In caso di domanda di rendiconto presentata da un erede, gli effetti non si producono in favore di tutti gli altri eredi

Se un erede agisce per avere il rendiconto nei confronti di altro erede che ha avuto il godimento di un bene fruttifero, non si verifica litisconsorzio necessario, in quanto non vi è pregiudizio nei confronti degli altri eredi.

In sintesi, questo è il principio espresso ribadito dalla seconda sezione civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 31857/18, emessa nella camera di consiglio del 27 aprile e depositata il successivo 10 dicembre. Il ricorso era riferito ad una sentenza della Corte d’appello di Venezia del 2013 e risaliva al 2014. La III Sezione, come vedremo tra poco, nel prendere la sua decisione, si è peraltro riportata a diversi precedenti della Suprema Corte in materia, espressamente citati nella sua decisione. Il caso. La vicenda nasce dalla citazione, da parte di uno degli eredi del padre, delle due sorelle e del figlio di una terza sorella premorta, con cui veniva chiesto lo scioglimento della comunione ereditaria dell’asse relitto del de cuius , deceduto il 9 febbraio 1996 con lo stesso atto introduttivo, l’attore presentava domanda di rendiconto nei confronti di una delle sorelle, Adele, in relazione alla gestione dei terreni da lei amministrati dopo la morte del comune genitore, di cui il fratello attore sosteneva che la suddetta avesse anche goduto i relativi frutti. Si costituivano in giudizio le altre due sorelle, aderendo alla domanda di divisione, mentre rimaneva contumace il figlio della sorella premorta naturalmente la sorella Adele, che aveva avuto il possesso dei terreni, nel costituirsi contestava la domanda di rendiconto. Il Tribunale di Padova, con una prima sentenza parziale del 2003, e poi con sentenza non definitiva del 2007, dichiarava lo scioglimento della comunione e condannava la signora Adele al pagamento in favore delle parti di € 20.235,16, in favore di ciascun convenuto, oltre interessi dal 1° gennaio 2005 al saldo, rimettendo poi la causa in istruttoria per quel che la riguardava la discussione del progetto di divisione. Proponeva appello contro la sentenza non definitiva la signora Adele, che veniva rigettato dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza depositata nel novembre del 2013. Di conseguenza, la signora Adele, allegando la violazione degli artt. 100, 112 e 167 c.p.c,, proponeva ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia, deducendo che la condanna in favore degli altri eredi, diversi dall’originario attore, sarebbe stata pronunciata ultra petita , in quanto i medesimi non avevano presentato domanda di rendiconto, visto che uno era rimasto contumace e l’altra si era costituita oltre il termine perentorio per presentare domanda riconvenzionale. Il vizio di ultra-petizione, secondo la ricorrente, peraltro avrebbe riguardato anche la condanna al pagamento di interessi anatocistici, che non erano stati richiesti con la domanda introduttiva. Hanno resistito con separati controricorsi gli altri due fratelli, mentre il figlio della sorella premorta è rimasto intimato. Gli effetti della domanda di rendiconto, presentata da un erede nei confronti di quello che ha avuto il possesso e il godimento del bene ereditario, non si estendono agli altri eredi che non abbiamo effettuato analoga richiesta. La Cassazione ha accolto il ricorso sui primi due punti, annullando la condanna della ricorrente ad esibire il rendiconto e a versare la loro parte dei frutti anche agli eredi che non avevano presentato la relativa domanda accogliendo anche l’eccezione di compensazione nei confronti dell’originario attore . Secondo la Suprema Corte, è principio consolidato che sussista autonomia tra il procedimento di divisione e l’azione di rendiconto, nonché il fatto che nell’ambito dei rapporti tra coeredi la richiesta di rendiconto possa essere inserita nel procedimento divisorio, con la finalità di definire i rapporti interni la comunione, ma può svolgersi anche indipendentemente dal giudizio di divisione. Secondo la sentenza in oggetto, l’azione di rendiconto, non pregiudicando i diritti dei coeredi e i loro interessi, non si può configurare come ipotesi di litisconsorzio necessario, e non può esplicare i suoi effetti in favore dei coeredi che non abbiano agito espressamente per il rendiconto e per la restituzione della loro parte dei frutti. Ribadisce la Cassazione che, nel caso in cui alcuni eredi o uno solo agiscano con azione di rendiconto, nei confronti degli altri eredi che hanno avuto il possesso dei beni ereditari e ne abbiano goduto i frutti, per la ripetizione della quota di loro spettanza i frutti percepiti, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri coeredi, in quanto ad essi non deriva alcun pregiudizio dalla decisione richiesta. Pertanto, in mancanza di una domanda espressa in questo senso, non è corretto estendere gli effetti della domanda presentata dal singolo erede in favore degli altri. In applicazione di detto principio, la Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso, decidendo nel merito e annullando le decisioni di primo e secondo grado con cui la ricorrente era stata condannata a restituire i frutti anche nei confronti dei coeredi originariamente convenuti.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 27 aprile – 10 dicembre 2018, numero 31857 Presidente Manna – Relatore Giannaccari Fatto F.L. citava in giudizio innanzi al Tribunale di Padova le sorelle F.A. , F.F. e B.A. , figlio della premorta sorella Gianna, chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria in relazione all’asse relitto di F.G. , deceduto ab intestato in data con il medesimo atto introduttivo, l’attore svolgeva domanda di rendiconto nei confronti di F.A. in relazione alla gestione dei terreni da lei amministrati dopo la morte del comune genitore. Si costituivano F.F. e F.A. , aderendo alla domanda di divisione e contestando quella di rendiconto, mente rimaneva contumace B.A. . Il Tribunale di Padova, con sentenza parziale numero 1357/2003 e con sentenza non definitiva numero 1200/2007, dichiarava lo scioglimento della comunione e condannava F.A. al pagamento in favore delle parti della somma di Euro 20.235,16 in favore di ciascun convenuto oltre interessi dall’1.1.2005 al saldo, rimettendo la causa in istruttoria per procedere alla discussione del progetto di divisione. La Corte d’Appello di Venezia con sentenza del 22.20-14.11.2013 rigettava l’appello proposto da F.A. . Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso F.A. sulla base di cinque motivi, cui resistono con separati controricorsi F.F. e F.L. B.A. è rimasto intimato. In prossimità dell’udienza F.F. , F.A. e F.L. hanno depositato memorie illustrative ex articolo 378 c.p.c Diritto Con il primo motivo di ricorso, F.A. , allegando la violazione degli articolo 100, 112 e 167 c.p.c., deduce che la condanna nei confronti di F.F. e B.A. sarebbe stata pronunciata ultra petita, in quanto i medesimi non avevano proposto domanda di rendiconto. In particolare, B.A. era rimasto contumace e F.F. si era tardivamente costituita, quando erano maturate le preclusioni di cui all’articolo 167 c.p.c per proporre domanda riconvenzionale. Il vizio di ultrapetizione avrebbe riguardato, inoltre, la condanna alla corresponsione di interessi anatocistici, che non erano stati richiesti con la domanda introduttiva. Il motivo è fondato. È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che sussista autonomia tra il procedimento di divisione e l’azione di rendiconto. Nell’ambito dei rapporti tra coeredi la resa dei conti può essere inserita nel procedimento divisorio, ai sensi dell’articolo 723 c.c., con la finalità di definire i rapporti interni inerenti la comunione ma può svolgersi anche indipendentemente dal giudizio di divisione. Si tratta, in questo caso, di un obbligo a sé stante, fondato sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti Cassazione civile, sez. II, 30/12/2011, numero 30552 Cassazione civile, sez. II, 31/01/2014, numero 2148 Cass. 13 novembre 1984 numero 5720 . Poiché l’azione di rendiconto non può pregiudicare gli interessi dei coeredi non sono ravvisabili gli estremi del litisconsorzio necessario. Cassazione civile, sez. III, 14/10/2011, numero 21288 . Ha, infatti, affermato questa Corte che, nel caso in cui taluni degli eredi agiscano con azione di rendimento nei confronti dei coeredi immessisi nel possesso e nel godimento esclusivo di un bene ereditario fruttifero, per ripetere, nei limiti della quota di loro spettanza, i frutti da costoro percepiti in costanza del rapporto di comunione ereditaria, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri eventuali coeredi non possessori, in quanto ad essi nessun concreto pregiudizio potrebbe derivare dalla decisione richiesta. Cassazione civile, sez. II, 25/02/1995, numero 2162 . Il rendiconto consiste nella formazione di uno stato attivo e passivo dell’eredità munito dei documenti giustificativi articolo 263 c.p.c., comma 1 la relativa domanda comporta, a livello processuale, che se il conto è approvato il giudice emette un’ordinanza di pagamento delle somme che costituisce titolo esecutivo articolo 263 cpv. c.c. , e che in ogni caso il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile, il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso articolo 264 c.p.c., comma 3 . Dall’insieme di tali disposizioni risulta di tutta evidenza che la domanda di rendiconto reca ineludibilmente in sé anche quella di condanna al pagamento delle somme che risulteranno dovute, essendo il rendiconto finalizzato proprio all’emissione di titoli di pagamento. Non viola, pertanto, l’articolo 112 c.p.c. il giudice che pronunci condanna alla corresponsione di tali somme anche senza un’espressa domanda al riguardo Cass. Civ. Sez II 31.1.2014 numero 2148 . L’obbligo di uno dei coeredi, nell’ambito del rendiconto con gli altri coeredi articolo 724 comma 2 c.c. , di restituire in tutto o in parte i frutti civili prodotti da un bene in comunione, integra ab origine un debito di valuta Cassazione civile, sez. II, 17/12/1991, numero 13595 . La corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra affermati. Nella specie, F.L. aveva proposto, insieme alla domanda di divisione, domanda di rendimento dei conti unicamente nei confronti di F.A. e non delle altre parti, sicché la condanna andava pronunciata unicamente nei suoi confronti. F.F. , costituendosi tardivamente, non aveva proposto e non era in termini per proporre domanda riconvenzionale di rendiconto, mentre B.A. era rimasto contumace. Ne consegue che è errata la pronuncia del giudice d’appello di condanna di F.A. al pagamento nei confronti di F.F. e B.A. , perché emessa ultra petita, non avendo i medesimi proposto domanda di rendiconto nei suoi confronti. La decisione è stata pronunciata anche in violazione dell’articolo 167 c.p.c., in quanto F.F. si era costituita tardivamente, quando erano già maturate le preclusioni per proporre domanda riconvenzionale. La sentenza è viziata da ultrapetizione anche per aver riconosciuto gli interessi anatocistici in assenza di specifica domanda. La natura del vizio dedotto, avente carattere processuale, consente l’esame del fascicolo, considerata la specificità del motivo, articolato attraverso la trascrizione degli atti su cui il ricorso si fonda, ai sensi dell’articolo 366 numero 6 c.p.c Nella specie, nonostante l’attore non abbia formulato specifica domanda, la corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto in favore delle parti gli interessi anatocistici. La corte territoriale, dopo aver calcolato il reddito netto e detratti i costi ha aggiunto gli interessi la somma finale è stata ripartita tra gli eredi e sull’importo ricavato sono stati nuovamente aggiunti gli interessi in assenza di espressa domanda di interessi anatocistici. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invece, gli interessi anatocistici possono essere corrisposti solo in presenza di specifica domanda, essendo generica la richiesta di ulteriori interessi . Cassazione civile, sez. I, 12/11/2014, numero 24160 . Con il secondo motivo di ricorso si allega la violazione, dell’articolo 1243 c.c., in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., e la nullità della sentenza per contrasto tra dispositivo e motivazione. Deduce la ricorrente che la corte territoriale avrebbe omesso di compensare le somme dovute ai coeredi con le spese da lei sostenute per la gestione dei terreni, nonostante in motivazione fosse stato accertato il suo credito il giudice d’appello, confermando il ragionamento del primo giudice, aveva, infatti, rilevato che l’eccezione di compensazione, non ritualmente proposta, avrebbe potuto essere sollevata in futuro. Il motivo è fondato. La Corte ha disposto la condanna di F.A. al pagamento in favore di ciascuno dei coeredi dell’importo di Euro 20.236,16, accertando contestualmente che la predetta aveva sostenuto spese per la conservazione delle cose comuni pari ad Euro 13.875,25, senza però che tra gli importi dovuti e quelli sostenuti venisse disposta compensazione alcuna. Ha ritenuto pur riconoscendo che F.A. aveva sostenuto spese per Euro 13.873,25, che nulla ostava ad una futura compensazione con quanto sarebbe tenuta a pagare pag.10 della sentenza impugnata , sicché, confermando il ragionamento del giudice di prime cure, ha mantenuto ferma la condanna di una parte verso l’altra e viceversa. In tal modo la corte territoriale non ha tenuto conto che l’azione di rendiconto è finalizzata a ristabilire il saldo tra operazione attive e passive, attraverso il meccanismo della compensazione che, attesa la peculiarità dell’azione, ha natura meramente contabile, in ciò differendo dalla compensazione prevista dall’articolo 1243 c.c., la quale presuppone l’autonomia dei rapporti ai quali i debiti delle parti si riferiscono. Come è stato affermato da questa Corte con orientamento al quale si intende dare continuità, le norme che regolano la compensazione, ivi compresa quella concernente il divieto di rilevarla di ufficio, riguardano la ipotesi della compensazione in senso tecnico, la quale postula l’autonomia dei contrapposti rapporti di credito, ma non si applicano allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto ovvero da rapporti accessori. La giurisprudenza sulla c.d compensazione impropria , formatasi in ambito lavoristico, si riferisce alle ipotesi in cui le reciproche ragioni creditorie abbiano origine da un unico rapporto di lavoro in tal caso, è stato affermato il principio secondo cui il giudice deve procedere esclusivamente all’accertamento contabile delle rispettive poste di dare ed avere, anche se le ragioni stesse non siano state dal convenuto dedotte conia memoria difensiva di cui all’articolo 416 c.p.c., atteso che esse non attengono ad autonome pretese traducibili in domande riconvenzionali né ad eccezioni in senso proprio, bensì ad argomentazioni difensive che ben possono essere illustrate nel momento in cui nel processo concretamente si pone il problema della determinazione del quantum Cassazione civile, sez. lav., 30/05/1983, numero 3732 Cassazione civile, sez. lav., 01/09/1982, numero 4765 . La compensazione impropria ha trovato applicazione generale in ogni caso in cui i contrapposti crediti e debiti delle parti abbiano origine da un unico rapporto e la valutazione delle reciproche pretese comporti soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale Cassazione civile, sez. I, 04 05/2018, numero 10798 Cassazione civile, sez. II, 10/11/2011, numero 3539 . La medesima ratio informa anche l’azione di rendiconto, in quanto le ragioni di debito e credito nascono dallo stesso rapporto, la gestione ed il godimento dei beni in comunione, e la formazione dello stato attivo e passivo ha come scopo quello di determinare il saldo. Conseguentemente non assume rilievo la circostanza che l’eccezione di compensazione non sia stata eccepita in primo grado, dovendo il giudice, sulla base della documentazione ritualmente proposta dalle parti, determinare il saldo considerando le poste attive e passive. È, quindi, erronea l’affermazione secondo cui la compensazione avrebbe potuto essere sollevata in futuro, mantenendo ferma la condanna di una parte verso l’altra e viceversa, poiché, in tale ipotesi, una volta formatosi il giudicato, benché erroneo, non sarebbe più possibile dedurre alcuna opposizione né in sede di opposizione all’esecuzione né in altra sede. Con il terzo motivo di ricorso si allega la violazione degli articolo 263 e seg c.p.c., degli articolo 163, 183 e 184 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la corte territoriale esaminato la domanda di rendiconto non fino all’anno 1999, come richiesto da F.L. , ma fino al 2004 il ricorrente si duole, anche, dell’omessa motivazione in ordine alla nomina del CTU per l’accertamento delle poste attive e passive. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della CTU per violazione dell’articolo 24 Cost in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., per avere il CTU sconfinato oltre i limiti del mandato, estendendo gli accertamenti fino al 2004, mentre la domanda introduttiva di rendiconto avrebbe dovuto arrestarsi al 1999. I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati. Va preliminarmente evidenziato che non merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità per l’esistenza di una doppia conforme , ai sensi dell’articolo 348 ter comma V c.p.c. in quanto il giudizio d’appello è stato introdotto in data antecedente all’11.9.2012. L’articolo 54 del D.L. 83/2012 convertito nella L. 134/2012, prevede l’applicabilità della normativa ai giudizi introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11.9.2012. È pacifico che il condividente abbia diritto al rendiconto fino alla divisione ed all’assegnazione o comunque fino al permanere della situazione che ha dato origine al rendiconto Cass. Civ. 10.2.2004 numero 2483 . Del resto F.L. , nell’atto di citazione, ha chiesto il rendimento dei conti ad oggi , senza fare riferimento ad un anno specifico, ed ha reiterato tale richiesta sia nelle memorie di cui all’articolo 183 c.p. che all’udienza di precisazione delle conclusioni. Quanto al procedimento seguito, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il giudice possa avvalersi delle modalità più opportune per l’elaborazione dei rapporti di dare /avere tra coeredi, sicché non si ravvisa alcuna violazione dell’articolo 263 c.p.c. Cassazione civile, sez. I, 03/11/2004, numero 21090. Il rendiconto, ancorché per il disposto dell’articolo 723 c.p.c. costituisca operazione contabile che deve necessariamente precedere la divisione, in quanto preliminare alla determinazione della porzione spettante a ciascun condividente, non si pone tuttavia in rapporto di pregiudizialità con la proposizione della domanda di divisione giudiziale poiché ben può essere richiesta la divisione giudiziale ex articolo 1111 c.c. a prescindere dal rendiconto, a tanto potendosi e dovendosi provvedere nel corso del giudizio di divisione, sia nelle forme di cui all’articolo 263 e ss. c.p.c., sia mediante indagini e prove di tipo diverso, come la consulenza tecnica Cassazione civile, sez. II, 19/07/1993, numero 8040 . Per quanto riguarda la nullità della CTU, che avrebbe sconfinato i limiti del mandato, come rilevato dalla corte territoriale, trattasi di vizio del procedimento che doveva essere rilevato nella prima difesa utile e non in comparsa conclusionale. Premesso che non possono essere censurate con il ricorso per cassazione violazioni di norme costituzionali, l’eventuale vizio del procedimento di cui all’articolo 195 c.p.c. doveva essere dedotto nella prima difesa utile, trattandosi di un’ipotesi di nullità relativa Cassazione civile, sez. VI, 09/10/2017, numero 23493 Cass. Civ., sez. 02, del 24/01/2013, numero 1744 . Non è, infine, ravvisabile il vizio di motivazione in relazione all’applicazione di una norma processuale, essendo l’articolo 360 numero 5 volto a censurare l’omessa motivazione su un fatto storico oggetto di discussione tra le parti. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’articolo 345 c.p.c. in relazione alla mancata ammissione dei documenti prodotti in appello, relativi ad alcune poste contabili nell’ambito dello stesso motivo, si censura il vizio di motivazione in relazione alle risultanze della CTU. Il motivo non è fondato. La corte territoriale ha correttamente ritenuto che trattasi di prove nuove, inammissibili in appello, di cui non viene dedotta l’indispensabilità, come interpretata da questa Corte, ovvero di una prova idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato Cassazione civile, sez. unumero , 04/05/2017 numero 10790 . Quanto alle contestazioni mosse alla CTU, il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito ne consegue che il vizio di motivazione, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, o quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione cfr. Cass. 9.8.2007, numero 17477 Cass. 7.6.2005, numero 11789 . Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza numero 8355 del 03/04/2007 Nella specie, il ricorrente, riportando stralci della CTU, i rilievi del CTP e la contestazione alle conclusioni adottate, tende ad una riesame della consulenza, laddove la corte territoriale ha ampiamente motivato sugli aspetti che avevano investito il motivo d’appello pag. 12-14 della sentenza , spiegando il motivo per il quale non aveva contabilizzato alcune poste e dando conto dei criteri utilizzati. Vanno, pertanto, accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, previa cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, la causa va decisa nel merito. Deve essere esclusa la condanna di F.A. al rendimento del conto in favore di B.A. e F.F. va compensato l’importo di Euro 20.236,16 dovuto da F.A. a F.L. con le somme da questi dovute alla predetta pari ad Euro 13.875,25 e, per l’effetto, F.A. va condannata al pagamento della somma di Euro 6.360,91 oltre interessi dalla domanda al soddisfo, con esclusione degli interessi anatocistici. Considerato il parziale accoglimento del ricorso, le spese di lite dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità vanno interamente compensate. P.Q.M. Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione e, decidendo nel merito, esclude la condanna di F.A. in favore di B.A. e F.F. condanna F.A. al pagamento in favore di F.L. della somma di Euro 6.360,91 oltre interesse dalla domanda al soddisfo, con esclusione degli interessi anatocistici. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del giudizio di merito e del giudizio di legittimità.