Nelle donazioni indirette di somme di denaro in conto corrente non è necessaria la prova scritta dell’animus donandi

Nelle donazioni indirette l’intenzione di donare, non emergendo in via diretta, deve ricercarsi nelle circostanze che, caso per caso, caratterizzano il fatto, non essendo richiesto che tale intenzione abbia la stessa forma prevista per l’ atto utilizzato .

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 4682/18, depositata il 28 febbraio. Il caso. Il cointestatario di un conto corrente conveniva in giudizio il secondo cointestatario domandando al Tribunale di Roma l’accertamento della donazione indiretta fatta dal convenuto in suo favore, donazione che gli avrebbe dunque consentito di prelevare metà della somma depositata sul conto. Il Tribunale respingeva la domanda attorea, disponendo la restituzione al convenuto della somma prelevata. La Corte d’Appello di Roma, confermava la pronuncia del Giudice di prime cure, rilevando che sebbene la donazione indiretta non necessiti della forma solenne ex art. 782 c.c., l’ animus donandi dovesse risultare da atto scritto e che, ad ogni modo, la cointestazione del conto si giustificava in ragione di alcune operazioni che l’appellante avrebbe dovuto effettuare per conto dell’appellato. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’appellante ricorre per cassazione denunciando l’erroneità della conclusione, del Giudice d’Appello, per la quale nella donazione indiretta l’ animus donandi dovrebbe risultare da atto scritto. Diversamente, il ricorrente ritiene che l’apertura del conto corrente con denaro proveniente da solo una delle parti configuri, salvo patto contrario, una forma di donazione indiretta della metà dell’importo versato nei confronti dell’altro. Cointestazione e donazione indiretta. Il Supremo Collegio, premettendo che la donazione indiretta non necessita di forme solenni, richiama un orientamento della medesima Corte secondo cui la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario a condizione, però, che sia verificata l’esistenza dell’ animus donandi , consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della contestazione, altro scopo che quello della liberalità . La forma. La Suprema Corte ritiene errato l’assunto per il quale, nei giudizi di merito, si è ritenuto che comunque nella donazione indiretta l’ animus donandi dovesse avere la medesima forma del negozio cui si riferisce e che dunque, nella specie, trattandosi di conto corrente bancario che deve essere redatto per iscritto anche la prova dell’ animus donandi avrebbe dovuto essere data per iscritto . Diversamente, nella donazione indiretta la liberalità si realizza, anziché attraverso il negozio tipico della donazione, mediante il compimento di uno o più atti che, conservando la forma e la causa che è ad essi propria, realizzano, in via indiretta, l’effetto dell’arricchimento del destinatario, sicché l’intenzione di donare emerge non già, in via diretta, dall’atto o dagli atti utilizzati, ma solo, in via indiretta, dall’esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso . La Corte dunque cassa la sentenza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 28 settembre 2017 – 28 febbraio 2018, n. 4682 Presidente Lombardo – Relatore Dongiacomo Fatti di causa C.M. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, M.G. deducendo che la somma di Euro 50.000,00, da lui prelevata dal conto corrente bancario cointestato con la convenuta presso Banca Intesa, era stata oggetto di donazione da parte della M. , la quale aveva cointestato il predetto conto corrente ad entrambe le parti versando sullo stesso la somma di Euro 100.000,00. In forza di tali fatti, l’attore ha chiesto che fosse accertata la contitolarità della somma complessiva di Euro 100.000 e la spettanza in suo favore di metà della somma, per donazione indiretta e per applicazione dell’art. 1298 c.c La convenuta, costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda ed, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore alla restituzione della somma di Euro 50.000,00, deducendo che la contestazione del conto derivava, in realtà, dalla necessità che le operazioni di versamento e di pagamento fossero effettuate, per suo conto, dall’attore, con il quale aveva rapporti di amicizia da lungo tempo, in ragione dei periodi trascorsi dalla stessa in Francia e della sua età avanzata non aveva mai manifestato l’animus donandi in relazione alla somma di Euro 50.000,00, prelevata dall’attore di sua iniziativa la donazione mancava, in ogni caso, della forma prevista dall’art. 782 c.c. nessun rilievo aveva il richiamo all’art. 1298 c.c Il tribunale di Roma, con sentenza del 18/9/2009, ha respinto la domanda dell’attore ed, in accoglimento della domanda riconvenzionale, ha condannato C.M. al pagamento della somma di Euro 50.000,00, oltre interessi e spese. C.M. ha proposto appello, sostenendo, per un verso, la sussistenza dell’animus donandi e, per altro verso, che, trattandosi di donazione indiretta, non era necessaria la forma solenne di cui all’art. 782 c.c L’appellata ha chiesto il rigetto dell’appello. La corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 21/4/2014, ha rigettato l’appello. La corte, in particolare, dopo aver premesso, in generale, che, in caso di donazione indiretta, non è necessaria la forma solenne richiesta dall’art. 782 c.c., essendo sufficiente il rispetto delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive per la donazione l’atto pubblico, ha ritenuto, in fatto, che è pacifico, considerato che è lo stesso appellante che lo ha affermato nel giudizio di primo grado, che la somma impiegata per l’apertura del c/c cointestato apparteneva a M.G. che ha giustificato la cointestazione con la necessità di consentire al C. di svolgere una serie di operazioni per suo conto e che al di là di questo, . la mera cointestazione non costituisce prova della donazione di metà della somma, ma la mera presunzione di titolarità di entrambi, in ragione di metà ciascuno, del saldo attivo del conto e non certo dell’importo esistente al momento dell’apertura del conto . Né - ha aggiunto la corte - è possibile provare la . volontà della M. di volerlo beneficiare della somma di Euro 50.000,00, attraverso l’assunzione della prova testimoniale riproposta con l’atto di appello ma non riproposta nelle conclusioni di primo grado . posto che, per la donazione indiretta, non è necessaria la forma solenne dell’atto pubblico, essendo sufficiente, ma necessaria, la forma del negozio utilizzato, ha osservato la corte che, nella specie, il negozio utilizzato è stato quello di apertura di conto corrente che, in ragione dell’art. 117 del d.lgs. 1.9.1993 n. 385 T.U. Legge bancaria deve essere redatto per iscritto , sicché anche la prova dell’animus donandi avrebbe dovuto essere data per iscritto , ritenendo, dunque, inammissibile la prova testimoniale. C.M. , con ricorso notificato il 30/5.3/6/2014 e depositato il 19/6/2014, ha chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza della corte d’appello. Ha resistito M.G. , con controricorso notificato l’11/7/2014 e depositato in data 24/7/2014. La controricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1.Con un unico articolato motivo, il ricorrente, lamentando l’erronea o la falsa applicazione dell’art. 809 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver ammesso che, in caso di donazione indiretta, non è necessaria l’osservanza della forma dell’atto pubblico, ha ritenuto che, trattandosi dell’apertura di un c/c bancario, l’animus donandi doveva risultare per iscritto, laddove, però, così opinando, si realizzerebbe una donazione diretta, mentre invece, in caso di donazione indiretta, è necessario osservare solo la forma del negozio scelto per attuare la liberalità atipica, come è accaduto nel caso di specie, dove si è sottoscritto un contratto di c/c bancario con la cointestazione dello stesso alle parti e senza che la M. abbia stabilito vincoli in ordine all’utilizzo o al prelievo di somme e l’apertura di un c/c cointestato con denaro proveniente da una sola delle parti contraenti, non può che realizzare, in mancanza di un diverso accordo tra le parti, una forma di donazione indiretta del 50% dell’importo depositato. 2. Il motivo è fondato. Occorre premettere che il regime formale della forma solenne fuori dai casi di donazione di modico valore di cosa mobile, dove, ai sensi dell’art. 783 c.c., la forma è sostituita dalla traditio è esclusivamente proprio della donazione tipica, e risponde a finalità preventive a tutela del donante, per evitargli scelte affrettate e poco ponderate, volendosi circondare di particolari cautele la determinazione con la quale un soggetto decide di spogliarsi, senza corrispettivo, dei suoi beni. Per la validità delle donazioni indirette, invece, non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione Cass. n. 468 del 2010, in motiv. Cass. n. 14197 del 2013 Cass. SU n. 18725 del 2017 in motiv. . Ora, la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario a condizione, però, che sia verificata l’esistenza dell’”animus donandi , consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità. Ed invero, in una fattispecie per molti aspetti analoga alla presente, questa Corte ha affermato che l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari - può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità Cass., n. 26983 del 2008 Cass. n. 468 del 2010 In altri termini, la possibilità che costituisca donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, è legata all’apprezzamento dell’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che, al momento della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità Cass. n. 26991 del 2013, in motiv. Cass. n. 6784 del 2012 . Nel caso di specie, la corte d’appello ha escluso, in fatto, la sussistenza, in capo a M.G. , dell’animus donandi, sul rilievo, per un verso, che . la mera cointestazione non costituisce prova della donazione di metà della somma . e, per altro verso, che non è possibile provare la volontà della M. di voler beneficiare il ricorrente della somma di Euro 50.000,00 attraverso l’assunzione della prova testimoniale a tal fine invocata sui capi riproposti nelle conclusioni rese v. p. 2, 3 e 4 della sentenza impugnata e non ammessa dal tribunale posto che, per la donazione indiretta, non è necessaria la forma solenne dell’atto pubblico, essendo sufficiente, ma necessaria, la forma del negozio utilizzato, ha osservato la corte che, nella specie, il negozio utilizzato è stato quello di apertura di conto corrente che, in ragione dell’art. 117 del d.lgs. 1.9.1993 n. 385 T.U. Legge bancaria deve essere redatto per iscritto , sicché anche la prova dell’animus donandi avrebbe dovuto essere data per iscritto . Così opinando, però, la corte d’appello ha finito per ritenere che l’animus donandi, anche ai fini della prova della sussistenza della donazione indiretta, dev’essere oggetto di una emergenza diretta dal diverso atto scritto da cui tale liberalità risulta art. 809 c.c. , laddove, al contrario, solo nella donazione diretta l’animus donandi deve emergere direttamente dall’atto pubblico art. 782 c.c. che con salvezza della donazione di bene mobile di modico valore , sotto pena di nullità, la contiene. Nella donazione indiretta, invece, la liberalità si realizza, anziché attraverso il negozio tipico di donazione, mediante il compimento di uno o più atti che, conservando la forma e la causa che è ad essi propria, realizzano, in via indiretta, l’effetto dell’arricchimento del destinatario, sicché l’intenzione di donare emerge non già, in via diretta, dall’atto o dagli atti utilizzati, ma solo, in via indiretta, dall’esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne abbia interesse. 3. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Roma, anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. la Corte così provvede accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio.