Nella divisione dei beni della comunione legale rientra sia l’attivo che il passivo

In caso di sopravvenuta divisione dei beni per scioglimento della comunione tra i coniugi, devono dividersi non solo le attività ma anche le passività.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4186/18, depositata il 21 febbraio. La vicenda. La moglie di un imprenditore fallito proponeva istanza al Giudice Delegato del Fallimento per la rivendica di beni immobili di proprietà comune, nonché per alcuni beni di proprietà per la metà ed utilizzati nell’esercizio dell’attività di impresa familiare. Le istanze venivano respinte, ma il Tribunale accoglieva parzialmente il reclamo proposto ex art. 98 l. fall Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il curatore del Fallimento. Divisione dei beni. Il ricorrente deduce l’erronea applicazione dell’art. 178 c.c. in tema di beni destinati all’esercizio dell’impresa, in quanto il successivo art. 194 c.c. Divisione dei beni della comunione impone la ripartizione non solo dell’attivo ma anche del passivo e ciò avrebbe dovuto portare il giudice a negare ogni attribuzione alla moglie in quanto l’imprenditore solo dopo pochi giorni la separazione dei beni aveva depositato domanda di concordato preventivo, giungendo poi alla dichiarazione di fallimento. Si dividono anche le passività. La Corte richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di criteri divisionali della comunione legale art. 194 c.c. secondo il quale lo stesso concetto di comunione de residuo non può avere riguardo ai beni destinati a confluirvi senza avere contemporaneamente riguardo alle passività che gravano su quei beni, anche solo in virtù della garanzia generica ex art. 2740 c.c. . Tornando al caso di specie, il Tribunale ha dunque erroneamente limitato il proprio sindacato alla ricognizione dei cespiti immobiliari esistenti al momento dello scioglimento della comunione, senza considerare la massa passiva relativa all’attività economica a cui entrambi i coniugi erano impiegati e ai cui i cespiti suddetti erano destinati. Massa passiva peraltro gravata da consistenti perdite aziendali dunque incidenti sulla nozione economica di bene caduto in divisione . Il bene oggetto della divisione per instaurazione del regime di separazione dei beni tra coniugi deve infatti essere inteso nel suo valore netto secondo il criterio dell’art. 194 c.c Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 12 dicembre 2017 – 21 febbraio 2018, numero 4186 Presidente Campanile – Relatore Ferro Fatti di causa Rilevato che 1. Il curatore del FALLIMENTO B.P. impugna il decreto Trib. Velletri 14.1.2017, numero 323/2017, in R.G. 5524/2016, con cui, in parziale accoglimento del reclamo proposto ex articolo 98 l.f., ne ha accolto la contestazione avverso il decreto del giudice delegato del FALLIMENTO B.P. con il quale l’opponente L.B. si era vista respingere le istanze di rivendica dei beni immobili in proprietà comune al coniuge fallito B.P. , nonché di ulteriori beni di proprietà per la metà e utilizzati nell’esercizio dell’attività di impresa familiare 2. ha ritenuto il tribunale che gli immobili rivendicati rientrassero nella cd. comunione de residuo, poiché, per quanto oggetto di acquisti antecedenti alla costituzione dell’impresa familiare e non acquistati con i relativi proventi, è vero che non entravano in modo automatico nella comunione ex articolo 230bis c.c., ma facevano parte della predetta comunione ai sensi dell’articolo 178 c.c., stante la rispettiva esistenza al momento dello scioglimento, effettuato dai coniugi con atto del 23.3.2012 ne conseguiva il fondamento della rivendicata proprietà pro quota del coniuge, per diritto reale 3. con il ricorso si deduce, in unico motivo, l’erroneità del decreto ove non ha considerato che il pur applicato istituto di cui all’articolo 178 c.c. non poteva eludere il criterio di attribuzione divisoria dei beni della comunione, che impone con l’articolo 194 l.f. la ripartizione in parti eguali dell’attivo e anche del passivo, circostanza che avrebbe dovuto far negare ogni attribuzione alla opponente, poiché il coniuge imprenditore pochi giorni dopo la predetta separazione dei beni e dunque il 26.3.2012 aveva depositato domanda di concordato preventivo, con patrimonio netto negativo, procedura poi sfociata in fallimento. Ragioni della decisione Considerato che 1. il ricorso è fondato, posto che è consolidato l’indirizzo di questa Corte che l’articolo 194 c.c., che regola il criterio divisionale della comunione legale, risponde al principio per cui lo stesso concetto di comunione de residuo non può avere riguardo ai beni destinati a confluirvi senza avere contemporaneamente riguardo alle passività che gravano su quei beni, anche solo in virtù della garanzia generica ex articolo 2740 c.c. Cass. 2680/2000, 7060/2004 ed invero anche in altri precedenti l’attribuzione patrimoniale dei beni ha avuto riguardo al patrimonio netto così Cass. 6876/2013 in caso di società 2. nella specie, il tribunale si è limitato ad una ricognizione dei cespiti immobiliari esistenti al momento dello scioglimento della comunione, conseguente all’instaurazione del regime di separazione, senza contabilizzare la massa passiva afferente all’attività economica in cui essi erano dedotti, consistentemente gravata - nello stesso periodo - di perdite aziendali, nella prospettazione del ricorrente e dunque incidenti sulla nozione economica di bene caduto in divisione quest’ultimo va invero inteso alla stregua di valore netto, solo così realizzativo dell’effettivo credito esercitabile sulla comunione de residuo, secondo il criterio giuridico posto dall’articolo 194 c.c. e violato 3. il ricorso è pertanto fondato, conseguendone la cassazione del decreto con rinvio, anche per le spese del procedimento. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Velletri, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.