La sentenza provvisoria di separazione dei coniugi non è una discriminazione del coniuge economicamente più debole

In tema di separazione dei coniugi, il giudice istruttore può pronunciarsi immediatamente sullo status con sentenza non definitiva laddove la convivenza sia divenuta intollerabile, per poi consentire la prosecuzione del processo per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6145/18, depositata il 14 marzo. Il caso. Il Tribunale di Firenze, con sentenza non definitiva, aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi su istanza del marito. La Corte d’Appello respingeva l’appello proposto dalla controparte che ricorre dunque in Cassazione. In particolare la ricorrente si duole per il fatto che il giudice dell’appello abbia ritenuto ammissibile la domanda di sentenza parziale di separazione dei coniugi art. 151, comma 1, c.c. nonostante il marito avesse proposto domanda di separazione con addebito, alla quale lei si era opposta. Sentenza non definitiva. L’art. 709- bis c.p.c. Udienza di comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore prevede, in tema di separazione dei coniugi, che il giudice istruttore possa pronunciarsi immediatamente sullo status con sentenza non definitiva per poi consentire la prosecuzione del processo per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche. Difatti, nel caso in cui la situazione di intollerabilità della convivenza renda matura la decisione in relazione alla separazione, il Tribunale è tenuto a pronunciare sentenza non definitiva, alla quale farà seguito la prosecuzione del giudizio per le altre statuizione. Si tratta di uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo che, sottolineano gli Ermellini, non determina un’arbitraria discriminazione nei confronti del coniuge economicamente più debole sia perché è sempre possibile richiedere provvedimenti temporanei ed urgenti, ai sensi della l. n. 898/1970, art. 4, peraltro modificabili e revocabili dal giudice istruttore al mutare delle circostanze, sia per l’effetto retroattivo, fino al momento della domanda, che può essere attribuito in sentenza al riconoscimento dell’assegno di divorzio . In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 18 gennaio – 14 marzo 2018, n. 6145 Presidente Cristiano – Relatore Valitutti Fatto e diritto Rilevato che G.I. ha proposto ricorso per cassazione - affidato a due motivi, illustrati con memoria - nei confronti della sentenza n. 1873/2016, emessa dalla Corte d’appello di Firenze, depositata il 16 novembre 2016, con la quale è stato respinto l’appello della G. avverso la sentenza non definitiva n. 4335/2015 del Tribunale di Firenze, che aveva accolto la domanda proposta da F.F. di separazione personale dalla di lui moglie il F. ha resistito con controricorso Considerato che va osservato, in via pregiudiziale, che l’eccezione processuale proposta dalla ricorrente nella memoria - secondo cui il presente giudizio, in quanto avente ad oggetto una controversia in materia matrimoniale, nella quale è obbligatorio l’intervento del Pubblico Ministero, dovrebbe essere trattato in pubblica udienza, non essendo prevista, dinanzi alla sezione di cui all’art. 376 cod. proc. civ., la possibilità per il P.M. di depositare conclusioni scritte - è infondata e va rigettata in tema di nuovo rito camerale di legittimità non partecipato , il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU ed avente rilievo costituzionale, non riveste, invero, carattere assoluto e può essere derogato in presenza di particolari ragioni g. ficative , ove obiettive e razionali Corte cost., sent. n. 80 del 2011 , da ravvisarsi in relazione alla conformazione complessiva di tale procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non rivestenti peculiare complessità Cass., 02/03/2017, n. 5371 l’intervento del pubblico ministero nelle cause dinanzi alla Corte di cassazione è necessario, dopo le modifiche apportate all’art. 70, secondo comma, cod. proc. civ. dal d.l. n. 69 del 2013, conv. in L. n. 98 del 2013, solo nei casi previsti dalla legge Cass., 05/09/2016, n. 17613 , tra i quali non rientra l’adunanza camerale in questione Rilevato che con i due motivi di ricorso, la G. si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto ammissibile la domanda di sentenza parziale di separazione dei coniugi ex art. 151, primo comma, cod. civ., sebbene il F. avesse proposto domanda di separazione con addebito, ai sensi del capoverso della stessa norma, ed ancorché la G. si fosse opposta alla richiesta di separazione la Corte territoriale, ad avviso della istante, avrebbe - invero - fondato la decisione su di una causa petendi il primo comma dell’art. 151 cod. civ. non dedotta dal F. , che aveva fondato la richiesta di separazione esclusivamente sulla denunciata violazione dei doveri derivanti dal matrimonio da parte della moglie in ogni caso, a parere della istante, gli artt. 151, secondo comma e 156, primo comma, cod. civ. sarebbero costituzionalmente illegittimi poiché in contrasto, con gli artt. 3, 29 e 111 Cost. nonché 21 CEDU, in quanto - in relazione all’art. 709 bis cod. proc. civ. - consentirebbero al coniuge patrimonialmente più forte di richiedere una sentenza parziale sulla separazione, per poi proseguire il giudizio per la pronuncia sulla domanda di addebito Ritenuto che la disposizione di cui all’art. 709 bis cod. proc. civ., come definitivamente modificata dalla legge 25 dicembre 2005, n. 263, art. 1, comma 4, sancisca in maniera esplicita, in materia di pronuncia immediata sullo status , la già ritenuta equiparazione fra il procedimento di separazione tra i coniugi e quello di divorzio, volendo evitare condotte processuali dilatorie, tali da incidere negativamente sul diritto di una delle parti ad ottenere una pronuncia sollecita in ordine al proprio status Cass., 22 giugno 2012, n. 10484 Cass., 311/08/2017, n. 20666 come affermato sin dal 1992 Cass., 10 giugno 1992, n. 7148 e ribadito anche di recente Cass., 29 aprile 2015, n. 8713 , la situazione di intollerabilità della convivenza possa dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco spirituale anche di uno solo dei coniugi, e che, pertanto, il Tribunale sia tenuto a pronunciare la sentenza non definitiva di separazione scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio quando la causa sia, sul punto, matura per la decisione, facendo ad essa seguito la prosecuzione del giudizio per le altre statuizioni tale pronuncia non definitiva costituisca uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo che non determina un’arbitraria discriminazione nei confronti del coniuge economicamente più debole, sia perché è sempre possibile richiedere provvedimenti temporanei ed urgenti, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, peraltro modificabili e revocabili dal giudice istruttore al mutare delle circostanze, sia per l’effetto retroattivo, fino al momento della domanda, che può essere attribuito in sentenza al riconoscimento dell’assegno di divorzio pertanto, debba reputarsi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 9, nel testo sostituito della L. n. 74 del 1987, art. 8 , sollevata in riferimento agli artt. 2,3 29 e 111 Cost. Cass. 20666/2017 siffatti principi, siano applicabili - per le ragioni suindicate - anche alla separazione personale dei coniugi Ritenuto che alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00, di cui Euro 100, per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.