Convivenza ventennale non eccepita dalla moglie: matrimonio nullo

Inutile il ricorso proposto dal Procuratore Generale della Cassazione. Per i magistrati di terzo grado va confermata la decisione con cui in Appello si è recepita la sentenza ecclesiastica che ha annullato un matrimonio concordatario. Decisivo il fatto che la donna non abbia sollevato l’eccezione relativa alla pluriennale convivenza. Allo stesso tempo si è appurato che l’incapacità consensiva dell’uomo era nota alla moglie.

Matrimonio nullo – non solo per la Chiesa ma anche per lo Stato – dopo venti anni vissuti sotto lo stesso tetto da marito e moglie. Fatale la mancata azione da parte della donna, che non ha sollevato l’eccezione relativa alla lunga convivenza come coniugi, eccezione che avrebbe bloccato sul nascere il riconoscimento da parte dei giudici italiani della senza ecclesiastica. A sancire la vittoria dell’uomo, che ha visto cancellare ab origine le nozze, la constatazione che la sua incapacità di prestare il proprio consenso al matrimonio era evidente agli occhi della donna Cassazione, sentenza numero 7925/20, sez. I Civile, depositata oggi . Consenso. A sancire la nullità del matrimonio concordatario, celebrato alla fine degli anni ‘80, provvede nel 2015 il Tribunale ecclesiastico, accogliendo la richiesta presentata dall’uomo – Paolo, nome di fantasia – e cancellando il legame con quella che è stata per oltre venti anni sua moglie – Lucia, nome di fantasia –. Decisivo il dato rappresentato dalla «incapacità consensiva da parte del marito all’epoca delle nozze». Passaggio successivo per l’uomo è quello in Corte d’Appello i Giudici accolgono la sua richiesta e «dichiarano efficace in Italia la sentenza del Tribunale ecclesiastico», osservando che essa «non conteneva disposizioni contrarie all’ordine pubblico» e che «l’incapacità consensiva dell’uomo era agevolmente conoscibile dalla moglie, considerata la natura e gravità della patologia» che lo affligge da tempo. Convivenza. A condividere l’ottica tracciata in Appello è la Cassazione, che rigetta il ricorso proposto dal proprio Procuratore Generale, ricorso centrato sul fatto che non si è rilevato d’ufficio «a protezione privilegiata del diritto alla vita privata e familiare, la convivenza tra i coniugi – durata venti anni – quale causa ostativa al riconoscimento della sentenza ecclesiastica per contrasto con l’ordine pubblico» e allo stesso tempo non si è dato valore alla «posizione soggettiva della moglie che, dopo vent’anni di vita coniugale, ha visto porre nel nulla il suo matrimonio e la sua storia familiare». In particolare, poi, il Procuratore Generale contesta la linea di pensiero che «configura la convivenza coniugale ultratriennale come oggetto di una eccezione in senso stretto su istanza di parte – nella specie non sollevata dalla donna, contumace nel giudizio d’Appello —», e sostiene che invece si trova di fronte a «una eccezione in senso lato, doverosamente rilevabile d’ufficio dal giudice». E in questa ottica il Procuratore Generale chiede anche di farsi domanda «sulla giustizia dell’indirizzo che vuole che uno Stato laico si conformi alla decisione del giu1dice canonico, ancorché essa sacrifichi status, diritti e aspettative della parte spesso svantaggiata del rapporto e cozzi, tra l’altro, con il sentire comune che stigmatizzi questo genere di scorciatoie per annullare obblighi di solidarietà coniugale e/o post coniugale». Per i Giudici della Cassazione, invece, va ribadita «la non rilevabilità di ufficio del limite di ordine pubblico alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario costituito dalla convivenza triennale delle parti come coniugi». In sostanza, «l’eccezione relativa alla convivenza triennale come coniugi, ostativa alla positiva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, rientra tra quelle che l’ordinamento riserva alla disponibilità della parte interessata». Allo stesso tempo, i magistrati tengono a chiarire che «non vi sono ragioni per ritenere che la rilevabilità solo ad eccezione di parte del limite di ordine pubblico in discussione contrasti con il diritto al giusto processo della parte rimasta contumace, considerato il carattere volontario della contumacia stessa, dichiarabile solo in presenza della prova della rituale notifica della domanda giudiziale».

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 gennaio – 20 aprile 2020, numero 7925 Presidente Giancola – Relatore Lamorgese Fatti di causa Ge. St. Ad. Vi. ha chiesto alla Corte d'appello di Cagliari di dichiarare efficace in Italia la sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro del 28 ottobre 2015, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario contratto con Da. Ar. il 22 dicembre 1990, per incapacità consensiva all'epoca delle nozze da parte del marito, cui aveva fatto seguito il decreto di esecutività del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Nel giudizio la Ar. è rimasta contumace. La Corte ha accolto la domanda, rilevando che la sentenza ecclesiastica era passata in giudicato secondo il diritto canonico, che nel relativo procedimento era stata assicurata la corretta instaurazione del contraddittorio, che la sentenza non conteneva disposizioni contrarie all'ordine pubblico e che l'incapacità consensiva del Ge. era agevolmente conoscibile dalla convenuta, considerata la natura e gravità della patologia. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione. Il Ge. ha resistito con controricorso. La Ar. non ha svolto attività difensiva Motivi della decisione Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 7, 29, 30 Cost., 8 della Cedu, 7 della Carta dei diritti fondamentali, 22, comma primo, lett. a e 46 del Reg. CE numero 2201 del 2003, 64 ss. della legge numero 218 del 1995 e 8 ss. della legge numero 121 del 1985, per non avere rilevato d'ufficio, a protezione privilegiata del diritto alla vita privata e familiare, la convivenza ultratriennale tra i coniugi -nella specie, durata venti anni - quale causa ostativa al riconoscimento della sentenza ecclesiastica per contrasto con l'ordine pubblico. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 7, 29, 30 Cost., 167 e 797 c.p.c. come sostituito dagli articolo 64 ss. della legge numero 218 del 1995 e 8 ss. della legge numero 121 del 1985, per avere riconosciuto la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale «senza minimamente articolare un qualunque ragionamento giuridico sulla posizione soggettiva della moglie che, dopo ventanni di vita coniugale ha visto porre nel nulla il suo matrimonio e la sua storia familiare» il Procuratore generale contesta l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che configura la convivenza coniugale ultratriennale come oggetto di una eccezione in senso stretto su istanza di parte - nella specie non sollevata dalla Ar. perché contumace nel giudizio dinanzi alla Corte fiorentina -, assumendo trattarsi di una eccezione in senso lato, doverosamente rilevabile d'ufficio dal giudice il Procuratore Generale invita a «interrogarsi sulla giustizia dell'indirizzo che vuole che uno stato laico si conformi alla decisione del giudice canonico, ancorché essa sacrifichi status, diritti e aspettative della parte spesso svantaggiata del rapporto e cozzi, tra l'altro, con il sentire comune che stigmatizzi questo genere di scorciatone per annullare obblighi di solidarietà coniugale e/o posto coniugale». Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 6-8 della Cedu, 46 del Reg. CE numero 2201 del 2003 e 291-292 c.p.c. per avere negato alla parte non costituita nel giudizio il diritto di vedersi riconosciuta d'ufficio dal giudice la convivenza ultratriennale, quale situazione giuridica ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, con violazione del diritto al giusto processo, tanto più che il legislatore comunitario prevede la contrarietà all'ordine pubblico e la contumacia come cause di non riconoscibilità delle decisioni in materia matrimoniale. In conclusione, il Procuratore Generale chiede disporsi la trasmissione degli atti al Primo Presidente per la rimessione della causa alle Sezioni Unite, stante l'ipotizzato contrasto nella giurisprudenza delle stesse Sezioni Unite in ordine alla definizione della categoria delle eccezioni in senso stretto e alla loro compatibilità con la nozione di ordine pubblico, nonché in ordine alla questione di massima e particolare importanza relativa ai diritti processuali del contumace in materia di rilievo pubblicistico inoltre chiede rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, in relazione all'interpretazione degli articolo 22 e 46 del Reg. CE citato. I motivi di ricorso in esame possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro connessione, e vanno respinti per le seguenti ragioni, in continuità con numerosi precedenti della Sezione tra le altre, numero 24729 del 2018, numero 2486 del 2017 . Premesso che il Collegio ritiene di conformarsi, condividendone il contenuto, ai richiamati precedenti delle Sezioni Unite nnumero 16379 e 16380 del 2014, anche quanto alla non rilevabilità di ufficio del limite di ordine pubblico alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario costituito dalla convivenza triennale delle parti come coniugi, va osservato che il Collegio neppure ritiene di dover rimettere gli atti alle Sezioni Unite affinché risolvano il contrasto giurisprudenziale ipotizzato nel ricorso. Le Sezioni Unite, infatti, nelle più volte richiamate sentenze «gemelle», si sono date carico del consolidato orientamento giurisprudenziale restrittivo in tema di eccezioni in senso stretto, richiamato nel ricorso della Procura generale, concludendo tuttavia motivatamente che l'eccezione relativa alla convivenza triennale come coniugi, ostativa alla positiva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, rientra appunto tra quelle che l'ordinamento riserva alla disponibilità della parte interessata e ciò argomentando sia dalla «complessità fattuale» delle circostanze sulle quali essa si fonda e dalla connessione molto stretta di tale complessità con l'esercizio di diritti, con l'adempimento di doveri e con l'assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi, sia dalla espressa previsione della necessità dell'eccezione di parte nell'analoga fattispecie dell'impedimento al divorzio costituito dall'interruzione della separazione, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, numero 898, articolo 3. Non si ravvisano inoltre ragioni per ritenere che la rilevabilità solo ad eccezione di parte del limite di ordine pubblico in discussione contrasti con il diritto al giusto processo della parte rimasta contumace, considerato il carattere volontario della contumacia stessa, dichiarabile solo in presenza della prova della rituale notifica della domanda giudiziale. Né, infine, ricorrono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, sulla interpretazione delle norme del regolamento CE numero 2201/2003 richiamate nel ricorso, per l'assorbente ragione che tale regolamento è «relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale» adottate in un diverso Stato membro dell'Unione Europea, non delle decisioni dei tribunali ecclesiastici. Il ricorso va rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali attesa la natura della parte ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dà dato atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del D.P.R. numero 115 del 2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.