La condizione dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo deve intendersi come «impossibilità di diritto»

La c.d. adozione mite, ossia l’adozione del minore in casi particolari ai sensi dell’art. art. 44, lett. d , l. n. 184/1983, può essere disposta dal giudice qualora sia accertata l’impossibilità di affidamento preadottivo, da intendersi come impossibilità di diritto di procedere al suddetto affidamento.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 9373/18, depositata il 16 aprile. Il caso. Il Tribunale per i minorenni di Palermo dichiarava i genitori di un minore decaduti dalla potestà genitoriale e successivamente, con decreto, disponeva l’affidamento del minore, per poi dichiarare con sentenza l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d , l. n. 184/1983. La Corte distrettuale, in seguito all’impugnazione proposta dai genitori, confermava la decisione del Tribunale, rilevando la legittimità dell’adozione disposta dal Giudice di prime cure e l’impossibilità di esaminare la domanda di reintegra nella potestà genitoriale in quanto non avanzata in primo grado. Avverso la sentenza della Corte d’Appello i genitori propongono ricorso per cassazione dolendosi di come l’impossibilità dell’affidamento preadottivo, presupposto della decisione adottata circa l’adozione, sia in realtà un’impossibilità di fatto e non giuridica. Inoltre, i ricorrenti si lamentano per l’illegittimità della disposizione dell’adozione stessa. L’adozione in casi particolari. Il Supremo Collegio, preliminarmente, precisa come non sia possibile esaminare le questioni attinenti alla decadenza dalla responsabilità genitoriale poiché i ricorrenti sono stati dichiarati decaduti con decisione che doveva essere contestata in altra sede ed è anche passata in giudicato . Ciò posto, i Giudici di legittimità sottolineano come un recente orientamento abbia affermato come l’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, lett. d , l. n. 184/1983 integri una clausola di chiusura del sistema volta a salvaguardare la continuità affettiva ed educativa tra adottante e adottando, con l’unica previsione della condicio legis ” della constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, che va intesa, in coerenza con lo stato dell’evoluzione del sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica e adottiva, come impossibilità di diritto” di procedere all’affidamento preadottivo e non di impossibilità di fatto”, derivante da una situazione di abbandono o di semi abbandono del minore in senso tecnico-giuridico . L’adozione c.d. mite. La Suprema Corte evidenzia, alla luce del citato orientamento, che l’adozione ex art. art. 44, lett. d , l. n. 184/1983, ossia la c.d. adozione mite, non rappresenta una extrema ratio , come avviene nell’ipotesi di adozione legittimante e non presuppone lo stato di abbandono del minore e non comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia di origine . Pertanto, non avendo i ricorrenti allegato le ragioni idonee a fondare un giudizio prognostico favorevole in ordine al rientro del minore nella famiglia di origine né tantomeno contestato le valutazioni espresse dal Giudice di merito, la Suprema Corte rileva che, nel caso di specie, l’adozione in casi particolari assicura al minore la possibilità di vivere nell’ambito di una famiglia che gli assicura cure adeguate, e nell’ambito della quale lui, ormai adolescente e capace di giudizio, vuole crescere . La Corte dunque rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 22 marzo – 16 aprile 2018, n. 9373 Presidente Giancola – Relatore Di Marzio Fatti di causa gli odierni ricorrenti sono i genitori di S.G. , nato il omissis , e sono stati dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale con decisione del Tribunale per i minorenni di Palermo, dep. il 3.6.2013. Con successivo decreto del 26.6.2013, lo stesso Tribunale aveva affidato il minore agli odierni controricorrenti per un anno. Con sentenza n. 59, dep. l’11.3.2015, il Tribunale per i Minorenni di Palermo ha disposto l’adozione in casi particolari del minore, ai sensi dell’art. 44, lett. d , della legge n. 184 del 1983, in favore degli odierni controricorrenti. I genitori, con separati ricorsi poi riuniti, hanno impugnato la decisione, domandando la revoca della pronuncia di decadenza dalla potestà e l’affidamento a loro del bambino. In subordine, hanno chiesto disporsi la revoca del provvedimento di adozione e la ripresa dei servizi di osservazione e degli incontri del minore con loro, suoi genitori biologici, al fine di valutare la possibilità del reinserimento nella famiglia di origine. A sostegno delle sue domande, il padre ha chiesto tenersi anche conto del suo proscioglimento da ogni accusa di aver avuto attenzioni sessuali nei confronti del figlio . La Corte territoriale ha innanzitutto rilevato di non poter esaminare la domanda di reintegra nella potestà proposta dai genitori, non essendo stata avanzata in primo grado, perché la possibilità di revoca o modifica dei provvedimenti relativi alla potestà è indubbiamente prevista dall’ordinamento, ma non è consentito eludere la regola del doppio grado di giudizio di merito in materia. La Corte siciliana ha quindi specificato che il Tribunale ha già accertato, con pronuncia passata in giudicato, che non ricorre l’abbandono del minore, e pertanto non è possibile attivare la procedura di adozione c.d. legittimante. Si verte, pertanto, in una ipotesi di impossibilità giuridica di procedere a tale forma di adozione. Il provvedimento impugnato ha, pertanto, condiviso l’impostazione proposta dal Tribunale, secondo cui l’adozione c.d. mite di cui all’art. 44, lett. d., l. adozioni, ha quale presupposto l’attitudine a soddisfare il preminente interesse del minore, secondo il disposto di cui all’art. 57 della legge n. 184 del 1983. Ritenuto che i requisiti previsti dalla legge risultassero soddisfatti, la Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado. La pronuncia della Corte d’Appello di Palermo è stata impugnata per cassazione dai genitori biologici, che si affidano a due motivi di ricorso. Resistono con controricorso i genitori dichiarati adottivi, ai sensi dell’art. 44, lett. d , della legge n. 184 del 1983. La causa, chiamata in data 13.3.2017 innanzi alla sesta sezione civile della Suprema Corte, riscontrata l’apparente sussistenza di contrasti di giurisprudenza in ordine a taluni profili della materia trattata, veniva rimessa alla pubblica udienza. Ragioni della decisione 1.1 - Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., i genitori biologici contestano la violazione o falsa applicazione dell’art. 44, lett. d , della legge n. 184 del 1983, perché l’impossibilità di affidamento preadottivo, presupposto della decisione adottata, non consiste in una impossibilità giuridica, come sostenuto dalla Corte territoriale, bensì nella impossibilità di fatto di procedere all’adozione, nozione che attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento o rifiuto di aspiranti all’adozione legittimante, e non a quella di contrasto con l’interesse del minore. Ad opinare diversamente si trasformerebbero gli affidi familiari in adozioni miti senza la preventiva verifica della ricorrenza delle condizioni di adottabilità. 1.2 - Con il secondo motivo di ricorso, proposto ancora ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., i genitori biologici censurano la violazione o falsa applicazione degli artt. 44, lett. d , nonché 57, della legge n. 184 del 1983, perché l’adozione in casi particolari è da considerare una extrema ratio, da utilizzarsi solo quando la famiglia di origine non è in grado di assicurare al minore tutte le cure di cui necessita ric., p. 3 , avendo il minore il diritto costituzionalmente riconosciuto di crescere ed essere allevato nella sua famiglia naturale. Lamentano i ricorrenti che il procedimento concluso con la decisione impugnata ha di fatto impedito agli odierni ricorrenti di ricostituire un positivo rapporto con il bambino, e pure la funzione svolta dai servizi sociali appare biasimevole, perché agli stessi non compete solo registrare le carenze genitoriali, ma anche assicurare un supporto alla genitorialità. 2.1. - Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti contestano la nozione di impossibilità di procedere all’adozione proposta dalla Corte d’Appello, la quale ha ritenuto che essa debba consistere nella impossibilità giuridica di procedervi, e non nella impossibilità di fatto. In proposito la Suprema Corte, con pronuncia recente e condivisibile, cui si intende pertanto assicurare continuità, ha affermato che in tema di adozione in casi particolari, l’art. 44, comma 1, lett. d , della l. n. 183 del 1994, integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, con l’unica previsione della condicio legis della constatata impossibilità di affidamento preadottivo , che va intesa, in coerenza con lo stato dell’evoluzione del sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità di diritto di procedere all’affidamento preadottivo e non di impossibilità di fatto , derivante da una situazione di abbandono o di semi abbandono del minore in senso tecnico-giuridico , Cass. sez. I, sent. 22.6.2016, n. 12962. Il riscontro che, in un passato neppure lontano, lo stesso Giudice di legittimità aveva espresso diversi orientamenti, come correttamente segnalato dai ricorrenti, induce a ritenere che il motivo di ricorso debba essere rigettato e non dichiarato inammissibile, e si terrà conto della circostanza anche in materia di governo delle spese di lite. Il motivo di ricorso dev’essere pertanto respinto. 2.2. - Con il secondo motivo di ricorso gli impugnanti criticano la Corte d’Appello, innanzitutto, per non aver valorizzato il principio secondo cui l’adozione deve sempre essere considerata una extrema ratio. Inoltre, la Corte di merito avrebbe omesso di rilevare che il loro diritto di difesa è stato ingiustamente compresso nel corso del procedimento e, ancora, la stessa Corte d’Appello non ha tenuto conto di avere pur essa escluso la ricorrenza di uno stato di abbandono del minore. Invero i ricorrenti non provvedono ad indicare nel dettaglio quale sia il fondamento della loro affermazione secondo cui il procedimento concluso con la decisione impugnata avrebbe, di fatto, impedito loro di ricostituire un positivo rapporto con il bambino. Sostengono pure che la funzione svolta dai servizi sociali appare biasimevole, perché agli stessi non compete solo registrare le carenze genitoriali, ma anche assicurare un supporto alla genitorialità tuttavia, i ricorrenti non hanno cura di indicare neppure quali utili azioni di supporto alla genitorialità siano state omesse. Non è questa la sede, comunque, per riesaminare le attitudini genitoriali dei ricorrenti, che sono stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale, con decisione che doveva essere contestata in altra sede ed è anche passata in giudicato. Questo giudizio ha ad oggetto la legittimità del provvedimento con il quale è stata dichiarata, in favore dei controricorrenti, l’adozione ai sensi dell’art. 44, lett. d , della legge n. 184 del 1983 del minore. Tale forma di adozione, talvolta qualificata come mite , non rappresenta una extrema ratio, come avviene invece nell’ipotesi dell’adozione c.d. legittimante. L’adozione in questione non presuppone lo stato di abbandono del minore, e non comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia di origine. Risponde piuttosto all’esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore, ai sensi del disposto di cui all’art. 57 della legge n. 184 del 1983. La Corte d’Appello non ha mancato di analizzare questo profilo, ed ha espresso una valutazione non suscettibile di revisione in sede di giudizio di legittimità, in quanto congruamente illustrata e motivata. La Corte siciliana ha osservato che il minore ha istaurato una relazione molto intensa con la coppia di coniugi che lo ha preso in affidamento da oltre due anni, consentendogli di elaborare il grave disagio psicologico vissuto in ambito familiare e di riappropriarsi di una dimensione di vita adatta alla sua età sent. C.d’A., p. 4 s. . Positive informazioni sono state fornite anche dai servizi sociali, i quali hanno sottolineato il buon inserimento del minore nella famiglia, di cui fa parte anche un’altra figlia, e che il bambino rivendica con forza la sua appartenenza a questa nuova famiglia, fra l’altro anche in ambito scolastico, chiedendo con insistenza di assumere il cognome degli affida tari sia nel corso della sua audizione in Tribunale, sia indirettamente agli stessi affida tari e agli operatori del servizio sociale sent. C.d’A., p. 5 . I genitori biologici del bambino, peraltro, neppure indicano quali siano i propri familiari che pure, affermano, avrebbero potuto prendersi cura del bambino. Gli unici elementi di novità allegati dai genitori, evidenzia la Corte territoriale, sono l’avere il padre conseguito il risarcimento per ingiusta detenzione, e l’avere la madre formato una nuova famiglia. Questi elementi non sono stati ritenuti sufficienti, dalla Corte di merito, per poter esprimere un giudizio prognostico favorevole in ordine al rientro del minore nella famiglia di origine. I tempi per una verifica della possibilità di rientro del bambino nella famiglia di origine sono apparsi, alla Corte territoriale, comunque incompatibili con le esigenze di stabilità del bambino. In conseguenza, soddisfa le esigenze del minore l’adozione in casi particolari, che assicura al minore la possibilità di vivere nell’ambito di una famiglia che gli assicura cure adeguate, e nell’ambito della quale lui, ormai adolescente e capace di giudizio, vuole crescere. I genitori non contestano specificamente le valutazioni proposte dalla Corte di merito, e propongono piuttosto censure nella forma della violazione di legge, che appaiono però riferibili alla diversa ipotesi dell’adozione c.d. legittimante, ed appaiono pertanto infondate in questa sede. Anche il secondo motivo di ricorso deve quindi essere respinto. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le peculiarità della fattispecie trattata, ed i contrasti di giurisprudenza riscontrati in passato in materia, inducono a ritenere equo disporre la totale compensazione tra le parti delle spese di lite. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso proposto da S.D. e N.G. . Dichiara compensate tra le parti le spese di lite. Dispone, ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. 30.6.2003, n. 196, che, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi.