Procreazione medicalmente assistita e diagnosi preimpianto. Il diritto di essere genitori di bambini sani

Il desiderio dei ricorrenti di mettere al mondo un figlio non affetto dalla malattia genetica di cui sono portatori sani e di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita e alla diagnosi preimpianto rientra nel campo della tutela offerta dall’art. 8 CEDU.

Tale principio di diritto, espresso dalla Corte Europea dei Diritti Umani, viene fatto proprio dal Tribunale di Milano nell’ordinanza emessa dalla I sezione Civile il 18 aprile 2017. I fatti di causa. Con ricorso d’urgenza depositato ai sensi dell’art. 700 c.p.c., due conviventi more uxorio evocavano in giudizio l’Ospedale a cui si erano rivolti per accedere alla fecondazione assistita e per effettuare indagini diagnostiche sugli embrioni a fronte del diniego opposto da tale struttura sanitaria pubblica. In particolare, il convivente era affetto da una patologia irreversibile trasmissibile geneticamente e pertanto la coppia doveva esser ritenuta non fertile in quanto vi sarebbe stato un alto rischio di trasmettere alla prole la patologia genetica incurabile con esiti infausti. L’Ospedale aveva consigliato agli aspiranti genitori di rivolgersi a centri per la diagnosi genetica preimpianto rifiutandosi così di eseguire tale diagnosi presso la propria struttura. La rimessione alla Corte Costituzionale. Il Tribunale di Milano rimetteva alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, e dell’art. 4, comma 1, l. n. 40/2004 per contrasto con gli artt. 2, 3, 32 Cost. nonché con gli art. 8 e 14 Cedu nella parte in cui dette norme non consentono il ricorso alla PMA e alla diagnosi preimpianto alle coppie fertili portatrici di malattia geneticamente trasmissibile. Intervenuta nelle more la sentenza n. 96/2015 – sollecitata da un’altra questione di costituzionalità – la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità della legge n. 40/2004 nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili rispondenti a criteri di gravità. La ratio della pronuncia costituzionale. Il Tribunale di Milano riporta l’orientamento espresso dal Giudice delle leggi per cui se è consentito ricorrere all’aborto terapeutico qualora siano riscontrate gravi malattie del feto destinate ad inevitabili ripercussioni sul benessere psico-fisico della donna, appare irragionevole vietare la diagnosi preimpianto idonea a prevenire gli stessi problemi in una fase ancora più anticipata, e dunque con minori rischi per la salute della donna, consentendole la preventiva acquisizione di informazioni sulle condizioni di salute dell’embrione. L’accesso alla PMA per le coppie fertili ma portatrici di malattie geneticamente trasmissibili. Due i presupposti la gravità del danno o del pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire la gestazione e la necessità di un accertamento da parte di apposita struttura pubblica specializzata. La salute della donna. Espletata la CTU nel caso di specie, il Giudice del Tribunale di Milano afferma che la salute psichica della donna correrebbe un serio pericolo” in caso di procreazione di un concepito affetto dalla patologia di cui il compagno era portatore sano. L’esistenza di una struttura pubblica. L’Ospedale in questione è una struttura pubblica abilitata a svolgere diagnosi genetica preimpianto. La decisione del Giudice. Il Tribunale di Milano in accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., accertava i diritto della coppia ad ottenere, nell’ambito di intervento di PMA, l’esame clinico e diagnostico sugli embrioni e il trasferimento in utero della donna solo degli embrioni sani o portatori sani delle patologie di cui l’uomo risultava affetto disponeva che l’Ospedale eseguisse l’esame clinico e diagnostico mediante anche l’ausilio di altre strutture sanitarie.

Tribunale di Milano, sez. I Civile, ordinanza 18 aprile 2017 Giudice Flamini Con ricorso ex articolo 700 c.p.c., depositato il 2 ottobre 2014, R. B. e D. S. hanno evocato in giudizio l’Ospedale Maggiore Policlinico, in persona del legale rappresentante pro-tempore, deducendo in fatto che erano conviventi sin dal 2001 che il sig. S. era affetto da esostosi multiple ereditarie EME , patologia irreversibile, trasmissibile geneticamente con modalità autosomica dominante che coinvolgeva tutto l’apparato scheletrico che volevano accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, precedute da diagnosi pre-impianto, in quanto la natura autosomica dominante della malattia avrebbe determinato un rischio di trasmissione, con mutazioni anche più gravi, nella misura pari al 50% che, a causa della patologia del sig. S., la coppia doveva essere ritenuta non fertile, in quanto vi sarebbe stato un alto rischio di trasmettere la patologia genetica incurabile, con esiti infausti, alla prole che, il 2.7.2014, si erano rivolti all’Ospedale Maggiore Policlinico di seguito, per brevità, solo Policlinico per accedere alla fecondazione medicalmente assistita e per effettuate l’indagine clinica diagnostica sull’embrione che, con referto numero 1155642, a firma della dott.ssa Raffaella Borroni, ai ricorrenti era stato suggerito di rivolgersi a centri per la diagnosi genetica preimpianto per l’esostosi multipla ereditaria che il Policlinico era un centro pubblico autorizzato ad applicare tecniche di II livello, dotato di tutta la strumentazione e le attrezzature necessarie e che, pertanto, ben poteva eseguire la diagnosi preimpianto richiesta dalla coppia che, a fronte del diniego della struttura pubblica resistente, i ricorrenti si erano recati, per due volte, in Grecia ove avevano effettuato la diagnosi preimpianto in vista della procreazione medicalmente assistita sostenendo costi pari ad euro 13.097,54 , ma che tali tentativi non avevano dato esito positivo che i ricorrenti non avevano possibilità di realizzare in altro modo il loro diritto a diventare genitori, non avendo condizioni personali e lavorative o mezzi economici sufficienti per effettuare la diagnosi preimpianto nei centri privati. Premessi tali elementi di fatto, in diritto, e con particolare riferimento al requisito del fumus boni iuris, hanno evidenziato che il diniego opposto dalla struttura sanitaria convenuta determinava l’impossibilità di conoscere lo stato di salute dell’embrione e provocava la lesione di diritti costituzionalmente garantiti artt. 2, 13, 29 e 32 Cost. alla salute dei genitori, del nascituro, all’autodeterminazione consentita dalla conoscenza dello stato di salute dell’embrione , alla realizzazione della personalità attraverso la genitorialità che, in particolare, era leso il diritto all’eguaglianza dei cittadini, atteso che solo i più abbienti potevano recarsi in strutture di procreazione medicalmente assistita private che si era realizzata, altresì, una violazione dell’articolo 9 Cost. in quanto il rifiuto opposto dal Policlinico aveva impedito ai ricorrenti di valersi dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica che tali principi erano stati affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Costa Pavan c. Italia e dalla giurisprudenza nazionale che il diritto di procreare senza il concreto ed attuale rischio di compromissione della salute del nascituro e della donna costituiva una specificazione dell’articolo 8 della Cedu, avente natura di diritto fondamentale della persona che il divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita per effettuare diagnosi preimpianto per le coppie portatrici di grave patologia genetica trasmissibile alla prole costituiva una irragionevole e sproporzionata compressione di un fondamentale diritto soggettivo che, a fronte della pronuncia della Corte Edu, il giudice dovrebbe disapplicare la normativa nazionale contrastante con le disposizioni Cedu oppure, non ritenendo possibile un’interpretazione adeguatrice alla norma interposta, sollevare questione di legittimità costituzionale che la l. 40/2004 presentava numerosi profili di illegittimità costituzionale, risultando contraria al disposto degli artt. 2, 3, 32, 117 comma 1 in relazione all’articolo 8 e 14 della Cedu. In merito al periculum in mora hanno dedotto che, in ragione dell’età della sig. B. 35 anni e della grave patologia del ricorrente, che aveva delle ripercussioni anche sul piano psicofisico della coppia, il trascorrere del tempo avrebbe comportato un aumento della percentuale di insuccesso delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Hanno concluso, pertanto, chiedendo 1 nel merito e, in via principale, dichiarare il diritto dei ricorrenti a di ricorrere alle metodiche di procreazione medicalmente assistita b di ottenere l’esecuzione di indagini cliniche diagnosticate sull’embrione c di sottoporsi ad un protocollo di PMA adeguato ad assicurare le più alte chances di risultato utile compatibilmente con quanto stabilito nella sentenza Corte Cost. 151/09 d di sottoporsi ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalità compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna nel caso concreto di ordinare all’Ospedale Policlinico Maggiore di Milano di ottemperare agli obblighi previsti dalla legge 40/04 eseguendo le indagini cliniche e diagnostiche sull’embrione previste per legge ed il trasferimento in utero della sig. B. R. solo di embrioni sani, nonché pronunciare ogni altro provvedimento ritenuto opportuno e conseguente 2 in via subordinata, disapplicare gli artt. 1, commi 11 e 2, 4 comma l. 40/2004 per contrasto con l’articolo 8 della Cedu e per l’effetto dichiarare il diritto dei ricorrenti come sopra declinato 3 in via ulteriormente subordinata, sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2 e 4 della l. 40/2004, per contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost, per violazione degli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost. in ogni caso accertare il diritto dei ricorrenti, stante l’indisponibilità del Policlinico ad eseguire la metodica di diagnosi preimpianto, al rimborso delle spese sostenute per effettuare le dette analisi nei centri medici stranieri, con vittoria di spese, competenze ed onorari, da distrarsi in favore dei difensori che si dichiarano antistatari. Con decreto del 7.10.2014 il giudice fissava per la comparizione delle parti l’udienza del 23.10.2014. La Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, con comparsa depositata il 22.10.2014, si è costituita deducendo che non sussisteva il requisito del fumus boni iuris, atteso che il Policlinico non aveva rifiutato la prestazione in ragione del disposto della l. 40/2004, ma solo a causa di problemi di ordine tecnico legati alla mancanza di strumentazione e delle specifiche competenze necessarie che difettava, altresì, il requisito del periculum in mora in quanto le diagnosi preimpianto e la procreazione medicalmente assistita, in una coppia giovane come i ricorrenti, erano procedimenti ripetibili indefinitamente nel tempo in caso di insuccesso che la malattia genetica dalla quale era affetto il sig. S. era una malattia rara, non mortale né gravemente invalidante e che il test genetico volto a verificare la presenza della detta malattia avrebbe richiesto l’adozione di particolari tecniche e strumentazioni, non in possesso dell’ente convenuto che il test genetico e le tecniche di procreazione medicalmente assistita richieste dai ricorrenti non rientravano tra le prestazioni poste a carico del servizio sanitario nazionale che l’eventuale contrasto tra una disposizione di legge interna e la Convenzione europea non avrebbe potuto dar luogo al potere-dovere di disapplicazione, da parte del giudice il quale avrebbe dovuto, invece, sollevare questione di legittimità costituzionale che, nel caso in esame, tale questione sarebbe stata comunque inammissibile per difetto di rilevanza, atteso che il Policlinico non aveva contestato il diritto dei ricorrenti, coppia fertile, di accedere alla diagnosi preimpianto in vista della procreazione medicalmente assistita, ma aveva evidenziato che tale prestazione non rientrava tra quelle obbligatorie per il servizio sanitario nazionale e che, per difficoltà tecniche, l’ente resistente non poteva eseguirla. Concludeva, pertanto, chiedendo di dichiarare inammissibili e comunque infondate le richieste di parte ricorrente, con vittoria di spese ed onorari. Nel corso del procedimento sono state depositate memorie integrative. All’udienza del 12.2.2015 le parti hanno discusso oralmente la causa e il giudice riservava la decisione. Con ordinanza riservata il giudice ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 1 e 2, e dell’articolo 4 comma 1 della legge 19 febbraio 2004 numero 40, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 Cost., nonché con l’articolo 117, comma 1 della Costituzione, in relazione all’articolo 8 e 14 della CEDU nella parte in cui dette norme non consentono il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, e dunque anche alla diagnosi preimpianto, alle coppie fertili, portatrici di malattia geneticamente trasmissibile. Con sentenza numero 96/2015 la Corte Costituzionale – decidendo su un petitum di contenuto analogo a quello in esame – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1 e 2, e 4 comma 1 della l. 40/2004, nella parte in cui non consentono il ricorso alla tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’articolo 6 comma 1 lettera b L. 194/1978, accertate da apposite strutture pubbliche”. Il 24.2.2016 è stato celebrato, in camera di consiglio, il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, con contestuale decisione numero 54/2016 che ha dichiarato la questione manifestamente inammissibile per carenza di interesse, in ragione delle statuizioni contenute nella sentenza numero 96/2015 . Con ricorso in riassunzione, i ricorrenti, hanno chiesto la prosecuzione del giudizio ed hanno rassegnato le seguenti conclusioni in via principale, 1 dichiarare il diritto dei ricorrenti di ricorrere alle metodiche di procreazione medicalmente assistita nonché di ottenere l’esecuzione di indagini cliniche diagnostiche sull’embrione 2 per l'effetto, dichiarare il diritto di sottoporsi ad un protocollo di PMA ed ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalità compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna e adeguato ad assicurare le più alte chances di risultato utile compatibilmente a quanto stabilito nella sentenza Corte Cost. 151/09 3 per l’effetto, ordinarsi all’Ospedale Policlinico Maggiore di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, di ottemperare agli obblighi previsti dalla legge 40/04 eseguendo le indagini cliniche e diagnostiche sull’embrione previste per legge, ed il trasferimento in utero della Sig.ra B. R. solo di embrioni prodotti con liquido seminale del compagno S. D. sani, nonché pronunciare ogni altro provvedimento ritenuto opportuno e conseguente, indicando le modalità di esecuzione in via subordinata ordinarsi all’Ospedale Policlinico Maggiore di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, quanto sopra indicato al punto sub 3 anche con l'ausilio delle apparecchiature, sonde e maker già predisposte presso l'istituto greco Mediterranean Fertility Institute”, via Zimvrakakidon, 24, Chania, Crete, Greece, nonché a mezzo del personale medico e tecnico ivi in servizio e che aveva già seguito la coppia nei precedenti tentativi di diagnosi ed impianto. Il tutto secondo termini e modalità di collaborazione che, laddove accolta la richiesta, verranno concordemente raggiunti dalle Strutture Ospedaliere. In tutti i casi accertare comunque il diritto dei Sig.ri S. e B., stante l’indisponibilità dell’Ospedale Maggiore Policlinico ad eseguire la metodica di PGD, al rimborso delle spese sostenute per effettuare i trattamenti di PGD e connessa PMA in Centri Medici stranieri sostenuti dai ricorrenti per le prestazioni ricevute per un totale di euro 13.097,54 di cui euro 7.958,37 per il tentativo del 24.04.14 ed euro 5.133,17 per il tentativo del 31.08.2014 ”. Con ordinanza del 20.7.2016 il giudice ha ordinato l’integrazione del contraddittorio, ex articolo 107 c.p.c., nei confronti della Regione Lombardia e del Ministero della Salute ed ha disposto una c.t.u. diretta ad accertare le caratteristiche della malattia geneticamente trasmissibile da cui è affetto il ricorrente. Ritualmente citata, Regione Lombardia si è costituita deducendo che i ricorrenti non avevano formulato alcuna domanda nei confronti della Regione che, in ossequio a quanto statuito dalla Corte Costituzionale, era indispensabile l’intervento del legislatore nazionale, per individuare le patologie gravi e le strutture pubbliche specializzate idonee ad eseguire la diagnosi preimpianto che la prestazione in esame non era inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza che non esistevano centri in Lombardia organizzati per fornire la prestazione richiesta da parte ricorrente che, rispetto alla domanda relativa al rimborso delle spese già sostenute all’estero, la Regione era priva di legittimazione passiva. Il Ministero della Salute si è costituito eccependo, preliminarmente, la nullità dell’atto di chiamata in causa del Ministero e, nel merito, la necessità di un intervento legislativo per dare attuazione alla decisione della Corte Costituzionale. Espletata la c.t.u., sentita la discussione delle parti, all’udienza del 29 marzo 2017 il giudice ha riservato la decisione. In primo luogo, alla luce delle conclusioni rassegnate da parte ricorrente nel ricorso ex articolo 297 c.p.c., occorre ribadire che la domanda volta ad ottenere la restituzione delle somme versate dai ricorrenti per eseguire la diagnosi preimpianto presso centri siti all’estero deve essere dichiarata inammissibile per difetto dei requisiti previsti dall’articolo 700 c.p.c. requisiti, peraltro, neanche specificamente allegati in merito alla detta domanda da parte ricorrente . Orbene, occorre esaminare la fondatezza delle domande formulate da parte ricorrente alla luce di quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 96 del 2015. Nella detta pronuncia la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, numero 40 norme in materia di procreazione medicalmente assistita” , nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b , della legge 22 maggio 1978, numero 194 Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza , accertate da apposite strutture pubbliche. Con questa pronuncia, il giudice delle leggi si è posto il problema del coordinamento delle disposizioni censurate artt. 1, commi 1 e 2 e 4, comma 1, della legge numero 40 del 2004 con la legge numero 194 del 1978 che disciplina l’ipotesi della interruzione volontaria di gravidanza, al fine di rimuovere le antinomie delle menzionate discipline. Ed invero, come affermato dalla Corte, se è consentito ricorrere all’aborto terapeutico qualora siano riscontrate gravi malattie del feto destinate ad inevitabili ripercussioni sul benessere psico-fisico della donna, appare irragionevole vietare la diagnosi genetica pre-impianto da effettuarsi sull’embrione in vitro idonea a prevenire gli stessi problemi in una fase ancora più anticipata, e dunque con minori rischi per la salute della donna, consentendo a quest’ultima la preventiva acquisizione di informazioni sulle condizioni di salute dell’embrione. Nel bilanciamento di contrapposti interessi si è data dunque prevalenza alla tutela della salute della donna - intesa in senso ampio, come salute psico-fisica - rispetto alla tutela dell’embrione come peraltro già avvenuto con la sentenza numero 151 del 2009, che aveva già profondamente inciso sull’impianto della legge numero 40 del 2004 . Il Giudice delle leggi ha pertanto individuato due requisiti per la liceità dell’accesso delle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili alla PMA la gravità del danno o del pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione e la necessità di un accertamento da parte di apposita struttura pubblica specializzata. Prima di esaminare compiutamente tali requisiti, non appare inutile ricordare che la Corte Edu, nella sentenza Costa e Pavan contro Italia, ha affermato che il desiderio dei ricorrenti di mettere al mondo un figlio non affetto dalla malattia genetica di cui sono portatori sani e di ricorrere, a tal fine, alla procreazione medicalmente assistita e alla diagnosi preimpianto rientra nel campo della tutela offerta dall’articolo 8. Una tale scelta costituisce, infatti, una forma di espressione della vita privata e familiare dei ricorrenti”. Tanto premesso, con riferimento al primo requisito, si osserva quanto segue. La patologia genetica deve essere valutata alla stregua del criterio di gravità, di cui all’articolo 6 comma 1, lettera b della l. 194/1978”. La l. 194 del 1978 diventa, pertanto, il parametro di valutazione per determinare i casi di ammissione alla diagnosi preimpianto di coppie fertili solo se la donna può abortire dopo la diagnosi prenatale, infatti, il sacrificio del suo diritto alla salute è ingiustificato e dunque incostituzionale non essendo bilanciato dalla tutela del nascituro esposto al rischio dell’aborto . La Corte traccia, pertanto, un evidente parallelismo tra aborto dopo i primi 90 giorni ed accesso alla PMA delle coppie fertili. A tal proposito, giova ricordare che l’articolo 6, comma 1, lettera b l. 194/1978 prevede che L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata b quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La norma richiede che le patologie del nascituro 1 siano state accertate 2 siano rilevanti 3 che il pericolo della salute fisica o psichica della donna sia grave”, così da giustificare l’aborto. Dunque, secondo il giudice costituzionale, è la realtà e la gravità del danno o del pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione” per usare le parole della Corte nella sentenza 27 del 1975 la giustificazione costituzionalmente difendibile per consentire una regressione di tutela del concepito. La donna deve, pertanto, accusare circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica”. A tali considerazioni deve poi aggiungersi che la selezione preventiva degli embrioni, nel caso che ci occupa, non è volta alla selezione di un embrione sano” o dotato di particolari caratteristiche biotipiche e quindi per il perseguimento di illegittimi fini eugenetici”, come ricordato dalla citata sentenza 162/2014 , ma esclusivamente alla scelta dell’embrione privo della specifica e grave patologia geneticamente trasmissibile di cui è portatore uno dei genitori. La Corte Costituzionale, con riferimento alla seconda condizione, ha poi precisato che le patologie dovranno essere adeguatamente accertate, per esigenze di cautela, da parte di apposita struttura pubblica specializzata”. La Corte pone un obbligo procedurale al legislatore e non solo, atteso che la natura degli ambiti da disciplinare, in realtà, è anche di livello regolamentare e richiama la competenza del Ministero della Salute individuando, per lo stesso i seguenti compiti 1 individuare le patologie che consentono l’accesso alla PMA di coppie fertili 2 farne un elenco alla luce delle acquisizioni fornite dalla scienza medica 3 tenere un costante obbligo di aggiornamento verso l’evoluzione tecnico scientifica nel campo 4 aggiornare l’elenco sulla base del formarsi di nuovi saperi scientifici 5 fissare le procedure di accertamento e le forme di autorizzazione. Così definito il contenuto della pronuncia della Corte Costituzione, occorre verificare se – prima ed in attesa dell’auspicabile ma a tutt’oggi irrealizzato intervento del legislatore – il giudice, chiamato a decidere il caso di specie, possa valutare la sussistenza dei predetti requisiti per verificare la fondatezza del diritto vantato dai ricorrenti. La risposta non può che essere positiva. La sentenza numero 96/2015 – che dichiara l’illegittimità costituzionale della disposizione oggetto di giudizio nella parte in cui non” come nelle classiche pronunce additive e non procede ad individuare un frammento normativo mancante, ma indica il principio generale cui ispirarsi nel riempire di contenuti la lacuna riscontrata, così da rispettare la discrezionalità del legislatore – è una sentenza additiva di principio”, con cui la Corte somministra essa stessa un principio cui il giudice comune è abilitato a fare riferimento per porre frattanto rimedio all’omissione in via di individuazione della regola del caso concreto, in attesa di un intervento legislativo” sent. numero 295 del 1991 . Il Giudice, pertanto, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa della Regione Lombardia e del Ministero della Salute, è chiamato a fare riferimento ai principi stabiliti nella sentenza numero 96 del 2015 e, in attesa dell’intervento del legislatore, ad individuare la regola del caso concreto, così da garantire una tutela effettiva del diritto leso ai sensi degli artt. 2, 3 24 Cost, 6, 13 Cedu e 47 della Carta di Nizza . A tali considerazioni deve poi aggiungersi che, nella stessa pronuncia numero 96/2015, la Corte invoca un futuro intervento del legislatore, ritenendolo però auspicabile” ed opportuno”, e dunque non indispensabile, per dare immediata precettività alla normativa residua. Tanto premesso, occorre verificare se sussistano le due condizioni poste dalla Corte Costituzionale. In merito al requisito della gravità, nel presente procedimento, proprio in ragione dell’assenza di una specifica individuazione di patologie che soddisfano il requisito della gravità e dovendo trovare una soluzione per il caso concreto, è stata disposta una c.t.u. Dalla relazione di CTU espletata nel presente procedimento, le cui conclusioni meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, a firma della dott.ssa M. B., specialista in Genetica Medica , è emerso che - D. S. è affetto da Osteocondromi multipli ereditari HMO , in precedenza definita Esostosi Multipla Ereditaria, patologia caratterizzata dall’insorgenza di multipli osteocondromi, tumori benigni costituiti da tessuto osseo ricoperto di cartilagine, che si sviluppano più comunemente dalle metafisi delle ossa lunghe - il numero degli osteocondromi, la localizzazione ossea ed il grado di deformità è variabile, anche all’interno della stessa famiglia - il dolore è lamentato e sperimentato dalla maggioranza dei pazienti e spesso porta al ricorso alla chirurgia. È spesso lamentata la limitazione articolare. Alcune esostosi possono interferire con il normale sviluppo del piatto di accrescimento, dando origine a deformità dell’arto. Si riscontra un tasso elevato di deformità del ginocchio. Possono influenzare anche l’accrescimento longitudinale dell’osso un quarto dei pazienti presenta una discrepanza nella lunghezza degli arti che spesso richiede un intervento chirurgico - l’HMO non si limita alle sole complicanze fisiche, ma ha un forte impatto anche sulla vita quotidiana. Più della metà dei bambini incontrano difficoltà scolastiche, specialmente nell’attività fisica, nella scrittura e nelle funzioni correlate al PC. La metà dei pazienti adulti che sperimentano dolore hanno problemi con la propria attività lavorativa, con il 28% che sospende la propria attività ed il 21% che necessita di ricollocamento. Sono spesso incapacitati a svolgere attività sportive. Le deformità degli arti e la bassa statura sono spesso considerati problemi estetici importanti. Per tutti questo motivi l’HMO può essere fonte di gravi ripercussioni psicologiche nei soggetti affetti - la complicanza più temuta dell’HMO è la trasformazione maligna di un osteocondroma preesistente in un condrosarcoma secondari la letteratura più recente ha stimato una frequenza di trasformazione pari al 2,7% - l’approccio dell’HMO è sostanzialmente chirurgico. I soggetti affetti dal HMO vanno incontro a molteplici interventi chirurgici talvolta anche più di 20 per rimuovere osteocondromi sintomatici o correggere deformità ossee - il trattamento delle lesioni dolorose, anche in assenza delle deformità ossee, consiste nell’escissione chirurgica, cioè la resezione alla base dell’osteocondroma, includendo il cup cartilagineo e il pericondrio sovrastante per prevenire la ricorrenza - l’HMO è una patologia monogenica a trasmissione autosomica dominante. La penetranza tasso degli individui portatori di mutazione che sviluppano una sintomatologia clinica è approssimativamente 96% nelle femmine e 100% nei maschi. La prole di un individuo affetto ha il rischio pari al 50% di ereditare la mutazione patogenetica, indipendentemente dal sesso. Premessi tali elementi generali relativi all’HMO, il CTU, con riferimento alla posizione dei ricorrenti, ha precisato che - D. S., nato il 29.12.1983, è affetto dall’HMO diagnosi eseguita all’età di 4 anni - il ricorrente ha sviluppato numerosi osteocondromi sia a livello degli arti superiori sia a livello degli arti inferiori, che hanno comportato sintomatologia dolorosa e/o deficit funzionali. Nel tentativo di risolvere tali complicanze è stato sottoposto a numerosi interventi chirurgici ed in diverse sedi, dall’età infantile primo intervento a 7 anni fino all’età adulta - la coppia B. S. si è rivolta al Centro di Consulenza Genetica dell’Ospedale San Gerardo di Monza per conoscere il loro rischio riproduttivo per la patologia dalla quale è affetto il ricorrente ed in quella sede è stato riferito loro che la modalità di trasmissione della mutazione della prole è del 50% - la coppia si è successivamente recata al centro di procreazione medicalmente assistita Mediterranean Fertility Center di Atene, ove, in seguito alla PGD ed all’individuazione di 2 embrioni non portatori della mutazione patogenetica su 4 embrioni totali , i due embrioni sani sono stati impiantati, senza successo. A fronte dei predetti elementi, occorre verificare se l’esigenza di tutelare la salute della madre, odierna ricorrente, sia tale da legittimare una protezione mediata, per come disegnata nella sentenza della Corte Costituzionale del concepito, onde giustificare la PGD nel percorso di PMA. Ritiene questo giudice che le circostanze emerse dalla relazione svolta dall’ausiliario del giudice siano tali da far ritenere, in via presuntiva, che, in caso di procreazione di un concepito affetto dal HMO, la salute psichica della sig. B. correrebbe un serio pericolo”. Devono, infatti, essere considerati, in particolare, i seguenti elementi un soggetto affetto da HMO è destinato ad andare incontro a continui episodi di dolore ed alla necessità di sottoporsi a numerosi interventi chirurgici per rimuovere le deformità ossee la cui localizzazione e gravità è variabile la patologia in esame non è limitata alle sole complicanze fisiche, ma ha un forte impatto anche sulla vita quotidiana in termini di difficoltà scolastica per i bambini, ed in forti limitazioni per l’attività fisica e lavorativa per gli adulti vi è un rischio di trasmissione pari al 50%. A tali considerazioni deve poi aggiungersi come il compagno della ricorrente sia stato sottoposto a numerosi interventi chirurgici sperimentando, così, in via diretta la gravosità e l’afflittività delle conseguenze sopra declinate e come la coppia, sin dal 2013, si sia rivolta ad un Centro di Consulenza Genetica proprio per conoscere il rischio riproduttivo. I predetti elementi portano a ritenere che la probabile deformità degli arti, il dolore associato alla malattia, la necessità di sottoporsi a continui interventi chirurgici e le evidenti ripercussioni negative sulla vita quotidiana del nascituro rappresentino circostanze che, presuntivamente, possono portare a ritenere che l’intraprendere una gravidanza con un embrione affetto da HMO comporterebbe un serio rischio per la salute psichica della sig. B Occorre, a questo punto, verificare il rispetto della seconda condizione posta dal Giudice delle Leggi, relativa all’esistenza di una struttura pubblica” che abbia caratteri ispirati al principio costituzionale di cautela, espresso nella sentenza. In primo luogo si osserva che, ai sensi della l. numero 40 del 2004, articolo 10, tutte le strutture autorizzate a svolgere la PMA devono rispondere a requisiti tecnico scientifici e inoltre sottoporsi a controlli esterni. Tanto premesso, si osserva che la Corte non ha richiamato l’articolo 8 della l. 194/1978 che individua una serie di strutture abilitate a svolgere l’aborto , ma ha fatto un riferimento al carattere pubblico della struttura. In ossequio al principio di cautela, che permea l’intera decisione, ritiene questo giudice che in questa fase debba verificarsi che si tratti di struttura pubblica abilitata a svolgere la PGD e soggetta ad autorizzazioni pubbliche e controlli specifici. Nel caso in esame è pacifico che la Fondazione IRCCS CA’ GRANDA Ospedale Maggiore Policlinico di Milano sia una struttura pubblica abilitata a svolgere la PGD e sottoposta ad autorizzazioni e controlli pubblici. In particolare, l’Ospedale Maggiore Policlinico – come risulta dai documenti prodotti dalla stessa parte resistente – nella determinazione numero 2629, adottata l 12.12.2014, ha stabilito di procedere all’effettuazione della diagnosi preimpianto, ancorchè non dovuta, nei confronti delle coppie che possono procedere alla PMA, ai sensi della L. 40/2004”, di prevedere che il percorso e le procedure di diagnosi preimpianto siano effettuate per le some malattie genetiche, che in ragione del grado di trasmissibilità, del rischio di trasmissione e del livello di espressività, siano mortali o abbiano un rilevante impatto sulla qualità della vita e previa verifica della presente all’interno delle strutture della Fondazione delle necessarie competenze di carattere diagnostico, laboratoristico e assistenziale relative alla diverse malattie geneticamente trasmissibili” e di definire che, allo stato attuale, la suddetta verifica risulta positiva con riferimento a emofilia, talassemia e fibrosi cistica”. Appare pertanto del tutto integrato anche il secondo requisito posto dalla Corte Costituzionale. Con riferimento ai requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici generali del centro di PGD abilitato a svolgere l’analisi preimpianto relativo all’HMO – aspetti specificamente censurati dalle difese di parte resistente e dei terzi chiamati – si osserva come, nel caso in esame, trattandosi di Ospedale nel quale la PGD viene già effettuata sebbene solo per tre malattie genetiche , non può essere revocato il dubbio il possesso dei requisiti organizzativi e strutturali. Difetta invece, come affermato da parte resistente e non contestato dalle altre parti, il requisito tecnologico relativo alla specifica strumentazione necessaria. A tal proposito si osserva come il diritto alla tutela della salute trovi il suo fondamento nell'articolo 32 Cost., comma 1, quale fondamentale diritto dell'individuo, che deve ricevere una tutela sostanziale effettiva - tutela effettiva che, come di recente affermato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia 238/2014, trova negli artt. 2, 3 e 24 Cost. i riferimenti del nesso tra diritto di adire il giudice e diritti inviolabili della persona. Non può non essere ricordato, inoltre, che il diritto dei ricorrenti – di mettere al mondo un figlio non affetto dalla medesima patologia genetica dalla quale è affetto uno dei due genitori – costituisce una forma di espressione della vita privata e familiare dei ricorrenti, tutelata dall’Art. 8 della Cedu e dall’articolo 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, diritti ai quali, ai sensi degli artt. 6, 13 della Cedu e 47 della citata Carta dei Diritti deve essere garantita una tutela effettiva. Con riferimento agli ostacoli di ordine tecnico, legati all’indisponibilità delle strumentazioni tecniche necessarie ad eseguire la specifica analisi preimpianto richiesta dai ricorrenti, si osserva quanto segue. In via generale, non pare inutile ricordare che, secondo un principio desumibile dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è garantito ad ogni persona come un diritto costituzionalmente condizionato all'attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti ex plurimis, sentenze numero 267 del 1998, numero 304 del 1994, numero 218 del 1994 . Bilanciamento che, tra l'altro, deve tenere conto dei limiti oggettivi che il legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone, restando salvo, in ogni caso, quel nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana sentenze numero 309 del 1999, numero 267 del 1998, numero 247 del 1992 , il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l'attuazione di quel diritto. Anche a prescindere dalla disponibilità delle attrezzature e degli equipaggiamenti necessari, si deve ritenere, in ogni caso, che il nucleo essenziale di un diritto fondamentale, qual è quello alla salute, cui la predetta prestazione va ricondotta, non può giammai essere posto in discussione, pur in presenza di situazioni congiunturali particolarmente negative c.d. diritti finanziariamente condizionati cfr., tra le altre, Corte costituzionale, sentenze numero 248 del 2011 e numero 432 del 2005 . Il punctum discriminis, in questa specifica materia – come osservato recentemente dal Consiglio di Stato nella sentenza numero 3297/2016 relativa ad una determinazione della Regione Lombardia che aveva distinto la fecondazione omologa da quella eterologa, finanziando la prima e ponendo a carico degli assistiti la seconda - non può essere rinvenuto nelle sole esigenze finanziarie che, pur dovendo essere preservate in un ragionevole contemperamento di altri beni costituzionali v., in particolare, artt. 81 e 117, comma secondo, lett. e Cost. , mai possono sacrificare interamente il nucleo irriducibile e indefettibile del diritto alla salute”. Anche il riferimento della Regione Lombardia alla mancata inclusione dei L.E.A., perciò, non appare decisivo, poiché esso non impedisce alla Regione – che, come nella specie, non versi in uno stato di dissesto finanziario - di ammettere, nell’ambito della propria autonomia garantita anche dall'articolo 117 Cost., l'erogazione di prestazioni sanitarie aggiuntive rispetto ai L.E.A., laddove disponga di risorse finanziarie utili a tal fine. Per altro verso, accertato il diritto alla prestazione medica, qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell'impossibilità di erogarla tempestivamente in forma diretta, deve ritenersi che tale prestazione possa essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie cfr. legge 23.10.1985, numero 595, articolo 3 . Infine, con riguardo al requisito del periculum in mora, è sufficiente osservare come, anche in ragione dell’età della sig. B. 36 anni e della grave patologia del ricorrente, il pericolo nel ritardo sia conseguente alla condizione degli odierni ricorrenti, per i quali il decorrere del tempo necessario per la tutela ordinaria cagionerebbe certamente un pregiudizio non risarcibile alla salute fisica e psichica di entrambi, in ragione dell’ aumento della percentuale di insuccesso delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. In ragione della assoluta novità della questione trattata e della decisione della Corte Costituzionale, intervenuta nel corso del giudizio, le spese di lite, nonché le spese di CTU, possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. In accoglimento del ricorso, a accerta il diritto di R. B. e D. S. ad ottenere, nell’ambito dell'intervento di procreazione medicalmente assistita, l'esame clinico e diagnostico sugli embrioni e il trasferimento in utero della Sig.ra B. solo degli embrioni sani o portatori sani delle patologie il sig. S. risulta affetto b dispone che la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in persona del legale rappresentante, esegua, nell'ambito dell'intervento di procreazione medicalmente assistita, l'esame clinico e diagnostico sugli embrioni e trasferisca in utero della Sig.ra R. B., qualora da lei richiesto, solo gli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui il sig. S. risulti affetto, mediante le metodologie previste in base alla scienza medica c dispone che, qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell'impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione possa essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie d dichiara inammissibile la domanda relativa ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per effettuare i trattamenti di PGD in Centri medici stranieri e compensa integralmente tra le parti le spese di lite e le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di Sua competenza.