Scappa di casa e porta con sé il figlio: separazione non connessa a quella fuga

Respinta l’ipotesi dell’addebito a carico della donna. Per i Giudici, pur a fronte di un comportamento discutibile, è evidente che la crisi della coppia è conseguenza di un lento ma inesorabile logoramento dei rapporti.

Via di casa, lontano dal marito e portandosi appresso il figlio. La fuga della donna non è sufficiente però per addebitare a lei la separazione della coppia Cassazione, ordinanza n. 25072, sez. VI Civile, depositata oggi . Abbandono. Passaggio centrale in Corte d’Appello, dove i giudici, contrariamente a quanto deciso in Tribunale, escludono l’ipotesi che la rottura della coppia sia riconducibile ai comportamenti della donna. Riflettori puntati, in particolare, sulla scelta compiuta dalla moglie, cioè andar via dalla casa condivisa col marito, portando con sé il figlio. Per i Giudici non vi sono dubbi sull’episodio, ossia sull’ abbandono del domicilio familiare, con sottrazione del minore . Esso però non viene considerato decisivo nell’ottica della rottura matrimoniale . Su questo fronte, in particolare, vengono posti in evidenza in Appello due elementi primo, il ricorso per separazione era stato depositato a ridosso dell’abbandono secondo, il rapporto si era iniziato a logorare progressivamente fin dalla nascita del figlio . Crisi. Inutili si rivelano ora le contestazioni proposte in Cassazione dal legale del marito. Anche per i Giudici del Palazzaccio, difatti, la fuga della donna non è catalogabile come causa esclusiva della crisi matrimoniale, poi sfociata nella separazione. Condivisa in pieno, quindi, la linea di pensiero tracciata in Appello. Logico, in sostanza, sostenere che a rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto non è stata la fuga messa in atto dalla moglie – resa ancor più grave dal fatto di aver portato con sé il figlio –, bensì il logoramento , lento ma inesorabile, della vita di coppia. In conclusione, l’allontanamento dall’abitazione familiare va considerata come una conseguenza di una crisi ormai irreversibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 3 luglio – 23 ottobre 2017, n. 25072 Presidente Nappi – Relatore Acierno Ragioni della decisione Nel 2013 il Tribunale di Como pronunciava la separazione personale dei coniugi Mi. Pi. e Lu. Bo., con addebito a quest'ultima, affidava il figlio Antonio ad entrambi i genitori con collocamento presso la madre, regolamentava i rapporti padre-figlio, assegnava la casa coniugale alla Bo., poneva a carico del Pi. un contributo di Euro 600,00 mensile a titolo di mantenimento del figlio, oltre le spese straordinarie. In sede d'appello, la Bo. impugnava la decisione e, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, chiedeva l'eliminazione dell'addebito per porlo a carico del marito una modifica della regolamentazione dei rapporti padre-figlio la corresponsione di un contributo di Euro 500,00 mensili a titolo di mantenimento per sé medesima a carico del marito. Il Pi. si costituiva in giudizio, opponendosi all'appello e chiedendo in via incidentale la riduzione del contributo a proprio carico ad Euro 400,00 mensili a titolo di mantenimento del figlio, oltre il 50% delle spese straordinarie una modifica della regolamentazione dei rapporti padre-figlio in via subordinata, la riduzione della quota di partecipazione alle spese straordinarie al 50%. La Corte territoriale, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dalla Bo., nonché sull'appello incidentale proposto dal Pi., così provvedeva - revocava la dichiarazione di addebito della separazione alla Bo L'episodio di abbandono del domicilio familiare con sottrazione del minore posto dal Tribunale a base della dichiarazione di addebito non ha avuto alcun rilievo causale rispetto alla rottura del vincolo matrimoniale, dal momento che il ricorso per separazione era stato depositato a ridosso dell'abbandono e il rapporto si era iniziato a logorare progressivamente fin dalla nascita del figlio - poneva a carico del Pi. un contributo di Euro 300,00 mensili a titolo di mantenimento della moglie dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. Il giudice d'appello riteneva che la Bo. avesse diritto ad un contributo perché le sue condizioni non le avrebbero consentito di conservare un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio. La misura del contributo va contenuta in Euro 300,00 rispetto alla somma richiesta di Euro 500,00, dal momento che le complessive condizioni di salute della Bo. non le impediscono di trovare un'occupazione e, d'altra parte, il Pi. è passato da un reddito di Euro 44.640,00 anno d'imposta 2010 ad un reddito di Euro 50.030,00 anno d'imposta 2012 - modificava il regime di visita del padre al figlio - rigettava le richieste incidentali relative alla riduzione del contributo a carico del padre nei confronti del figlio e la rimodulazione delle spese straordinarie nella misura del 50%. Il contributo a titolo di mantenimento del figlio non poteva essere ridotto ad Euro 400,00, dal momento che le esigenze del figlio erano aumentate e il reddito del Pi. era compatibile con tale assegno. Riguardo alla percentuale delle spese straordinarie non appariva giusto porle a carico di entrambi nella misura del 50%. Per le spese di educazione era già previsto che fossero concordate tra i genitori, per cui Pi. era tutelato da un eccesso di pretese della Bo. e il suo reddito consentiva di tutelare il figlio per le spese mediche al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale e per le spese di istruzione. Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione dal Pi., affidato a tre motivi. La Bo. resisteva con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Con il primo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. nonché omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla statuizione sull'addebito. Il ricorrente ha contestato la decisione del giudice d'appello di escludere l'addebitabilità della separazione in capo alla Bo., rilevando che alla luce degli accertamenti svolti nel primo grado del giudizio non vi era una situazione d'intollerabilità anteriormente all'abbandono del domicilio familiare con contestuale sottrazione di minore da parte della Bo. era questo il reale motivo della sopravvenuta intollerabilità. Con il secondo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. e dell'art. 115 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 comma n. 3 cod. proc. civ. nonché omessa, erronea ed insufficiente motivazione in ordine alla ripartizione dell'onere della prova relativamente al dedotto abbandono del domicilio coniugale e sottrazione di minore. Il ricorrente ha evidenziato che la Corte d'appello avrebbe basato il suo convincimento su una diagnosi molto superficiale e contraddittoria dei fatti esaminati. Inoltre non avrebbe tenuto conto del principio secondo il quale sarebbe spettato alla Bo. di provare che l'abbandono del domicilio coniugale con contestuale sottrazione del minore fossero intervenuti nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si fosse già verificata ed in conseguenza di tale fatto Con il terzo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell'art. 156 cod. civ. in relazione all'art. 360 comma n. 3 cod. proc. civ. nonché omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla statuizione relativa all'assegno di mantenimento in favore della moglie. Il ricorrente ha contestato la previsione di un contributo, a carico dello stesso, a titolo di mantenimento della moglie, dal momento che, essendo riconosciuta in capo alla Bo. la capacità di produrre reddito e l'insussistenza di motivi ostativi al lavoro, non sarebbero state considerate le dimissioni volontarie dal suo ultimo impiego e la circostanza di non aver neanche tentato di trovare alcuna altra occupazione. Preliminarmente deve rilevarsi che le censure ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. sono radicalmente inammissibili essendo riferite al vecchio paradigma normativo del vizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e non a quello attualmente vigente ed applicabile alla controversia. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto in gran parte ripetitivi. In essi le censure, pur essendo formulate astrattamente anche come vizio di violazione di legge, appaiono rivolte a richiedere un non consentito riesame dei fatti, in particolare in ordine alla causa effettiva dell'addebito, individuata, con indagine di fatto e motivazione insindacabile, nel logoramento intervenuto fin dalla nascita del figlio, escludendo rilievo all'allontanamento dalla casa coniugale. In ordine all'onere della prova relativo all'allontanamento dall'abitazione familiare, deve rilevarsi che la censura non coglie nel segno, perché la Corte d'appello ha individuato una causa diversa dell'intollerabile prosecuzione del rapporto coniugale. Peraltro è stato di recente ribadito che anche nel caso dell'allontanamento dalla casa coniugale e di richiesta di addebito a tale condotta conseguente, spetta al richiedente, e non all'altro coniuge, provare non solo l'allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza Cass. Civ. n. 19328 del 2015 . Al coniuge che si è allontanato spetta provare la giusta causa dell'allontanamento, ma non per effetto della inversione dell'onus probandi in ordine al nesso di causalità, ma all'esclusivo fine di escludere che tale condotta possa essere qualificata come causa d'addebito. Il terzo motivo è inammissibile perché sostanzialmente rivolto a censurare l'accertamento di fatto svolto dalla Corte d'appello in ordine alla comparazione tra le due situazioni economico patrimoniali. Al riguardo deve rilavarsi che dalla Corte è stata presa in considerazione la potenzialità lavorativa della controricorrente ed è stato ridotto il contributo rispetto a quello richiesto, senza però ritenere tale circostanza una causa di esclusione del diritto a tale contributo, in considerazione degli altri fattori da tenere in considerazione nella valutazione da svolgere da parte del giudice del merito. L'accertamento in ordine alle condizioni economiche dei coniugi ed al reddito di entrambi è stato compiuto in maniera concreta, essendosi fondata la decisione su un apprezzamento relativo a dati realmente esistenti, quali la condizione reddituale del ricorrente. Inoltre, la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all'apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge Cass. Civ. n. 21603 del 2013 . La memoria depositata dal ricorrente, reiterando le argomentazioni svolte nel ricorso, non offre elementi per superare i predetti rilievi. In particolare, in ordine al profilo concernente l'abbandono del tetto coniugale da parte della Bo. quale causa della separazione, la Corte territoriale ne ha escluso, con giudizio di fatto, la rilevanza causale con motivazione in questa sede non censurabile. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio da liquidarsi Euro 3000 per compensi, 100 per esborsi oltre accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.