Permesso di soggiorno: anche lo straniero con precedenti penali può averne diritto per accudire il figlio minore che si trova in Italia

In tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore straniero che si trova nel territorio italiano, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che il T.U. immigrazione considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero.

In tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi dell’art. 31, comma 3, T.U. immigrazione, approvato con d.lgs. n. 286/1998, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso Testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto dell’istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto. Il caso. Due coniugi, di nazionalità albanese, nel 2015 presentavano ricorso al Tribunale per i Minorenni dell’Abruzzo, chiedendo l’autorizzazione a restare in Italia per accudire i 2 figli minorenni, che si trovavano sul territorio italiano. Facevano leva sulla necessità dei minori di essere assistiti da entrambi i genitori, per poterne ricevere le cura necessarie a garantire loro una crescita serena e al fine di tutelare il diritto all’unità familiare. Nel 2016 il T.M. rigettava il ricorso, ritenendo, sostanzialmente, che non fossero stati dimostrati i gravi motivi giustificanti l’autorizzazione richiesta. Inoltre, da una informativa della Questura di L’Aquila, era risultato che l’uomo era stato arrestato nuovamente per violazione della normativa in materia di stupefacenti. Avverso la pronuncia, i coniugi proponevano reclamo alla Corte d’Appello di L’aquila che lo respingeva. La Corte riteneva che il Testo Unico delle disposizioni concernenti l'immigrazione e la condizione dello straniero consente il rilascio dell’autorizzazione richiesta in presenza di gravi motivi - e per un periodo di tempo determinato -, connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova nel territorio italiano e tenuto conto dell'età e delle sue condizioni di salute, ma i reclamanti non avevano indicato la necessita di restare in Italia come transitoria, bensì destinata ad esaurirsi solo quando i minori avessero raggiunto la piena autonomia economica ed affettiva. Inoltre, il comportamento dell’uomo, risultante da una serie di precedenti, era ritenuto incompatibile con la permanenza in Italia e tale da giustificare una revoca dell’autorizzazione e a maggior ragione il mancato rilascio della stessa. Avverso la decisione i coniugi proponevano ricorso per Cassazione, sulla base di quattro motivi. Rimessione alle Sezioni Unite. Con il primo motivo di ricorso si censurava il diniego dell’autorizzazione a causa del comportamento dell’uomo e si ribadiva la necessità della presenza in Italia dei genitori al fine di prevenire danni allo sviluppo psicofisico dei minori. Con il secondo motivo si denunciava la violazione del diritto all’unità familiare. Con il terzo i ricorrenti lamentavano la violazione del divieto di espulsione dei minori e del diritto all’unità familiare. Infine, con il quarto motivo ritenevano che la Corte d’Appello avesse omesso completamente di effettuare una valutazione prognostica sul pericolo di danno grave ed irreparabile per lo sviluppo psicofisico dei minori. La Prima Sezione della Corte di Cassazione, nel 2018, rimetteva gli atti al Primo Presidente, il quale, considerata la questione di massima importanza concernente l’applicazione dell’art. 31, comma 3 del T.U. immigrazione, disponeva l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. Protezione dei diritti fondamentali del minore e la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale. L’interrogativo posto all’esame delle Sezioni Unite consiste nello stabilire se, in presenza di un minore straniero sul territorio italiano, l’art. 31, comma 3 citato, attribuisca o meno rilevanza, ai fini del diniego del rilascio dell’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia richiesta dal familiare, al suo comportamento incompatibile con la permanenza in Italia. Vengono in rilevo interessi di fondamentale rilievo per l’ordinamento - che si intrecciano tra loro - quali la protezione dei diritti fondamentali del minore e la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale. Ad avviso del Collegio rimettente, la soluzione favorevole all’attribuzione di rilevanza al comportamento del familiare anche in sede di rilascio dell’autorizzazione, non sarebbe immediatamente suggerita dalla lettera della disposizione di cui al comma 3 dell’art. 31 T.U. Contro di essa militerebbero non soltanto il riferimento alla sola revoca e non anche al diniego dell’autorizzazione, quale sanzione dell’attività incompatibile del familiare, ma anche l’espressa previsione che l’autorizzazione può essere rilasciata in deroga alle altre disposizioni del T.U., comprese quelle che precludono il rilascio del permesso di soggiorno in favore di soggetti con precedenti penali ostativi o che siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza statale. Le Sezioni Unite, già nel 2010, con sent. n. 21799 avevano chiarito che l’art. 31, comma 3 T.U svolge la funzione di norma di chiusura del sistema di tutela dei minori stranieri, apportando un’eccezione alla disciplina sull'ingresso e sul soggiorno dello straniero quando ricorrano le condizioni per salvaguardarne il preminente interesse, in situazioni nelle quali l'allontanamento suo o di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l'integrità psico-fisica. I Supremi giudici avevano evidenziato che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del fanciullo. Questo perché la portata dell’art. 31, comma 3, non si presta ad essere costretta nei confini angusti dell’emergenza sanitaria o della breve patologia del minore. Per le Sezioni Unite, dunque, tale disposizione è suscettibile di comprendere nel suo ambito qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell'età o delle condizioni di salute riconducibili al complessivo equilibrio psicofisico, potrebbe derivare al minore a causa dell'allontanamento improvviso del familiare o del suo definitivo sradicamento dall'ambiente nel quale è cresciuto. Si tratta di situazioni che non si prestano ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, ma richiedono un'indagine svolta in modo individualizzato, da parte di un organo specializzato come il T.M., tenendo conto della peculiarità delle situazioni prospettate. La giurisprudenza successiva ha sviluppato i principi enunciati dalle Sezioni Unite, interpretando in senso ampio i gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore la funzione dell’art. 31, comma 3 T.U è quella di salvaguardare il superiore interesse del minore in situazioni nelle quali l’allontanamento o il mancato ingresso di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l’esistenza. In altre parole, l’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso nel territorio nazionale riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psico-fisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma, nonché la ragione unica del provvedimento autorizzatorio. Effettività della vita familiare e della relazione con i propri genitori. I Giudici delle Sezioni Unite, investiti della questione sottoposta al proprio esame, muovendo dal dato letterale dell’art. 31, comma 3, T.U., giungono a sostenere che la norma sulle attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia intende assicurare che la fattispecie permissiva non si risolva in un evento controproducente per il fanciullo o intollerabile per le ragioni interne di ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Secondo la lettura che il Collegio ritiene preferibile, l’art. 31, comma 3, presenta una ratio destinata ad esplicarsi non solo nella fase successiva all’autorizzazione ma anche ab origine , ai fini del rilascio della stessa. Con il comma 3 dell’art. 31 il legislatore del T.U. ha inteso perseguire l’interesse del minore nel grado più elevato possibile, assicurandogli il pieno godimento del suo diritto fondamentale all’effettività della vita familiare e della relazione con i propri genitori, ma nel rispetto della basilare esigenza di protezione dalla criminalità del Paese che offre accoglienza. Pertanto, nel giudizio avente ad oggetto l'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero, ex art. 31, comma 3, la sussistenza di comportamenti del familiare medesimo, incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale, deve essere valutata in concreto attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all'esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria. Conclusione. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza in oggetto, accolgono il primo motivo di ricorso e ritengono assorbiti i restanti. Cassano il decreto impugnato, in relazione alla censura accolta, e rinviano la causa alla Corte d’ Appello di L’Aquila, Sezione per i minorenni, in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 7 maggio – 12 giugno 2019, n. 15750 Presidente Mammone – Relatore Giusti Fatti di causa 1. - I coniugi S.D. e B. , di nazionalità albanese, con ricorso presentato al Tribunale per i minorenni dell’Abruzzo in data 17 giugno 2015, hanno richiesto, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, comma 3, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , l’autorizzazione alla permanenza in Italia al fine di accudire i figli minori A. , nato in omissis , e N. , nata in omissis , i quali si trovano nel territorio italiano. A fondamento della richiesta i ricorrenti hanno indicato la necessità dei minori di essere assistiti da entrambi i genitori, l’indispensabilità dei rapporti con gli stessi per poterne ricevere le cure necessarie a garantire loro una crescita serena e la necessità di garantire il diritto all’unità familiare. Hanno inoltre prospettato i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico dei minori derivanti dall’allontanamento improvviso dei genitori sino ad allora presenti nella vita della famiglia. In punto di fatto i ricorrenti hanno dedotto che S.B. , dopo il matrimonio e la nascita del primo figlio, è venuto in Italia, dove ha trovato lavoro che nel 2013 la moglie l’ha raggiunto con il bambino, e qui è nata N. che attualmente la famiglia dispone di una casa, presa in locazione che il primo figlio frequenta in Italia la scuola primaria. 2. - Il Tribunale per i minorenni dell’Abruzzo, con decreto in data 11 aprile 2016, ha respinto il ricorso. 2.1. - Il Tribunale per i minorenni ha premesso che la richiesta di permesso di soggiorno di un cittadino extracomunitario, basata sul D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, deve essere respinta quando non sussistano condizioni di emergenza e non vi sia la prova che l’allontanamento del genitore provocherebbe un pericolo di grave danno alla personalità del figlio minore. Ha inoltre osservato che i gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore straniero, legittimanti l’autorizzazione di cui alla citata disposizione, vanno correlati alla sussistenza di condizioni di emergenza contingenti, ossia transeunti ed eccezionali, che pongano in grave pericolo l’evoluzione normale della personalità del minore, e non possono essere individuati nel fatto della mera presenza nel territorio dello Stato italiano. Nel caso di specie - ha rilevato il Tribunale per i minorenni - tali presupposti sono assenti, non essendo stati dimostrati quei gravi motivi che potrebbero giustificare l’autorizzazione richiesta inoltre, da un’informativa della Questura di L’Aquila risulta che S.B. è stato nuovamente arrestato in data 4 aprile 2016 per violazione della normativa in materia di stupefacenti. 3. - La Corte d’appello di L’Aquila, sezione per i minorenni, con decreto depositato in data 15 settembre 2016, ha respinto il reclamo dei coniugi S.D. e B. . 3.1. - La Corte territoriale ha osservato che la norma di riferimento prevede il rilascio dell’autorizzazione di cui trattasi in presenza di situazioni, pregiudizievoli per lo sviluppo psicofisico del minore, che, pur non avendo carattere emergenziale o eccezionale, tuttavia non siano di lunga o indeterminabile durata e non siano caratterizzate da tendenziale stabilità. I reclamanti, invece, non indicano la necessità della loro permanenza in Italia come transitoria, ma anzi la rappresentano esplicitamente come destinata ad esaurirsi solo quando i figli avranno raggiunto la piena autonomia economica ed affettiva. Sussiste, inoltre, quanto al padre, una ulteriore ragione ostativa all’accoglimento della domanda, costituita dall’arresto nel 2012 e dal successivo rinvio a giudizio per spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione ai danni del tossicodipendente al quale egli aveva venduto la droga, e che non l’aveva pagata attività estorsiva portata avanti in maniera molto pressante, con l’ausilio di altri connazionali e con pestaggi , il che ha determinato la revoca del permesso di soggiorno. Inoltre, S.B. è stato condannato per violazione delle norme sull’immigrazione e nell’aprile 2016 è stato arrestato nuovamente per spaccio di sostanze stupefacenti. Il comportamento rivelato da tali precedenti - ha evidenziato la Corte d’appello - è qualificabile come attività incompatibile con la permanenza in Italia, idonea a giustificare, ai sensi del secondo periodo del comma 3 dell’art. 31, la revoca dell’autorizzazione e quindi, a maggior ragione, il mancato rilascio della stessa. 4. - Per la cassazione del decreto della Corte d’appello i coniugi S. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 12 e il 21 ottobre 2016. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede. 5. - Il ricorso dei genitori di S.A. e N. si articola su quattro motivi. Con il primo motivo di ricorso violazione dell’art. 31, comma 3, t.u. imm. si censura il diniego dell’autorizzazione a causa del comportamento dello S. , osservando che la predetta norma prevede il comportamento del familiare del minore quale causa di revoca dell’autorizzazione all’ingresso o soggiorno già concessa, ma non anche quale ragione di diniego di rilascio della stessa, e si ribadisce la necessità della presenza in Italia dei ricorrenti al fine di prevenire danni allo sviluppo psicofisico dei figli minori, richiamando, tra l’altro, la giurisprudenza di questa Corte che valorizza a tal fine la circostanza che si tratti di minori in età prescolare come la figlia dei ricorrenti . Il secondo motivo denuncia la violazione del diritto all’unità familiare sancito dal titolo IV t.u. imm., in recepimento della direttiva 2003/86/CE, e dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 19 t.u. imm., in relazione agli artt. 9 e ss. della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, e la violazione del divieto di espulsione dei minori e del diritto all’unità familiare. Con il quarto mezzo si denuncia la violazione dell’art. 31 t.u. imm. e carenza e illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello omesso completamente di effettuare una valutazione prognostica riguardante il pericolo di danno grave e irreparabile per lo sviluppo psicofisico dei minori. 6. - La Prima Sezione di questa Corte, con ordinanza 19 novembre 2018, n. 29802, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere la questione di massima di particolare importanza, posta con il primo motivo, se, in presenza di minore straniero che si trova nel territorio italiano, il comportamento del familiare incompatibile con la permanenza in Italia possa essere preso in considerazione solo ai fini della revoca dell’autorizzazione già concessa, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 31, comma 3, t.u. immigrazione, o anche ai fini del diniego del rilascio dell’autorizzazione. Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. Ragioni della decisione 1. - La questione di massima di particolare importanza concerne l’interpretazione dell’art. 31, comma 3, t.u. immigrazione, approvato con il D.Lgs. n. 286 del 1998. Collocata nel titolo IV del testo unico dedicato al diritto all’unità familiare e alla tutela dei minori, tale disposizione, sotto la rubrica Disposizioni a favore dei minori , prevede Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza . L’interrogativo posto all’esame delle Sezioni Unite consiste nello stabilire se, in presenza di minore straniero che si trova nel territorio italiano, l’art. 31, comma 3, attribuisca o meno rilevanza, ai fini del diniego del rilascio dell’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia richiesta dal familiare, al suo comportamento incompatibile con la permanenza in Italia. 2. - Su tale nodo interpretativo, che si colloca al delicato incrocio tra interessi di fondamentale rilievo per l’ordinamento, quali la protezione dei diritti fondamentali del minore e la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale, la Prima Sezione si è espressa con la sentenza 4 giugno 2018, n. 14238, stabilendo che, nel giudizio avente ad oggetto l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero, la sussistenza di comportamenti del familiare medesimo incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale deve essere valutata in concreto attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all’esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria. A questo esito la Corte è giunta sul rilievo che l’art. 31, comma 3, t.u. imm. introduce anche un parametro esterno a quello che costituisce il bene giuridico tutelato dalla norma, in quanto attribuisce rilievo ostativo ad attività del familiare incompatibili con la sua permanenza nel territorio nazionale e ciò sia nel caso in cui siffatte attività siano sopravvenute alla concessa autorizzazione sia, a fortiori, allorché vengano riscontrate dal giudice già al momento del rilascio dell’autorizzazione. 2.1. - L’ordinanza interlocutoria che ha investito le Sezioni Unite della questione di massima dubita dell’esattezza dell’approdo interpretativo cui è giunta la citata pronuncia. Ad avviso del Collegio rimettente, infatti, la soluzione favorevole all’attribuzione di rilevanza al comportamento del familiare anche in sede di rilascio dell’autorizzazione, non sarebbe immediatamente suggerita dalla lettera della disposizione di cui all’art. 31, comma 3, t.u. imm. Contro di essa militerebbero non soltanto il riferimento alla sola revoca e non anche al diniego dell’autorizzazione, quale sanzione dell’attività incompatibile del familiare, ma anche l’espressa previsione che l’autorizzazione può essere rilasciata pure in deroga alle altre disposizioni del testo unico, comprese, evidentemente, quelle recate dall’art. 4, comma 3, e art. 5, commi 5 e 5-bis che precludono il rilascio del permesso di soggiorno in favore di soggetti con precedenti penali ostativi o che siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Inoltre - si sottolinea - l’art. 31, comma 3, non sembrerebbe dare rilievo ai precedenti del soggetto interessato, bensì all’attività incompatibile con la permanenza in Italia, ponendo a base della decisione sfavorevole al familiare, non una prognosi, bensì un comportamento in atto al momento della decisione, del quale viene predicata, non la pericolosità, ma la incompatibilità con la permanenza in Italia. 3. - Le Sezioni Unite hanno già chiarito, con la sentenza 25 ottobre 2010, n. 21799, che l’art. 31, comma 3, t.u. imm. svolge la funzione di norma di chiusura del sistema di tutela dei minori stranieri, apportando una deroga alla disciplina sull’ingresso e sul soggiorno dello straniero dettata dalle norme precedenti quando ricorrano le condizioni per salvaguardare il preminente interesse del minore che si trova nel territorio italiano in situazioni nelle quali l’allontanamento suo o di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l’integrità psicofisica. In tale logica, esso attua, completa ed esaurisce il bilanciamento necessario ed equilibrato tra il rispetto della vita familiare del minore che i pubblici poteri sono tenuti a proteggere e promuovere e l’interesse pubblico generale alla sicurezza del territorio e del controllo delle frontiere che richiede soprattutto il rispetto delle norme sull’immigrazione da parte dei soggetti ad esse sottoposti . Si tratta di una norma in deroga alle norme comuni sul soggiorno degli stranieri, ma non per questo eccezionale. Le Sezioni Unite, con la citata pronuncia, hanno infatti evidenziato che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del fanciullo. La portata dell’art. 31, comma 3, non si presta ad essere costretta nei confini angusti dell’emergenza sanitaria o della grave patologia del minore. Svincolata dall’eccezionalità come condizione di operatività, tale disposizione, formulata con la tecnica della clausola generale, è suscettibile di comprendere nel suo ambito qualsiasi danno effettivo, concreto ed obiettivamente grave, che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico, deriva o deriverà al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Si tratta, all’evidenza, di situazioni che non si prestano ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, ma che richiedono un’indagine svolta in modo individualizzato, attenta alla peculiarità delle situazioni prospettate, effettuata da un organo specializzato come il tribunale per i minorenni, quindi capace anche di approcci interdisciplinari. 3.1. - La giurisprudenza successiva ha recepito e sviluppato i principi enunciati dalle Sezioni Unite, interpretando in senso ampio Cass., Sez. I, 17 aprile 2019, n. 10785 i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore. Si è così affermato Cass., Sez. VI-1, 29 gennaio 2016, n. 1824 Cass., Sez. VI-1, 5 marzo 2018, n. 5084 che la valutazione del danno conseguente all’allontanamento dei genitori e allo sradicamento del minore deve essere fondata su un giudizio prognostico che non trascuri l’età del minore, il grado di radicamento nel nostro Paese, in relazione anche alla durata del soggiorno, e le prospettive di concrete possibilità di rapporto con i genitori nell’ipotesi di rimpatrio dei medesimi. Si è inoltre evidenziato Cass., Sez. I, 21 febbraio 2018, n. 4197 che la temporaneità imposta dalla norma al provvedimento di autorizzazione al soggiorno del familiare non implica di necessità che temporanea sia anche la situazione di grave disagio o danno che si vuole contrastare. Seguendo quest’ordine di idee, ai fini del giudizio prognostico circa le conseguenze di un peggioramento delle condizioni di vita del minore con incidenza sul suo sviluppo psicofisico, si sono positivamente valutati il radicamento della famiglia nel territorio nazionale, lo sforzo di inserimento nella società italiana e la problematicità dell’adattamento del minore alle condizioni di vita e alle usanze di un Paese straniero in caso di diniego dell’autorizzazione Cass., Sez. VI-1, 17 dicembre 2015, n. 25419 il disagio psicofisico cui il minore sarebbe esposto in caso di distacco dal luogo in cui è il centro dei propri interessi e relazioni o di allontanamento di uno o di entrambi i genitori Cass., Sez. VI-1, 2 dicembre 2014, n. 25508 Cass., Sez. VI-1, 2 dicembre 2015, n. 24476 Cass., Sez. I, 3 agosto 2017, n. 19433 la tenera età del minore Cass., Sez. VI-1, 20 luglio 2015, n. 15191 . 4. - L’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso temporaneo in Italia, prevista dall’art. 31, comma 3, t.u. imm., costituisce una misura incisiva a tutela e a protezione del diritto fondamentale del minore a vivere con i genitori. La funzione della disposizione è quella di salvaguardare il superiore interesse del minore in situazioni nelle quali l’allontanamento o il mancato ingresso di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l’esistenza. L’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso nel territorio nazionale riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonché la ragione unica del provvedimento autorizzatorio. 4.1. - L’interesse tutelato rinviene un preciso fondamento in principi e valori oggettivamente espressi a più livelli dall’ordinamento. A livello costituzionale, oltre all’art. 2 Cost., che tutela i diritti fondamentali di ogni individuo, e quindi anche del minore, nelle formazioni sociali in cui egli è inserito e dunque in primo luogo nella famiglia , e all’art. 3 Cost., che impegna i pubblici poteri a garantire e a rimuovere ogni ostacolo ad un compiuto ed armonico sviluppo della sua personalità, vengono in rilievo l’art. 29 Cost., che sancisce il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, l’art. 30 Cost., sull’obbligo dei genitori di educare, mantenere, istruire i figli, cui corrisponde un diritto dei figli di contenuto identico, e l’art. 31 Cost., che proclama l’aiuto e il sostegno della Repubblica alla famiglia per l’adempimento dei relativi compiti, nonché la protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù. A livello di legislazione ordinaria, assumono rilievo, tra gli altri, la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1, che enuncia il diritto del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, e l’art. 337-ter c.c., ai cui sensi il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi. Rilevano, inoltre, le disposizioni del titolo IV art. 2833 del testo unico, aventi ad oggetto proprio il diritto all’unità familiare e la tutela dei minori, titolo nel quale si colloca l’art. 28, comma 3, del seguente tenore In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata a resa esecutiva ai sensi della L. 27 maggio 1991, n. 176 . Alla protezione dei diritti del fanciullo si rivolgono inoltre fonti sovranazionali e internazionali. L’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali prevede che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare e che non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclama il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare art. 7 e, nel riconoscere i diritti del minore art. 24 , prevede che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente che il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse. A sua volta, la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, dopo avere stabilito, all’art. 3, che in tutte le decisioni relative ai minori l’interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente, prevede, all’art. 9, che gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori, se non in casi specifici e controllati. 5. - In questo quadro si colloca la specifica questione che giunge ora all’esame delle Sezioni Unite. 5.1. - Per risolvere il dubbio interpretativo occorre muovere dal dato letterale dell’art. 31, comma 3, ai cui termini l’autorizzazione in deroga - prevista al ricorrere di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova nel territorio italiano - è revocabile ante tempus, non solo per intervenuta cessazione dei gravi motivi che ne avevano giustificato il rilascio, ma anche per condotte del familiare autorizzato che si rivelino contrarie alle esigenze del minore o incompatibili con la permanenza in Italia. La norma sulle attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia intende assicurare che la fattispecie permissiva non si risolva in un evento controproducente per il fanciullo od intollerabile per le ragioni interne di ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato. Ad avviso del Collegio, tale disposizione non consente di ritenere che l’attività incompatibile con la permanenza in Italia sia destinata a rilevare soltanto se sopravvenuta, dunque in sede di revoca dell’autorizzazione già concessa, mentre sia ininfluente, quantunque si presenti come tale già al momento della richiesta di autorizzazione da parte del familiare, in fase di rilascio della stessa. Se la norma fosse così interpretata - se cioè si ritenesse, come sembra suggerire l’ordinanza di rimessione, che, anche là dove vi siano comportamenti del familiare integranti un’attività concreta ed attuale incompatibile con la permanenza in Italia ed idonei a determinare la revocabilità dell’autorizzazione, siffatta condotta non possa essere presa in considerazione dal Tribunale per i minorenni in fase di rilascio dell’autorizzazione per una sorta di prevalenza per legge, sempre e comunque, in quella fase, dell’interesse del minore - la soluzione ermeneutica presterebbe il fianco a dubbi di tenuta sul piano logico-sistematico. Infatti, si finirebbe con il postulare il rilascio di un’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza del familiare anche quando sussistano cause che potrebbero giustificarne l’immediata revoca, spezzandosi così l’unitarietà e la continuità tra le esigenze da prendere in esame, nella ponderazione valutativa affidata al giudice specializzato, nel giudizio finalizzato al rilascio dell’autorizzazione e in quello ad esso successivo. Secondo la lettura che il Collegio ritiene preferibile, invece, l’art. 31, comma 3, nel prevedere le attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia, presenta una ratio destinata ad esplicarsi, con una sua intrinseca coerenza, non solo nella fase successiva all’autorizzazione per la quale è espressamente prevista la revoca in presenza di condotte contrarie agli interessi del minore o tali da turbare gravemente la tranquillità e la sicurezza della popolazione , ma anche, ab origine, ai fini del rilascio della stessa. Questo esito interpretativo si appalesa evidente là dove ci si trovi di fronte ad attività del familiare incompatibili con i bisogni del minore. È chiaro che l’esigenza di dare rilievo a tale ipotesi, già nella fase del rilascio, si impone - come ha esattamente sottolineato la sentenza n. 14238 del 2018 della Prima Sezione - in ragione della natura stessa dell’autorizzazione. Infatti, l’autorizzazione temporanea all’ingresso o alla permanenza del familiare richiedente, in deroga all’ordinario regime giuridico disciplinante il soggiorno in Italia dello straniero, in tanto si giustifica, in quanto egli svolga la propria funzione genitoriale a beneficio del minore e del suo sviluppo psicofisico altrimenti si verrebbe a contraddire lo scopo stesso della norma, che prevede il rilascio dell’autorizzazione per un periodo di tempo determinato in favore dell’adulto richiedente come risposta alla primaria esigenza di assistenza del minore, onde evitargli il pregiudizio conseguente al venir meno della effettività della vita familiare e della relazione parentale. Ne consegue che comportamenti del familiare incompatibili con le esigenze del minore dovranno indurre il Tribunale per i minorenni a negare l’autorizzazione o a revocarla in caso di condotte sopravvenute , giacché la verifica che tra il genitore richiedente e il minore sussista realmente un rapporto affettivo significativo e idoneo rappresenta una valutazione necessariamente implicita in quella concernente la sussistenza dei gravi motivi e non scindibile da essa. Ma la soluzione interpretativa si presenta altrettanto evidente nell’ipotesi di attività del familiare incompatibili con la permanenza in Italia. L’introduzione di tale parametro esterno rispetto al bene giuridico protetto dalla norma dimostra infatti che il legislatore ha inteso annettere rilevanza alle esigenze che riguardano l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, affidando al Tribunale per i minorenni, già al momento del rilascio dell’autorizzazione, un giudizio di bilanciamento tra la protezione del benessere psicofisico del minore incluso il suo diritto al mantenimento dell’unità familiare , al cui scopo la presenza dell’adulto in Italia è finalizzata, e la tutela di quelle esigenze dimostra che, anche in tale momento, il preminente diritto del minore a non vedersi privato della figura genitoriale fino ad allora presente nella sua vita di relazione non è assoluto, potendo risultare in concreto recessivo, all’esito di un circostanziato esame del caso e delle sue esigenze, ove risulti che il familiare richiedente l’autorizzazione abbia posto in essere un’attività incompatibile con la permanenza in Italia, tale da rappresentare una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale. Con il comma 3 dell’art. 31, il legislatore del testo unico ha inteso perseguire l’interesse del minore nel grado più elevato possibile, assicurandogli il godimento pieno del suo diritto fondamentale all’effettività della vita familiare e della relazione con i propri genitori, ma nel rispetto della basilare esigenza di protezione dalla criminalità del Paese che offre accoglienza. 5.2. - Si tratta a questo punto di confrontare l’approdo esegetico appena delineato con l’espressa previsione, contenuta nell’art. 31, comma 3, che - in presenza dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore - configura il rilascio dell’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso del familiare come possibile anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico . Tale deroga, riguardando indistintamente tutte le disposizioni che nel testo unico limitano l’ingresso degli stranieri nel territorio italiano o il rilascio del permesso di soggiorno o il suo rinnovo, include nel suo raggio di operatività gli artt. 4, comma 3, e 5, commi 5 e 5-bis, i quali fanno riferimento ai soggetti con precedenti penali ostativi, derivanti in alcuni casi più gravi anche da sentenza di condanna non definitiva, o che siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. La deroga alle disposizioni che prevedono cause ostative all’ingresso o al soggiorno conseguenti a condanne penali riportate dallo straniero significa che l’autorizzazione ai sensi dell’art. 31, comma 3, t.u. imm. non può essere negata automaticamente, in base al solo rilievo della subita condanna per determinati reati. Il legislatore - intendendo dare un valore prioritario, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova nel territorio italiano, al bene della vita costituito dall’unità della famiglia e dalla reciproca assistenza tra i suoi membri in funzione del superiore interesse del minore - ha inteso muovere dalla consapevolezza che il distacco dal nucleo familiare, in presenza di un figlio minore bisognoso di essere assistito in Italia dal genitore, è decisione troppo grave perché sia rimessa in forma generalizzata e automatica a una presunzione astratta di pericolosità assoluta, stabilita dallo stesso testo unico con riguardo alla disciplina dell’ingresso e del soggiorno nel territorio nazionale, senza lasciare spazio a un temperamento frutto di un circostanziato esame della situazione particolare sia del fanciullo sia del familiare richiedente l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso per un periodo di tempo determinato. Così, ad esempio, la verifica di un percorso di reinserimento sociale concretamente dimostrato e la sussistenza di una relazione genitoriale positiva possono giustificare la speciale autorizzazione al soggiorno, nonostante la riportata condanna, da parte del familiare, per uno dei titoli di reato elencati nell’art. 4, comma 3, del testo unico, che in via generale precludono l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato. Tuttavia, la riportata condanna per uno di tali reati, se non è automaticamente ostativa, non è neppure aprioristicamente indifferente ai fini del rilascio dell’autorizzazione in deroga ai sensi dell’art. 31, comma 3 essa potrà rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, e condurre se del caso al rigetto della richiesta autorizzazione in deroga, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale. 5.3. - In sostanza, il giudice, investito della richiesta di autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, è chiamato in primo luogo ad accertare la sussistenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova nel territorio italiano esaurito positivamente tale accertamento, a fronte del compimento da parte del familiare istante di attività incompatibili con la permanenza in Italia, potrà negare l’autorizzazione soltanto all’esito di un esame complessivo, svolto in concreto e non in astratto, della sua condotta, cui segua un attento giudizio di bilanciamento tra l’interesse statuale alla tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale e il preminente interesse del minore Cass. n. 14238 del 2018, cit. . 6. - Si tratta di una soluzione ispirata alla ricerca del bilanciamento dei contrapposti interessi nella soluzione concreta, che appare in linea con le indicazioni che provengono dalla giurisprudenza costituzionale. Secondo il Giudice delle leggi, la condanna per determinati reati di uno straniero non appartenente all’Unione Europea ben può giustificare la previsione di un automatismo ostativo al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, ma occorre pur sempre che una simile previsione possa considerarsi rispettosa di un bilanciamento, ragionevole e proporzionato ai sensi dell’art. 3 Cost., tra l’esigenza, da un lato, di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato e di regolare i flussi migratori e, dall’altro, di salvaguardare i diritti dello straniero, riconosciutigli dalla Costituzione, perché la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti - come causa inammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi sentenze n. 148 del 2008 e n. 172 del 2012 . Su questa base, la Corte costituzionale sentenza n. 172 del 2012, cit. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 1-ter, comma 13, lett. c , introdotto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, nella parte in cui faceva derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 381 c.p.p., senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Muovendosi in questa stessa prospettiva, la Corte costituzionale ha esteso l’ambito della previsione dettata dall’art. 5, comma 5, t.u. imm. soltanto per lo straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero per il familiare ricongiunto, previsione che li pone al riparo dall’applicazione automatica di misure capaci di compromettere la loro permanenza nel territorio, in caso di condanna per i reati indicati dall’art. 4, comma 3, dello stesso t.u., ove si debba adottare un provvedimento di rifiuto, revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno. La sentenza n. 202 del 2013 ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata disposizione nella parte in cui prevedeva che la tutela rafforzata in essa stabilita - che impone all’amministrazione di valutare in concreto la situazione dell’interessato, tenendo conto tanto della sua pericolosità per la sicurezza e l’ordine pubblico, quanto della durata del suo soggiorno e dei suoi legami familiari e sociali - si applichi solo allo straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o al familiare ricongiunto, e non anche allo straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato. Il Giudice costituzionale ha affermato che la delimitazione dell’ambito di applicazione della tutela rafforzata, che permette di superare l’automatismo solo nei confronti dei soggetti che hanno fatto ingresso nel territorio in virtù di un formale provvedimento di ricongiungimento familiare , determina una irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso. Simile restrizione viola l’art. 3 Cost. e reca un irragionevole pregiudizio ai rapporti familiari, che dovrebbero ricevere una protezione privilegiata ai sensi degli artt. 29, 30 e 31 Cost. e che la Repubblica è vincolata a sostenere, anche con specifiche agevolazioni e provvidenze, in base alle suddette previsioni costituzionali . 6.1. - Ad analoghe considerazioni conduce anche l’esame dell’applicazione dell’art. 8 della CEDU nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo ha, infatti, sempre affermato sentenza 2 novembre 2001, Boultif c. Svizzera sentenza della Grande Camera 18 ottobre 2006, Oner c. Paesi Bassi sentenza 7 aprile 2009, Cherif e altri c. Italia sentenza 4 dicembre 2012, Hamidovic c. Italia che la CEDU non garantisce allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un determinato Paese, sicché gli Stati mantengono il potere di espellere gli stranieri condannati per reati puniti con pena detentiva. Tuttavia, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della pubblica sicurezza e con l’esigenza di prevenire minacce all’ordine pubblico. La ragionevolezza e la proporzione del bilanciamento richiesto dall’art. 8 della CEDU implicano, secondo la Corte Europea, la possibilità di valutare una serie di elementi desumibili dall’attenta osservazione in concreto di ciascun caso, tra i quali la natura e la gravità del reato commesso dal ricorrente, il lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo, la situazione familiare del ricorrente, le difficoltà che il coniuge o i figli rischiano di trovarsi ad affrontare in caso di espulsione, l’interesse e il benessere dei figli, la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il Paese ospite. 6.2. - Anche la giurisprudenza di legittimità si è già mostrata capace di individuare soluzioni ermeneutiche del diritto positivo volte a realizzare il bilanciamento dei contrapposti interessi secondo criteri di proporzione e ragionevolezza. Nel settore della misura di sicurezza della espulsione dello straniero, questa Corte ha infatti stabilito che, ai fini dell’applicazione di tale misura D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 86, per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, è necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, in conformità dell’art. 8 della CEDU ed in relazione all’art. 117 Cost., ma anche l’esame comparativo della condizione familiare dell’imputato con gli altri criteri di valutazione indicati dall’art. 133 c.p., in una prospettiva di bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza e l’interesse del singolo alla vita familiare Cass. pen., Sez. IV, 2 dicembre 2014, n. 50379, Xhaferri Cass. pen., Sez. IV, 15 novembre 2017, n. 52137, Talbi e, in relazione all’espulsione prevista dall’art. 235 c.p. e art. 15 t.u. immigrazione, ha affermato che, anche nel caso i cui i familiari conviventi non siano cittadini italiani, nel giudizio di pericolosità sociale si deve tener conto dell’efficacia risocializzante del nucleo familiare, sicché l’espulsione può essere disposta solo quando il grado di pericolosità sia talmente elevato da non poter essere contrastato dall’esistenza del legame familiare Cass. pen., Sez. V, 16 gennaio 2019, n. 1953, Neagu . Proprio muovendo dalla premessa che, in tali vicende, il giudice penale deve occuparsi di una duplice valutazione ossia della attuale pericolosità sociale dello straniero e, ove questa sussista, anche della sua situazione familiare, procedendo ad un bilanciamento dei contrapposti interessi , la Prima Sezione civile sentenza 16 febbraio 2018, n. 3916 ha ritenuto che, una volta che tale valutazione abbia avuto esito negativo per il ricorrente, non è ammissibile che questi possa instaurare un secondo giudizio dinanzi al Tribunale per i minorenni, nell’ambito del quale si chieda una, anche temporanea, esclusione della misura espulsiva misura di sicurezza , seppure attraverso l’applicazione dell’art. 31, comma 3, t.u. imm. . 7. - Conclusivamente, la questione di massima di particolare importanza va risolta enunciando il seguente principio di diritto In tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi dell’art. 31, comma 3, t.u. immigrazione, approvato con il D.Lgs. n. 286 del 1998, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto . 8. - Venendo all’esame del ricorso, il primo motivo è fondato, nei limiti che seguono. Correttamente la Corte d’appello, sezione per i minorenni, ha dato rilievo alla attività del padre dei bambini incompatibile con la sua permanenza in Italia, traendo questa valutazione dalla gravità delle condotte poste in essere che avevano portato per due volte al suo arresto nel 2012, per spaccio di sostanze stupefacenti cocaina ed estorsione, reati per i quali è stato poi rinviato a giudizio e nel 2016, ancora una volta per spaccio di sostanze stupefacenti. Sennonché, nell’escludere la ricorrenza dei gravi motivi connessi con lo sviluppo dei figli minori che si trovano nel territorio italiano, a precipua tutela dei quali l’ordinamento offre lo strumento dell’autorizzazione in deroga, il giudice del merito si è lasciato in concreto guidare da una interpretazione restrittiva della portata dell’art. 31, comma 3, considerando assorbente il fatto che nel caso di specie la necessità della permanenza del padre e della madre in Italia non è stata indicata come transeunte o limitata ad un certo lasso temporale. In tal modo la Corte territoriale ha però finito con il ritenere, erroneamente, che la temporaneità imposta dalla norma al provvedimento di autorizzazione al soggiorno del familiare implichi corrispondentemente che temporanea sia anche la situazione di grave disagio o danno che si vuole contrastare, laddove il mancato riscontro dei gravi motivi non può trovare giustificazione nella mera sottolineatura della temporaneità del provvedimento di autorizzazione e della sua idoneità a determinare soltanto un differimento del distacco dei minori dall’Italia. Inoltre il giudice del merito ha trascurato di prendere in considerazione il serio pregiudizio - rappresentato dai ricorrenti in termini di evento traumatico e non di normale disagio - che i minori subirebbero, anche per la loro età, per effetto del rimpatrio improvviso dei loro genitori. È mancato, conseguentemente, lo svolgimento, a ridosso di un esame concreto di tutte le componenti del caso, di un giudizio di bilanciamento tra l’interesse statuale alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale e le esigenze dei minori, risultando la valutazione negativa della Corte di L’Aquila incentrata pressoché esclusivamente sulla condotta del padre, senza neppure prendere in considerazione la posizione della madre. 9. - Il primo motivo è accolto, nei sensi di cui in motivazione. Gli altri motivi restano assorbiti. Il decreto impugnato è cassato, in relazione alla censura accolta. La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di L’Aquila, sezione per i minorenni, che la deciderà in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, assorbiti i restanti cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, sezione per i minorenni, in diversa composizione. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di S.D. , S.B. , S.A. e S.N. , riportati nella sentenza.