Unioni civili: sì del Tribunale di Lecco al mantenimento del cognome comune

Deve essere disapplicato, in via d’urgenza, l’art. 8 d.lgs. n. 5/2017, nella parte in cui impone all’Ufficiale di stato civile di annullare dalla schede anagrafiche l’annotazione relativa alla scelta del cognome comune dell’unione civile, fatta in forza del precedente d.P.C.M. n. 144/2016, trattandosi di disposizione lesiva della dignità della persona e dell’interesse superiore del minore.

Lo ha affermato il Tribunale di Lecco con ordinanza del 4 aprile 2017. Il caso. Tizia e Caia si sono unite civilmente, decidendo, ex art. 1, comma 10, l. n. 76/2016, di assumere come cognome comune quello di Tizia Caia dunque ha assunto un doppio cognome anagrafico, il proprio e quello di Tizia, come previsto dal d.P.C.M. n. 144/2016 che è stato trasmesso anche a Sempronia, figlia di Caia. La scelta del cognome comune era stato annotato dall’Ufficiale di stato civile nelle relative schede dalla modifica del cognome era seguito anche il cambio di codice fiscale. A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2017 che all’art. 8 ha previsto la cancellazione d’ufficio dell’annotazione del doppio cognome - Caia si è rivolta al Tribunale di Lecco per ottenere, ex art. 700 c.p.c., inibitoria, concessa con decreto inaudita altera parte del 9 marzo 2017. Necessario disapplicare il d.lgs. n. 5/2017 se lede il diritto all’identità della persona. Il Tribunale ha confermato il precedente provvedimento, assumendo che i in forza del d.P.C.M. n. 144/2016 le parti dell’unione, come previsto dall’art. 1, comma 10, l. n. 76/2016, potevano scegliere un cognome comune in tal caso, una di esse poteva modificare il proprio cognome anagrafico , anteponendo o posponendo al proprio quello dell’altra parte, provvedendosi poi alle relative annotazioni ii il d.lgs. n. 5/2017 pare invece aver degradato il diritto al cognome comune a mera facoltà di utilizzo del cognome dell’altra iii il medesimo decreto delegato prevede la cancellazione dalle schede anagrafiche dell’annotazione del cognome comune iv la modifica legislativa, indipendentemente dalla valutazione della sua incostituzionalità quanto meno sotto il profilo dell’eccesso di delega ove applicata al caso di specie determinerebbe, però, una lesione irreparabile alla dignità personale della parte dell’unione che aveva, in forza delle legge rationae temporis applicabile, modificato il proprio cognome, e sarebbe dunque in stridente contrasto con gli artt. 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonché con l’art. 8 CEDU v la modifica del cognome della madre sarebbe altresì in contrasto con il superiore interesse della figlia, cui il doppio cognome era stato trasmesso. Il Tribunale si occupa anche di risolvere la questione sollevata dal Ministero dell’interno precisando che Non è vero che non vi sarebbe stato alcun consolidamento delle situazioni giuridiche poiché la bambina ha assunto sin dalla nascita un doppio cognome, utilizzato anche per le pratiche amministrative e sanitarie a lei riferibili, mentre la madre ha fatto affidamento sulla modifica anagrafica del proprio cognome per spenderlo nella propria attività professionale. Alla luce delle superiori motivazioni, il Tribunale ha riconosciuto il diritto alla tutela d’urgenza invocato dalla ricorrente, disapplicando l’art. 8 d.lgs. n. 5/2017 nella parte in cui dispone l’annullamento delle annotazioni effettuate in esecuzione del d.P.C.M. n. 144/2016 da parte dell’Ufficiale dello stato civile, trattandosi di norma in palese contrasto con i principi di diritto comunitario e sovranazionale. Fonte www.ilfamiliarista.it

Tribunale di Lecco, sez. I, ordinanza 4 aprile 2017 Giudice Trovò In estrema sintesi giova rammentare che la vicenda in esame si caratterizza per l'avvicendamento di leggi che hanno consentito l'assunzione -anche i fini anagraficida parte della ricorrente omissis e della figlia omissis di un cognome, di cui oggi dovrebbero essere formalmente private salva la possibilità di utilizzarlo come mero cognome d'uso , secondo la nozione che parrebbe emergere dalla relazione illustrativa del D.Lgs. n. 5/2017 . Va quindi anzitutto valutato se gli effetti prodotti da tale avvicendamento di norme siano di per sé compatibili con la tutela, anche sovranazionale, dei diritti fondamentali della persona umana senza dovere necessariamente scendere nel merito se la cd. legge Cirinnà abbia effettivamente introdotto un nuovo diritto al cognome dell'unione civile e se eventualmente tale nuovo diritto sia esplicazione del diritto al nome ed all'identità personale . Vero è che il nome ed il cognome di una persona sono un elemento costitutivo della sua identità personale, della sua dignità e della sua vita privata, la cui tutela è garantita non solo dalle norme del nostro ordinamento, ma anche dalle norme sovranazionali ed in particolare dagli art. 1 La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata e 7 Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, oltre che dall'art. 8 Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. L'art. 6 del nostro codice civile sancisce che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito , facendo riferimento esplicito alla necessaria coesistenza di due differenti ordini di interessi, cui ricondurre la funzione del nome 1 l'esigenza pubblica di distinguere ed individuare i cittadini al fine di garantire l'adeguato svolgimento della vita sociale e giuridica 2 la garanzia di protezione e tutela della personalità, il nome adempiendo, pertanto, alla funzione di tutelare il diritto alla proiezione sociale della persona. Proprio dalla funzione di identificazione sociale derivano le norme imposte dal legislatore al fine di regolare in modo rigoroso le modalità di acquisto e la pubblicità del nome della persona fisica. Allo scopo di garantire la certa individuazione dei consociati, l'art. 6 cc. sottrae all'autonomia privata il potere di disporre del nome, nel senso di operare possibili cambiamenti, aggiunte o rettifiche. Il cognome rappresenta una delle due articolazioni del diritto al nome e la sua funzione è quella di radicare e collegare l'individuo con la propria comunità familiare di appartenenza anch'esso assume un ruolo fondamentale per garantire la certezza della propria identità personale nell'ambito del gruppo familiare di rilevanza sociale, pertanto il diritto al cognome è considerato, come il nome, diritto costituzionale della persona quale diritto all'identità personale e in quanto diritto alla personalità è inviolabile ai sensi dell'art. 2 della Costituzione. A ciò si aggiunga che il diritto del figlio alla conservazione del proprio status familiare ed alla salvaguardia della propria identità, quale principio fondamentale dell'individuo, recentemente sta ottenendo sempre maggiori riconoscimenti dalla giurisprudenza Non può del resto omettersi di considerare che l'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea sancisce che ''In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente e che tale interesse si esplica anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale. Non deve quindi dubitarsi della circostanza che non solo la tutela del diritto al nome sia immanente al diritto alla vita privata ed al diritto alla dignità personale, ma anche che nell'attuare tale tutela debba essere rispettato il preminente interesse del minore. Nella vicenda in esame, proprio per effetto di una disciplina legislativa il combinato disposto dell'art. 1, comma 10 della legge 76/2016 e dell'art. 4 DPCM 144/2016 è stato consentito a omissis di modificare, anche ai fini anagrafici, il proprio cognome da omissis a successivamente trasmettendo il nuovo doppio cognome alla figlia OMISSIS. Invece, in seguito all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 5/2017 ed all'esecuzione dell'annullamento prescritto dall'art. 4, comma 2, la madre dovrebbe nuovamente modificare il proprio cognome e la figlia dovrebbe acquistare solo quello della madre. Che questa sia stata la portata delle norme appena richiamate, è circostanza dichiarata dal legislatore proprio nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo successivamente approvato come D.Lgs. n. 5/2017 , nella quale si ammette che l'opzione interpretativa adottata è differente rispetto a quella del DPCM n. 144 ed evidentemente non va più nel senso dell'incidenza del comma 10 della legge Cirinnà sul diritto al nome ed all'identità personale, bensì nel senso di una rilevanza del tutto minore della modifica del cognome, come semplice cognome d'uso per la durata dell'unione civile stessa e ciò al fine evitare che si produca il mutamento anagrafico anche del cognome del figlio della parte dell'unione civile che porti il cognome diverso da quello dell'unione. In questa sede di tutela cautelare d'urgenza non compete a questo giudice valutare se abbia diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento la nozione di un cognome d'uso , invero sinora estranea anche alla disciplina del matrimonio. Infatti, alle luce di quanto premesso in ordine alla tutela sovranazionale del diritto alla dignità personale, non occorre nemmeno valutare se la successione di leggi nel tempo e la prescrizione dell'annullamento delle annotazioni anagrafiche già eseguite sia compatibile con i principi della Costituzione italiana, il vaglio del Tribunale potendosi arrestare alla constatazione che l'avvicendamento di norme ha senz'altro prodotto nella fattispecie in esame una lesione della dignità della persona e dell'interesse supremo del minore, che trovano tutela nei sopra richiamati principi fondamentali dell'Unione Europea. In altre sedi si potrà e dovrà valutare se la disposizione secondo cui per le parti dell'unione civile, le schede anagrafiche devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile sia o meno incostituzionale, quantomeno sotto il profilo dell'eccesso di delega, mentre in questa sede è sufficiente rilevare che la disposizione che ha inteso applicare retroattivamente tale regola, in aperta contraddizione con la normativa transitoria del DPCM 144 cit, disponendo l'annullamento delle annotazioni già eseguite nel vigore del detto DPCM e quindi privando le parti interessate del cognome già legalmente ed anagraficamente acquisito, appare lesiva del diritto alla dignità ed identità personale, del diritto al nome e dell'interesse supremo del minore, sanciti anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Non è vero infatti quanto rilevato dal Ministero dell'Interno nella comparsa costitutiva, e cioè che non vi sarebbe stato alcun consolidamento delle situazioni giuridiche. La piccola omissis , sin da quando è nata omissis ha assunto il doppio cognome proprio in applicazione della norme di legge vigenti all'epoca della sua nascita e per mesi ha portato quel cognome, che è stato utilizzato in tutti i documenti che le si riferiscono ed in tutte le pratiche amministrative e sanitarie. D'altra parte omissis ha fatto affidamento nella modifica anagrafica del proprio cognome per spenderlo nella sua attività professionale, acquisendo un nuovo codice fiscale ed appunto trasmettendo il proprio cognome alla figlia. La modifica anagrafica del detto cognome determinerebbe necessariamente la modifica del cognome della figlia. Ai fini di riconoscere alle odierne ricorrenti il diritto alla tutela d'urgenza invocata è quindi sufficiente rilevare che l'art. 3, comma 8 del D.Lgs. n. 5/2017 nella parte in cui ha disposto che l'ufficiale dello Stato Civile annulli le annotazione effettuate in esecuzione del DPCM 144/2016 si pone in contrasto con i principi del diritto comunitario sopra richiamati e che tanto è sufficiente per giustificare la disapplicazione del citato art. 4, comma 2 del D.Lgs. n. 5/2017. E' noto infatti che il giudice nazionale, nel rispetto del principio del primato del diritto dell'Unione, è libero, da un lato, di adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione e, dall'altro, di disapplicare, di propria iniziativa, una disposizione legislativa nazionale, anche posteriore, che egli ritenga contraria allo stesso diritto UE, ivi comprese le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali UE, che è equiparata ai Trattati, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale. Va quindi confermato il provvedimento emesso inaudita altera parte. Stante l'assoluta novità della questione, le spese di lite vanno integralmente compensate tra le parti ex art. 92 comma 2 c.p.c P.Q.M. Il Tribunale, letto l'art. 669 sexies, secondo comma, c.p.c conferma il provvedimento emesso inaudita altera parte il 9.3.2017, dichiarando integralmente compensate tra le parti le spese di lite. Si comunichi alle parti.