Fecondazione eterologa: fino a quando il marito può revocare il consenso?

La preminenza della verità biologica rispetto a quella legale non costituisce valore di rilevanza costituzionale.

L’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo ed assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota. Quanto sopra è stato affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 30294 depositata in cancelleria in data 18 dicembre 2017 in tema di fecondazione assistita eterologa, di revoca del consenso all’impianto e di disconoscimento di paternità. Il caso. Due cittadini italiani stipulavano in Spagna un contratto di fecondazione assistita eterologa ed esprimevano entrambi il loro consenso. Successivamente, però, il marito – affetto da impotentia generandi - revocava il consenso quando il trattamento embrionale era già iniziato ma un giorno prima che ebbe luogo l’impianto dell’ovulo fecondato. Pertanto, il marito citava in giudizio la moglie ed il figlio, tramite un curatore speciale, per ottenere il disconoscimento di paternità. Tanto in primo grado quanto in secondo, i giudici rigettavano le domande dell’attore. La fecondazione eterologa. La Corte Costituzionale, con sentenza 162/2014, ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa previsto dalla Legge n. 40/2004 in caso di sterilità od infertilità assolute ed irreversibili. L’azione di disconoscimento di paternità. L’art. 9 di tale legge precisa che, in caso di inseminazione eterologa, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento di paternità, anche quando, come nel caso di specie, sia affetto da impotentia generandi . La ratio di tale norma deve esser individuata nella circostanza che l’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo ed assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota. Ancora una volta i Giudici di legittimità attribuiscono rilevanza alla verità legale rispetto a quella biologica, tanto che la nuova formulazione dell’art. 244 c.c. prevede un termine di decadenza quinquennale dell’azione di disconoscimento che decorre dalla nascita del figlio. La revoca del consenso. Il consenso espresso può esser revocato dal coniuge sino al momento della fecondazione dell’ovulo. Nel caso di specie, tuttavia, la Suprema Corte rileva che non è stata data dimostrazione che tale revoca fosse intervenuta prima della fecondazione dell’ovulo e tale situazione di fatto non accertata nei giudizi di merito è insuscettibile di esser valutata in sede di legittimità. Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, compensando le spese tra le parti stante la novità della questione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 settembre – 18 dicembre 2017, n. 30294 Presidente/Relatore Dogliotti Fatto e diritto Con citazione notificata in data 24/03/2011, S.P. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il figlio S.F. , in persona del curatore speciale, già nominato dal predetto Tribunale, nonché la moglie C.F. , perché si dichiarasse che l’attore non è il padre di S.F. . Costituitosi regolarmente il contraddittorio, tanto la C. che il curatore speciale chiedevano la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto della domanda. Con sentenza in data 19/9/2014, il Tribunale rigettava la domanda. Avverso la predetta sentenza proponeva appello S.P. . Costituitosi il contradditorio, la C. e il curatore speciale ne chiedevano il rigetto. La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 01/03/2016, rigettava l’appello. Ricorre per cassazione S.P. . Resiste con controricorso il curatore del minore. Non svolge attività difensiva la C. . Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., 232, 235 c.p.c. nonché vizio di motivazione, in relazione alla propria impotentia generandi. Con il secondo, violazione dell’art. 6 L. 40 del 2004, anche in relazione agli artt. 2, 13 e 32 Cost. eccezione di legittimità costituzionale , circa il divieto di revoca del consenso all’impianto da parte del ricorrente. Con il terzo, violazione dell’art. 9 L. 40 del 2004, in relazione agli artt. 2, 13 e 32 Cost., circa il divieto di disconoscimento del figlio nato a seguito di trasferimento embrionale. I motivi sono strettamente collegati e vanno trattati congiuntamente. Va esaminato preliminarmente il quadro normativo disciplinante la fattispecie dedotta. Non vi è dubbio sulla applicabilità della legge italiana, posto che i genitori sono cittadini italiani, così come il nato anche se l’impianto nell’utero della donna è stato effettuato all’estero, in Spagna. All’epoca, prima di un recente intervento della Corte Costituzionale, cui si accennerà in seguito, la L. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita vietava l’inseminazione eterologa con seme diverso dal marito o dal partner anche se ne disciplinava gli effetti, nell’interesse esclusivo del nato. L’art. 9 L. 40 precisa che, in caso di inseminazione eterologa, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti, non può esercitare l’azione di disconoscimento di paternità in particolare anche quando, come nella specie, sia affetto da impotentia generandi . L’art. 6 tratta del consenso del coniuge o del partner, precisando che la volontà può essere da lui revocata sino al momento della fecondazione dell’ovulo. Come si è detto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 162 del 2014 ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, in caso di sterilità infertilità assolute ed irreversibili. La Corte stessa esclude nella propria sentenza, che ili proprio intervento provochi una situazione di vuoto normativo, precisando che la disciplina del consenso venuto meno, nei limiti sopra precisati il divieto di inseminazione eterologa riguarda evidentemente anche la tecnica in esame, costituendo una particolare metodica di procreazione medicalmente assistita. Questa Corte condivide in toto tale assunto la dichiarazione di incostituzionalità della norma ha eliminato il divieto, in sostanza unificando la disciplina della fecondazione assistita. Ed è appena il caso di precisare che la Corte Costituzionale, riferendosi esplicitamente alla disciplina del consenso, ne ha in sostanza affermato la conformità alla Costituzione. Va altresì osservato che consentire la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni, più volte affermata dalla Consulta tra le altre Corte Cost. 151/2009 e 229/2015 . Va ancora ricordato l’insegnamento della Corte Costituzionale Corte Cost. n. 347 del 1198 e di questa Corte Cass. N. 2315 del 1999 , secondo cui l’attribuzione dell’azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo ed assistenziale, stante l’impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell’impiego di seme di provenienza ignota e, ancora, questa Corte Cass. N. 5653 del 2012 ha precisato che non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta la preminenza della verità biologica rispetto a quella legale. Tale impostazione, del resto, trova ulteriore preciso riscontro nella riforma della filiazione del 2013 che ha abrogato l’art. 235 c.c. e introdotto il nuovo art. 244 c.c., per cui il genitore non può proporre l’azione di disconoscimento oltre cinque anni dal giorno della nascita del figlio. Una questione di legittimità costituzionale, come proposta dal ricorrente, appare, per quanto si è detto, manifestamente infondata. Quanto alla fattispecie dedotta, dopo il consenso espresso da entrambi i coniugi in un contratto con l’Istituto Marques in Spagna, il S. revocò il consenso, con comunicazione del 18/12/2009. Precisa il giudice a quo che a quella data il trattamento embrionale era già iniziato e il giorno successivo ebbe luogo l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero della C. . Aggiunge la sentenza impugnata che non può rilevare la comunicazione di revoca del consenso, ricevuto dall’Istituto Marques in data 18/12/2009, non essendovi stata dimostrazione che tale revoca era intervenuta prima dell’attivazione della tecnica di preparazione dell’embrione, ovvero della fecondazione dell’ovulo destinato all’impianto. Si tratta ovviamente di questione di fatto, insuscettibile di controllo in questa sede. Se poi, come pare, il ricorrente intendesse censurare la motivazione del provvedimento, opererebbe necessariamente il disposto dell’art. 360, n. 5 cpc novellato, che si riferisce all’omissione di un fatto, già oggetto di discussione tra le parti nella specie, peraltro, non di omissione si tratterebbe, ma di diversa valutazione di un fatto. In tal senso, dunque, il ricorso, sul punto specifico, presenterebbe profili di inammissibilità. Va conclusivamente rigettato il ricorso. La relativa novità della questione richiede la compensazione delle spese tra le parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese tra le parti. A norma dell’art. 52 D.L. 196/03, in caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, in quanto imposto dalla Legge.