In sede di divisione dell’immobile di comproprietà tra i coniugi non si deve tener conto dell’assegnazione per stabilire il valore della casa coniugale

Se la comunione sulla casa coniugale viene sciolta mediante attribuzione della quota al coniuge già assegnatario, dalla stima dell’immobile ai fini di determinare il valore di mercato del bene, non va detratto il valore dell’assegnazione.

In sintesi, questo è il principio ribadito dalla seconda sezione civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 33069/2018, emessa nella camera di consiglio del 7 novembre e depositata il successivo 20 dicembre. Il ricorso era riferito ad una sentenza della Corte d’appello di Torino del 2013 e risaliva al 2014. La II Sezione, come vedremo tra poco, nel prendere la sua decisione, si è peraltro riportata a diversi precedenti della Suprema Corte in materia, espressamente citati nella sua decisione, come Cass., sez. 2, 17843/2016 e Cass. Sez, 2, n. 8202/2016. Il caso. La vicenda nasce dalla pronuncia di primo grado del Tribunale di Torino del 2008, che aveva affermato che nel giudizio di scioglimento della comunione legale tra coniugi, ai fini di determinazione del valore di mercato dell’immobile costituente casa familiare, si debba sempre tener conto del vincolo derivante dall’assegnazione del bene ad uno dei genitori nell’interesse dei figli, anche se l’appartamento venga attribuito per intero allo stesso coniuge assegnatario. Contro detta decisione propose gravame il marito, coniuge non assegnatario, che fu però respinto dalla Corte d’Appello di Torino, che confermò sostanzialmente la decisione ed il ragionamento del Tribunale. Contro la sentenza d’appello, propose quindi ricorso l’allora appellante, articolato in tre motivi, mentre gli intimati non hanno svolto attività difensive, mentre il ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 - bis , comma 1, c.p.c Nei motivi di ricorso, veniva eccepito l’omesso esame circa un fatto decisivo, per quel che riguardava il valore dell’immobile, basato su una perizia non contestata né dal CTU né da controparte, ma soprattutto la violazione di legge per la riduzione di valore applicata dalla Corte d’appello in ragione del diritto di assegnazione della casa familiare, circostanza che causato una forte riduzione della quota incassata dal ricorrente. Non va tenuto conto dell’assegnazione della casa familiare, in caso di scioglimento della comunione con attribuzione per intero al coniuge assegnatario, in quanto in quel caso questi realizzerebbe una indebita locupletazione a suo favore. La Cassazione ha accolto il ricorso sui primi due punti, seguendo la strada tracciata dalle sentenze sopra citate. Assegnazione del godimento della casa familiare. Secondo la sentenza in commento, infatti, l’assegnazione del godimento della casa familiare, non può e non deve essere considerata in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene, qualora la casa venga attribuita al coniuge titolare del diritto al godimento, visto che tale diritto è attribuito come noto nell’interesse esclusivo dei figli e non del coniuge affidatario. Se venisse invece considerata, secondo la pronuncia, si realizzerebbe un’indebita locupletazione a favore del coniuge assegnatario, potendo questi, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale. Di conseguenza, nello stimare i beni ai fini della formazione delle quote per la divisione, secondo la Cassazione, non si può non tener conto del fatto che, in ipotesi di assegnazione in proprietà esclusiva della casa familiare, di cui i coniugi erano comproprietari, al coniuge affidatario, si riunisce nella stessa persona il diritto di abitare nella casa coniugale, insieme al diritto dominicale sull’intero immobile, che rimane privo di vincoli. Quindi, in sede di valutazione economica del bene, il diritto di abitazione conseguente al provvedimento di assegnazione non deve influire in alcun modo sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge. In applicazione di detti principi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, che dovrà procedere a nuovo esame della causa uniformandosi ai principi enunciati.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 7 novembre – 20 dicembre 2018, n. 33069 Presidente Petitti - Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione L’avvocato N.E. ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 854/2013 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 24 aprile 2013. Gli intimati Intesa Sam Paolo s.p.a. e M.T. non hanno svolto attività difensive. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. La Corte d’Appello di Torino ha respinto il gravame proposto da N.E. contro la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Torino il 30 maggio 2008, affermando che nel giudizio di scioglimento della comunione legale tra coniugi, ai fini della determinazione del valore di mercato dell’immobile costituente casa familiare, si debba tener sempre conto del vincolo derivante dall’assegnazione del bene ad uno dei genitori nell’interesse dei figli, ancorché l’appartamento sia attribuito per intero in sede di divisione al medesimo coniuge assegnatario. Ciò ha portato a stimare l’immobile non nell’importo di Euro 270.000,00, ma per il minor valore di Euro 159.000,00, in ragione dell’incidenza del vincolo dell’assegnazione, con conseguente determinazione del conguaglio dovuto da M.T. in Euro 79.500,00. Col primo motivo di ricorso l’avvocato N.E. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 n. 5, c.p.c., quanto alla determinazione del valore di mercato degli immobili, valore che, come allegato in apposito motivo dell’atto li di appello, oscillava, piuttosto, tra Euro 285.000,00 ed Euro 290.00,00, secondo dati di stima della immobiliare Gabetti, agenzia di , non contestati né dal CTU né da controparte. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge per la riduzione di valore applicata dalla Corte d’Appello in ragione del diritto di assegnazione della casa familiare. Il terzo motivo di ricorso censura la violazione delle norme di diritto circa la quantificazione dell’abbattimento del valore degli immobili. Il primo motivo di ricorso è fondato. L’appello formulato da N.E. contro la pronuncia di primo grado individuava, tra le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata, e quindi nell’ambito della materia che era stata devoluta al giudice di appello, la critica in ordine alla determinazione del valore di mercato dell’immobile in comunione. Su tale specifica censura dell’appellante non c’è stata pronuncia da parte dei giudici di secondo grado. Spetta al giudice del merito indicare la scelta del criterio tecnico da utilizzare in ciascuna fattispecie per determinare il valore venale delle varie quote e dei singoli beni che formano oggetto della divisione, a norma dell’art. 726 c.c. norma applicabile anche nel caso di scioglimento delle comunioni ordinarie ex art. 1116 c.c. , con riguardo alla natura, ubicazione, consistenza e possibile utilizzazione di ciascun bene, tenuto conto anche delle condizioni di mercato, salvo poi il controllo di fatto in sede di legittimità nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. È altresì fondato il secondo motivo di ricorso. Come da questa Corte affermato, con orientamento cui il Collegio intende dare continuità, l’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 quater c.c., ovvero in forza della legge sul divorzio, non può essere considerata in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora come avvenuto nella specie l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso, atteso che tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario e, diversamente, si realizzerebbe una indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale così Cass. Sez. 2, 09/09/2016, n. 17843, pronuncia che in motivazione prendeva anche atto del contrasto di precedenti giurisprudenziali esistenti sul punto, fra cui, più di recente, Cass. Sez. 2, 22/04/2016, n. 8202, spiegando analiticamente le ragioni che supportano l’interpretazione prescelta . Nello stimare i beni per la formazione delle quote ai fini della divisione, non può non considerarsi, invero, che, in ipotesi di assegnazione in proprietà esclusiva della casa familiare, di cui i coniugi erano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli, si riunisce nella stessa persona il diritto di abitare nella casa familiare - che perciò si estingue automaticamente - e il diritto dominicale sull’intero immobile, che rimane privo di vincoli. In sede di valutazione economica del bene casa familiare nel giudizio di scioglimento della comunione, il diritto di abitazione conseguente al provvedimento di assegnazione non deve, pertanto, influire in alcun modo sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge in tal senso già Cass. Sez. 1, 17/09/2001, n. 11630 . L’accoglimento del secondo motivo di ricorso priva di immediata rilevanza decisoria il terzo motivo, che perciò rimane assorbito. Conseguono l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, l’assorbimento del terzo motivo e la cassazione della sentenza impugnata in ragione delle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, che procederà a nuovo esame della causa uniformandosi ai principi enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.