Genitore immaturo: adozione per salvare la figlia

Respinta l’opposizione della madre. Confermata dai Giudici la scelta di optare per l’adottabilità della bambina come unico strumento per tutelarne il benessere e per darle una prospettiva di sano sviluppo psico-fisico. Evidenti le carenze globali della donna e del compagno.

Se il genitore – la madre, in questo caso – è immaturo, allora l’adozione è l’unica soluzione possibile per salvaguardare il benessere psico-fisico del figlio. Questo il paletto fissato dai Giudici della Cassazione, che hanno respinto definitivamente le obiezioni di una donna, assolutamente contraria all’idea di vedere la propria bambina cresciuta da un’altra famiglia Cassazione, ordinanza n. 27206/19, sez. I Civile, depositata oggi . Abbandono. La lunga e delicata vicenda, già esaminata una prima volta in Cassazione, si chiude ora in modo definitivo con la conferma della adottabilità della bambina, nonostante l’opposizione della madre naturale. Decisiva la constatazione della immaturità globale dei due genitori, non in grado di assicurare alla figlia un percorso di vita stabile e favorevole . In questa ottica i giudici evidenziano che il padre è un soggetto in difficoltà nella costruzione di una propria identità e di un progetto esistenziale da adulto , mentre la madre, che ha portato avanti fino all’ultimo la propria battaglia per riavere la figlia, soffre di un disturbo borderline della personalità, insorto o aggravatosi a causa della grave conflittualità in famiglia nella prima infanzia, che la portava a ripetere gli stessi comportamenti con i figli . A inchiodare la donna è anche la condotta da lei tenuta in passato, condotta che l’ha spinta a rifiutare ogni possibilità di rimettersi in sesto e di recuperare il proprio ruolo genitoriale e il rapporto con la figlia. A questo proposito, viene evidenziato che ella non ha valorizzato i numerosi interventi di sostegno che le sono stati offerti e difatti è andata via, senza fornire giustificazioni attendibili, da due diverse comunità in cui era stata collocata con la figlia . Evidente, in sostanza, il comportamento abbandonico della donna, dimostrato dal totale disinteresse nei confronti della figlia e dal fatto di anteporre le proprie esigenze personali e i propri progetti di convivenza con uomini diversi . Mancano, quindi, i presupposti anche solo per ipotizzare la possibilità di costruzione o di recupero delle competenze genitoriali da parte della donna, la cui storia personale di deprivazione materiale ed affettiva le ha impedito di accedere proficuamente a un percorso terapeutico di sostegno alla genitorialità . Tirando le somme, l’adozione è l’unica soluzione per assicurare il benessere e una prospettiva di sviluppo psico-fisico per la minore, che, peraltro, è già inserita in una famiglia affidataria dove è serena e ben ambientata e sradicarla da quell’ambiente è sconsigliabile , concludono i giudici.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 24 settembre – 23 ottobre 2019, n. 27206 Presidente Giancola – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d'appello di Torino, sez. minorenni, con sentenza del 2 agosto 2016, ha rigettato il gravame avverso la sentenza impugnata che aveva dichiarato lo stato di adottabilità di Bo. Ja. En., nata il 24 agosto 2013. La Corte ha riferito della condizione di inadeguatezza genitoriale della madre, Di Do. Ma., e dello stato di abbandono in cui versava la figlia Ja. ha narrato che la Di Do. si era allontanata dalla comunità presso la quale i Servizi sociali avevano disposto il suo inserimento e aveva contravvenuto alle relative prescrizioni, non presentandosi agli incontri con gli esperti o adducendo giustificazioni non credibili che la sua personalità presentava importanti criticità derivanti dal suo vissuto personale che ne avevano compromesso lo sviluppo affettivo e le capacità genitoriali che la Di Do. aveva avuto una seconda figlia, Ni., la cui nascita in assenza di un concreto progetto di vita e di un partner confermava le riscontrate carenze della sua personalità che il sostegno profuso dalla comunità e dai Servizi sociali aveva dato buoni risultati nei confronti di Ni., mentre diversa era la condizione di Ja., il cui riavvicinamento alla madre era considerato dagli esperti come negativo e avrebbe potuto compromettere la crescita della bambina, nonostante la disponibilità manifestata dalla madre, tenuto conto che i tempi lunghi di maturazione degli adulti non sono compatibili con quelli dei bambini. Il ricorso per cassazione della Di Do. è stato accolto con sentenza n. 12393 del 2017, con la quale questa Corte, premesso che la misura dell'adozione, comportante la recisione definitiva del legame con la famiglia d'origine, costituisce una extrema ratio cui si può ricorrere in casi eccezionali, ha rilevato che, senza indicare fatti specifici dimostrativi dello stato di abbandono, la sentenza impugnata aveva argomentato solo genericamente in ordine all'inadeguatezza genitoriale della Di Do. e agli interventi di sostegno realizzati per rimuovere le situazioni di difficoltà e disagio in cui essa versava, ingiustificatamente sottovalutando o sopravvalutando talune circostanze indicative, in un senso o nell'altro, delle potenzialità di recupero delle capacità genitoriali ad esempio, lei stessa si era rivolta ai Servizi sociali per chiedere un sostegno alla genitorialità in termini economici e abitativi, ma si era allontanata dalla comunità in cui era stata inserita e aveva contravvenuto alle prescrizioni impostele aveva avuto una seconda figlia nonostante le condizioni di difficoltà in cui versava, nei cui confronti peraltro aveva manifestato una buona capacità genitoriale . Il processo riassunto è stato definito dalla Corte d'appello di Torino, con sentenza 25 luglio 2018, che ha rigettato il gravame della Di Do. avverso la sentenza impugnata, confermando all'esito dell'istruttoria il giudizio di incapacità genitoriale sia della madre che del padre Bo. Ga Avverso questa sentenza la Di Do. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui si è opposta l'avv. An. Ma. Za., curatore speciale della minore Ja. il ricorso è stato notificato a Bo. Ga., il quale non ha svolto difese. Ragioni della decisione Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 8 della legge n. 184 del 1983 e 30 Cost., in relazione ai principi enunciati dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 12393 del 2017, per avere erroneamente valutato lo stato di abbandono della figlia Ja. da parte della Di Do Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato omesso esame di fatti decisivi, circa la valutazione delle proprie condizioni soggettive e oggettive e della positiva evoluzione del percorso personale intrapreso, ai fini del recupero della capacità genitoriale, quale madre di altri due figli, senza una opportuna rinnovazione della c.t.u. Entrambi i suddetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La Corte torinese ha ripercorso analiticamente la storia del gruppo familiare e dei numerosi interventi di sostegno offerti alla Di Do., collocata insieme con la figlia in due diverse comunità dalle quali era andata via senza fornire attendibili giustificazioni ha osservato che anche la secondogenita, Ni. figlia di padre ignoto , con la quale inizialmente aveva intrattenuto un rapporto positivo, era stata inserita in una comunità dalla quale analogamente la madre si era allontanata definitivamente, abbandonando il progetto comunitario appena iniziato e inducendo il Tribunale a collocare anche Ni. in una famiglia affidataria che risultava evidente il comportamento abbandonico della Di Do., dimostrato dal totale disinteresse nei confronti dei figli e dal fatto di anteporre le proprie esigenze personali e i propri progetti di convivenza con uomini diversi, l'ultimo dei quali peraltro con precedenti penali, dalla cui relazione era nato un terzogenito nel novembre 2017, dopo una ulteriore gravidanza non giunta a termine a seguito di una relazione con un altro uomo che entrambi i genitori non erano in grado di assicurare a Ja. Un percorso di vita stabile e favorevole, in considerazione della loro immaturità globale la Di Do. soffriva di un disturbo borderline della personalità insorto o aggravatosi a causa della grave conflittualità in famiglia nella prima infanzia che la portava a ripetere gli stessi comportamenti con i figli Bo. Ga. era un soggetto in difficoltà nella costruzione di una propria identità e di un progetto esistenziale da adulto , aveva insistito nella richiesta di affidamento eterofamiliare sine die, tuttavia non praticabile, avendo la bambina bisogno della solidità di una famiglia affidataria per lungo tempo ha osservato che Ja. era attualmente inserita in una famiglia affidataria dove era serena e ben ambientata, sradicarla dal nuovo ambiente era indubbiamente sconsigliabile. Dalla suddetta motivazione - che si sottrae al sindacato di legittimità, ammesso nei ristretti limiti del novellato art. 360 n. 5 c.p.c. nei soli casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi - emerge con chiarezza l'insussistenza di alcun favorevole segnale prognostico circa la possibilità di costruzione o di recupero delle competenze genitoriali della ricorrente, la cui storia personale di deprivazione materiale ed affettiva le ha impedito di accedere proficuamente a un percorso terapeutico di sostegno alla genitorialità. Risulta quindi rispettato il principio secondo cui la recisione del legame con la famiglia di origine costituisce una extrema ratio da ultimo Cass. n. 3915 del 2018 cui ricorrere quando non sia fattibile, come nella specie, altra soluzione idonea ad assicurare il benessere e una prospettiva di positivo sviluppo psicofisico del minore. E' quindi poco pertinente la lamentata ingerenza dello Stato nella vita familiare, ai sensi dell'art. 8 Cedu, che è invece giustificata, anche sotto il profilo della proporzionalità del mezzo rispetto allo scopo. Il terzo motivo che denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 44, lett. d , della legge n. 184 del 1983, per non avere disposto l'adozione in casi particolari o l'adozione mite, è infondato. Si deve considerare che l'istituto della cosiddetta adozione mite, la quale lascia aperta la possibilità di una prosecuzione dei rapporti tra il minore e la famiglia di origine, è stato elaborato dalla giurisprudenza di merito nei casi in cui l'interruzione totale di detti rapporti avrebbe ripercussioni negative sullo sviluppo del minore, mentre nella specie è stato accertato in via di fatto che proprio questa interruzione è nel suo interesse, al fine di favorire il raggiungimento di una stabilità affettiva da ricercare altrove. Il ricorso è rigettato. Sussistono le condizioni di legge per compensare le spese. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile o rigetta il ricorso compensa le spese. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.