Quando l’ex moglie lamenta un aumento dell’assegno divorzile troppo esiguo

L’ex coniuge che lamenta l’insufficienza dell’aumento dell’assegno divorzile disposta in suo favore dal giudice, a seguito della raggiunta autosufficienza economica della figlia e della revoca dell’assegnazione della casa familiare, deve dedurre quale quota di reddito era riservata al mantenimento della figlia, in modo da consentire ai Giudici di valutare l’incapacità dell’aumento dell’assegno di permettere alla ricorrente di prendere in locazione un immobile presso cui risiedere.

Questo quanto stabilito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 6470/20, depositata il 6 marzo. Il caso. La Corte d’Appello revocava il contributo dovuto dall’ex marito per il mantenimento della figlia, divenuta economicamente autosufficiente, e revocava l’assegnazione della casa coniugale all’ex moglie incrementando, per questo fatto, l’assegno divorzile di 40 euro. Avverso il decreto propone ricorso in Cassazione l’ex coniuge lamentando che la Corte territoriale non abbia adeguatamente valutato la sproporzione dei redditi delle parti, aumentando l’assegno divorzile in maniera esigue 40 euro e non quantificandolo in maniera adeguata, in considerazione del fatto che le era stata revocata l’assegnazione della casa coniugale. Inoltre, la ricorrente rileva che i giudici di merito non hanno valutato l’ammontare della quota dei redditi della ricorrente riservata al mantenimento della figlia, una volta che questa aveva raggiunto l’autonomia economica. Mancate indicazioni da parte della moglie. Osserva la Corte che l’ex moglie non ha dedotto quale fosse la quota di reddito riservata al mantenimento della figlia e neppure ha indicato la cifra tornata nella sua libera disponibilità all’esito della revoca del contributo per la figlia ormai divenuta autosufficiente, in modo da consentire ai Giudici di valutare l’incapacità dell’aumento dell’assegno di permettere alla ricorrente di prendere in locazione un immobile presso cui risiedere all’esito della revocata assegnazione della casa coniugale. Dunque, non viene indicato dalla ex moglie il parametro su cui commisurare l’incremento dell’assegno divorzile nella denunciata insufficienza dell’aumento dispostone. Chiarito questo, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 29 novembre 2019 – 6 marzo 2020, n. 6470 Presidente Di Virgilio – Relatore Scalia Fatti di causa 1. T.M.R. ricorre in cassazione con tre motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui la Corte di appello di Palermo, rigettando il reclamo dalla prima proposto ed in conferma del decreto del locale Tribunale, disponeva a carico dell’ex coniuge, S.G. , l’aumento del contributo per il mantenimento della figlia già fissato in Euro 850,00 mensili comprensive delle spese di natura straordinarie sino all’importo di Euro 1.200,00 mensili per il periodo dal omissis e quindi dalla data di deposito del ricorso di modifica fino a quella di inizio del rapporto lavorativo della figlia, S.O. , laureata in ingegneria, con una società multinazionale, nell’acquisita autonomia economica della stessa. La Corte, nel confermare il primo decreto, revocava altresì il contributo del padre a decorrere dall’ottobre 2014 e l’assegnazione della casa coniugale alla ricorrente e, ancora, in parziale accoglimento della riconvenzionale con cui la signora T. aveva richiesto l’aumento fino ad Euro 1.950,00, incrementava l’assegno divorzile da 460 Euro a 500 Euro. Resiste con controricorso S.G. . La ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 e l’omessa comparazione dei redditi delle parti ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile. La Corte di appello di Palermo avrebbe pretermesso una valutazione comparativa dei redditi delle parti, limitandosi ad affermare che l’aumento dell’assegno divorzile avrebbe trovato giustificazione nella revoca dell’assegnazione della ex casa coniugale senza apprezzare l’esiguità dell’incremento, pari a soli 40 Euro, rispetto all’ enorme sproporzione dei redditi delle parti , come invece richiesto in reclamo. Il S. era imprenditore commerciale di successo con tenore di vita più che agiato e risorse illimitate ed accresciute rispetto all’epoca del divorzio e la ricorrente un avvocato dalle ben più ridotte disponibilità. Titolare di sette immobili di pregio, l’ex coniuge dopo il divorzio aveva acquisito la disponibilità di un ulteriore appartamento intestato alla seconda moglie ed il possesso e la disponibilità di una prestigiosa villa in , utilizzata nella stagione estiva, anch’essa intestata all’attuale seconda moglie. Si sarebbero incrementate anche le quote di partecipazione del primo alla Sodano s.n.c. e sarebbero intervenute le opere di ristrutturazione di due dei tre punti vendita di calzature ed abbigliamento di proprietà. 2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la violazione dell’art. 337-sexies c.c., in tema di quantificazione dell’assegno divorzile in seguito alla revoca dell’assegnazione dell’ex casa coniugale. La figlia O. si era trasferita da a per iniziare un rapporto di collaborazione con la KPMG con un contratto di 24 mesi di apprendistato, e, sostenendo ancora gli esami per l’abilitazione all’esercizio della professione, continuava a recarsi mensilmente presso l’abitazione familiare a con costi a carico della madre. La ricorrente sarebbe stata privata di un incremento dell’assegno proporzionato all’onere di reperire una nuova abitazione. Dalla vendita o dalla locazione della ex casa coniugale nella cui disponibilità era rientrato, il signor S. avrebbe tratto un consistente beneficio economico là dove la signora T. avrebbe dovuto reperire una diversa soluzione abitativa con conseguente esborso. 3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 e art. 337-sexies c.c. e l’assenza di motivazione sul punto. I giudici di merito avevano ritenuto che la circostanza che i genitori, e quindi anche la ricorrente, non dovessero più mantenere la figlia avrebbe reso congruo l’assegno divorzile senza poi interrogarsi sull’ammontare della quota dei redditi della ricorrente riservata al mantenimento della figlia. 4. I motivi si prestano tutti, ad una valutazione che è in parte di inammissibilità per le ragioni di seguito indicate. 4.1. La ricorrente non deduce quale fosse la quota di reddito riservata al contributo al mantenimento della figlia e tanto nel rapporto di proporzionalità con il padre. Più puntualmente, la richiedente non allega, nel rispetto del principio di autosufficienza al quale il ricorso per cassazione deve rispondere ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quale somma sia tornata nella sua libera disponibilità all’esito della revoca del contributo per la figlia, ormai autosufficiente, e tanto per consentire a questa Corte di legittimità di apprezzare, nella ridotta consistenza del contributo al mantenimento della figlia revocato, l’incapacità dello stesso, implementato, in modifica, di soli 40 Euro, di consentire quantomeno alla ricorrente di prendere in locazione un bene presso cui risiedere e tanto nella intervenuta, all’esito dell’apprezzata, dai giudici di merito, autosufficienza della figlia maggiorenne, revoca dell’assegnazione della ex casa coniugale. 4.2. Per i mancati passaggi, non viene indicato il parametro su cui commisurare l’incremento dell’assegno divorzile nella denunciata insufficienza dell’aumento dispostone e per siffatta carenza i motivi proposti, che tutti muovono dalla segnalata inadeguatezza dell’implemento dell’assegno divorzile, soffrendo dell’indicata comune mancanza di autosufficienza, in via diretta o derivata, vanno dichiarati inammissibili. 4.3. La ricorrente va quindi condannata a rifondere al resistente le spese di lite che qui si liquidano, secondo soccombenza, in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al resistente le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.