposto ricorso per cassazione S.M.G. sulla base di un unico motivo. 2.1. Ha resistito con controricorso B.H. . 2.2. In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 587 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, per aver attribuito valore di testamento alla scrittura del omissis , nella quale la de cuius riconosceva di essere intestataria dell’appartamento, oggetto della precedente disposizione testamentaria del omissis , in quanto il bene era stato acquistato unitamente al convivente nella misura del 50% ed insieme avevano sostenuto le spese di ristrutturazione. Secondo la ricorrente, la scrittura del omissis manca di qualsiasi riferimento alle disposizioni da valere post mortem e, a conforto della propria tesi, richiama la sentenza numero 8490 del 28.5.2012. Si tratterebbe, pertanto, di un documento recante la dichiarazione ricognitiva dell’autore che i beni a lui intestati erano esclusivamente di proprietà della moglie, tanto che il notaio, nel procedere alla pubblicazione della scheda, precisava che era stato il B. , il quale aveva presentato, a dichiarare che il documento aveva contenuto testamentario. 1.1. Il motivo è fondato. 1.2. Come chiarito da precedenti pronunce di questa Corte, perché un atto possa qualificarsi come testamento, pur non essendo necessario l’uso di formule sacramentali, è necessario riscontrare in modo univoco dal suo contenuto che si tratti di atto di ultima volontà. La ravvisabilità di un atto mortis causa rappresenta un prius logico rispetto ad ogni questione sull’interpretazione della volontà testamentaria, sicché non vi è luogo di discutere dell’interpretazione dell’atto se neppure appare oggettivamente configurabile una volontà testamentaria nelle espressioni adottate all’interno della scrittura da esaminare. Si è perciò costantemente affermato che per decidere se un documento abbia i requisiti intrinseci di un testamento olografo, occorre accertare se l’estensore abbia avuto la volontà di creare quel documento che si qualifica come testamento, nel senso che risulti con certezza che con esso si sia inteso porre in essere una disposizione di ultima volontà Cass. 28 maggio 2012, numero 8490 . 1.3. Il testamento, quale atto di ultima volontà con cui si dispone delle proprie sostanze o di parte di esse per quando il testatore avrà cessato di vivere, pur avendo un contenuto tipico, può contenere negozi diversi con contenuto patrimoniale, che produrranno effetto secondo le regole del negozio che si intende compiere. Si tratta di negozi, aventi contenuto tipico o atipico, diversi dall’istituzione di erede o di legato, che hanno efficacia negli atti inter vivos come, a titolo esemplificativo, il riconoscimento di debito o la rinuncia all’esercizio di un diritto. 1.4. L’articolo 587 c.p.c., comma 2, ammette che, nei casi previsti dalla legge, il testamento possa contenere anche disposizioni non patrimoniali, con l’unico limite della meritevolezza degli interessi perseguiti. 1.5. La causa testamentaria è quindi connotata da particolare ampiezza ed assolve alla funzione di autoregolamentare gli interessi ed i rapporti della persona a seguito della sua morte da un punto di vista patrimoniale e non patrimoniale, con il limite della meritevolezza dei medesimi e della causa lecita. 1.6. L’evoluzione giurisprudenziale, ampliando il ventaglio delle situazioni che possono essere oggetto di disposizione testamentaria, ha ammesso anche la validità della clausola di diseredazione, con cui il de cuius esclude dalla propria successione legittima alcuni dei successibili, restringendola così ai non diseredati secondo il più recente approdo della giurisprudenza di legittimità, detta clausola costituisce espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali, rientrante nel contenuto tipico dell’atto di ultima volontà e volta ad indirizzare la concreta destinazione post mortem delle proprie sostanze, senza che per diseredare sia, quindi, necessario procedere ad una positiva attribuzione di bene e senza che sia necessaria la prova di un’implicita istituzione Cassazione civile sez. II, 25/05/2012, numero 8352 . 1.7. In considerazione della serietà dell’atto e delle sue conseguenze giuridiche, vanno individuati requisiti minimi di riconoscibilità oggettiva perché possa trattarsi di un negozio mortis causa, che valga, ad esempio, a distinguerlo da una donazione o da un riconoscimento di debito o da altri atti unilaterali a contenuto negoziale. Si versa, qui, in un campo che rappresenta un prius logico rispetto alla stessa interpretazione della volontà testamentaria, perché volto ad individuare se l’atto è destinato a valere post mortem e, poiché contiene precetti rivolti a persone diverse dal suo autore, si deve essere certi che essi corrispondano al suo obiettivo volere, poiché soltanto sul presupposto di tale garanzia il legislatore è disposto a riconoscerne il carattere vincolante. La revocabilità è altra condizione indefettibile perché un atto abbia valore di testamento in quanto assicura la libertà del soggetto di regolare i propri rapporti patrimoniali e non patrimoniali per il tempo in cui avrà cessato di vivere in modo personalissimo ed unilaterale. 1.8. Nel caso di specie, dopo che, con testamento olografo del omissis la de cuius nominava suoi eredi universali al 50% la sorella S.M.G. e B.H. , nell’atto del omissis affermava la sottoscritta S.R. nel pieno possesso delle sue facoltà dichiara espressamente e formalmente attraverso questo documento che il 50% dell’appartamento . È di proprietà del mio compagno B.H. . Dopo aver dato atto della convivenza con il B. durata trentadue anni, afferma che tale circostanza ha fatto maturare per entrambi il diritto di entrare in possesso dell’appartamento e la comproprietà del bene. 1.9. La Corte di merito, sulla base dell’interpretazione dell’atto, condotto sulla base dei criteri tracciati dalla giurisprudenza di questa Corte, ha ravvisato una serie di elementi convergenti nel senso dell’individuazione di una volontà di disporre per il futuro. Detto convincimento è stato tratto dall’incipit iniziale del documento nel pieno possesso delle sue facoltà , espressione che nella cultura popolare viene generalmente associata alla redazione delle ultime volontà del testatore ulteriore espressione, contenuta nell’atto del OMISSIS , è che il riconoscimento della proprietà del B. nella misura del 50% ha fatto maturare per entrambi il diritto di entrare in possesso dell’appartamento . 1.10. Erra però la corte di merito quando, a tale affermazione, fa conseguire l’attribuzione della comproprietà dell’immobile al B. e non invece il riconoscimento di un patto fiduciario con il medesimo avente ad oggetto l’appartamento. 1.11. Sulla validità dell’intestazione fiduciaria si sono soffermate le Sezioni Unite, con la recente sentenza del 06/03/2020, numero 6459. 1.12. La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite concerneva la forma del patto fiduciario con oggetto immobiliare. L’interrogativo sollevato dall’ordinanza interlocutoria è se possa ritenersi valida fonte dell’obbligazione di ritrasferire soltanto un atto bilaterale e scritto, coevo all’acquisto del fiduciario, o se sia sufficiente un atto unilaterale, ricognitivo, posteriore e scritto del fiduciario, a monte del quale vi sia un impegno espresso oralmente dalle parti. 1.13. Le Sezioni Unite, dopo aver passato in rassegna le posizioni giurisprudenziali e dottrinarie, hanno inquadrato il patto fiduciario nella figura del mandato senza rappresentanza, aderendo all’indirizzo, inaugurato da Cass., Sez. III, 15 maggio 2014, numero 10633, secondo cui l’accordo fiduciario, anche quando ha ad oggetto beni immobili, non necessita della forma scritta a fini della validità del patto, ben potendo la prescrizione di forma venire soddisfatta dalla dichiarazione unilaterale redatta per iscritto, con cui il fiduciario si impegni a trasferire determinati beni al fiduciante, in attuazione esplicita del medesimo pactum fiduciae. 1.14. Analogamente a quanto avviene nel mandato senza rappresentanza, dunque, anche per la validità dal pactum fiduciae prevedente l’obbligo di ritrasferire al fiduciante il bene immobile intestato al fiduciario per averlo questi acquistato da un terzo, non è richiesta la forma scritta ad substantiam, trattandosi di atto meramente interno tra fiduciante e fiduciario che dà luogo ad un assetto di interessi che si esplica esclusivamente sul piano obbligatorio. 1.15. È l’accordo concluso verbalmente la fonte dell’obbligo del fiduciario di procedere al successivo trasferimento al fiduciante anche quando il diritto acquistato dal fiduciario per conto del fiduciante abbia natura immobiliare. Se le parti non hanno formalizzato il loro accordo fiduciario in una scrittura, ma lo hanno concluso verbalmente, potrà porsi un problema di prova, non di validità del pactum. 1.16. Nella articolata ricostruzione dell’istituto e delle molteplici forme in cui si estrinseca il pactum fiduciae, le Sezioni Unite osservano che la dimensione pratica del fenomeno fiduciario offre un quadro variegato di accordi fiduciari verbali tra coniugi, conviventi e familiari relativi alla intestazione di immobili acquistati in tutto o in parte con denaro di uno solo di essi, nel quale le parti, per motivi di opportunità, di lealtà e di fiducia reciproca, sono restie a consegnare in un atto scritto il pactum tra di esse intervenuto . condizionare all’osservanza della forma scritta la validità del patto fiduciario significherebbe praticamente escludere la rilevanza pratica della fiducia in molte ipotesi di fiducia cum amico , dato che la formalità del patto finirebbe quasi sempre per incidere sulla dimensione pratica del comportamento, escludendone la fiduciarietà dal punto di vista della morfologia del fenomeno empirico. 1.17. La dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile - e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante - non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi, dell’articolo 1888 c.c., un’astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della contra se pronuntiatio , dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria. 1.18. Nel caso di specie, l’atto del omissis , in cui S.R. attestava che il 50% dell’appartamento era di proprietà del convivente B.H. contiene disposizioni da valere per il tempo in cui avrà cessato di vivere, alla luce dell’ampio contenuto delle disposizioni testamentarie. 1.19. Tale atto, pur avendo contenuto testamentario, non consente di affermare, come erroneamente ed apoditticamente sostenuto dalla corte distrettuale, che il 50% dell’immobile appartenesse al B. in quanto la dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, anche se contenuta in un atto mortis causa, non costituisce autonoma fonte di obbligazione. Secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite, tale dichiarazione posteriore resa dal testatore ha effetto confermativo del patto fiduciario ed esonera il fiduciante dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che viene presunto iuris tantum. 1.20. Ne consegue che il bene rimane nella proprietà del de cuius ma il fiduciante, sulla base dell’atto ricognitivo del pactum fiduciae, può avvalersi della presunzione iuris tantum si verifica, pertanto, un’inversione dell’onere della prova ed il fiduciario o il suo avente causa, che intende contrastare il contenuto di tale dichiarazione, assume l’onere di dare l’eventuale prova contraria dell’esistenza, validità, efficacia, esigibilità o non avvenuta estinzione del pactum. 1.20. Il ricorso va pertanto accolto. 1.21. La sentenza impugnata va cassata e rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto La dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile, può essere contenuta anche in un testamento essa non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della contra se pronuntiatio , dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria . P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.