Il Tribunale di Cagliari sulla formazione dell’atto di nascita e il riconoscimento del figlio da entrambe le madri

Il Tribunale di Cagliari affronta il delicato tema della filiazione del minore nato in Italia da PMA eterologa praticata all’estero nell’ambito di una coppia omossessuale. Centrali, nella pronuncia del Tribunale, anche i temi della formazione dell’atto da parte dell’Ufficiale dello Stato Civile e del nuovo concetto di genitorialità intenzionale.

Il giudizio traeva origine dal ricorso presentato dal Ministero dell’interno e dalla Prefettura di Cagliari contro il Comune della stessa città, con cui veniva chiesta la disapplicazione dell’atto dell’Ufficiale dello Stato Civile contenente la dichiarazione di riconoscimento del minore quale figlio naturale da parte della convivente della madre partoriente, che aveva assunto così lo stato di altro genitore” dello stesso sesso. Costituitesi in giudizio, le resistenti, quali esercenti la responsabilità genitoriale sul minore, eccepivano preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva delle amministrazioni ricorrenti. Con riferimento, poi, al merito della controversia, illustravano la loro relazione sentimentale, iniziata con una convivenza e proseguita con l’elaborazione di un progetto condiviso di genitorialità, che le aveva portate a fare ricorso in Germania alla PMA di tipo eterologo, prevista in tale Stato anche per coppie dello stesso sesso . A tal proposito, le resistenti rilevavano come la giurisprudenza di merito avesse già avuto modo di riconoscere la legittimità di un atto di nascita, relativo a minori nati in Italia, nell’ambito di progetti di genitorialità portati avanti tramite l’accesso all’estero a tecniche di PMA, recante l’indicazione di due madri. Il PM, per parte sua, osservava che le resistenti, facendo ricorso alla PMA di tipo eterologo in Germania, avevano prestato un consenso privo di efficacia nell’ordinamento italiano, richiamando altresì la più recente giurisprudenza della Cassazione, contraria al riconoscimento di una genitorialità sociale, in difetto di vincolo biologico. Ritenuta l’ammissibilità della domanda, sotto il profilo della legittimazione ad agire, il Tribunale ne dichiara, peraltro, l’infondatezza quanto al merito. La fattispecie in esame, afferma il Tribunale, è stata recentemente esaminata da vari giudici di merito, tra cui la Corte d’Appello di Trento che, con decreto 16 gennaio 2020, ha fatto luce proprio su questo tema legato alla filiazione del minore nato in Italia da fecondazione eterologa praticata all’estero nell’ambito di una coppia omosessuale. In particolare, ciò che i Giudici ritengono condivisibile della ricostruzione sistematica fornita dalla Corte d’Appello è l’affermazione che riconosce la prevalenza alla tutela dell’interesse dell’incolpevole nato alla conservazione di uno status già acquisito a seguito della nascita e del consenso prestato da coloro che hanno fatto ricorso alla PMA , scindendo tale profilo dalla valutazione di liceità o illiceità della tecnica di PMA concretamente utilizzata . Inoltre, prosegue il Collegio, è bene tener conto che la stessa l. n. 40/2020 ha delineato un nuovo tipo di genitorialità, denominata intenzionale , non più basata sul legame biologico/genetico tra i genitori e il nato, quanto piuttosto sul consenso reso dalle parti che vi si sottopongono e che manifestano la volontà di assumere la responsabilità della procreazione . Ed è proprio da tale affermazione che, secondo il Tribunale, appaiono non condivisibili le argomentazioni del PM e delle amministrazioni ricorrenti in ordine all’imprescindibilità del legame biologico tra il nato e colui che intende affermare il suo ruolo di genitore. L’art. 8 poi della medesima legge chiarisce che i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tali tecniche, senza alcun riferimento al necessario rispetto dei requisiti soggettivi o oggettivi di accesso alla PMA . Dunque, è proprio dal dato positivo che secondo il Tribunale non è possibile ritenere condivisibile la tesi del Ministero degli Interni e della Prefettura di Cagliari secondo cui gli artt. 30 e 43 d.P.R. n. 396/2000, nel disciplinare la formazione dell’atto di nascita e il riconoscimento del figlio, presupporrebbero necessariamente la diversità di sesso dei genitori. A sostegno della propria tesi, dopo aver esaminato la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 7668/2020 che comunque non inficerebbe il ragionamento finora condotto, il Tribunale ritiene che sia stata proprio la Corte Costituzionale, con sentenza Corte cost. n. 221/2019 ad aver scolpito il principio guida di tale controversa tematica, nella parte in cui ha affermato che il divieto di accesso alla PMA per coppie di individui dello stesso sesso non si pone in contrasto con la possibilità di ricorre all’adozione o alla trascrizione dell’atto formato all’estero dopo la nascita e ciò in quanto se prima della nascita, il legislatore può discrezionalmente limitare l’accesso alla PMA, da intendersi quale tecnica per porre rimedio a una infertilità patologica nell’ambito della conservazione di un modello di famiglia ritenuto preferibile, una volta che la nascita si è verificata, deve essere tutelato l’interesse del nato alla conservazione e al consolidamento delle relazioni familiari già instaurate . Fonte ilfamiliarista.it

Tribunale di Cagliari, sez. I Civile, decreto 31 marzo – 28 aprile 2020, n. 1146 Presidente Tamponi – Relatore Gana Motivi della decisione Con ricorso depositato il 13/4/2019 il MINISTERO DELL'INTERNO e la PREFETTURA di CAGLIARI hanno adito il Tribunale di Cagliari, convenendo in giudizio il Comune di Cagliari, e omissis , e hanno chiesto la disapplicazione dell'atto dell'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Cagliari con il quale, in data omissis , è stata ricevuta e annotata la dichiarazione mediante la quale omissis ha riconosciuto, quale suo figlio naturale, il minore omissis , nato a omissis . A sostegno della domanda le amministrazioni ricorrenti hanno esposto - che il minore è già stato riconosciuto da omissis , madre partoriente - che con gli artt. 30 e 43 del D.P.R. n. 396/2000 il legislatore ha stabilito che nell'atto di nascita devono essere indicati la madre partoriente e il padre biologico, previa verifica della condizione di padre o di madre in capo al soggetto che rende la dichiarazione che l'Ufficiale dello Stato civile di Cagliari non ha osservato tali norme e, conseguentemente, l'impugnazione del relativo atto si è resa necessaria per la tutela dell'ordine pubblico e dell'uniformità nell'accertamento della genitorialità. Quanto premesso, le amministrazioni ricorrenti hanno concluso come in epigrafe. Con comparsa di costituzione e risposta del 31/5/2019 si è costituito in giudizio il Comune di Cagliari che, pur rimettendosi alla valutazione di questo Tribunale in ordine alla legittimità del proprio operato, ha esposto - in data 5/3/2019, il Vice Sindaco del Comune di Cagliari ha disposto l'annotazione del riconoscimento di omissis già figlio di omissis , da parte di omissis . - tale annotazione è stata disposta con il supporto dell'orientamento prevalente formatosi nella giurisprudenza di merito in relazione a casi analoghi, dalla cui lettura emerge il convincimento degli interpreti circa l'esistenza di un nuovo tipo di genitorialità nell'ordinamento giuridico, ossia la genitorialità intenzionale, fondata sul consenso reso dai soggetti che fanno ricorso alla procreazione medicalmente assistita, disciplinata dalla L. n. 40/2004 - nell'ambito di tale legge, il legislatore ha stabilito che la volontà di una coppia di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di seguito PMA determina l'attribuzione al nato dello status di figlio di entrambi i membri della coppia, in virtù del consenso dagli stessi prestato nel momento in cui hanno deciso di accedere a tali tecniche e delle specifiche conseguenze che dallo stesso normativamente derivano - che, più nel dettaglio, il consenso reso dalla coppia ha carattere irrevocabile, preclude qualsiasi azione di disconoscimento di paternità o la mancata indicazione del nominativo materno nell'atto di nascita - che con tale impostazione normativa è stata parificata la genitorialità intenzionale a quella biologica, prescindendo dal rapporto genetico eventualmente esistente tra il nato e la coppia che ha fatto ricorso alla PMA - che la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19599/2016, ha escluso il contrasto con l'ordine pubblico, idoneo a precludere la trascrizione in Italia, di un atto di nascita straniero. valido in base alla legge in vigore nello Stato in cui è stato formato, da cui risulti la nascita di un figlio da due madri entrambe geneticamente legate al nato , in virtù del ricorso ad una tecnica di procreazione non riconosciuta dall'ordinamento interno - in particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che l'impianto normativo della legge n. 40/2004, che preclude l'accesso alle tecniche ivi disciplinate a coppie formate da individui dello stesso sesso, costituisce una delle modalità di regolazione della materia discrezionalmente individuabili dal legislatore, ma non rappresenta una soluzione costituzionalmente obbligata - che le unioni tra individui dello stesso sesso, disciplinate dalla legge n. 76/2016, costituiscono formazioni sociali costituzionalmente rilevanti, e non è consentita alcuna differenza di trattamento tra coppie in base al loro orientamento sessuale, posto che si risolverebbe in una compromissione del superiore interesse del minore - che, peraltro, se può essere trascritto l'atto di nascita formato all'estero in cui risultano due madri, come riconosciuto dalla Corte di Cassazione, precludere la formazione di analogo atto all'interno dell'ordinamento si risolverebbe in una discriminazione di trattamento in ragione del luogo di nascita del figlio della coppia - che l'individuazione del padre e della madre, quali soggetti legittimati al riconoscimento, deve essere interpretata nel senso che non è escluso che la dichiarazione sia resa da due madri, trattandosi di una congiunzione e volta a individuare le categorie di legittimati. Quanto premesso, il Comune di Cagliari ha concluso come in epigrafe. Con comparsa di costituzione e risposta del 3/6/2019 si sono costituite in giudizio e omissis , in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale su omissis , le quali preliminarmente hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva delle amministrazioni ricorrenti. Queste ultime, infatti, hanno sostanzialmente chiesto la rettifica ai sensi dell'art. 95 del D.P.R. n. 396/2000 di un atto dello Stato civile tuttavia, si tratta di domanda che può essere proposta esclusivamente dai soggetti titolari di diritti soggettivi correlati all'atto impugnato e dal Procuratore della Repubblica, chiamato a tutelare l'interesse pubblico con riferimento al rapporto sostanziale oggetto della domanda di rettifica, ferma restando la possibilità di intervento di ogni altro soggetto che vi abbia interesse. Con riferimento al merito della causa, le resistenti hanno esposto - di avere avviato una stabile relazione sentimentale dal 2014, iniziando a convivere dal 2017 - di avere elaborato un progetto condiviso di genitorialità facendo ricorso in Germania alla PMA di tipo eterologo, accessibile in tale Stato anche alle coppie formate da individui dello stesso sesso, prestando il proprio consenso il 17/11/2017 e, per l'effetto, manifestando la volontà di assumere congiuntamente la responsabilità genitoriale del nascituro - che la gravidanza è stata portata avanti da omissis mentre il omissis la omissis ha riconosciuto come proprio figlio omissis - che la giurisprudenza di merito ha già riconosciuto la legittimità di un atto di nascita, relativo a minori nati in Italia, nell'ambito di progetti di genitorialità portati avanti tramite l'accesso all'estero a tecniche di PMA, che rechi l'indicazione di due madri si vedano Tribunale di Bologna decreto n. 6864 del 5/7/2018 Tribunale di Pistoia decreto n. 2196 del 5/7/2018 Corte d'Appello di Firenze decreto del 19/4/2019, Tribunale di Genova decreto del 3/12/2018 - alla base di tale orientamento della giurisprudenza di merito si pone il convincimento per il quale l'art. 8 della legge n. 40/2004, con il quale è attribuita la responsabilità genitoriale del nato ai membri della coppia che hanno prestato il consenso alla PMA, trova applicazione anche quando coppie di individui dello stesso sesso hanno fatto ricorso all'estero a pratiche di PMA non consentite dall'ordinamento interno - che tale affermazione si giustifica, in primo luogo, da un punto di vista letterale, atteso che la norma è scritta quale norma generale sull'attribuzione della responsabilità genitoriale che prescinde dal rispetto dei requisiti soggettivi di accesso alla PMA di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 40'2004 e, in questi termini, era stata interpretata anche dalla Corte Costituzionale, a giudizio della quale l'art. 8 era in grado di disciplinare anche le fattispecie di ricorso alla PMA eterologa prima che la stessa fosse consentita anche nel nostro ordinamento - in secondo luogo, tale convincimento è avvalorato dal rilievo per il quale pur essendo possibile che manchi il legame biologico tra un membro o entrambi i membri della coppia e il nato, è il loro consenso, manifestato anche con atti concludenti, e la conseguente assunzione di responsabilità che hanno determinato l'evento della nascita - che l'impianto normativo, complessivamente inteso, rende evidente la volontà del legislatore di bilanciare contrapposti interessi riconoscendo preminenza al superiore interesse del minore all'instaurazione del rapporto genitoriale con entrambi i soggetti che, con il loro consenso, ne hanno determinato la nascita - che tale bilanciamento sia stato effettuato dal legislatore ordinario è reso evidente dalla previsione, nell'ipotesi di ricorso alle tecniche di PMA in violazione delle norme che regolano l'accesso ad es. sotto il profilo soggettivo di precetti a sanzione imperfetta, che garantiscono la permanenza degli effetti giuridici di una condotta contra legem - ciò è dimostrato dal dato letterale dell'art. 9 della legge n. 40/2004 tale norma, che disciplina attualmente le fattispecie di ricorso alla fecondazione eterologa in casi non consentiti anche dopo la pronuncia n. 162/2014 della Corte Costituzionale, prevede che non possano essere proposte dai membri della coppia né l'azione di disconoscimento, né la richiesta di non essere menzionata nell'atto di nascita e che il donatore di gameti non acquista alcun rapporto parentale con il nato - allo stesso modo, l'art. 12 della legge n. 40/2004 non ha previsto, nel caso di ricorso alla PMA da parte di coppie di soggetti dello stesso sesso, alcuna deroga all'applicazione dell'art. 8, limitandosi a stabilire una sanzione amministrativa a carico di chi applichi loro tali tecniche - che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13000/2019 resa in materia di fecondazione assistita post mortem, ha confermato, al fine di salvaguardare i diritti fondamentali del minore e l'interesse ad acquisire certezza in ordine alla propria discendenza bigenitoriale, l'indifferenza dell'art. 8 della 1. n. 40/2004 al rispetto dei requisiti di cui agli artt. 4 e 5 della stessa legge - conseguentemente, è evidente la prevalenza del principio volontaristico e di responsabilità procreativa sul dato fattuale della violazione delle norme che legittimano l'accesso alla PMA e tale affermazione deve essere ritenuta valida anche quando la violazione riguarda il requisito della diversità di sesso fra coloro che accedono alla PMA - che non si possono trarre indicazioni contrarie dagli artt. 30 e 46 del D.P.R. n. 396/2000, come erroneamente sostenuto dalle amministrazioni ricorrenti, dato che l'art. 30 prevede che i genitori possano rendere la dichiarazione di nascita e non individua, quali legittimati, il padre e la madre, mentre l'art. 43 non prevede a carico dell'Ufficiale dello Stato civile alcun obbligo di verificare la condizione di paternità o di maternità - che, in buona sostanza, bisogna prendere atto dell'esistenza nell'ordinamento di un modello di genitorialità che prescinde dal dato genetico biologico sul quale è improntato il sistema codicistico, essendo invece fondato sul consenso prestato dalla coppia all'atto di intraprendere la PMA e che prescinde dal suo orientamento sessuale - che non può assumere rilevanza la differenza contenutistica tra il consenso reso in Germania e quello previsto dalla legge italiana, posto che la mancata raccolta del consenso nei termini previsti dalla legge è sanzionata, dallo stesso complesso normativo, esclusivamente tramite sanzioni amministrative e non già con la deroga agli effetti che discendono automaticamente dal consenso reso dalla coppia al percorso di PMA - che il superiore interesse del minore deve essere il criterio cardine di ogni decisione giudiziale relativa alla condizione di un minore e, nel caso di specie, impone di non privare il minore omissis dei rapporti familiari che vive quotidianamente con la signora omissis e con la sua famiglia di origine e che contribuiscono a definirne l'identità personale - che tale superiore interesse, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità nelle pronunce nn. 19599/2016, 14878/2017, 12193/2019, incontra il suo limite nella violazione del divieto di maternità surrogata, fattispecie sanzionata penalmente in quanto lesiva di altro interesse di rango costituzionale, ossia la dignità umana in mancanza di tale violazione, a fronte della quale l'interesse del minore deve essere tutelato mediante l'adozione speciale, non possono essere individuati ostacoli idonei a precludere il riconoscimento da parte di entrambe le madri. Quanto premesso, le resistenti hanno concluso come in epigrafe. All'udienza del 4/6/2019 il Tribunale ha concesso un termine alle parti al fine di prendere posizione in ordine al difetto di legittimazione attiva delle amministrazioni ricorrenti. Alla successiva udienza del 17/9/2019 il Tribunale ha concesso un termine al Pubblico Ministero, presente all'udienza, al fine di consentirgli di costituirsi in giudizio e di prendere posizione su quanto dedotto dalle parti. Con comparsa di costituzione del 13/1/2020 il Pubblico Ministero si è costituito in giudizio evidenziando, preliminarmente, sia la legittimazione attiva delle amministrazioni ricorrenti alla proposizione del ricorso, sia l'infondatezza della relativa eccezione delle resistenti a seguito del proprio intervento in causa, formulato a sostegno del ricorso. In ordine al merito della causa, il Pubblico Ministero ha esposto - che la L. n. 40/2004 ha disciplinato l'accesso alla PMA riconoscendola quale strumento con il quale favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità umana e quando non ci siano altri metodi terapeutici efficaci - che l'accesso alla PMA è consentito soltanto alle coppie di maggiorenni viventi di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile - che omissis e omissis hanno fatto ricorso in Germania alla PMA di tipo eterologo prestando un consenso privo di efficacia nell'ordinamento interno, dovendo lo stesso essere inquadrato nell'ambito di una fattispecie vietata dalla legge n. 40/2004 sotto il profilo soggettivo non sussistendo la diversità di sesso tra i membri della coppia e sotto il profilo oggettivo, dato che si è trattato di una fecondazione di tipo eterologo posta in essere al di fuori dei casi in cui è consentita dalla legge italiana - che la sentenza della Cassazione n. 19599/2016. con la quale è stata ammessa la trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero e recante l'indicazione di due madri, si è basata sul fatto che entrambe le madri avessero un legame biologico con il nato - che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221/2019 ha confermato la ragionevolezza dell'impianto normativo della legge n. 40/2004 nella parte in cui ha escluso che coppie formate da individui dello stesso sesso possano accedere alla PMA infatti, l'accesso alla PMA è stato disciplinato dal legislatore ordinario a fini terapeutici, prevedendo specifici requisiti di ammissione, ed escludendo quindi che tali tecniche siano uno strumento per l'attuazione di un ipotizzato diritto alla genitorialità da riconoscere in modo indifferenziato nell'ambito della sua discrezionalità, ha proseguito la Consulta, il legislatore ben può delineare un modello con cui esprimere la sua preferenza per la nascita all'interno di un nucleo familiare composto da un uomo e da una donna, scelta non superabile dalla stessa Corte a meno di non invadere il nucleo di discrezionalità riservato al potere legislativo - che, inoltre, l'infertilità patologica alla quale la legge n. 40/2004 ha inteso porre rimedio è ben diversa dall'infertilità che fisiologicamente contraddistingue coppie formate da individui dello stesso sesso, senza che ciò implichi il disconoscimento della rilevanza costituzionale di tali unioni - che tali conclusioni non sono inficiate dagli orientamenti giurisprudenziali che hanno riconosciuto la trascrivibilità degli atti di nascita formati all'estero, e recanti l'indicazione di due madri, o la possibilità di ricorrere all'adozione, dato che il divieto di accedere alla PMA per coppie dello stesso sesso si colloca prima della nascita del minore, in un momento in cui il legislatore può valutare quali siano, in base al suo giudizio, le condizioni migliori in cui favorire la sua nascita. Quanto premesso, il Pubblico Ministero ha concluso come in epigrafe. All'udienza del 28/1/2020 le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni e il Tribunale si è riservato sulla decisione della causa, istruita con produzioni documentali. Le domande di rettifica dell'atto di nascita di omissis non sono fondate e vanno respinte secondo le argomentazioni che saranno ora esposte. Preliminarmente, quanto all'eccezione di difetto di legittimazione attiva delle amministrazioni ricorrenti si osserva quanto segue. La domanda proposta dalle amministrazioni ricorrenti, tesa ad ottenere la disapplicazione di un atto dello Stato civile deve essere più propriamente intesa, a giudizio di questo Tribunale, quale domanda volta ad ottenere la rettifica di tale atto ai sensi degli artt. 95 e 96 del D.P.R. n. 396/2000. Si tratta di un'azione finalizzata ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto quale è o dovrebbe essere secondo la previsione di legge e quella risultante dai registri dello Stato civile la legittimazione a proporre tale azione è riconosciuta a chi si ritenga leso dall'attività dell'Ufficiale dello Stato civile, in quanto titolare di diritti soggettivi connessi con l'atto che è stato formato e al Pubblico Ministero, autorità legittimata all'azione qualora sia necessario tutelare interessi di livello sovraindividuale. In tale quadro, si osserva che nella formazione degli atti dello Stato civile il Sindaco agisce come organo periferico della Amministrazione statale, dalla quale dipende ed alla quale sono pertanto imputabili gli atti da lui compiuti nella predetta veste, è pur vero che si tratta di un'attività amministrativa funzionale ad assicurare il regolare svolgimento del servizio e l'unità d'indirizzo nell'interpretazione di disposizioni dalla cui applicazione discendono effetti determinanti per la tutela dei diritti sia personali che patrimoniali . Si tratta, essenzialmente, di un'attività amministrativa vincolata nell'interesse individuale nello svolgimento della quale l'amministrazione statale non agisce in qualità di parte, non dovendo coordinare l'interesse individuale con alcun interesse pubblico, essendo invece tenuta a garantire che le disposizioni di legge, relative alla tenuta dei pubblici registri, vengano correttamente e uniformemente applicate nell'ordinamento, garantendo la funzione strettamente pubblicitaria dei registri dello Stato civile si veda su tali aspetti Corte di Cassazione n. 12193/2019 . Ciò non toglie, tuttavia, che nel caso concreto l'amministrazione statale possa essere titolare di un autonomo e attuale interesse, tale da legittimare l'intervento nel giudizio di rettificazione degli atti dello Stato civile, da altri regolarmente instaurato. Appare corretto quindi affermare, in conformità con l'insegnamento della Corte di Cassazione da ultimo richiamato, che le amministrazioni ricorrenti siano quantomeno titolari del potere di intervenire nel presente procedimento e, in questo senso, devono essere qualificate le domande da esse proposte in causa. Ciò in quanto il Pubblico Ministero, titolare della legittimazione attiva ex lege, si è costituito in giudizio proponendo, a sua volta, la domanda di rettifica dell'atto dello Stato civile e quindi riproponendo alla cognizione del Tribunale l'intera vicenda fattuale già oggetto dell'atto introduttivo del Ministero degli Interni e della Prefettura di Cagliari. Ne consegue che a fronte della domanda di rettifica dell'atto dello Stato civile, proposta dal Pubblico Ministero, soggetto titolare della legittimazione attiva ad introdurre il presente giudizio, il Tribunale può giungere ad una pronuncia sul merito della causa, con riferimento alle domande di quest'ultimo e in ordine a quanto affermato in giudizio dalle amministrazioni titolari del potere di intervento. Ciò posto, il Tribunale osserva come oggetto del presente giudizio sia l'accertamento della corrispondenza tra quanto risulta dall'atto dello Stato civile del Comune di Cagliari, nel quale è stata inclusa omissis quale genitore di omissis e la realtà fattuale quale è alla luce della applicazione della legge che la disciplina. In questa logica, deve essere verificato se il dato positivo vigente, come interpretato dal diritto vivente, consente di affermare che dal consenso prestato ad un progetto di genitorialità condivisa da parte di una coppia di donne sentimentalmente legate, e quindi dalla consapevole assunzione della responsabilità procreativa da parte di entrambe, derivi comunque l'applicabilità del complesso di norme che la legge n. 40'2004 pone a tutela del nato, inclusa l'instaurazione del rapporto di filiazione con entrambi i genitori di intenzione, nonostante la violazione delle norme che regolano i requisiti soggettivi di accesso alla PMA. Ebbene, si tratta di una fattispecie che è stata recentemente esaminata da vari giudici di merito ed efficacemente analizzata, sotto il profilo del dato normativo rilevante, da parte della Corte d'Appello di Trento con il decreto del 16 gennaio 2020 la chiarezza di tale analisi rende opportuno riproporla nell'odierno provvedimento al fine di individuare la disciplina in tema di filiazione applicabile al minore nato in Italia da fecondazione eterologa praticata all'estero nell'ambito di una coppia omosessuale, ricostruendo quindi il dato normativo applicabile alla realtà fattuale considerata nell'atto di nascita oggetto del presente giudizio. Procedendo in tal senso, così si legge nel provvedimento della Corte d'Appello di Trento Va premesso che il nostro ordinamento non prevede un modello di genitorialità fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore e il nato. L'evoluzione scientifico-tecnologica e l'evoluzione dei costumi e della cultura comporta oggi la possibilità di riconoscere tre diversi tipi di genitorialità e quindi di costituzione dello status filiationis quella da procreazione naturale, quella da adozione legittimante ex lege n. 184/1983 e quella da procreazione medicalmente assistita di seguito PMA, legge 40'2004 . Solo la prima è fondata sul dato biologico -genetico, mentre nelle altre due, definite come forme di genitorialità sociale e affettiva, prevale l'aspetto volontaristico, ferma l'identità di status ex art. 315 c.c. Senza dubbio la filiazione giuridica non coincide con la discendenza o l'appartenenza genetica tanto si ricava dall'art. 30, comma 4, Cost. le norme di rango primario fissano i limiti alla ricerca della paternità con disposizioni tipiche e di stretta interpretazione, ispirate alla salvaguardia dei diritti fondamentali, cfr. Corte Cost. n. 70/1965 dal diritto riconosciuto alla madre di evitare l'attribuzione dello status mediante la scelta di non indicazione della maternità nell'atto di nascita art. 30, comma primo, D.P.R. n. 396 2000 che introduce il cd. parto in anonimato , con scissione ex lege della genitorialità naturale da quella giuridica dalla previsione di termini decadenziali, tranne che per il minore, all'esperimento delle azioni ablative artt. 241 e 263 c.c. novellati nel 2013 . Con la legge n. 40/2004 è stata introdotta in Italia la prima regolamentazione organica della procreazione medicalmente assistita, il cui fulcro risiede, in particolare, negli artt. 6,8 e 9 secondo i quali il nato da PMA omologa o eterologa ha lo stato di figlio nato nel matrimonio o fuori da esso della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime. In capo di PMA eterologa prima vietata in modo assoluto e a seguito della sentenza Corte Cost. n. 162/2014, consentita per la coppia cui sia stata diagnosticata sterilità o infertilità assolute e irreversibili il coniuge o il convivente che ha dato il suo consenso alla pratica non può disconoscere il figlio o esercitare l'impugnativa per difetto di veridicità e la madre non può esercitare la facoltà di non essere nominata nell'atto di nascita il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato, non può far valere nei suoi confronti alcun diritto, né essere titolare di obblighi art. 9 legge n. 40/2004 . Quindi la previsione dell'unicità di status, di cui all'art. 8 della legge n. 40/2004, e il rilievo della filiazione intenzionale, espresso dall'art. 9, evidenziano l'insussistenza della coincidenza tra verità biologica e verità legale e determinano il sorgere di tutele nei confronti del nato, non solo in relazione ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima, in base all'art. 2 Cost., ai suoi diritti nei confronti di chi sia liberamente impegnato ad accoglierlo, assumendone le relative responsabilità ”. Nell'attuale ordinamento positivo esistente una genitorialità biologica di chi fornisce i gameti maschili o femminili e una genitorialità affettiva e psicologica di chi in primis ha accettato di essere genitore di un bambino già nato, come nel caso dell'adozione di crescerlo, educarlo, mantenerlo, istruirlo, assumendo il processo mentale e affettivo dell'essere genitori. La disciplina della pratica della nascita a seguito di fecondazione assistita è un sistema diverso e autonomo rispetto al modello previsto dal codice civile cfr. sent. Corte di Cassazione n. 13000/2019 e regola un rapporto familiare nuovo per la sua genesi rispetto al concetto tradizionale di famiglia, prevedendo il rilievo del consenso validamente prestato in un progetto di genitorialità condivisa come momento centrale, distintivo e caratterizzante il riconoscimento dello status di figlio del nato art. 6 della legge . Invero, la Corte di legittimità ha ripetutamente affermato la necessità di tutelare il diritto fondamentale del nato alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all'estero nei confronti della madre genetica e alla continuità dei rapporti affettivi diritto insito nel sistema , tanto che, come ricorda la stessa Cassazione, il legislatore di ciò ben consapevole ha previsto che, in caso di ricorso a tecniche allora vietate di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo il coniuge o convivente consenziente non possa esercitare l'azione di disconoscimento della paternità, né impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità cfr Corte di Cassazione sent. n. 19599/20162 . Dunque, compresa l'ipotesi di ricorso a una tecnica vietata fecondazione eterologa, art. 9 , la legge n, 40 2004 ha comunque voluto garantire l'esistenza del rapporto di filiazione ed evitare qualsiasi rilievo giuridico al rapporto con il donatore, qualsiasi interferenza, conferendo al nato una tutela addirittura più forte di quella assicurata all'interno della famiglia, come disciplinata dal c.c. . Alle conclusioni sopra esposte in punto di status nessun rilievo contrario può derivare dalla condizione giuridica della coppia l'art. 5 della legge n. 40/2004 consente l'accesso alla PMA non soltanto alle coppie coniugate, ma anche alle coppie solo conviventi. La mancanza nella nozione normativa di conviventi di qualsivoglia indicazione in ordine al genere dei componenti depone a favore della possibilità di considerare ricomprese nella medesima anche le coppie stesso sesso. L’art. 8 della legge citata prevede, senza ulteriori distinzioni o limitazioni, che i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'art. 6 . Deve ritenersi ormai pacifico che nel nostro ordinamento anche le unioni omosessuali rientrano nella nozione di coppia, da intendersi come una formazione sociale protetta ai sensi dell'art. 2 Cost3. A questo punto, è necessario verificare se nel sistema normativo vigente si possano evincere principi di ordine pubblico che ostino al riconoscimento dello status di figlio al nato in Italia da tecniche di fecondazione eterologa nell'ambito di un progetto genitoriale riferito a coppia omosessuale. Come osservato dalla giurisprudenza di merito, la chiave di lettura è fornita dati 'art. 8 della legge n. 40 che assurge a criterio di soluzione del conflitto tra l'esigenza di garantire stabilità e certezza dello status dell'individuo procreato e la previsione di divieti e la comminazione di sanzioni in capo ai titolari delle altre posizioni giuridiche coinvolte protagonisti del progetto genitoriale, terzi partecipi all'atto procreativo in via genetica o in via di contributo professionale . La norma, infatti, secondo la Corte di Cassazione sentenza n. 13000/2019 esprime l'assoluta centralità del consenso come fattore determinante la genitorialità in relazione ai nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di PMA. La norma non contiene alcun richiamo ai suoi precedenti artt. 4 e 5, con i quali si definiscono i confini soggettivi dell'accesso alla PMA, così dimostrando una sicura preminenza della tutela del nascituro, sotto il profilo del conseguimento della certezza dello status filiationis, rispetto all'interesse, pure perseguito dal legislatore, di regolare rigidamente l'accesso a tale diversa modalità procreativa. Questo si evince anche dalla considerazione che l'art. 8 è collocato nel Capo III della legge n. 40 in modo autonomo da un punto di vista sistematico e appresta tutela al figlio senza alcun richiamo né alle norme sui divieti, espressi dall'art. 5, né agli effetti della violazione di essi ivi compresa, quindi la violazione della prescrizione dell'eterosessualità della coppia , in una prospettiva di salvaguardia dei diritti del concepito e del futuro nato, indipendentemente dalle condizioni di accesso alle pratiche considerate tale previsione esprime un principio fondamentale e generale, rispetto al quale le altre disposizioni cedono il passo. Del resto, stabilire un rapporto necessario tra interesse del minore alla conservazione dello status e modalità della procreazione significherebbe sovrapporre acriticamente all'interesse del minore il mero disfavore dell'ordinamento verso talune tecniche o pratiche di PMA realizzando all'evidenza un'operazione contrastante con il best interest of the child, cioè alla stabilità dello status acquisito con la nascita, anche se non corrispondente alla verità biologica. Nel lavoro interpretativo, teso a realizzare il miglior bilanciamento degli interessi convergenti e confliggenti, anche questa Corte deve illuminare e conformare le proprie valutazioni in modo da attribuire preminenza all'interesse dell'incolpevole nato, operazione metodologica imposta sia dalle fonti sovranazionali art. 23 del Regolamento CE 2201/2003 Convenzione sui diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996 art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 sia dall'ordinamento interno. In questo, l'interesse morale e materiale del minore la cui tutela è già implicita nell'art. 30 Così., comma primo, sul diritto dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli ha assunto carattere di piena centralità dopo la riforma attuata con la legge 19 maggio 1975, n. 151, la disciplina dell'adozione e l'affidamento dei figli minori, come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, novelle normative che hanno introdotto forme di tutela dei diritti del minore sempre più incisive. Il riconoscimento e la tutela del preminente interesse del minore traspaiono anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 205 2015, ricorda la giurisprudenza di questa Corte ha contribuito a definire i multiformi contenuti l'interesse del minore, che trascende le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre, reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e armonico sviluppo della personalità Proprio per questa nuova pienezza di significato, che trae ispirazione e coerenza dai precetti costituzionali, l'interesse del minore non può patire discriminazioni arbitrarie . L’insieme delle fonti normative citate, come interpretate anche dalla giurisprudenza internazionale, sanciscono, in tema di rapporti familiari, la prevalenza del diritto del minore ad una relazione di genitorialità certa, come espressamente riconosciuto nell'art. 8, paragrafo primo, della Convenzione di New York sul diritto del fanciullo a presenziare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali, oltre ad essere strettamente connesso con il diritto alla vita privata e all'identità non solo fisica, ma anche personale e sociale del minore. L'interesse del figlio, come nel caso in esame, è quello di acquisire rapidamente la stabilità della propria discendenza bi-genitoriale con il corollario del rapporto di parentela con il ramo della madre intenzionale e tutti i conseguenti diritti ereditari , elemento di primaria rilevanza nella costruzione della propria identità familiare e sociale derivante dall'essere nato nell'ambito di un progetto di genitorialità realizzato mediante PMA effettuata all'estero, come evincibile sia dagli artt. 2 e 30 Cost., secondo i quali il nato ha diritto oltre che di crescere nell'ambito della propria famiglia, anche di avere certezza della propria provenienza secondo il codice civile biologica, secondo la legge 40 fondata sul consenso ad un progetto di genitorialità , rivelandosi tale provenienza come uno degli aspetti in cui si manifesta la sua identità personale. L’ordinamento nazionale già ammette la possibilità di circolazione dello status in quanto non in violazione dell'ordine pubblico , rispetto alla partner della partoriente priva di legame genetico con il figlio in ipotesi di fecondazione eterologa avvenuta all'estero come riconosciuto dalla Suprema Corte in una decisione riguardante la rettifica, a seguito della modifica apportata dall'ufficiale di Stato civile straniero, dell'atto di nascita di minore formato all'estero e già trascritto cfr. Cassazione sentenza n. 14878 2017 , valorizzando l'attenuazione dell'essenzialità del legame biologico tra il nascituro e gli aspiranti genitori, quale risulta dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 162/2014 sul divieto di ricorso a tecniche di PMA di tipo eterologo. Con la richiamata pronuncia n. 19599/2016, che ha trovato conferma in altre successive e nessuna pronuncia in dissenso, la Corte di Cassazione ha affermato i seguenti principi di diritto il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello Stato civile in Italia di un atto straniero, validamente formato in Spagna, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne, in particolare da una donna italiana indicata come madre B che ha donato l'ovulo a una donna spagnola indicata come madre A che l'ha partorito, nell'ambito di un progetto genitoriale realizzato dalla coppia, coniugata in quel paese, non contrastano con l'ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi di simili fattispecie sul territorio italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis, validamente acquisito all'estero nella specie, in un altro paese della UE e ancora che l'atto di nascita straniero valido, nella specie, sulla base di una legge in vigore in un altro paese della UE da cui risulti la nascita di un figlio da due madri per avere l'una donato l'ovulo e l'altra partorito non contrasta di per sé con l'ordine pubblico per il fatto che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta nell'ordinamento italiano dalla legge n. 40 2004, la quale rappresenta una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate . Anche l'art. 9 della legge n. 40/2004, successivamente all'intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 162/2014 che ha dichiarato incostituzionale il divieto assoluto di fecondazione eterologa di cui all'art. 4, comma terzo, legge citata , conferma che per il legislatore ordinario la discendenza genetica non è principio fondante il riconoscimento della genitorialità. La questione della genitorialità delle coppie omosessuali è stata di recente oggetto di nuovo approfondimento dalle SSUU della Suprema Corte in tema di riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero che hanno affermato che la compatibilità con l'ordine pubblico, richiesta dalla legge n. 218/1995, art 6 e ss., deve essere valutata alla stregua non sono dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria e dei singoli istituti, nonché dell'interpretazione fornita dalla giurisprudenza costituzionale e ordinari, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico Cass. civ. SS.UU. sent. n. 12193/2019 . Conseguentemente la Corte ha ritenuto che il riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore di intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, L. n. 40/2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione, valori non irragionevolmente ritenuti prevalenti il nato ha il diritto fondamentale che deve essere tutelato, alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all'estero tale interesse è destinato ad affievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di maternità, in cui il divieto nell'ottica fatta propria dal giudice delle leggi viene a configurarsi come l'anello necessario di congiunzione tra la disciplina della PMA e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell'identità genetica e biologica . Questo è, tuttavia, l'unico limite finora affermato dal giudice nomofilattico all'operatività del principio preminente di tutela dello status di figlio nato da tecniche di PMA, che in ogni altra ipotesi di violazione delle regole di accesso alle pratiche di fecondazione assistita resta impregiudicato per effetto di chiara scelta legislativa rinvenibile nella formulazione dell'art. 8 e nel sistema sanzionatorio attenuato di cui agli artt. 5 e 12, comma 2 e 8 della stessa legge. Ebbene, la ricostruzione sistematica fornita dalla Corte d'Appello di Trento, e. in precedenza, in termini sostanzialmente omogenei anche dalle Corti d'Appello di Firenze del 19/4/2019 e di Perugia del 21/11/2019 appare assolutamente condivisibile ed è intendimento di questo Collegio dare seguito a tale orientamento nella regolazione del caso oggetto del presente giudizio, riconoscendo prevalenza alla tutela dell'interesse dell'incolpevole nato alla conservazione di uno status già acquisito a seguito della nascita e del consenso prestato da coloro che hanno fatto ricorso alla PMA , scindendo tale profilo dalla valutazione di liceità o illiceità della tecnica di PMA concretamente utilizzata. Invero, è del tutto convincente l'affermazione per la quale la legge n. 40/2004 ha delineato un nuovo tipo di genitorialità, denominata intenzionale, non più basata sul legame biologico/genetico tra i genitori e il nato legame peraltro assente anche nella terza forma di genitorialità che l'ordinamento conosce, ossia quella derivante dal ricorso all'istituto dell'adozione , quanto piuttosto sul consenso reso dalle parti che vi si sottopongono e che manifestano la volontà di assumere la responsabilità della procreazione. Si tratta di un'affermazione che di per sé rende non condivisibili le argomentazioni svolte sia dal Pubblico Ministero, sia dal Ministero dell'Interno e dalla Prefettura di Cagliari in ordine all'imprescindibilità del legame biologico tra il nato e colui che intende affermare il suo ruolo di genitore. Da un lato, infatti, tale affermazione non tiene in debito conto le caratteristiche intrinseche della PMA, dato che la stessa può prescindere dal legame genetico con entrambi i componenti della coppia dall'altro, si pone in contrasto con quanto già affermato anche dalla Corte di Cassazione allorquando, nella pronuncia n. 14878/2017, ha negato rilievo dirimente all'assenza di legame biologico/genetico tra il genitore di intenzione e il nato, al fine di riconoscere effetti nel nostro ordinamento a un atto di nascita, formato all'estero, con l'indicazione di entrambi i membri della coppia nel caso di specie, due donne quali genitori del nato. A ben vedere, si tratta di un nuovo modello di genitorialità, disciplinato dal legislatore ordinario compiendo delle valutazioni, in ordine ai requisiti soggettivi di accesso e alle pratiche di PMA che possono essere erogate, che non costituiscono una soluzione costituzionalmente obbligata, ma il risultato di una scelta discrezionale sindacabile dalla Corte Costituzionale nei limiti in cui la stessa risulti essere irragionevole o discriminatoria. Nella consapevolezza della delicatezza della tematica, della rilevanza delle valutazioni etiche e sociali dalle quali la stessa è pervasa e delle differenze nella legislazione dei vari Stati dell'Unione Europea, il legislatore italiano ha ritenuto di dover mantenere in ogni caso fermo lo statuto delle garanzie e delle tutele da riconoscere al nato, evitando altresì di sanzionare il ricorso a pratiche di PMA non espressamente consentite, se non tramite sanzioni di tipo amministrativo a carico degli operatori sanitari. Ed in questa logica si spiega la formulazione letteralmente generale e onnicomprensiva dell'art. 8 della legge n. 40/2004 ai sensi del quale i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tali tecniche, senza alcun riferimento al necessario rispetto dei requisiti soggettivi o oggettivi di accesso alla PMA. Allo stesso modo, trova una spiegazione la previsione nell'art. 12 della stessa legge per la quale il ricorso alla PMA da parte di coppie di individui dello stesso sesso, quindi in violazione dei requisiti soggettivi di accesso alla PMA, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria applicata agli operatori sanitari che hanno provveduto, ma non è prevista alcuna deroga all'applicazione dell'art. 8 e dell'art. 9, che esclude l'azione di disconoscimento da parte del padre o la richiesta di anonimato da parte della madre. Ne consegue che è proprio alla luce del dato positivo che non si può condividere quanto sostenuto dal Ministero degli Interni e dalla Prefettura di Cagliari in merito al fatto che gli artt. 30 e 43 del D.P.R. n. 396/2000. nel disciplinare la formazione dell'atto di nascita e il riconoscimento del figlio, presupporrebbero necessariamente la diversità di sesso dei genitori. Infatti, anche tali norme devono essere interpretate in modo sistematico e coerente con il dato positivo sopra analizzato che esclude qualsiasi conseguenza, in ordine all'instaurazione del rapporto di filiazione ai sensi dell'art. 8 della legge n. 40/2004 in ragione della violazione dei requisiti soggettivi di accesso alla PMA, sub specie della diversità di sesso tra i componenti della coppia. Invero, il diritto vivente, elaborato dalla stessa Corte di Cassazione, ha ripetutamente evidenziato la necessità di interpretare il sistema normativo di cui alla legge n. 40/2004 assumendo quale criterio guida la prevalenza dell'interesse del nato alla conservazione dello status filiations. acquisito ai sensi dell'art. 8 della legge 40, anche qualora la fattispecie concreta si ponga in contrasto con le disposizioni della stessa legge in materia di requisiti di accesso alla PMA. Ciò è stato affermato chiaramente in materia di fecondazione eterologa, in data anteriore alla pronuncia della Corte Costituzionale del 2014 che l'ha reintrodotta nel sistema, e di fecondazione post mortem. In questo quadro, l'irrilevanza della violazione dei requisiti soggettivi od oggettivi di accesso alla PMA, rispetto alla prioritaria tutela del preminente interesse dell'incolpevole nato, deve quindi essere estesa anche alla fattispecie analoga in cui la violazione riguarda la mancanza del requisito della diversità di sesso tra i componenti della coppia che hanno fatto ricorso a tali tecniche. Invero, si tratta di una fattispecie concreta speciale rispetto al genere violazione dei requisiti soggettivi , non suscettibile di un trattamento differenziato che sarebbe del tutto irragionevole e contrastante, fra le altre cose, con gli artt. 2,3 Cost., 8 e 14 della Cedu e che, peraltro, lo stesso legislatore ha disciplinato nell'art. 12 della legge n. 40/2004 prevedendo non già una deroga all'instaurazione dello status filiationis in base all'art. 8 della stessa legge, ma solamente una sanzione amministrativa pecuniaria a carico dell'operatore sanitario. Diversamente opinando, si perverrebbe al risultato paradossale di applicare un trattamento differenziato al minore, nato nell'ambito di una coppia di donne che ha fatto ricorso alla PMA, a seconda che l'evento nascita si sia verificato nel territorio italiano oppure all'estero e sia stata successivamente chiesta la sua trascrizione. Alla luce di tutte le considerazioni sinora svolte, si è individuato il dato normativo di riferimento con il quale accertare se vi sia corrispondenza tra l'atto di nascita, oggetto della domanda di rettifica, e la realtà fattuale di riferimento. Peraltro, l'interpretazione sinora fornita delle norme che dovranno essere utilizzate per fornire una risposta alla domanda di rettifica non appare inficiata da quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 7668/2020. I giudici di legittimità, infatti, si sono pronunciati su una fattispecie analoga, in cui una coppia di donne, che aveva fatto ricorso all'estero alla PMA, ha impugnato il rifiuto dell'Ufficiale dello Stato civile di procedere alla formazione dell'atto di nascita con l'indicazione della madre biologica e della madre intenzionale, la quale aveva dato il proprio consenso alla PMA. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la pronuncia della Corte d'Appello di Venezia, che ha rigettato il gravame contro la decisione del Tribunale di Treviso, abbia fatto corretta applicazione del divieto per le coppie formate da persone dello stesso sesso di accedere alla PMA, divieto che si pone in coerenza con l'impianto normativo cfr. D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30, comma 1 D.P.R. 17 luglio 2015, art. 1, comma 1, lett, che ha sostituito l'art. 7, comma 1, lett. a, del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 costruito, a giudizio della Corte, in modo tale da far si che soltanto una persona possa essere indicata come madre nell'atto di nascita in virtù di un rapporto di filiazione che presupporrebbe tuttora il legame biologico e genetico tra i genitori e il nato. Tale impianto normativo, al quale deve conformarsi qualsiasi atto di nascita formatosi all'interno dell'ordinamento, è stato confermato anche dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 221/2019, ha escluso la configurabilità di un diritto alla genitorialità che si estenda sino alla libera scelta del quomodo'' della stessa, ossia fino alla possibilità di accedere liberamente alla procreazione basata su metodi diversi da quello naturale. A tale esclusione la Corte Costituzionale è giunta, secondo i giudici di legittimità, evidenziando come la PMA sia stata configurata dal legislatore ordinario quale strumento per far fronte a una patologica e altrimenti non superabile infertilità o sterilità umana, con la previsione di limitazioni di ordine soggettivo per accedervi, finalizzata a garantire che chi fa ricorso alla PMA riproduca poi il modello di famiglia caratterizzato dalla presenza di una madre e di un padre. Né tali conclusioni, a giudizio della Corte di legittimità, possono essere inficiate dai precedenti con i quali la stessa Corte di Cassazione ha consentito l'adozione di minori da parte di coppie omosessuali cfr. Cass. n. 12962 del 2016 e la trascrizione in Italia di atti di nascita formati all'estero con l'indicazione del rapporto di filiazione nei confronti di due donne cfr. Cass. n. 19599 del 2016, n. 14878 del 2017 . Ciò in quanto la PMA è finalizzata a generare un figlio non ancora venuto ad esistenza, obiettivo rispetto al quale il legislatore ha posto limitazioni non costituzionalmente illegittime l'adozione. invece, è volta a dare una famiglia ad un minore che ne è formalmente privo e rispetto al quale emerge l'esigenza di tutelare le relazione affettive già instaurate, mentre il riconoscimento in Italia di atti stranieri dichiarativi del rapporto di filiazione da due donne dello stesso sesso può essere ammesso perché da valutare con il diverso parametro rappresentato dall'assenza di contrasto con norme di ordine pubblico. Ebbene, a fronte di tale pronuncia della Corte di Cassazione, è convincimento di questo Tribunale che il dialogo tra giudici di merito e di legittimità debba proseguire e non già arrestarsi. Invero, l'attuale epoca è stata efficacemente definita della postmodernità giuridica, caratterizzata dalla elasticità e fattualità, in cui primeggia la figura dell'interprete costantemente chiamato a raffrontare il piano mutevole dei fatti che gli vengono sottoposti con gli esiti dell'attività interpretativa cui si è giunti, dando vita ad una discussione corale e in costante divenire in cui si deve dare una piena risposta ad ogni esigenza di tutela, non arrestando la propria attività ermeneutica prima che la stessa arrivi ad un approdo sufficientemente saldo. In questa logica, si condivide l'opinione per la quale la nomofilachia deve essere intesa non come un valore assoluto, ma metodologico, che non è funzionale alla mera conservazione di un orientamento giurisprudenziale, ma al raggiungimento di un esito interpretativo che sia in grado di rispondere pienamente, ma per necessità in via solamente provvisoria, ad ogni mutevole esigenza emergente dalla prassi, in modo coerente e ordinato rispetto a tutti i dati interpretativi che possono essere tratti dal sistema e dal diritto vivente. Ed è proprio nel rispetto della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione che questo Tribunale ritiene di dover svolgere un ragionamento ulteriore, anche a seguito della pronuncia da ultimo esaminata, al fine di sollecitare una prosecuzione del dibattito tra gli interpreti che possa permettere di arrivare ad un approdo solido, idoneo a dare una risposta alle diverse sollecitazioni già emerse nella presente materia si pensi alle plurime pronunce dei giudici di merito che, con un'ampia e condivisibile ricostruzione del dato normativo, si sono orientati in senso diametralmente opposto , e che riporti a coerenza il diritto vivente espresso dalla stessa giurisprudenza di legittimità. Ma procedendo, prima di tutto, ad un'analisi dell'argomentazione utilizzata dalla Corte, questo Tribunale ritiene che pur essendo stato riproposto il nucleo centrale del ragionamento della Corte Costituzionale, che ha escluso l'illegittimità costituzionale del divieto di accesso alla PMA da parte di coppie di individui dello stesso sesso, ciò che deve essere esaminato non è già la ragionevolezza di tale divieto, cogente nel sistema, quanto piuttosto quale tutela debba riconoscersi a colui che è nato nell'ambito di una coppia che abbia fatto ricorso alla PMA, con un progetto di genitorialità condivisa, in una fattispecie vietata dall'ordinamento in quanto carente dei requisiti di cui agli artt. 4 e ss. della legge n. 40/2004. D'altra parte, ciò di cui si discute è l'ammissibilità di un atto di riconoscimento che rechi l'indicazione di due madri, atto che per quanto formato con la dichiarazione del genitore biologico o intenzionale, come nel caso di specie non svolge la sua primaria funzione in ordine all'affermazione di un diritto fondamentale alla genitorialità quanto, piuttosto, è diretto a garantire in favore del nato l'instaurazione del rapporto di filiazione, in uno con la piena consapevolezza da parte di quest'ultimo della propria identità e dell'ambito familiare e parentale di riferimento. Conseguentemente, è il concreto interesse del minore o ''best interest of child della normativa sovranazionale si vedano l'art. 23 del Regolamento CE 2201/2003, la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, la Convenzione Europea sui diritti dei fanciulli del 25/1/1996 e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea a dover essere considerato il criterio guida in ogni decisione che lo riguarda, che può essere contemperato soltanto con interessi di analogo rilievo. Sul punto, sono state le stesse Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 12193/2019, ad affermare che il principio di prevalenza dell'interesse del minore può diventare recessivo soltanto a fronte di diritti altrettanto fondamentali individuati come inderogabili dal legislatore o ricostruibili come tali dall'interprete nel caso esaminato nella pronuncia citata, la Corte di Cassazione ha individuato nella violazione del divieto di maternità surrogata, assistito da sanzionale penale, e posto a presidio della dignità umana, l'unico limite alla prevalenza dell'interesse del nato alla conservazione dello status filiationis già acquisito, con la conseguenza che deve essere esclusa la possibilità di trascrivere in Italia un atto di nascita redatto all'estero e che rechi l'indicazione, quali genitori, di coloro che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata. In un simile caso, infatti, l'interesse del minore alla conservazione dello status filiationis, acquisito all'estero, non può prevalere sull'interesse, anche pubblico, all'affermazione della verità biologica, a causa del disvalore attribuito dall'ordinamento alla fattispecie di maternità surrogata. Il divieto di maternità surrogata, pertanto, è stato individuato dalle stesse Sezioni Unite citate come l'anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell'identità genetica e biologica si veda Corte di Cassazione n. 12193/2019 , con la necessaria conseguenza che al di fuori di tale limitata ipotesi, deve tornare ad operare il principio di prevalenza dell'interesse del nato alla conservazione di uno status filiationis già acquisito con l'evento nascita e formalizzato, nel caso sottoposto a questo Tribunale, nell'atto formato dall'Ufficiale dello Stato civile del Comune di Cagliari. Si tratta di un interesse volto a garantire la certezza del nato in ordine alla propria discendenza bi-genitoriale nell'ambito di un progetto di genitorialità condivisa in cui, in assenza del consenso di entrambi i soggetti indicati nell'atto di nascita, egli non sarebbe potuto nascere tale certezza, a sua volta, determina l'istaurazione di rapporti parentali, di diritti ereditari e costituisce l'elemento primario nella costruzione dell'identità familiare e sociale del nato. Si è pertanto arrivati a delineare un primo profilo di criticità nella sentenza n. 7668/2020 della Corte di Cassazione. Infatti, nel ragionamento svolto dai giudici di legittimità, la tutela dell'interesse del nato alla conservazione di uno status già acquisito non sembra avere trovato adeguato spazio, né è emersa una sua comparazione con interessi fondamentali di analogo rilievo, carenza riscontrabile peraltro anche nelle argomentazioni svolte dal Pubblico Ministero nel presente giudizio. Ciò in evidente distonia con quanto affermato dalle Sezioni Unite Civili della stessa Corte di Cassazione nella sentenza che si è lungamente esaminata che, in maniera condivisibile, ha delineato il percorso che l'interprete è tenuto a seguire nella difficile individuazione dei parametri normativi di riferimento nell'esame di casi analoghi a quello oggetto del presente giudizio. Ma, a ben vedere, è la stessa Corte Costituzionale, nella pronuncia n. 221/2019, ad avere scolpito tale principio guida, nella parte in cui ha affermato che il divieto di accesso alla PMA per coppie di individui dello stesso sesso non si pone in contrasto con la possibilità di ricorrere all'adozione o alla trascrizione dell'atto formato all'estero dopo la nascita ciò in quanto se prima della nascita, il legislatore può discrezionalmente limitare l'accesso alla PMA, da intendersi quale tecnica per porre rimedio a una infertilità patologica nell'ambito della conservazione di un modello di famiglia ritenuto preferibile, una volta che la nascita si è verificata, deve essere tutelato l'interesse del nato alla conservazione e al consolidamento delle relazioni familiari già instaurate. Emerge, quindi, all'evidenza nella progressione del ragionamento decisorio seguito dal Giudice delle Leggi, una comparazione ed un bilanciamento tra due interessi di rango primario, all'esito del quale viene specificato in quali termini e con quali limiti trova prevalente tutela quello dell'incolpevole nato , ossia quello del figlio di acquisire la stabilità della propria discendenza bi-genitoriale. Se quanto finora affermato è corretto, allora appare doveroso mutare la prospettiva di analisi rispetto a quella assunta da ultimo dalla Corte di Cassazione e analizzare la fattispecie concreta non già alla sola luce del divieto di accesso alla PMA da parte di coppie di individui dello stesso sesso, quanto piuttosto nell'ottica del bilanciamento di tale primo parametro con quello dell'interesse del minore alla conservazione di uno status filiationis già acquisito. In tale prospettiva, si ritiene che la tutela del nato non possa subire compromissioni derivanti dalla valutazione di illiceità o illegittimità in Italia della tecnica di PMA alla quale la coppia di genitori ha fatto ricorso all'estero. Su questo aspetto, si ha il conforto di quanto già affermato sia dalla Corte di Cassazione, sia dalla Corte Costituzionale. Giova, sul punto, riportare un passaggio particolarmente significativo della pronuncia n. 13000/2019 della Corte di Cassazione, avente ad oggetto un'ipotesi di fecondazione assistita post mortem, non consentita dalla legge n. 40/2004 e realizzata al di fuori dei confini nazionali. Nella pronuncia citata, i giudici di legittimità hanno affermato che qualsivoglia considerazione riguardante la valutazione in termini di illiceità illegittimità, in Italia, della tecnica di P.M.A. in precedenza specificamente richiamata, oltre che, eventualmente, delle condotte di coloro che ne consentono l'accesso o l'applicazione, non potrebbe certamente riflettersi, in negativo, sul nato e sull'intero complesso dei diritti a lui riconoscibili. In altre parole, la circostanza che si sia fatto ricorso all'estero a P.M.A. non espressamente disciplinata o addirittura non consentita nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi impone, nel preminente interesse dal nato, l'applicazione di tutte le disposizioni che riguardano lo stato del figlio venuto al mondo all'esito di tale percorso, come, peraltro, affermato, con chiarezza, della Corte EDU nelle due sentenze gemelle Mennesson c. Francia 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11 e Labassee e. Francia 26 giugno 2014, rie. n. 65941/11 , oltre che sancito anche dalla Corte Costituzionale fin dalla sentenza n. 347 del 1998, che ancor prima del sopravvenire della L. n. 40 del 2004 sottolineò la necessità di distinguere tra la disciplina di accesso alle tecniche di P.M.A. e la doverosa, e preminente, tutela giuridica del nato, significativamente collegata alla dignità dello stesso. Già in quella sede ci si preoccupò di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato , non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 Cost., ma ancor prima - in base all'art. 2 Cost. - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità diritti che è compito del legislatore specificare cfr C. Cost. n. 347 del 1998 . Si tratta di un'impostazione ravvisabile anche nella giurisprudenza costituzionale, se solo si considera che nella pronuncia n. 162/2014 la Consulta ha chiaramente affermato l'applicabilità delle norme a tutela del nato e, segnatamente, dell'art. 8 della 1. n. 40/2004 che gli attribuisce lo status di figlio della coppia che ha fatto ricorso alla PMA e delle norme che escludono l'azione di disconoscimento o la richiesta materna di anonimato anche a coloro che sono nati da PMA di tipo eterologo, allorquando, si badi, tale pratica era all'epoca vietata. E ciò in ragione, innanzitutto, della formulazione letterale dell'art. 8 della legge n. 40/2004, norma che il legislatore ha reso applicabile ai 'nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita , con una dizione generale senza alcuna distinzione relativamente alla species di tecnica utilizzata. Appare quindi nuovamente evidente la distonia tra la pronuncia n. 7668/2020 della Corte di Cassazione e il quadro interpretativo a poco a poco ricostruito, con la conseguente necessità di sollecitare ancora un ampliamento del percorso interpretativo prima di ritenere che sia stato effettivamente raggiunto un saldo e coerente approdo ermeneutico da parte della giurisprudenza di legittimità. Alla stregua delle criticità sopra evidenziate nell'argomentazione della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 7668 del 2020 ed alla ricostruzione complessiva dell'istituto fondato sia su dati normativi nazionali che sovranazionali, sia sulla loro interpretazione resa nei precedenti a detta sentenza della stessa Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, è convincimento di questo Tribunale che permangano spazi ermeneutici per dare seguito all'orientamento interpretativo già diffuso nelle Corti di merito si vedano le già citate pronunce delle Corti d'Appello di Firenze del 19/4/2019, di Perugia del 21/11/2019 e di Trento del 16/1/2020 , applicandolo per la decisione sulla domanda di rettifica dell'atto dello Stato civile formulata dal Pubblico Ministero e dalle amministrazioni presenti in causa. Sul punto, si ricorda che il giudizio di rettifica attiene alla corrispondenza tra il fatto, quale è nella realtà o quale dovrebbe essere nell'esatta applicazione della legge e quale risulta dall'atto dello Stato civile. In linea generale, si osserva che le dichiarazioni rese dinanzi all'Ufficiale dello Stato civile hanno la funzione di dare pubblica notizia di certi eventi si pensi alla nascita o alla morte di un individuo oppure può trattarsi di dichiarazioni che sono autonomamente idonee a produrre effetti. Tra queste ultime deve essere ricompresa la dichiarazione di riconoscimento della filiazione nata fuori del matrimonio, a fronte della quale l'Ufficiale dovrà rifiutarsi di riceverla se in contrasto con l'ordinamento o con l'ordine pubblico. Ne consegue che, alla luce di quanto finora esposto in ordine all'attuale assetto ordinamentale, l'operato dell'Ufficiale dello Stato civile del Comune di Cagliari deve essere considerato corretto consentendo alla inclusione nell'atto di nascita di omissis di un secondo genitore di sesso femminile non ha determinato alcuna discrasia tra il fatto indicato nell'atto e la realtà fattuale, in base alla legge alla stessa applicabile. Come già detto, infatti, la legge n. 40/2004, come interpretata dal diritto vivente, consente di individuare anche omissis quale genitore intenzionale del minore, in ragione del consenso dalla medesima prestata al progetto di genitorialità condiviso, alla consapevole assunzione della responsabilità procreativa e alla applicabilità del complesso di norme che la stessa legge pone a tutela del nato anche nell'ipotesi, come quella in esame, di violazione dei requisiti di accesso alla PMA. In questa prospettiva, vi è piena corrispondenza tra quanto risulta dall'atto dello Stato civile e la realtà fattuale, quale è alla luce della applicazione della legge che la disciplina. Pertanto, devono essere rigettate le domande di rettifica formulate dal Pubblico Ministero, dal Ministero degli Interni e dalla Prefettura di Cagliari. La novità delle problematiche trattate giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione 1. rigetta il ricorso del Pubblico Ministero e le domande proposte dal Ministero degli Interni e dalla Prefettura di Cagliari 2. compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio della Sezione Civile del Tribunale, in data 31/3/2020. 1 Così la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 272 2017 Proprio al fine di garantire tutela al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, sin da epoca antecedente alla legge n. 40 2004, questa Corte, senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, né il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione, si è preoccupata invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato , non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 Costituzione, ma ancor prima, in base all'art. 2 della Costituzione, ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità diritti che è compito del legislatore specificare sent. C. Cost. n. 347 1998 . 2 Le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40/2004, imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso a una pratica fecondativa illegale in Italia, non possono ricadere su chi è nato, il quale ha un diritto fondamentale che deve essere tutelato, alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all'estero nei confronti della madre genetica e alla continuità dei rapporti affettivi . 3 Cfr. Corte Cost. n. 138/2010.