Amministrazione di sostegno e rifiuto delle cure: normativa incostituzionale?

Il conferimento all’amministratore di sostegno della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario non reca con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita spetta al giudice tutelare attribuirglielo in occasione della nomina, laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario lo richieda.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 144/19, depositata il 12 giugno. L’amministratore di sostegno può rifiutare le cure necessarie per l’amministrato le censure del giudice a quo. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, l. n. 219/2017 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento , nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento DAT , possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato. Secondo il giudice rimettente, le norme censurate si porrebbero in contrasto, innanzitutto, con gli artt. 2, 13 e 32 Cost., in quanto sarebbe necessario che, in assenza delle DAT, la volontà di esercitare il diritto inviolabile e personalissimo di rifiutare le cure, che troverebbe fondamento in tali norme costituzionali, sia ricostruita in modo da salvaguardare la natura soggettiva del diritto medesimo salvaguardia che sarebbe garantita solo con l’intervento di un soggetto terzo e imparziale quale è il giudice. Le disposizioni censurate, poi, si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost. ed, in particolare, con il principio di ragionevolezza. Il quadro normativo. La legge n. 219/2017 ha dato attuazione al principio del consenso informato nell’ambito della relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico. La stessa legge ha, poi, introdotto l’istituto delle DAT, prevedendo che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di determinarsi, possa esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un fiduciario”, che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. L’art. 3 reca la disciplina applicabile nel caso in cui il paziente sia non una persona pienamente capace di agire, ma una persona minore di età, interdetta, inabilitata o beneficiaria di amministrazione di sostegno le norme censurate regolano, in particolare, quest’ultimo caso. L’amministrazione di sostegno si adatta al caso concreto. La pronuncia in commento ricorda che l’ambito dei poteri dell’amministratore è correlato alle caratteristiche del caso concreto cfr. Corte Cost. n. 51/10 e n. 440/05 , secondo quanto previsto dal giudice tutelare nel provvedimento di nomina, che deve contenere, tra le altre indicazioni, quelle concernenti l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario art. 405, comma 5, n. 3, c.c. , nonché la periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario art. 405, comma 5, n. 6, c.c. . Tale istituto, quindi, consente al giudice tutelare di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione cfr., ex plurimis , Cass. Civ. n. 11536/17 . L’amministrazione di sostegno è, insomma, un istituto duttile, che, proprio in ragione di ciò, può essere plasmato dal giudice sulle necessità del beneficiario, anche grazie all’agilità della relativa procedura applicativa Cass. Civ. n. 17962/15 e n. 22332/11 . Attribuendo al giudice tutelare il compito di modellare l’amministrazione di sostegno in relazione allo stato personale e alle condizioni di vita del beneficiario, il legislatore ha inteso limitare nella minore misura possibile la capacità di agire della persona disabile il che marca nettamente la differenza con i tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. La ricostruzione del quadro normativo riguardante l’amministrazione di sostegno mette in evidenza l’erroneità del presupposto interpretativo su cui si fondano le questioni di legittimità costituzionale proposte dal rimettente. Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo , le norme censurate non attribuiscono ex lege ad ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale. L’amministratore non ha diritto di vita o di morte sull’amministrato. Nella logica dell’amministrazione di sostegno, è il giudice tutelare che, con il decreto di nomina, individua l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario. Spetta al giudice, pertanto, il compito di individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, l. n. 219/2017. Tali misure di tutela, peraltro, non possono non essere dettate in base alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario. La specifica valutazione del quadro clinico della persona, nell’ottica dell’attribuzione all’amministratore di poteri in ambito sanitario, tanto più deve essere effettuata allorché, in ragione della patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l’esigenza di prestare il consenso o il diniego a trattamenti sanitari di sostegno vitale in tali casi, infatti, viene a incidersi profondamente su diritti soggettivi personalissimi” cfr., ex plurimis , Cass. Civ. n. 12998/19 e n. 14158/17 . Pertanto, la decisione del giudice circa il conferimento o no del potere di rifiutare tali cure non può non essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo allo stato di salute del disabile in quel dato momento considerato. Cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato la decisione è del giudice tutelare. L’esegesi della disciplina impugnata, tenuto conto dei principi che conformano l’amministrazione di sostegno, porta allora a negare che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita. Le norme censurate si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda.

Corte Costituzionale, sentenza 20 marzo – 13 giugno 2019, n. 144 Presidente Lattanzi – Redattore Modugno Ritenuto in fatto 1.– Il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia, con ordinanza del 24 marzo 2018, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento , nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento d’ora in avanti DAT , possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato. 1.1.– Il giudice rimettente premette che, in favore di A. T., è stato già nominato, sin dall’ottobre 2008, un amministratore di sostegno, cui allo stato non è attribuita né l’assistenza necessaria, né la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. La relazione clinica del 21 febbraio 2018, tuttavia, ha certificato che A. T. risulta attualmente in stato vegetativo in esiti di stato di male epilettico in paziente affetto da ritardo mentale grave da sofferenza cerebrale perinatale in sindrome disformica [recte dismorfica] nonché portatore di PEG . Il giudice a quo rileva che, pertanto, si rende necessario integrare il decreto di nomina, ai sensi dell’art. 407, comma 4, del codice civile, ai fini dell’individuazione dei poteri in ambito sanitario in particolare – preso atto delle condizioni di salute, anche personalmente verificate – si profila come indispensabile l’attribuzione della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, non residuando alcuna capacità in capo all’amministrato . Ciò premesso, il giudice tutelare osserva che, entrato in vigore l’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017, è quest’ultimo articolo a disciplinare le modalità di conferimento, all’amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri in ambito sanitario . Ne conseguirebbe che l’attribuzione all’amministratore di sostegno di detti poteri nella specie, sotto forma di rappresentanza esclusiva ricomprende necessariamente il potere di rifiuto delle cure, ancorché si tratti di cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato l’amministratore di sostegno, pertanto, avrebbe il potere di decidere della vita e della morte dell’amministrato senza che tale potere possa essere sindacato dall’autorità giudiziaria . Il giudice rimettente riferisce, dunque, che è chiamato a fare applicazione del censurato art. 3, comma 5, dovendo decidere sull’attribuzione all’amministratore di sostegno di A. T. della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. 1.2.– Ai fini del giudizio sulla rilevanza, il giudice a quo reputa logicamente preliminare l’esegesi dell’art. 3, comma 5, della legge n. 219 del 2017, osservando, in particolare, che l’espressione rifiuto delle cure , in considerazione della locuzione in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento , non può non concernere anche i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita altrimenti detto, il rifiuto delle cure può interessare tutti i trattamenti sanitari astrattamente oggetto delle DAT . Per escludere tale opzione ermeneutica – prosegue il giudice rimettente – potrebbe ipoteticamente farsi leva sull’espressione cure proposte , sostenendo che i trattamenti necessari al mantenimento in vita non possano essere inquadrati in termini di cure, di talché il rifiuto non potrebbe riguardarli. Si tratterebbe, tuttavia, di un’interpretazione incompatibile sia con la ratio legis, volta a valorizzare la libertà di autodeterminazione anche nell’ipotesi di trattamenti sanitari di fine vita, sia con l’acquisizione, tra i diritti inviolabili ex art. 2 Cost., di un diritto a decidere sui trattamenti di fine vita in quanto tale, essa appare al giudice rimettente non praticabile. Lo stato d’incapacità, per altro verso, non potrebbe di per sé escludere il diritto a decidere sui trattamenti necessari al mantenimento in vita, poiché ciò determinerebbe la violazione degli artt. 2, 3 [recte 13] e 32 Cost. L’incapace è, infatti, persona e nessuna limitazione o disconoscimento dei suoi diritti si prospetterebbe come lecita deve pertanto essergli riconosciuto, e ricevere tutela, il diritto all’autodeterminazione e al rifiuto delle cure, potendo la condizione d’incapacità influire soltanto sulle modalità di esercizio del diritto. Una volta appurata la possibilità che siano rifiutati anche i trattamenti necessari al mantenimento in vita, il giudice rimettente rileva che l’art. 3, comma 5, della legge n. 219 del 2017 prevede espressamente che, in caso di opposizione del medico all’interruzione delle cure, è possibile l’intervento del giudice tutelare, mentre deve ritenersi, a contrario, che detto intervento non sia possibile nel caso in cui il medico non si opponga. 1.3.– Il giudice tutelare precisa, poi, che la circostanza che il procedimento abbia natura di volontaria giurisdizione non esclude la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale. In tal senso deporrebbe la giurisprudenza costituzionale vengono richiamate le sentenze n. 258 del 2017, n. 121 del 1974 e, in particolare, la n. 129 del 1957. 1.4.– Nell’argomentare in punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente esordisce ricordando che [l]a libertà di rifiutare le cure presuppone il ricorso a valutazioni della vita e della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura etica o religiosa, e comunque anche extra-giuridiche, quindi squisitamente soggettive Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 3 marzo-20 aprile 2005, n. 8291 . Ciò implica che in tale ambito vengono in rilievo valutazioni personalissime , indissolubilmente legate al soggetto interessato e alle sue convinzioni, insuscettibili d’essere vagliate oggettivamente o in base al parametro del best interest adottato invece dalla House of Lords inglese, decisione del 4 febbraio 1993, Airedale NHS Trust v. Bland . La dichiarazione di rifiuto delle cure è costituita di due momenti essenziali quello concernente la formazione dell’intimo convincimento, intrasferibile in capo a terzi, e quello rappresentato dalla manifestazione di volontà, cedibile invece ad altri. E poiché l’amministratore di sostegno non è investito di un potere incondizionato di disporre della salute della persona incapace Corte di cassazione, sezione prima civile, 16 ottobre 2007, n. 21748 , ne consegue che il rifiuto delle cure che egli manifesti deve essere la rappresentazione della volontà dell’interessato e dei suoi orientamenti esistenziali l’amministratore non deve decidere né al posto dell’incapace, né per l’incapace , perché il diritto personalissimo a rifiutare le cure è la logica simmetria d[e]lla indisponibilità altrui e dell’intrasferibilità del diritto alla vita . Il giudice a quo osserva, pertanto, che, affinché la decisione sul rifiuto delle cure sia espressione dell’interessato e non di chi lo rappresenta, questa deve risultare dalle DAT o, in assenza di queste, deve ricorrersi alla ricostruzione della volontà dell’incapace, per mezzo di una pluralità di indici sintomatici, di elementi presuntivi, mediante l’audizione di conoscenti dell’interessato o strumenti di altra natura , in modo da assicurare che la scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla qualità della vita proprio del rappresentante è novamente richiamata Cass., n. 21748 del 2007 . Secondo il rimettente, si tratterebbe di un processo di ricerca serio e complesso, il quale renderebbe imprescindibile l’intervento di un soggetto terzo e imparziale quale è il giudice, teso a tutelare il carattere personalissimo e [la] speculare indisponibilità altrui del diritto di rifiuto delle cure e del diritto alla vita . Se si consentisse all’amministratore di sostegno di ricostruire autonomamente la volontà dell’interessato, si sentenzierebbe il concreto annichilimento della natura personalissima del diritto a decidere sulla propria vita , poiché si configurerebbe surrettiziamente il potere dell’amministratore di assumere la propria volontà a fondamento del rifiuto delle cure. Conseguentemente, sarebbe incostituzionale l’attribuzione all’amministratore di sostegno, determinata dalle disposizioni censurate, di un potere di natura potenzialmente incondizionata e assoluta attinente la vita e la morte, di un dominio ipoteticamente totale, di un’autentica facoltà di etero-determinazione . L’ insanabile contrasto sarebbe, innanzitutto, con gli artt. 2, 13 e 32 Cost. Il diritto a rifiutare le cure troverebbe fondamento in tali norme costituzionali e dovrebbe considerarsi inviolabile, con la conseguenza che sarebbe negata ad altri la possibilità di violarlo il suo essere diritto intrinsecamente correlato al singolo interessato escluderebbe che il momento della formazione della volontà possa essere delegato a terzi, pena un suo inesorabile disconoscimento. Le modalità d’esercizio di rifiuto delle cure previste dalle disposizioni censurate sarebbero, pertanto, radicalmente inidonee a salvaguardare compiutamente la natura eminentemente soggettiva del diritto in questione , negandone l’essenza personalissima e determinandone la violazione. Non varrebbe a superare il vulnus la possibilità d’intervento del giudice, in caso di rifiuto opposto dal medico all’interruzione dei trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita dell’interessato si tratterebbe innegabilmente di un intervento giudiziale meramente ipotetico ed accidentale , subordinato all’eventuale esistenza di un dissidio tra rappresentante e medico. Né, ancora, potrebbe opporsi che, a ben vedere, le norme censurate attribuiscono la valutazione finale circa il rifiuto delle cure al medico, il quale potrebbe effettuare un controllo sulle determinazioni dell’amministratore di sostegno si tratterebbe, infatti, pur sempre di una valutazione medica imperniata su canoni obiettivi di appropriatezza” e necessità” , che disconoscono la natura personalissima e soggettiva del diritto di rifiutare le cure, non avendo il medico, d’altra parte, la possibilità di ricostruire la volontà dell’interessato e di accertare la conformità a quest’ultima della decisione del rappresentante. Le norme censurate sarebbero, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto manifestamente irragionevoli. La loro applicazione, infatti, determinerebbe un’incoerenza di ingiustificabile significanza all’interno dell’architettura di sistema delineata dall’istituto dell’amministrazione di sostegno ciò perché, se ai sensi dell’art. 411 cod. civ. è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento degli atti indicati agli artt. 374 e 375 cod. civ., attinenti alla sfera patrimoniale, sarebbe irrazionale non prevedere analoga autorizzazione per manifestare il rifiuto delle cure, sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona , in quanto in tal modo l’ordinamento appresterebbe a interessi d’ordine patrimoniale una salvaguardia superiore a quella riconosciuta ai richiamati diritti fondamentali. Inoltre, a conferma dell’incongruenza interna al sistema dell’amministrazione di sostegno, il giudice a quo osserva come la giurisprudenza è richiamato il decreto del Tribunale ordinario di Cagliari, 15 giugno 2010 riconosca la necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare perché il rappresentante avanzi la domanda di separazione, atto personalissimo, mentre le disposizioni censurate non prevedono l’intervento giudiziale per autorizzare l’atto personalissimo del rifiuto delle cure, coinvolgente valori egualmente rilevanti e dalle implicazioni certamente superiori . Quale ulteriore profilo di irragionevolezza, il rimettente osserva che, se la legge n. 219 del 2017 è tutta fondata sull’intento di valorizzare ed accordare centralità alle manifestazioni di volontà dei singoli , tanto da prevedere formalità e procedure per la loro espressione, non si comprende perché venga meno la più elementare attenzione per tale elemento volontaristico, non prevedendosi, quando si tratti di soggetti incapaci, meccanismo alcuno di tutela o controllo. 1.5.– Il giudice tutelare di Pavia, infine, chiede alla Corte – ove venissero accolte le questioni di legittimità costituzionale – di dichiarare l’illegittimità costituzionale in via conseguenziale, ai sensi dell’art. 27, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n. 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , delle disposizioni impugnate anche nella parte in cui prevedono che il rappresentante legale della persona interdetta oppure inabilitata, in assenza delle DAT, o il rappresentante legale del minore possano rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato. 2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque sia, non fondate. 2.1.– L’interveniente rileva, innanzitutto, che il giudice a quo – oltre a non avere mosso censure in relazione a ciascuno dei parametri costituzionali evocati, il che costituirebbe autonoma ragione d’inammissibilità per difetto di motivazione – non ha argomentato circa l’impossibilità di interpretare le disposizioni censurate in senso conforme a Costituzione, come invece richiesto dalla giurisprudenza costituzionale univoca e ormai consolidata . Interpretazione conforme a Costituzione che, a suo avviso, sarebbe invece possibile. Succintamente ricostruita la recente disciplina in materia di consenso informato e di DAT, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che i diritti ivi riconosciuti devono essere garantiti anche a chi non è più in grado di opporre il rifiuto alle cure ma che, quando ne era capace, aveva chiaramente manifestato volontà in tale senso. In tale prospettiva, si pone in evidenza che gli artt. 357 e 424 cod. civ. individuano nel tutore il soggetto interlocutore dei medici con riferimento ai trattamenti sanitari, mentre gli artt. 404 e seguenti cod. civ. sanciscono il potere di cura del disabile anche in capo all’amministratore di sostegno, secondo i poteri conferitigli con il decreto di nomina al diritto di ogni persona di manifestare validamente la propria volontà in merito all’accettazione o al rifiuto dei possibili trattamenti sanitari conseguirebbe l’obbligo per il rappresentante legale di dare corso a tale volontà. Si tratterebbe di approdi che trovano conferma, oltre che nel diritto internazionale si richiama l’art. 6 della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata e resa esecutiva con la legge 28 marzo 2001, n. 145, di seguito Convenzione di Oviedo , nella giurisprudenza della Corte di cassazione oltre alla già richiamata sentenza n. 21748 del 2007, sono citate Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza 15 gennaio 1997, n. 364, e sentenza 25 novembre 1994, n. 10014 . In particolare, la giurisprudenza di legittimità avrebbe precisato che il tutore deve agire nell’esclusivo interesse dell’incapace, ricostruendone la volontà tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche Cass., n. 21748 del 2007, citata . Una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate dovrebbe, pertanto, portare a ritenere che, essendo il diritto alla salute un diritto personalissimo, la rappresentanza legale non trasferisce sul tutore e sull’amministratore di sostegno un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza . D’altra parte, l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017 espressamente prevede che l’amministratore di sostegno deve tenere conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere, quando la nomina comprenda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario circostanza, questa, che implicherebbe un vaglio specifico da parte del giudice. Molteplici sarebbero, pertanto, gli elementi che depongono per una possibile interpretazione conforme delle disposizioni censurate o, comunque sia, per l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale l’obbligo per il rappresentante, nel rifiutare le cure, di agire nell’interesse dell’incapace, ricostruendone la volontà la valutazione del medico, in base alle sue competenze, sulla natura necessaria e appropriata delle cure l’intervento del giudice in caso di opposizione del medico e su ricorso di qualsiasi soggetto interessato laddove l’amministratore di sostegno non abbia tenuto nella dovuta considerazione la volontà del beneficiario. 2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri reputa, poi, inammissibile, o altrimenti infondata, la richiesta del giudice a quo di estendere in via conseguenziale la dichiarazione d’illegittimità costituzionale ad altre norme parimente poste dalle disposizioni censurate. Osserva l’interveniente che questa Corte, con la sentenza n. 138 del 2009, ha affermato che l’art. 27, seconda parte, della legge n. 87 del 1953 non sottrae il rimettente dall’onere di motivare in ordine alle ragioni che lo inducono a sospettare dell’esistenza dell’illegittimità costituzionale di ciascuna delle disposizioni legislative che viene a censurare onere cui l’odierno rimettente non avrebbe adempiuto. 3.– Hanno depositato un comune atto di intervento nel giudizio le associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani – Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia Beato Contardo Ferrini”, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano accolte. 3.1.– In punto di legittimazione all’intervento, la difesa delle associazioni afferma che, in considerazione degli scopi sociali, sarebbe evidente il concreto interesse delle intervenienti a portare il proprio contributo e ad interloquire dinanzi a questa Corte. Il prevalente interesse etico sottostante le questioni di legittimità costituzionale dovrebbe consentire una più larga partecipazione di associazioni espressioni della società civile nel giudizio costituzionale, a maggior ragione in considerazione del carattere giusnaturalistico delle moderne costituzioni occidentali , le quali, compresa la Costituzione italiana, rimanderebbero a un ordinamento che precede quello della legge statale e che trova il suo più solido e profondo fondamento nell’ordine naturale delle cose, vale a dire nel diritto naturale . 3.2.– Nel merito, le intervenienti osservano come, in base alla giurisprudenza di legittimità e a quanto disposto nella Convenzione di Oviedo, dovrebbe escludersi la possibilità di sacrificare la salute o il bene supremo della vita di persona incapace di dare consenso, in assenza di eventi ineluttabili quali una malattia che non possa essere contrastata se non incorrendo nell’accanimento terapeutico . La disposizione censurata, pertanto, favorirebbe gli abusi, con rifiuto delle cure e conseguente soppressione di pazienti incapaci per interessi che possono essere i più diversi, estranei al best interest del malato. 3.3.– Ripercorsi i dubbi, condivisi, di legittimità costituzionale del giudice a quo, le intervenienti osservano che l’ inadeguatezza della normativa censurata persisterebbe anche nel caso in cui questa Corte ritenesse possibile l’interruzione delle cure solo una volta ricostruita, per opera del giudice tutelare, la volontà dell’incapace sarebbe evidente, infatti, il carattere di fictio iuris di una tale metodologia , irrispettosa della reale e ipoteticamente diversa volontà che il paziente potrebbe esprimere attualmente, da sé, se ne fosse in grado . A parere delle intervenienti, infatti, un valido consenso o rifiuto delle cure non può insorgere anteriormente al verificarsi del quadro patologico rispetto al quale si pone la necessità di dare l’informativa . Il problema della valutazione della persistenza del rifiuto delle cure, dunque, esisterebbe e permarrebbe, secondo questa prospettiva, anche in caso di DAT proprio per la naturale volatilità della volontà delle persone rispetto ai fatti ed alle stagioni della vita funzione del giudice tutelare, pertanto, dovrebbe essere, in ogni caso, quella di autorizzare terapie che non costituiscano accanimento terapeutico e che salvaguardino, in ossequio al principio di precauzione, i beni della salute e della vita. 3.4.– La difesa delle intervenienti dà altresì conto di una nota dell’associazione di Pavia, che ritiene utile riportare nella esatta consistenza testuale , nella quale vengono delineati ulteriori aspetti di illegittimità costituzionale. Si afferma, in particolare, che la possibilità per l’amministratore di sostegno, anche se in presenza di DAT, di rifiutare o interrompere l’alimentazione, l’idratazione o la ventilazione artificiale sarebbe in contrasto con la dignità umana art. 2 Cost. , con il diritto alla salute perché l’art. 32 Cost. si riferisce ai trattamenti sanitari ed è dibattuta la possibilità di ricomprendervi gli anzidetti trattamenti , con l’art. 3 Cost. perché la legge n. 219 del 2017 equipara irragionevolmente terapie mediche e trattamenti di mero sostegno vitale . L’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017, poi, sarebbe costituzionalmente illegittimo perché, consentendo all’amministratore di sostegno di dover solo tenere conto della volontà del soggetto amministrato in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere, lederebbe il diritto personalissimo alla vita e alla salute che solo il titolare può esercitare art. 2 Cost. ed equiparerebbe irragionevolmente chi è totalmente incapace e chi, anche solo parzialmente, può invece manifestare la propria volontà artt. 3 e 32 Cost. . Sono rappresentati, infine, vizi di costituzionalità ritenuti ancora più radicali, dubitandosi della legittimità costituzionale della privazione di trattamenti sanitari salvavita, siano o no presenti le DAT. Considerato in diritto 1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento , nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento d’ora in avanti DAT , possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato. Secondo il giudice rimettente, le norme censurate si porrebbero in contrasto, innanzitutto, con gli artt. 2, 13 e 32 Cost., in quanto sarebbe necessario che, in assenza delle DAT, la volontà di esercitare il diritto inviolabile e personalissimo di rifiutare le cure, che troverebbe fondamento in tali norme costituzionali, sia ricostruita in modo da salvaguardare la natura soggettiva del diritto medesimo salvaguardia che sarebbe garantita solo con l’intervento di un soggetto terzo e imparziale quale è il giudice. Le disposizioni censurate, poi, si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto plurimi profili. Innanzitutto, poiché nell’amministrazione di sostegno, ai sensi dell’art. 411 del codice civile, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare per il compimento degli atti, attinenti alla sfera patrimoniale, indicati agli artt. 374 e 375 del medesimo codice, sarebbe irragionevole che analoga autorizzazione non sia prevista per il rifiuto delle cure, sintesi ed espressione dei diritti alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona . In secondo luogo, dal momento che secondo la giurisprudenza è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare perché il rappresentante avanzi la domanda di separazione coniugale, sarebbe costituzionalmente illegittimo che non sia invece previsto l’intervento giudiziale per autorizzare il rifiuto delle cure, del pari atto personalissimo coinvolgente valori egualmente rilevanti e dalle implicazioni certamente superiori . Infine, sarebbe irragionevole che, se si tratta di soggetti incapaci, non venga apprestata la più elementare attenzione per la loro volontà, non prevedendosi meccanismo alcuno di tutela o controllo, quando invece la legge n. 219 del 2017 è tutta fondata sull’intento di valorizzare ed accordare centralità all[e] manifestazioni di volontà dei singoli , tanto da prevedere formalità e procedure per la loro espressione. 2.– Deve essere preliminarmente dichiarato inammissibile l’intervento delle associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia Beato Contardo Ferrini”. 2.1.– Al giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale possono partecipare, secondo quanto previsto dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , e dall’art. 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, le parti del giudizio a quo e, secondo che sia censurata una norma di legge statale o di legge regionale, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Presidente della Giunta regionale. Il richiamato art. 4 delle Norme integrative prevede, altresì, la possibilità di derogare a tale regola, ferma restando la competenza di questa Corte a giudicare sull’ammissibilità degli interventi di altri soggetti secondo la costante giurisprudenza, tali interventi sono ammissibili, senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità, soltanto quando i terzi siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura ex plurimis, sentenze n. 98 e n. 13 del 2019, n. 217, e n. 180 del 2018 nello stesso senso, sentenza n. 213 del 2018 . Nel caso di specie le associazioni intervenienti – le quali hanno, altresì, dedotto questioni di legittimità costituzionale ulteriori rispetto all’ordinanza di rimessione, per ciò solo inammissibili – non possono essere considerate titolari di un tale interesse qualificato, posto che l’odierno giudizio di legittimità costituzionale non è destinato a produrre, nei loro confronti, effetti immediati, neppure indiretti. Esse, infatti, non vantano una posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata dalla decisione di questa Corte sulle norme oggetto di censura, ma soltanto un generico interesse connesso al perseguimento dei loro scopi statutari. 3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, perché il rimettente non avrebbe prospettato specifiche censure con riguardo a ciascun parametro costituzionale richiamato , con conseguente difetto di motivazione. 3.1.– L’eccezione è palesemente destituita di fondamento. Il giudice rimettente, evocando a parametro congiuntamente gli artt. 2, 13 e 32 Cost., ha in tutta evidenza ritenuto che l’addizione richiesta a questa Corte sarebbe imposta dal combinato disposto di tali norme costituzionali. Del resto, non solo la giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto che il principio del consenso informato trova fondamento proprio nelle norme costituzionali ora in discorso sentenza n. 438 del 2008 e ordinanza n. 207 del 2018 , ma è la stessa legge n. 219 del 2017 a definirsi funzionale alla tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona, nel rispetto, tra gli altri, dei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost. Autonomamente e adeguatamente motivate, poi, sono le censure in riferimento all’art. 3 Cost. 4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale anche sotto un ulteriore profilo il giudice rimettente non avrebbe argomentato in ordine all’impossibilità di dare alle disposizioni impugnate un’interpretazione conforme a Costituzione . 4.1.– L’eccezione non è fondata. Il giudice tutelare di Pavia si è diffuso ampiamente sull’interpretazione delle disposizioni censurate, soffermandosi in particolare sul significato da attribuire alla locuzione rifiuto delle cure , la quale ricomprenderebbe, alla luce della ratio legis e del diritto costituzionale all’autodeterminazione, anche il rifiuto delle cure necessarie al mantenimento in vita non solo, il giudice a quo ha espressamente escluso di poter interpretare detta locuzione come non comprensiva del rifiuto di tali cure. L’iter argomentativo della ordinanza di rimessione si fonda, dunque, su una seria e approfondita attività ermeneutica concernente la disposizione censurata, conclusasi con un’attribuzione a quest’ultima di un significato normativo che al giudice rimettente appare in contrasto con gli evocati parametri costituzionali. Il giudice a quo, dunque, ha implicitamente escluso, all’esito dell’attività interpretativa posta in essere, di poter ricavare dalle disposizioni oggetto di censura norme conformi a Costituzione. Se, poi, l’esito dell’attività esegetica del giudice rimettente sia condivisibile, o no, è profilo che attiene al merito, e non più all’ammissibilità, delle questioni di legittimità costituzionale ex plurimis, sentenze n. 78 e n. 12 del 2019, n. 132 e n. 15 del 2018, n. 69, n. 53 e n. 42 del 2017, n. 221 del 2015 . 5.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate. Il giudice tutelare rimettente legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale da ultimo, sentenza n. 258 del 2017 impernia i dubbi di costituzionalità sul seguente assunto in ragione di quanto previsto dalle disposizioni censurate, l’amministratore di sostegno, al quale, in assenza delle DAT, sia stata affidata la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, ha per ciò solo, sempre e comunque, anche il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza del beneficiario, senza che il giudice tutelare possa diversamente decidere e senza bisogno di un’autorizzazione di quest’ultimo per manifestare al medico il rifiuto delle cure. Si tratta di un presupposto interpretativo erroneo. 5.1.– Deve innanzitutto osservarsi che la legge n. 219 del 2017, come si evince sin dal suo titolo, dà attuazione al principio del consenso informato nell’ambito della relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico art. 1, comma 2 . Per quanto qui rileva, il principio – previsto da plurime norme internazionali pattizie, oltre che dall’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e da diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attività mediche – ha fondamento costituzionale negli artt. 2, 13 e 32 Cost. e svolge la funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative sentenza n. 438 del 2008 nello stesso senso, sentenza n. 253 del 2009 e ordinanza n. 207 del 2018 . In attuazione delle norme costituzionali, la legge n. 219 del 2017, pertanto, dopo aver sancito che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge art. 1, comma 1 , promuove e valorizza la relazione di cura e fiducia tra medico e paziente che proprio sul consenso informato deve basarsi art. 1, comma 2 , esplicita le informazioni che il paziente ha diritto di ricevere art. 1, comma 3 , stabilisce le modalità di espressione del consenso e del rifiuto di qualsivoglia trattamento sanitario, anche ma non solo necessario alla sopravvivenza art. 1, commi 4 e 5 , prevede l’obbligo per il medico di rispettare la volontà espressa dal paziente art. 1, comma 6 . La legge n. 219 del 2017 ha poi introdotto, ovviamente in correlazione al diritto all’autodeterminazione in ambito terapeutico, l’istituto delle DAT, prevedendo che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di determinarsi, possa esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un fiduciario , che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie art. 4, comma 1 . Il medico è tenuto al rispetto delle DAT che devono essere redatte secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 6 , potendo egli disattenderle, in accordo con il fiduciario, soltanto qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita art. 4, comma 5 . 5.1.1.– L’art. 3 della legge n. 219 del 2017 reca la disciplina – concernente tanto il consenso informato quanto le DAT – applicabile nel caso in cui il paziente sia non una persona pienamente capace di agire art. 1, comma 5 , ma una persona minore di età, interdetta, inabilitata o beneficiaria di amministrazione di sostegno. Le norme oggetto del presente giudizio di costituzionalità regolano, in particolare, quest’ultimo caso, stabilendo, da un lato, che, quando la nomina dell’amministratore di sostegno prevede l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere art. 3, comma 4 dall’altro, che, qualora non vi siano DAT, se l’amministratore di sostegno rifiuta le cure e il medico le reputa invece appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare, su ricorso dei soggetti legittimati a proporlo art. 3, comma 5 . Le norme censurate, dunque, sono volte a disciplinare casi particolari di espressione o di rifiuto del consenso informato, anche – ma non soltanto – laddove questo riguardi trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza. Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, però, esse non hanno disciplinato le modalità di conferimento, all’amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri in ambito sanitario , le quali, invece, restano regolate dagli artt. 404 e seguenti cod. civ., come introdotti dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6 Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali . Le norme oggetto dell’odierno sindacato di questa Corte, altrimenti detto, non disciplinano l’istituto dell’amministrazione di sostegno, ma regolano il caso in cui essa sia stata disposta per proteggere una persona che è sottoposta, o potrebbe essere sottoposta, a trattamenti sanitari e che, pertanto, deve esprimere o no il consenso informato a detti trattamenti. L’esegesi dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017 deve essere condotta, pertanto, alla luce dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, richiamato dalle norme censurate segnatamente, è in base alla disciplina codicistica che devono essere individuati i poteri spettanti al giudice tutelare al momento della nomina dell’amministratore di sostegno, i quali non sono affatto contemplati dalla richiamata legge n. 219 del 2017. 5.2.– Questa Corte, già all’indomani della legge n. 6 del 2004, rilevò che l’ambito dei poteri dell’amministratore [è] puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto sentenze n. 51 del 2010 e n. 440 del 2005 , secondo quanto previsto dal giudice tutelare nel provvedimento di nomina, che deve contenere, tra le altre indicazioni, quelle concernenti l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario art. 405, quinto comma, numero 3, cod. civ. , nonché la periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario art. 405, quinto comma, numero 6, cod. civ. . Più di recente, anche sulla scia dell’interpretazione e dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno da parte della giurisprudenza di legittimità, questa Corte ha osservato che tale istituto si presenta come uno strumento volto a proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 27 settembre 2017, n. 22602 sentenza n. 114 del 2019 . Esso consente al giudice tutelare di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione in questo senso, Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11 maggio 2017, n. 11536 26 ottobre 2011, n. 22332 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584 ma si veda anche Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 11 settembre 2015, n. 17962 sentenza n. 114 del 2019 . L’amministrazione di sostegno è, insomma, un istituto duttile, che, proprio in ragione di ciò, può essere plasmato dal giudice sulle necessità del beneficiario, anche grazie all’agilità della relativa procedura applicativa Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11 settembre 2015, n. 17962 26 ottobre 2011, n. 22332 1° marzo 2010, n. 4866 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584 . Con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, difatti, il giudice tutelare si limita, in via di principio, a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento sentenza n. 114 del 2019 , perché è chiamato ad affidargli, nell’interesse del beneficiario, i necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento quest’ultimo sia ritenuto inidoneo Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 29 novembre 2006, n. 25366 . Attribuendo al giudice tutelare il compito di modellare l’amministrazione di sostegno in relazione allo stato personale e alle condizioni di vita del beneficiario, il legislatore ha inteso limitare nella minore misura possibile sentenza n. 440 del 2005 la capacità di agire della persona disabile il che marca nettamente la differenza con i tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, la cui applicazione attribuisce al soggetto uno status di incapacità, più o meno estesa, connessa a rigide conseguenze legislativamente predeterminate. Il maggior rispetto dell’autonomia e della dignità della persona disabile assicurata dall’amministrazione di sostegno è alla base di quelle recenti decisioni, anche di questa Corte, che hanno escluso si estendano a tali soggetti – in ragione d’una generalizzata applicazione, in via analogica, delle limitazioni dettate per l’interdetto o l’inabilitato – i divieti di contrarre matrimonio Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 11 maggio 2017, n. 11536 o di donare sentenza n. 114 del 2019 Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460 il beneficiario di amministrazione di sostegno può sì essere privato della capacità di porre in essere tali atti personalissimi, quando ciò risponda alla tutela di suoi interessi, ma sempre che ciò sia espressamente disposto dal giudice tutelare – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o anche in una sua successiva revisione – con esplicita clausola ai sensi dell’art. 411, quarto comma, cod. civ. È fuor di dubbio, infine, che possa ricorrersi all’amministrazione di sostegno anche laddove sussistano soltanto esigenze di cura della persona – come d’altra parte recitano gli artt. 405, quarto comma, e 408, primo comma, cod. civ. – in quanto esso non è istituto finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma è volto, più in generale, a soddisfarne i bisogni e le aspirazioni art. 410, primo comma, cod. civ. , così garantendo adeguata protezione alle persone fragili, in relazione alle effettive esigenze di ciascuna Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza 26 luglio 2018, n. 19866 sul ricorso all’amministrazione di sostegno per l’esercizio di scelte connesse al diritto alla salute, anche Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998 . 5.3.– La ricostruzione del quadro normativo concernente l’amministrazione di sostegno, anche alla luce degli approdi della giurisprudenza di questa Corte e della Corte di cassazione, rivela l’erroneità del presupposto interpretativo su cui si fondano le questioni di legittimità costituzionale proposte dal giudice tutelare di Pavia. Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale. Nella logica del sistema dell’amministrazione di sostegno è il giudice tutelare che, con il decreto di nomina, individua l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario. Spetta al giudice, pertanto, il compito di individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017. Tali misure di tutela, peraltro, non possono non essere dettate in base alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla luce delle concrete condizioni di salute del beneficiario, dovendo il giudice tutelare affidare all’amministratore di sostegno poteri volti a prendersi cura del disabile, più o meno ampi in considerazione dello stato di salute in cui, al momento del conferimento dei poteri, questi versa. La specifica valutazione del quadro clinico della persona, nell’ottica dell’attribuzione all’amministratore di poteri in ambito sanitario, tanto più deve essere effettuata allorché, in ragione della patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l’esigenza di prestare il consenso o il diniego a trattamenti sanitari di sostegno vitale in tali casi, infatti, viene a incidersi profondamente su diritti soggettivi personalissimi Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 7 giugno 2017, n. 14158 più di recente, anche Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998 , sicché la decisione del giudice circa il conferimento o no del potere di rifiutare tali cure non può non essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo allo stato di salute del disabile in quel dato momento considerato. La ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, pertanto, richiede al giudice tutelare di modellare, anche in ambito sanitario, i poteri dell’amministratore sulle necessità concrete del beneficiario, stabilendone volta a volta l’estensione nel solo interesse del disabile. L’adattamento dell’amministrazione di sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario è, poi, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all’amministratore anche in un momento successivo alla nomina, tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle sopravvenute esigenze del disabile il giudice tutelare, infatti, deve essere periodicamente aggiornato dall’amministratore circa le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario art. 405, quinto comma, numero 6, cod. civ. , può modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte nel decreto di nomina art. 407, quarto comma, cod. civ. , può essere chiamato a prendere gli opportuni provvedimenti – su ricorso del beneficiario, del pubblico ministero o degli altri soggetti di cui all’art. 406 cod. civ. – in caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza dell’amministratore nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste della persona disabile art. 410, secondo comma, cod. civ. . 5.3.1.– L’esegesi dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017, tenuto conto dei principi che conformano l’amministrazione di sostegno, porta allora conclusivamente a negare che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita. Le norme censurate si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda. Per Questi Motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1 dichiara inammissibile l’intervento delle associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia Beato Contardo Ferrini” 2 dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento , sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dal giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia con l’ordinanza indicata in epigrafe.