Lo scioglimento della comunione ereditaria di beni immobili abusivi

La vicenda posta all’attenzione della Corte di Cassazione ha per oggetto la possibile nullità dell’atto e la conseguente impossibilità di rogare la trasmissione di beni immobili, oggetto di comunione ereditaria, quando questi siano il frutto di un abuso edilizio, mai sanato dal de cuius.

In fatto atto mortis causa o inter vivos e applicabilità della sanzione di nullità. Il creditore dell’erede faceva istanza al Tribunale di primo grado affinché venisse pronunciato lo scioglimento della comunione ereditaria e venisse conseguentemente attribuita al debitore la propria quota di eredità, sul quale il creditore avrebbe poi agito per la soddisfazione del credito. L’immobile oggetto di comunione ereditaria, però, risultava essere, in merito alla realizzazione dei due piani rialzati, oggetto di un abuso edilizio, mai sanato dal de cuius . Il Tribunale e la Corte D’appello avevano ritenuto pertanto applicabile alla fattispecie la sanzione di nullità prevista dalla legge sulle Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie” del 1985 e dal successivo Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” del 2001. Da ciò ne conseguiva, per i giudici di primo e secondo grado, l’impossibilità a stipulare atti tra vivi di trasferimento, di costituzione, di scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici, o loro parti, sia in forma pubblica, sia in forma privata, ove su questi non risultino gli estremi del permesso a costruire o del permesso in sanatoria. Detta nullità corrispondeva, per la Corte di merito e per il Tribunale, alla ratio pubblicistica di impedire il consolidarsi di gravi violazioni urbanistiche mediante la circolazione di beni abusivi, ritenuta confliggente con l’interesse superindividuale ad un ordinato assetto di territorio. Tuttavia, il creditore ricorreva in Cassazione sottolineando l’erronea applicazione della normativa urbanistica alla concreta fattispecie poiché, anzitutto, quella dell’85, applicabile ratione temporis , non faceva riferimento allo scioglimento di comunione e, in secondo luogo, poiché, in ogni caso, la Corte aveva anche erroneamente qualificato la divisione ereditaria come un atto inter vivos e non mortis causa contrariamente ai principi enunciati in materia dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. In merito a tale ultimo aspetto, il creditore ricorrente in Cassazione precisava che, il campo di applicazione di entrambi i testi di legge urbanistici non riguarda gli atti mortis causa , ma solo quelli inter vivos ragione per cui la sanzione di nullità non poteva essere applicata allo scioglimento della comunione ereditaria. Il creditore ricorrente sottolineava infatti che, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius , costituisce pur sempre l’evento terminante della vicenda successoria e non può per tale motivo considerarsi autonoma rispetto a questa. Inoltre, secondo il ricorrente, la divisione ereditaria non poteva essere condizionata dalla regolarizzazione urbanistica dell’immobile e ciò in quanto la comunione ereditaria prescinde dalla volontà dei compartecipi, essendo i coeredi comproprietari tali in forza di una successione proveniente dal de cuius , che a suo tempo aveva posto in essere la violazione. La sanzione di nullità. Pertanto la sanzione di nullità non può ricadere su coloro i quali sono stati estranei alle vicende pregresse dell’immobile che, peraltro, ai sensi dell’art. 757 c.c., succederebbero nei limiti della rispettiva quota, come se non avessero mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari. Ad ulteriore riprova della propria tesi, il ricorrente sottolineava ancora che, sempre in ragione dell’articolo da ultimo citato, l’art. 757 c.c., ciascun condividente sarebbe titolare dei beni assegnategli ex tunc , e cioè dall’apertura della successione, mentre la natura dichiarativa della divisione escluderebbe l’efficacia traslativa, così che il titolo di acquisto del condividente non risalirebbe all’atto divisionale, ma all’originario titolo che ha costituito la situazione di comproprietà, ovvero alla delazione ereditaria e all’accettazione, uscendo così, in ogni caso, dalla fattispecie di nullità richiamata dalla disciplina in materia urbanistica. Infine, sottolinea il ricorrente che, la sanzione della nullità non sarebbe applicabile al di fuori della sfera strettamente delineata dal legislatore il quale, nel caso di specie, avrebbe delimitato l’ambito sanzionatorio agli atti inter vivos . Ripercorse dette argomentazioni, la Corte di Cassazione rileva poi come la Corte di Appello abbia ugualmente, con una serie di argomentazioni dottrinarie contrarie peraltro alla sua stessa affermazione, inserito lo scioglimento della comunione ereditaria negli atti tra vivi ed applicato, di conseguenza, la sanzione di nullità prescritta per il mancato rispetto delle norme urbanistiche. La Corte di Appello infatti, nonostante abbia richiamato i tratti distintivi fra i negozi inter vivos e mortis causa , citati anche dalla ricorrente, ha poi concluso diversamente da quest’ultima, basando la propria decisione sull’assunto per cui, per esempio, anche con lo scioglimento volontario della comunione ereditaria sarebbe possibile realizzare, di fatto, l’attribuzione di un singolo cespite dell’asse ereditario ad uno o più eredi e, in ragione di detta operazione, non sarebbe più possibile ricondurre la divisione alla volontà del de cuius . La Corte di Appello ha precisato infatti che, la suddetta divisione ereditaria discende in realtà soltanto dalla volontà dei contraenti, vivi, del negozio divisorio sicché gli atti di scioglimento della comunione ereditaria posti in essere tra i coeredi non possono che rientrare nella categoria dei negozi inter vivos. Da quanto sopra premesso, ne consegue per la Corte di Appello che, la pronuncia giudiziaria di scioglimento della comunione, avente una funzione suppletiva di quella negoziale, deve ritenersi soggetta alle stesse norme, e in particolare alle prescrizioni urbanistiche, di quest’ultima giacché, secondo la Corte di merito, ragionando contrariamente si avrebbe il risultato paradossale di poter escludere le norme urbanistiche attraverso il procedimento giudiziario. In conclusione. Il collegio in Cassazione, ripercorse entrambe le argomentazioni, ha quindi ritenuto, ai sensi dell’art. 374 c.p.c. che sussistano le condizioni per la rimessione degli atti al primo presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle sezioni unite, atteso che le questioni sopra accennate possono qualificarsi, anche per l’impatto sulla circolazione dei beni immobili e sul relativo contenzioso, di particolare importanza”.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria 10 luglio – 16 ottobre 2018, numero 25836 Presidente Matera – Relatore Besso Bellini Ritenuto in fatto che, con atto di citazione del 22.7.2003, la CURATELA DEL FALLIMENTO DI L.R.C. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Palermo, Sezione distaccata di Bagheria, L.R.M.G. e L.R.F. per ottenere la divisione del fabbricato destinato a civile abitazione, sito in OMISSIS , procedendo allo scioglimento della comunione tra i germani L.R.M.G. , F. e C. , comproprietari di detto immobile, onde assegnare alla curatela quella parte del cespite, pari al valore dei 2/9, corrispondente alla quota di spettanza del fallito L.R.C. che, nella contumacia dei convenuti, espletata C.T.U., il Tribunale, con sentenza numero 125/2006, depositata il 12.4.2006, rigettava le domande attoree, ponendo le spese di lite a carico della parte attrice che, avverso detta sentenza, la Curatela proponeva appello chiedendone la riforma mentre gli appellati, nuovamente, non si costituivano in sede di gravame che, disposte ulteriori indagini tecniche, la Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza numero 868/2013, depositata il 23.5.2103, confermava la sentenza di primo grado, rigettando l’appello. Fatto e diritto Rilevato che, avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione la Curatela del fallimento di L.R.C. sulla base di due motivi che, con il primo motivo di ricorso, la Curatela deduce la Violazione e falsa applicazione degli artt. 17, comma 1, e 40, comma 2, della L. numero 47/1985 e dell’art. 46, comma 1 del D.P.R. numero 380/2001 in relazione all’art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c. , sull’assunto che la Corte d’Appello avrebbe violato e falsamente applicato, tanto l’art. 17, comma 1, della L. numero 47/1985, e l’art. 46, comma 1, del D.P.R. numero 380/2001 che lo ha abrogato e sostituito recependone il disposto secondo cui Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù tanto l’art. 40, comma 2, della stessa L. numero 47/1985, che analogamente dispone per abusi edilizi realizzati prima dell’entrata in vigore della legge prevedendo che Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35 che la Corte di merito afferma che la comminazione della sanzione di nullità risponde alla ratio pubblicistica di impedire il consolidarsi di gravi violazioni urbanistiche mediante la circolazione dei beni abusivi, ritenuta confliggente con l’interesse superindividuale ad un ordinato assetto dl territorio e che, nella fattispecie, ad eccezione per il piano terra, gli ulteriori piani erano stati costruiti tra il 1970 e il 1976 in modo abusivo e nessuno dei documenti richiesti dalla legge era stato depositato nei due gradi di giudizio che la ricorrente ritiene che il Giudice di secondo grado abbia erroneamente ritenuto ricompresa in tali fattispecie la presente divisione in primo luogo, dal momento che le opere abusive risalgono al periodo tra il 1970 e il 1976, la norma applicabile sarebbe l’art. 40, comma 2 della L. numero 47/1985 e non l’art. 17, comma 1 della stessa legge , che, tra gli atti nulli, non prevede lo scioglimento delle comunioni e, in secondo luogo, perché anche l’assunto della Corte territoriale, per cui la divisione ereditaria non sarebbe un atto mortis causa, ma inter vivos, non risulta coerente ai principi enunciati, in materia, dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte la ricorrente richiama a proposito quanto affermato da Cass. numero 2313 del 2010, che ha precisato che l’art. 40 della L. numero 47/1985 limita il proprio campo di applicazione ai soli atti tra vivi , lasciando fuori gli atti mortis causa e che la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l’evento terminale della vicenda successoria e, quindi, non può considerarsi autonoma rispetto a questa che, con il secondo motivo di ricorso, la Curatela lamenta la Violazione e falsa applicazione degli artt. 17, u.c. e 40, commi 5 e 6 della L. numero 47/1985 e dell’art. 46, comma 5 del D.P.R. numero 380/2001 in relazione all’art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c. , là dove la Corte d’Appello avrebbe erroneamente applicato l’art. 46, comma 5, del D.P.R. numero 380/2001, per il quale Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali , ritenendo che tali disposizioni non si applichino al giudizio di scioglimento della comunione, qualora lo stesso sia promosso da una procedura fallimentare relativamente alla quota posseduta dal fallito che, infatti, l’art. 46 u.c. del D.P.R. numero 380/2001 pone una deroga al principio generale sancito dal primo comma, sicché trattandosi di norma eccezionale, è insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica e quindi il giudizio di divisione risulta autonomo rispetto al procedimento di esecuzione, anche se trova occasione in esso, con la conseguenza che, ove lo scioglimento della comunione si debba attuare con una vendita giudiziale, tale atto non può qualificarsi atto del processo esecutivo che, dunque, per la ricorrente, anche la vendita effettuata nell’ambito del giudizio di divisione per lo scioglimento della comunione, relativa a una quota del fallito, deve essere qualificata come atto derivante da procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale giacché la vendita del bene del fallito prescinde dal consenso del proprietario-venditore che, in quanto fallito, è privato della capacità di disporre dei propri beni ed è una vendita necessitata in quanto finalizzata al pagamento dei creditori . Considerato che, con riferimento ad analoghe vicende, questa Corte ha rilevato come non possa restare senza rilievo il fatto che nel caso in esame si tratta di scioglimento di comunione ereditaria, poiché la norma che si assume violata art. 17, comma 1, della L. numero 47/1985 , pur riguardando anche gli atti di scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti , limita espressamente il proprio campo oggettivo di applicazione ai soli atti tra vivi , lasciando, quindi, al di fuori tutta la categoria degli atti mortis causa . Per questa Corte, è invero evidente che, come esattamente osservato da autorevole dottrina, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l’evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può considerarsi autonoma. Tale rilievo trova conferma nel dato positivo offerto dall’art. 757 cod. civ., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale. Peraltro, diversamente opinando, si perverrebbe ad irragionevoli differenze di trattamento rispetto ad ipotesi sostanzialmente omogenee, non potendosi in alcun modo giustificare l’esigenza dell’applicazione della norma in esame alla divisione ereditaria e la non applicazione di essa alla divisione operata del testatore oppure l’applicazione della norma all’ipotesi di attribuzione ereditaria di un edificio a più soggetti e la non applicazione all’ipotesi di attribuzione ereditaria dello stesso edificio ad un solo soggetto Cass. numero 15133 del 2001 che allorquando non risulta che si tratti di divisione ereditaria , si applica quindi il principio secondo cui Cass. 28.11.2001, numero 15133 la nullità prevista dall’art. 17 della legge numero 47 del 1985 con riferimento a vicende negoziali relative a beni immobili privi della necessaria concessione edificatoria, tra le quali sono da ricomprendere anche gli atti di scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, deve ritenersi limitata ai soli atti tra vivi , rimanendo esclusa, quindi tutta la categoria degli atti mortis causa Cass. numero 630 del 2003 nel senso che la chiara lettera dell’art. 17, comma 1, L. numero 47/1985, espressamente prevede la sanzione di nullità solo con riferimento agli atti tra vivi, compreso lo scioglimento della comunione relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge Cass. numero 14764 del 2005 che, peraltro, è stato ribadito che mentre la L. numero 47 del 1985, art. 17, prevede espressamente la sanzione di nullità degli atti tra vivi, compreso lo scioglimento della comunione, relativi soltanto ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della legge, per quelli realizzati in epoca anteriore l’art. 40 della stessa legge, pur specificando le singole categorie di atti fra vivi aventi ad oggetto diritti reali che sono affetti da nullità, non prevede, fra essi, lo scioglimento delle comunioni. Cass. 14764/05 . Già in precedenza questa sezione aveva affermato Cass. 15133/01 che non può restare senza rilievo il fatto che nel caso in esame si tratta di scioglimento di comunione ereditaria, poiché la norma che si assume violata, pur riguardando anche gli atti di scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti , limita espressamente il proprio campo oggettivo di applicazione ai soli atti tra vivi , lasciando, quindi, al di fuori tutta la categoria degli atti mortis causa. È invero, evidente che, come esattamente osservato da autorevole dottrina, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l’evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può considerarsi autonoma così, Cass. numero 2313 del 2010, per la quale, tale rilievo trova conferma nel dato positivo offerto dall’art. 757 cod. civ., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale. Peraltro, diversamente opinando, si perverrebbe ad irragionevoli differenze di trattamento rispetto ad ipotesi sostanzialmente omogenee, non potendosi in alcun modo giustificare l’esigenza dell’applicazione della norma in esame alla divisione ereditaria e la non applicazione di essa alla divisione operata del testatore oppure l’applicazione della norma all’ipotesi di attribuzione ereditaria di un edificio a più soggetti e la non applicazione all’ipotesi di attribuzione ereditaria dello stesso edificio ad un solo soggetto che, di conseguenza, la divisione ereditaria non è condizionata dalla regolarizzazione urbanistica dell’immobile di cui trattasi. Infatti, la nullità prevista dall’art. 17 I. numero 47/1985 con riferimento a vicende negoziali relative a beni immobili privi della necessaria concessione edificatoria, tra le quali sono da ricomprendere anche gli atti di scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti , deve ritenersi limitata ai soli atti tra vivi , rimanendo esclusa, quindi, tutta la categoria degli atti mortis causa, e di quelli non autonomi rispetto ad essi tra i quali si deve ritenere compresa anche la divisione ereditaria, quale atto conclusivo della vicenda successoria Cass. 28 novembre 2001, numero 15133 lo stesso principio è poi da affermare con riferimento alla nullità comminata dall’art. 40 della stessa legge Cass. I febbraio 2010, numero 2313 . Ne discende che nemmeno la divisione giudiziale del compendio ereditario possa ritenersi subordinata al conseguimento, da parte di condividenti, del titolo di regolarizzazione urbanistica Cass. numero 20041 del 2016 che, a sostegno dell’orientamento di questa Corte, anche la ricorrente deduce che la comunione ereditaria prescinde dalla volontà dei compartecipi, in ragione del fatto che i coeredi-comproprietari sono tali in forza di una successione proveniente dal de cuius, che a suo tempo ha posto in essere la violazione di legge che pertanto, la sanzione di nullità non può ricadere su coloro che sono stati estranei alle vicende pregresse dell’immobile, tenuto conto anche della circostanza per cui, in forza dell’art. 757 c.c., ogni coerede succede nei limiti della propria quota e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari che, inoltre, a rafforzare la tesi, concorre il generale principio di diritto per cui le ipotesi di nullità non possono applicarsi al di fuori della sfera strettamente delineata dal legislatore, il quale, nella fattispecie, ha limitato l’ambito sanzionatorio agli atti tra vivi che, infine, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, questa Corte di legittimità Cass. numero 7231 del 2006 ha affermato che l’effetto dichiarativo-retroattivo della divisione, ex art. 757 c.c., comporta che ciascun condividente sia considerato titolare dei beni assegantigli ex tunc, e cioè dall’apertura della successione e che la natura dichiarativa della divisione esclude che essa abbia efficacia traslativa, e così il titolo di acquisto del condividente risale non all’atto divisionale, ma all’originario titolo che ha costituito la situazione di comproprietà il titolo risale alla delazione ereditaria e all’accettazione . Considerato che, viceversa, nel giudizio de quo la Corte di merito ha affermato che anche lo scioglimento della comunione ereditaria rientra nell’ambito della categoria degli atti tra vivi, cui si applicano le disposizioni previste dagli artt. 17, 18 e 40 L. 47/85 sentenza impugnata, pag. 7 che, a sostegno di tale affermazione la Corte d’appello ripropone e fa proprie le argomentazioni dottrinarie su cui si fonda parte della giurisprudenza di merito Trib. Termini Imerese 12.05.2003 Trib. Napoli 16.10.2002 Trib. Napoli 15.10.2003, Trib. Marsala 14.12.2006 contrarie alla affermazione, che sorregge dogmaticamente il contenuto della decisione, relativa alla natura giuridica di atto mortis causa dello scioglimento della comunione ereditaria che, infatti secondo questo opposto orientamento i negozi mortis causa si distinguono dai negozi inter vivos in quanto soltanto i primi sono destinati a regolamentare la vicenda successoria o a disporre per il tempo successivo alla morte del disponente mentre i negozi inter vivos sono immediatamente efficaci, anche se contengono eventualmente una disposizione di proroga della loro stessa efficacia che, dunque, i primi si distinguono in base al fatto che la causa negoziale dell’attribuzione è l’evento morte, nella qualificazione dei secondi non si fa riferimento ad una specifica causa, in quanto le cause possono essere molteplici ed incontrano l’unico limite della legittimità e sussistenza di esse che, alla luce dei tratti distintivi ora evidenziati fra i negozi mortis causa e quelli inter vivos, tale diverso orientamento interpretativo ritiene prive di pregio sia la pretesa equiparazione dell’atto di scioglimento della comunione ereditaria con la disposizione testamentaria che attribuisce a ciascun erede un certo bene, sulla base dell’osservazione che entrambi gli atti realizzerebbero l’identico risultato, sia l’affermazione per cui l’articolo 757 c.c. che fa retroagire al momento della morte gli effetti dello scioglimento della comunione ereditaria avalli questa tesi laddove, se anche lo scioglimento volontario della comunione ereditaria può realizzare, di fatto, l’attribuzione di un singolo cespite dell’asse ereditario ad uno o più eredi, viene rilevato che, dal punto di vista giuridico, essa non può certamente essere ricondotta alla volontà del de cuius, discendendo in realtà soltanto dalla volontà dei contraenti, vivi, del negozio divisorio che la tesi della natura meramente dichiarativa dello scioglimento della comunione ereditaria sarebbe attualmente recessiva in dottrina, ove si sottolinea la sostanziale identità nella sistematica del codice del negozio di divisione, a prescindere dalla fonte della comunione inter vivos o mortis causa , e la sua natura costitutiva si veda in tal senso, sia pure quale obiter dictum, Cass. numero 6653 del 2003, in parte motiva che, pertanto, gli atti di scioglimento della comunione ereditaria posti in essere tra i coeredi non possono che rientrare nella categoria dei negozi inter vivos che neppure risulta possibile fondare una conferma testuale dell’inserimento del negozio di divisione nella categoria degli atti mortis causa, nell’art. 757 c.c., che fa retroagire al momento della morte gli effetti della comunione ereditaria giacché la ratio effettiva di tale disposizione codicistica può in realtà essere individuata nella ben diversa prospettiva che, attraverso la fictio juris prevista da questa norma, il legislatore abbia voluto evitare un vuoto temporale nella titolarità del patrimonio del defunto con conseguenti difficoltà di gestione dei rapporti tra gli eredi e i terzi che, inoltre, la tesi che tende a salvaguardare eccessivamente la divisione ereditaria, oltre a destabilizzare concetti giuridici consolidati ed a violare i canoni ermeneutici sanciti dall’articolo 12 delle preleggi, vanificando le intenzioni del legislatore, aprirebbe vistose crepe nella tutela del patrimonio, rischiando infatti di immettere in circolazione un bene che potrebbe in seguito essere confiscato o demolito in danno del possessore, consentendo altresì un illecito arricchimento del contravventore che, infine, si sostiene che, avendo la pronunzia giudiziaria di scioglimento della comunione una funzione suppletiva di quella negoziale, deve ritenersi che essa sia soggetta alle stesse norme, e in particolare alle prescrizioni urbanistiche, di quest’ultima giacché ragionando contrariamente si arriverebbe al risultato paradossale di potere eludere le norme urbanistiche attraverso il procedimento giudiziario. Ritenuto che, in relazione a tutto quando precede, rileva il collegio che, ai sensi del secondo comma dell’art. 374 c.p.c., appaiono sussistere le condizioni per la rimessione degli atti al primo presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle sezioni unite, atteso che le questioni sopra accennate possono qualificarsi, anche per l’impatto sulla circolazione dei beni immobili e sul relativo contenzioso, di particolare importanza ai sensi della predetta disposizione di rito. P.Q.M. dispone la trasmissione del procedimento al primo presidente, per l’eventuale rimessione alle sezioni unite.