Marito viola i doveri coniugali: basta per l’addebito della separazione, non per il risarcimento alla moglie

Respinta definitivamente la richiesta della donna. Per i Giudici il mancato rispetto degli obblighi connessi al matrimonio può dar luogo al risarcimento dei danni, però a patto che la persona offesa dia prova concreta della lesione subita.

Censurabile la condotta tenuta dal marito, resosi colpevole di avere violato i doveri derivanti dal matrimonio. Questo dato non è però sufficiente per consentire alla moglie di ottenere un adeguato ristoro economico Cassazione, ordinanza n. 4470/18, sez. I Civile, depositata il 23 febbraio 2018 . Addebito. Scontro totale tra coniugi, con inevitabili strascichi giudiziari. In Tribunale viene pronunciata difatti la separazione della coppia, con addebito al marito , condannato anche a contribuire al mantenimento della moglie e della figlia , e identica linea di pensiero viene adottata anche in Corte d’Appello. Ciò nonostante, però, la donna non si ritiene soddisfatta ella pretende che il marito le versi un adeguato risarcimento economico, sostenendo di aver visto lesi i propri diritti, ossia dignità, riservatezza, onore, morale, reputazione, privacy salute e integrità psico-fisica . Inequivocabili, sempre secondo la moglie, gli inaccettabili comportamenti tenuti dal marito durante il matrimonio. Tuttavia, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello la richiesta di risarcimento viene respinta. In particolare, i Giudici di secondo grado riconoscono che in questa vicenda la dignità e l’onore della moglie sono stati lesi gravemente dalla condotta del marito , ma aggiungono che il danno non è stato specificamente provato . Danno. Riflettori puntati, quindi, sulla mancata allegazione del pregiudizio non patrimoniale subito dalla donna. E questo dato è ritenuto sufficiente anche dai Giudici della Cassazione per respingere l’ipotesi di un risarcimento da parte del marito alla consorte. I magistrati del Palazzaccio si soffermano poi sugli oneri probatori correlati alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale , che, specificano, non può mai ritenersi in re ipsa , anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, ma va debitamente allegato e provato . Invece, in questa vicenda, nonostante la posizione assunta dalla donna, è emersa l’impossibilità di identificare il danno da lei lamentato. Ciò comporta l’azzeramento di ogni ipotesi di risarcimento in suo favore, nonostante l’uomo abbia violato i doveri derivanti dal matrimonio e si sia visto addebitare la separazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 23 novembre 2017 – 23 febbraio 2018, n. 4470 Presidente Giancola – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Con sentenza del 13 novembre 2009 il Tribunale di Roma pronunciava la separazione giudiziale dei coniugi Gi. Ci. e Gi. Fa. con addebito della stessa al marito, disponeva in merito all' affido e alla collocazione della figlia minore, individuava il contributo dovuto dal Ci. per il mantenimento del coniuge separato e della discendente e rigettava le differenti domande presentate, fra cui quella di risarcimento avanzata dalla Fa. per il ristoro dei danni causati dalla lesione dei diritti della persona costituzionalmente tutelati quali la dignità, la riservatezza, l’ onore, la morale, la reputazione, la privacy, la salute e l'integrità psicofisica. La decisione veniva impugnata tanto dal Ci., rispetto alla consistenza del contributo per il mantenimento fissato a suo carico, quanto dalla Fa., che in via incidentale sollecitava, fra l’ altro, l’ accoglimento della domanda di risarcimento danni presentata. 2. La Corte d' Appello di Roma, nel riformare parzialmente la statuizione impugnata rispetto alla misura del contributo per il mantenimento della moglie posto a carico del Ci. e alla disciplina del contributo per le spese della figlia, rigettava l’ appello incidentale proposto dalla Fa 3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso tale pronuncia Gi. Fa., che ha fatto valere un unico, articolato, motivo di impugnazione. Ha resistito con controricorso il Ci., che ha presentato memoria ai sensi dell' art. 378 c.p.c. Ragioni della decisione 4. Il motivo di ricorso proposto denuncia la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e ritiene che non possa essere condivisa la tesi sostenuta dalla corte territoriale secondo cui la domanda risarcitoria presentata, facendo conseguire le singole voci di danno biologico, morale ed esistenziale ex se genericamente dalla condotta tenuta dal marito e senza alcuna deduzione precisa di circostanze tali da consentire una valutazione della sussistenza del danno circostanziata e parametrata sulla persona della resistente, non meritava accoglimento in mancanza di una specifica allegazione del pregiudizio non patrimoniale subito secondo la ricorrente la Corte d' Appello, una volta registrato il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la violazione dei doveri derivanti dal matrimonio può integrare gli estremi dell' illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali arrecati, avrebbe dovuto al contrario tenere in debito conto che nel caso in esame le condotte avevano assunto un rilievo esterno ed autonomo quali lesioni dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, anche in considerazione delle modalità con le quali il rapporto era stato condotto. 5. Il motivo di ricorso proposto è inammissibile. E' opportuno ricordare in limine che la Corte d' Appello ha espressamente riconosciuto che i doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell' art. 2059 c.c. Sez. 1, Sentenza n. 18853 del 15/09/2011, Rv. 619619 - 01 . Nel contempo la corte territoriale ha affermato che la dignità e l’ onore della moglie costituiscono beni costituzionalmente protetti e risultavano, nel caso di specie, gravemente lesi dalla condotta senz' altro peculiare tenuta dal marito ciò nonostante il collegio d'appello ha negato il risarcimento invocato sul presupposto che la lesione dei diritti inviolabili della persona, costituendo un danno conseguenza, doveva essere specificamente allegato e provato. Occorre poi rilevare come l’ odierna ricorrente, pur lamentando la violazione del disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c., non abbia affatto denunciato l’ erronea applicazione di tali norme da parte del giudice di merito applicazione che anzi pare condividere laddove, a pagg. 12, riconosce il principio secondo il quale la violazione dei doveri coniugali non comporta di per sé automaticamente il diritto al risarcimento del danno , ma abbia invece sostenuto che nel caso di specie la condotta della controparte aveva assunto un rilievo esterno ed autonomo provocando anche un danno patrimoniale conseguente al peggioramento delle sue condizioni fisiche. Dunque la censura sollevata non investe le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata né rispetto al fatto che la violazione dei doveri coniugali possa essere fonte di responsabilità aquiliana, né in ordine agli oneri probatori correlati alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale che non può mai ritenersi in re ipsa, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso presunzione semplici si veda in questo senso, da ultimo, Cass. 17.1.2017 n. 917 , ma torna a sostenere nel merito gli assunti non condivisi dalla corte territoriale senza confrontarsi con la ratio decidendi posta a base della decisione impugnata e senza individuare un preciso error in iudicando nel suo ordito argomentativo. Questa Corte non può rivedere nel merito la motivazione offerta all' interno della sentenza impugnata circa l’ impossibilità di identificare il danno lamentato, dato che il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, e si deve limitare a constatare come il ricorso in esame non assolva l’ obbligo di specifica contestazione della ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata Sez. 6-3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017, Rv. 645361 - 01 . La proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall' art. 366, comma 1, n. 4 , c.p.c, con la conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d' ufficio Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 20910 del 07/09/2017, Rv. 645744 - 01 . E' opportuno infine sottolineare come nessuna puntuale censura è stata sollevata rispetto al passaggio motivazionale con cui la Corte d' Appello ha espressamente escluso la sussistenza di un nesso di causalità fra l’ aggravamento delle condizioni di salute dell' odierna ricorrente e i fatti addebitati al marito. 6. In forza dei motivi appena esposti il ricorso non può che essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.900, di cui Euro 200 per spese e Euro 2.700 per compenso professionale, oltre a spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell' art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell' ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.