La notorietà garantita dal marito non basta per consentire all’ex moglie di conservarne il cognome

Respinta definitivamente la richiesta presentata dalla donna e finalizzata ad utilizzare ancora il cognome del marito dopo il divorzio. Per i Giudici gli anni di identificazione in ambito sociale col cognome maritale non rappresentano un dato sufficiente a prolungarne ulteriormente l’uso. Viene anche sottolineato che oggi, a differenza di ciò che avveniva in passato, la donna non perde la propria identificazione personale col matrimonio, conservando comunque il proprio cognome.

Lui avvocato di spicco e anche politico di rilievo, lei ex moglie che, amareggiata per la chiusura del matrimonio, punta almeno a conservare la notorietà garantitale dal cognome del marito, cognome che, spiega, per anni l’ha identificata nel contesto sociale. A respingere la richiesta è la Cassazione, ritenendo mancanti i presupposti concreti per riconoscere alla donna il diritto di identificarsi ancora col cognome dell’oramai ex coniuge. Decisive due considerazioni in primo luogo, non vi è più, come in passato, la perdita del cognome personale della donna – che, pertanto, continua quindi a identificarla –, ma solo l’aggiunta del cognome maritale in secondo luogo, non si può escludere che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsente e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente Cassazione, ordinanza n. 3454/20, sez. I Civile, depositata oggi . Identità. Ufficializzata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra Tizia e Caio, resta un nodo da sciogliere l’uso del cognome del marito da parte della oramai ex moglie. Su questo tasto batte con insistenza la donna le risposte dei Giudici sono però negative. Prima in Tribunale e poi in Appello, difatti, viene respinta la domanda di Tizia finalizzata alla conservazione del diritto ad utilizzare il cognome maritale. Questione chiusa? Assolutamente no. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione proposto dall’avvocato della donna, ricorso centrato sull’interesse dell’ex moglie e anche della figlia a conservare il cognome maritale. Per chiarire la posizione della propria cliente il legale si sofferma sui profili di identità sociale e di vita di relazione . Più precisamente, egli spiega che la donna, pur essendosi sposata a 38 anni, si era costruita nell’ambiente sociale di riferimento una identità personale e sociale esclusivamente col cognome del marito, e difatti da ventitré anni sette di fidanzamento e sedici di matrimonio era così conosciuta nel suo attuale ambiente sociale ed amicale . Per quanto concerne poi la posizione della figlia di Tizia, il legale ne sostiene l’interesse a che la madre continui a utilizzare il cognome maritale , rimarcando il disagio ed il pregiudizio che la contraria determinazione avrebbe potuto provocarle nell’ambiente scolastico in cui la madre aveva sempre speso il cognome maritale . Notorietà. La visione proposta dall’avvocato della donna non convince però i Giudici della Cassazione. Consequenziale è la conferma della decisione della pronuncia d’Appello. Ciò significa che l’ex moglie non può continuare ad utilizzare impunemente il cognome di Caio. I magistrati del ‘Palazzaccio’ richiamano il Codice Civile, ricordando che esso prevede che la moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito e lo conservi durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze , e aggiungono che tale diritto-dovere consegue esclusivamente al rapporto di coniugio . In sostanza, quindi, non vi è più, come avveniva in passato, la perdita del cognome personale della donna – che, pertanto, continua quindi ad individuarla –, ma solo l’aggiunta del cognome maritale e questo effetto del matrimonio è circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio . Logico dedurre che la possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, è da considerarsi una ipotesi straordinaria che non può essere giustificata, però, sottolineano i giudici della Cassazione, con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica . Peraltro, non può escludersi che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsente e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente . In sostanza, solo circostanze eccezionali possono consentire l’autorizzazione all’utilizzo del cognome del marito una volta chiuso il matrimonio, e in questa vicenda, osservano i Giudici, nessun interesse davvero meritevole di tutela è stato allegato dalla donna al mantenimento del cognome maritale unitamente al proprio , essendosi ella limitata a puntare sulla conservazione della notorietà derivatale dall’ex marito nelle frequentazioni sociali , ossia tra quelle stesse persone che non possono ignorare le vicende della coppia . Allargando l’orizzonte, poi, si può affermare, secondo i giudici, che l’uso consuetudinario del cognome maritale – comune a tutte le donne divorziate nel corso del coniugio – non può assumere maggior merito per la notorietà dell’uomo con cui la donna è stata sposata, perché l’interesse a ciò sotteso sarebbe senza dubbio effimero , e in questo caso la donna nulla allega che possa far ritenere la sua situazione straordinaria, limitandosi a rilevare l’uso del cognome maritale nelle relazioni sociali acquisite . Peraltro, non si può ignorare che Tizia si era sposata a 38 anni , quando cioè aveva già acquisito una propria identità, col suo cognome, anche al di fuori della stretta cerchia familiare , e che il matrimonio è durato dodici anni e che la convivenza matrimoniale è durata ancora meno, per la crisi coniugale intervenuta dopo pochi anni dalla celebrazione delle nozze. Per chiudere, infine, spazio anche alla posizione della figlia. Anche su questo fronte non vi è alcuno specifico e straordinario interesse della ragazza a vedere la madre utilizzare il cognome dell’ex marito, poiché la sua condizione è del tutto uguale a quella di figli di coppie divorziate e sta ai genitori sostenerla nel suo paventato possibile disagio .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 dicembre 2019 – 12 febbraio 2020, numero 3454 Presidente Giancola – Relatore Tricomi Ritenuto che Ca. Ta. Ar. propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Palermo in epigrafe indicata, con due mezzi. Ga. Ar. replica con controricorso. Per quanto interessa il presente giudizio, la Corte di appello di Palermo, nell'ambito di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, aveva confermato la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda volta alla conservazione del diritto ad utilizzare il cognome maritale aveva altresì ritenuto inammissibile la censura svolta in merito alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Considerato che 1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 5, comma 3, della legge numero 898/1970 e succ. mod. criticando la decisione di rigetto della domanda di conservazione del cognome maritale dalla stessa avanzata sia nel proprio interesse, che nell'interesse della figlia minore Fr. Em. e sostiene che la Corte di appello non si sarebbe attenuta ai criteri normativi sulla scorta dei quali la domanda andava valutata. A parere della ricorrente la disciplina evocata non richiede come presupposto per il riconoscimento un interesse straordinario , come ritenuto dalla Corte di appello, ma un interesse meritevole di tutela e ribadisce che questo ricorreva sia per se medesima, che per la figlia minore. Quindi, in relazione al personale interesse, invoca i profili di identità sociale e di vita di relazione e sostiene che la meritevolezza riguarda le esigenze di indole morale e sociale all'evidenza apprezzabili, ma non necessita di alcun carattere di straordinarietà fol. 10 del ricorso . Si sofferma quindi su circostanze di fatto che, a suo dire, la Corte di appello avrebbe ignorato nel formulare la sua valutazione, segnatamente il fatto che, pur essendosi sposata a 38 anni, si era costruita nell'ambiente sociale di riferimento una identità personale e sociale esclusivamente come El. Ar. la circostanza che da 23 anni 7 di fidanzamento e 16 di matrimonio era così conosciuta nel suo attuale ambiente sociale ed amicale. Si duole che la Corte territoriale, trascurando il pregiudizio morale ed esistenziale e facendo riferimento ad una straordinarietà dell'interesse normativamente non richiesta, abbia violato la disposizione di legge. Quanto all'interesse della figlia, ribadita la censura in merito all'erroneità della valutazione secondo il parametro della straordinarietà dell'interesse, ha sottolineato l'interesse della minore meritevole di tutela a che la madre continui a utilizzare il cognome maritale, rimarcando il disagio ed il pregiudizio che la contraria determinazione avrebbe potuto provocarle nell'ambiente scolastico, nel quale la madre aveva sempre speso il cognome maritale, circostanza sulla quale aveva articolato prova istruttoria non ammessa. 1.2. Il motivo è infondato. In tema di cognome maritale l'articolo 143 bis cod.civ. prevede che la moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito e lo conservi durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze. Tale disposizione innanzi tutto evidenzia che, quello che è stato definito dalla dottrina come un diritto/dovere, consegue esclusivamente al rapporto di coniugio esplicita quindi che non vi è più, come avveniva in passato, la perdita del cognome personale della donna - che, pertanto, continua quindi ad individuarla -, ma solo l'aggiunta del cognome maritale evidenzia, quindi che questo effetto del matrimonio è circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio, tanto da integrarne una esplicita deroga l'ultrattività dell'effetto nel caso in cui il matrimonio si sia concluso per il decesso dell'altro coniuge. Questi principi sono confermati, a contrario dalla disciplina dettata dall'articolo 5, comma 3, della legge numero 898/1970 in tema di divorzio, ove è detto Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela. , di guisa che l'eccezionale deroga alla perdita del cognome maritale è discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell'interesse. Tale complessa disciplina è frutto del principio cui l'ordinamento familiare è ispirato e che privilegia la coincidenza fra denominazione personale e status. La possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, è da considerarsi una ipotesi straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale, ma che non possono coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica. Né può escludersi che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale a mente dell'articolo 8 della C.E.D.U., un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente. La valutazione della ricorrenza delle circostanze eccezionali che consentono l'autorizzazione all'utilizzo del cognome del marito è rimessa al giudice del merito giacché di regola non è ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il giudice di merito, con provvedimento motivato e nell'esercizio di poteri discrezionali, non disponga diversamente. in tema Cass. numero 21706 del 26/10/2015 Cass. numero 3869 del 08/02/2019 . La Corte territoriale si è attenuta a questi criteri e la decisione risulta immune da vizi. In particolare ha ritenuto, motivatamente, che nessun interesse davvero meritevole di tutela sia stato allegato dalla Ta. al mantenimento del cognome maritale unitamente al proprio, perché sostanzialmente rivolto alla conservazione e/o affermazione della notorietà derivatale dall'ex marito nelle frequentazioni sociali, ossia tra quelle stesse persone che, come evidenziato dal Tribunale, non possono ignorare le vicende della coppia fol. 7 della sent. imp. ed ha rimarcato che l'uso consuetudinario del cognome maritale -comune a tutte le donne divorziate nel corso del coniugio - non può assumere maggior merito per la notorietà dell'uomo con cui è stata sposata, perché l'interesse a ciò sotteso sarebbe senza dubbio effimero fol.7 cit. e che la Ta. nulla allega che possa far ritenere la sua situazione straordinaria , limitandosi, si ripete a rilevare l'uso del cognome maritale nelle relazioni sociali acquisite . Ha quindi considerato anche altre circostanze, ritenute significative per escludere la ricorrenza di un interesse meritevole di tutela, tra cui il fatto che la Ta. si era sposata a 38 anni, deducendo da ciò che avesse già acquisito una propria identità come Ca. Ta. anche al di fuori della stretta cerchia familiare -considerato anche il pregresso impegno lavorativo come dipendente bancaria-, che il matrimonio era durato 12 anni e che la convivenza matrimoniale era durata ancora meno, per la crisi coniugale intervenuta dopo pochi anni. In proposito la Corte territoriale ha rimarcato anche la novità, e quindi l'inammissibilità, della deduzione della donna volta a ricomprendere nel periodo rilevante anche il fidanzamento e la convivenza prematrimoniale, inammissibilità che va confermata anche nel presente grado. Anche con riferimento alla posizione della figlia Fr. Em. la Corte di appello ha accertato che alcuno specifico e straordinario interesse della minore è stato allegato dalla madre, giacché la condizione della minore dedotta in giudizio è, infatti, del tutto uguale a quella di figli di coppie divorziate e sta ai genitori sostenerle nel suo paventato ma non comprovato possibile disagio fol. 8 . La censura, che inammissibilmente insiste anche sulla circostanza della durata del fidanzamento e della convivenza, dà segno anche di non avere colto la ratio deciderteli, laddove critica l'utilizzo del parametro di meritevolezza in termini di straordinarietà dell'interesse. Dal complesso della motivazione si evince chiaramente che il riferimento ad un interesse straordinario è utilizzato dalla Corte territoriale per evidenziare - in linea con i principi enunciati - la necessità che l'interesse fatto valere e potenzialmente meritevole di tutela debba essere connotato in termini specifici e personali e non possa essere retratto esclusivamente nell'uso normale - e legittimo -del cognome nelle relazioni sociali acquisite in ragione del matrimonio e durante lo stesso, che è l'unico interesse sostanzialmente dedotto dalla ricorrente sia in suo favore, che della figlia minore. 2.1. La ricorrente, con un secondo motivo, impugna la sentenza di secondo grado anche con riferimento alla pronuncia sullo status, criticando la scelta di scindere la pronuncia sulla domanda del cognome maritale da quella sullo status. 2.2. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi. La Corte di appello infatti ha respinto l'impugnazione della pronuncia di primo grado sullo status ritenendola inammissibile, giacché nulla era stato contestato sul punto e nessuna domanda era stata formulata con specifico riguardo alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio fol. 8 della sent. imp. . La doglianza non si confronta affatto con detta statuizione e ciò ne rende palese l'inammissibilità. 3. In conclusione il ricorso va rigettato, infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 numero 196, articolo 52. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 Cass. S.U. numero 23535 del 20/9/2019 . P.Q.M. Rigetta il ricorso Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00=, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 numero 196, articolo 52 Dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. del 30 maggio 2002, numero 115, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.