Sottrazione di minore: ciò che conta sono esclusivamente gli interessi del minore ma la sottrazione è sempre condotta esecrabile

La ratio della normativa sulla sottrazione di minore, che è sempre condotta esecrabile, è quella di garantire l’accertamento e la protezione dell’interesse del minore, che richiede quindi un approfondito scrutinio.

Questo è il principio stabilito dalla Prima Sezione della Suprema Corte, con l’ordinanza n. 15714/2019, emessa nella camera di consiglio del 14 marzo 2019 e depositata il successivo 11 giugno, a chiusura di un ricorso dell’anno precedente, in materia di sottrazione internazionale di minore, trasferito dalla madre in Italia sottraendolo dalla sua residenza abituale in Germania, nazione di cui peraltro è cittadino. Il caso. Il decreto del Tribunale di Caltanissetta del 7 giugno 2018 aveva respinto l’istanza presentata dal padre della minore A., presentata ai sensi dell’art. 7, legge n. 64/1994 e dell’art. 8 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, perché venisse ordinato alla madre, a detta dell’istante responsabile della sottrazione, l’immediato rientro della minore, che si trovava in Italia, in Germania presso il padre. Il figlio, cittadino tedesco, nato a Kaiserslautern e ivi residente presso l’abitazione della coppia, era stato condotto dalla madre in Italia, all’oscuro del padre, nel mese di agosto 2017. Con lo stesso decreto impugnato in Cassazione, il Tribunale aveva disposto l’affidamento temporaneo alla madre con collocamento provvisorio presso la stessa. Secondo il Tribunale per i minori di Caltanissetta, dagli accertamenti effettuati dai servizi sociali era emerso il grave rischio di pregiudizio, per il minore, dalla vita che questi aveva in Germania, anche a causa di gravi comportamenti aggressivi e minacciosi nei confronti della madre, che le impedivano di dare il proprio apporto di madre per la sana, serena, ed equilibrata crescita del figlio nonché che questo aveva assistito alle liti tra i genitori, subendo forti traumi. Concludeva il decreto statuendo che, benché la madre avesse ammesso di aver deciso di rimanere in Italia senza il consenso del padre, la permanenza del minore sul territorio del nostro Stato appariva del tutto conforme al superiore interesse del minore, anche per l’alta probabilità che il rimpatrio potesse esporlo al grave e concreto rischio di subire un danno fisico o psichico o comunque di farlo trovare in una situazione comunque intollerabile. Contro tale decisione, ha presentato ricorso il padre della bambina con tre motivi, a cui la madre non ha resistito. Secondo il ricorrente, il Giudice di merito, con motivazione generica, avrebbero disatteso l’essenza posta alla base dei procedimenti di sottrazione internazionale, arrivando a violazione e falsa applicazione, in relazione alla mancata sanzione sulla sottrazione, e alla erronea valutazione delle evidenze probatorie, in relazione all’asserito danno che avrebbe potuto subire il minore dal rimpatrio. Valutazione delle migliori condizioni di affidamento. In caso di sottrazione di minore, anche se il Tribunale deve svolgere adeguato accertamento, non spetta al Giudice la valutazione delle migliori condizioni di affidamento, in quanto la sottrazione internazionale è comunque condotta sanzionabile. La Cassazione ha cassato interamente, in pieno accoglimento del ricorso, il decreto impugnato. La sentenza ha ricordato che, in tema di sottrazione di minore, l’illiceità del trasferimento o del trattenimento è esclusa solo in casi tassativi e cioè a quando chi era affidatario del minore non esercitava effettivamente tale affidamento e non si è opposto al trasferimento o mancato ritorno b quando sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli psichici o fisici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile. Ha anche ricordato che la Convenzione dell’Aja stabilisce che le autorità nazionali del Paese in cui il minore è stato indebitamente trasferito o trattenuto, non possono deliberare sul merito dell’affidamento. Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, in presenza di sottrazione internazionale di minore, non spetta al Giudice del luogo presso cui il minore è trasferito, valutare quali siano per lui le migliori condizioni di affidamento, poiché la sottrazione internazionale di minori è esecrabile condotta, punita dall’ordinamento, e alla quale va immediatamente posto rimedio, ripristinando lo status quo ante, salvo non vi sia l’evidenza delle controindicazioni normativamente considerate, che nel caso in esame non sembrano sussistere dall’istruttoria svolta. Il Tribunale, di conseguenza, ha errato sia nel ritenersi titolare del potere di sindacare discrezionalmente l’opportunità di permanenza del minore presso il luogo di trasferimento, quanto nello statuire – in coerenza con l’erroneo impianto giuridico, peraltro errato, del provvedimento – sull’affidamento del minore, in aperta violazione dell’art. 16 della Convenzione che, come detto, vieta tale valutazione e statuizione al Tribunale del luogo del trasferimento o trattenimento. In applicazione di detto principio, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, rinviando al Tribunale per i minorenni di Caltanissetta, in diversa composizione, che si dovrà necessariamente attenere ai principi indicati nell’ordinanza.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 14 marzo – 11 giugno 2019, n. 15714 Presidente Genovese – Relatore Di Marzio Fatti di causa 1. - Con decreto del 7 giugno 2018 il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta ha respinto il ricorso proposto ad iniziativa di P.M. nei confronti di C.D. e volto a denunciare la sottrazione internazionale, da parte della C. , del figlio minore dei due, A. , cittadino tedesco, nato a omissis ed ivi stabilmente residente, prima della sottrazione, presso l’allora abitazione della coppia, minore che la madre aveva condotto in Italia all’inizio del mese di agosto 2017. Il Tribunale ha inoltre disposto l’affidamento temporaneo del minore alla madre con collocamento provvisorio presso la stessa. Secondo il Tribunale, dagli accertamenti effettuati attraverso i servizi sociali era emerso un concreto il grave rischio di pregiudizio nel corretto accudimento e della crescita psicofisica equilibrata del piccolo A. , in relazione alle dinamiche familiari e genitoriali che sono emerse in occasione della vita relazionale della coppia in Germania dalla relazione è dato evincersi che il compagno della sig.ra C. si è reso responsabile di gravi comportamenti aggressivi e minacciosi nei confronti della stessa impedendole di dare il proprio apporto di madre per la sana, serena ed equilibrata crescita del figlio è stato accertato che il piccolo A. ha assistito alle violente discussioni dei due genitori e che, durante le stesse, per paura si nascondeva e cominciava a gridare allo stato attuale il minore appare sereno e ben accudito dalla madre e dai familiari della stessa benché la madre abbia ammesso di avere deciso di rimanere in Italia con il figlio A. senza consenso del padre, tuttavia, la permanenza del minore con la madre sul territorio dello Stato appare del tutto conforme al superiore interesse del minore , a fronte di una elevata probabilità che lo stesso possa essere esposto, per il fatto del rimpatrio, al grave concreto rischio di subire un danno fisico o psichico inteso come rischio di danno vero e proprio sul processo di crescita e sulla condizione psichica dei minori o possa trovarsi in una situazione comunque intollerabile . 2. - Per la cassazione del decreto P.M. ha proposto ricorso per tre mezzi. C.D. non ha spiegato difese. Ragioni della decisione 1. - Il ricorso contiene tre motivi. Il primo motivo denuncia Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto alcuna rilevanza è stata attribuita alle risultanze della relazione della U.O.C.A.M.I.T. depositata in Tribunale il 11.5.2018 , censurando il decreto impugnato perché fondato esclusivamente sulla relazione del servizio sociale, cui era stata erroneamente riconosciuta piena efficacia probatoria e senza alcuna considerazione della relazione indicata in rubrica, maggiormente attendibile poiché basata sull’osservazione di entrambi i genitori nella relazione con il bambino. Il secondo motivo denuncia Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Caltanissetta, disponendo l’affidamento temporaneo del minore alla madre con collocamento provvisorio presso la stessa, ha violato l’art. 16 della Convenzione dell’Ala del 25. 10. 1980 , censurando il decreto impugnato per aver omesso di considerare che la norma richiamata in rubrica esclude, in presenza della sottrazione internazionale del minore, che il giudice del luogo in cui quest’ultimo è stato trasferito possa deliberare sul merito dei diritti di affidamento. Il terzo motivo denuncia Mancata e/o erronea valutazione delle evidenze probatorie dalle quali non si evince alcun grave o concreto rischio di danno psichico o fisico per il minore , censurando il decreto impugnato per aver ipotizzato che il rimpatrio potesse nuocere al minore. 2. - Va rilevato che il ricorso non risulta notificato al PM in sede distrettuale. Ciò non osta tuttavia alla decisione di questa Corte in applicazione del principio secondo cui Poiché l’ordine di integrazione del contraddittorio è funzionale alla eventuale proposizione del gravame incidentale, nei giudizi in cui il Pubblico Ministero ha il potere di impugnazione non vi è necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello, al quale il ricorso per Cassazione non sia stato notificato, allorquando le richieste del rappresentante dell’Ufficio siano state integralmente accolte dalla sentenza impugnata, restando in tale caso soddisfatte le esigenze del contraddittorio dalla presenza in giudizio del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Cass. 16 luglio 2004, n. 13169 . 3. - Il ricorso è fondato. Sono difatti evidentemente fondati i tre motivi spiegati dal ricorrente, i quali, per il loro collegamento, meritano di essere simultaneamente esaminati. Stabilisce l’art. 3 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata e resa esecutiva con L. 15 gennaio 1994, n. 64, che Il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito a quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro e b se tali diritti vanno effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze . D’altro canto, per quanto rileva in questa sede, l’illiceità del trasferimento o del trattenimento è esclusa, ai sensi dell’art. 13, della stessa convenzione, sicché l’Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore, qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno, dimostri a che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno o b che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile . Occorre aggiungere, inoltre, che, ai sensi dell’art. 16 della Convenzione, le Autorità giudiziarie o amministrative dello Stato contraente nel quale il minore è stato trasferito o è trattenuto, non potranno deliberare per quanto riguarda il merito dei diritti di affidamento . Nell’ambito del giudizio destinato a svolgersi dinanzi al tribunale per i minorenni ai sensi della L. 15 gennaio 1994, n. 64, art. 7, il pubblico ministero ha l’onere di provare l’esistenza del diritto di affidamento e il fatto della sottrazione. Per quanto riguarda, invece, l’allegazione e la prova dei fatti impeditivi del rientro, essi gravano in linea generale, ai sensi dell’art. 13, della convenzione, sul soggetto che si oppone ad esso e ciò sta a significare che il difetto di prova in ordine alla sussistenza di circostanze impeditive del rientro, non può essere fatta ricadere, secondo la regola stabilita dall’art. 2697 c.c., sul pubblico ministero ricorrente. Nondimeno, occorre per completezza sottolineare che il procedimento in discorso non può dirsi integralmente retto, in particolare dal versante della verifica di tali circostanze impeditive, dal principio dell’onere della prova, dovendosi al contrario riconoscere al Tribunale il potere di disporre indagini officiose ai sensi dell’art. 738 c.p.c., comma 3, senza essere vincolato alle decisioni del giudice dello Stato di residenza del minore Cass. 26 settembre 2016, n. 18846 , neppure sussistendo alcuna limitazione delle fonti di prova, fra le quali può essere annoverata anche la consulenza tecnica d’ufficio, quando all’ausiliare del giudice sia demandato il compito di accertare un fatto per la cui percezione siano necessarie determinate cognizioni tecniche o specialistiche, e senza che sia necessario fare ricorso alle fonti di prova disciplinate nel secondo libro del codice di rito, potendo il giudice, al pari di quanto previsto in relazione a tutti i procedimenti in camera di consiglio, decidere sulla base di semplici informazioni Cass. 23 settembre 1998, n. 9499 . Tale connotazione officiosa del procedimento in discorso, la quale richiede un approfondito scrutinio degli interessi del minore coinvolto nella vicenda, si giustifica sulla base della stessa ratio che anima la convenzione, la quale, nell’introdurre regole dirette al rispetto dei diritti di affidamento e di visita previsti da ciascuno Stato contraente, mira ad evitare trasferimenti illeciti ed è posta nell’interesse del minore, la cui tutela è lo scopo ultimo della Convenzione. Il senso della predetta normativa, che il Tribunale ha palesemente frainteso, è dunque manifesto in presenza di sottrazione internazionale di minore non spetta al giudice del luogo presso cui il minore è trasferito valutare quali siano, per lui, le migliori condizioni di affidamento la sottrazione internazionale è esecrabile condotta che all’ordinamento ripugna ed alla quale va immediatamente posto rimedio ripristinando lo status quo ante, salvo non vi sia l’evidenza delle controindicazioni normativamente considerate. Sicché il giudice di merito è incorso in violazione di legge tanto nel valorizzare la circostanza che il minore apparisse sereno e ben accudito dalla madre e dai familiari della stessa , quantunque la donna avesse ammesso di aver deciso di rimanere in Italia con il figlio A. senza il consenso del padre , così mostrando di ritenersi titolare del potere di sindacare discrezionalmente l’opportunità di permanenza del minore presso il luogo di trasferimento, quanto nello statuire - in coerenza con l’erroneo impianto giuridico del provvedimento - sull’affidamento del minore, in violazione dell’art. 16 della Convenzione. Quanto alla tenuta motivazionale della decisione, essa si colloca ben al di sotto della soglia del minimo costituzionale Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 , la quale va preservata nel quadro di applicazione del vigente art. 360 c.p.c., n. 5. Ed invero, il Tribunale ha tollerato che le dichiarazioni della ricorrente, unilaterali e non verificate, fossero acriticamente recepite nella relazione dei servizi sociali ed è per questa via pervenuto al risultato giuridicamente insostenibile di attribuire pieno rilievo probatorio alle allegazioni provenienti dalla parte interessata giacché non è dato comprendere quali mai accertamenti il servizio sociale possa aver compiuto allo scopo di controllare che, come riferito dalla C. , l’uomo manifestasse nei suoi confronti non meglio identificati gravi comportamenti aggressivi e minacciosi . Non basta, giacché a tale stridente violazione della elementare regola che vieta di attribuire efficacia probatoria piena alle dichiarazioni della parte a se stessa favorevoli il Tribunale ha fatto seguire un ragionamento sul piano logico largamente viziato il giudice di merito ha cioè dato per accertato ciò che non doveva, ossia che il P. si fosse reso responsabile di gravi comportamenti aggressivi e minacciosi nei confronti della C. , comportamenti tali da determinare nel minore reazioni di paura, ed ha da tanto desunto che il minore non possa rientrare a OMISSIS la qual cosa è totalmente priva di senso, visto che la madre se ne è andata con l’evidente intenzione di non far più ritorno presso quella che era stata la comune casa familiare. 4. - Il decreto impugnato è cassato e la causa rinviata per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta in diversa composizione, che si atterrà a quanto indicato e provvederà anche sulle spese di questo giudizio li legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e spese al Tribunale di Caltanissetta in diversa composizione.