Il rimpatrio del minore illecitamente sottratto non può essere rifiutato solo sulla base del suo maggior benessere in Italia

In tema di sottrazione internazionale di minore, ai sensi della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, il giudizio sulla domanda di rimpatrio prescinde dalla valutazione di merito circa una possibile migliore collocazione del minore. Conseguentemente, tale domanda può essere respinta solo ove ricorra una delle condizioni ostative previste dalla Convenzione medesima nell’interesse superiore del minore, quali ad esempio il rischio di esposizione a pericoli fisici o psichici o comunque ad una situazione intollerabile, condizione che non consente però di valorizzare soltanto il benessere e la maggiore positività della sistemazione del minore nel territorio nazionale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9638/15 depositata il 12 maggio. Il caso. La complicata vicenda familiare che coinvolge le parti interessate dalla pronuncia in commento, origina dai dissidi e dalla conflittualità tra due coniugi, situazione che aveva portato alla decisione comune circa il rientro della moglie in patria Perù , portando con se il figlio di pochi mesi, per un limitato periodo di tempo. Non essendo avvenuto il concordato rientro, il padre adiva il Tribunale per i minorenni di Trieste che ordinava alla moglie di ricondurre immediatamente il figlio presso la residenza paterna, disponendo l’affido esclusivo al padre, il quale instaurava un procedimento parallelo, presso il Tribunale peruviano, per sottrazione internazionale del figlio, conclusosi a suo sfavore. Nel corso di un ulteriore procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria italiana, emergeva che il padre aveva illecitamente riportato in Italia il figlio. Conseguentemente il giudice, fermo restando quanto precedentemente disposto e al fine di tutelare il minore, disponeva il suo affidamento al Comune territorialmente competente, sebbene sussistessero i presupposti per la restituzione del bambino alla madre, il Tribunale riteneva difatti ricorrenti le condizioni ostative di cui all’art. 13, lett. b della Convenzione dell’Aja. Avverso questo provvedimento propone ricorso in Cassazione la madre, al quale resiste il padre con controricorso. La domanda di rimpatrio del minore illecitamente sottratto. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso principale sollevato dalla madre, riscontra la violazione, da parte del Tribunale per i minorenni, delle disposizioni internazionali sancite dalla Convenzione dell’Aja in materia di sottrazione internazionale di minori. Lamenta la ricorrente il mancato accoglimento della sua domanda di rimpatrio del figlio in Perù, censurando l’applicazione della condizione ostativa di cui all’art. 13, lett. b della Convenzione, fondata sul rischio che il minore possa essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici o psichici o comunque ad una situazione intollerabile. Il giudice italiano riscontrava il ricorrere della predetta condizione ostativa per l’innegabile pregiudizio fisico e psicologico che il bambino avrebbe subito a seguito di un ulteriore trasferimento, rilevando inoltre come l’assistenza dei servizi sociali stesse concretamente supportando i genitori nell’esercizio della loro potestà, secondo il principio della bigenitorialità, ponendo dunque l’accento unicamente sulla situazione per più aspetti favorevole in cui il minore si era trovato in Italia. Le condizioni ostative al rimpatrio. La fonte normativa internazionale non è però stata correttamente interpretata dal Tribunale per i minorenni, poiché, posto che il giudizio sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia circa una possibile migliore sistemazione del minore, la condizione ostativa di cui all’art. 13, lett. b deve essere ricondotta nell’interesse superiore del minore, all’esposizione ai contemplati fondati rischi, al suo rientro nel luogo estero di sottrazione, ivi, quindi, localizzandoli, e che, in questa specifica prospettiva ben può involgere l’accertamento dell’adeguatezza delle condizioni anche materiali di vita e di accudimento del minore nel luogo estero di rientro, ma non consente di valorizzare soltanto il benessere e la maggiore positività della sistemazione del medesimo minore nel territorio italiano . Il controricorso presentato dal padre, sostenendo la liceità della sua iniziativa di rientro del figlio, in conformità al duo diritto di custodia, risulta infondato, posto che la decisione sull’affidamento pronunciata dal giudice nazionale non legittima l’esecuzione personale ed autonoma del provvedimento, senza il rispetto della procedura normativamente prevista. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso principale e cassa il decreto impugnato con rinvio al giudice competente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 aprile – 12 maggio 2015, numero 9638 Presidente Luccioli – Relatore Giancola Svolgimento del processo Il Tribunale per i minorenni di Trieste, con decreto del 26.06-1.07.2014, immediatamente esecutivo, respingeva, nel contraddittorio delle parti, l'istanza volta al rimpatrio in Perù del minore D.T.E.M. , nato a omissis , proposta nei confronti del padre del bambino D.T.F. , ai sensi della legge 15 gennaio 1994 numero 64 e della Convenzione de l'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata e resa esecutiva dalla citata legge numero 64 del 1994, da C.D.R.D. , delegata dalla madre del minore C.R.D.S. . Il Tribunale per i minorenni premetteva una sintesi degli eventi fondamentali che avevano segnato la vicenda umana del nucleo del minore ed i correlati risvolti giudiziari. In particolare evidenziava che dopo un periodo di incomprensioni e conflittualità, D.T.F. e C.R.D.S. , genitori del minore D.T.E.M. , avevano concordato che dal gennaio 2011 al 2 maggio del medesimo anno la C.D. facesse col figlio ritorno in , suo paese d'origine. Non essendo il concordato rientro avvenuto, il D.T. il omissis adiva il TM di Trieste, che con decreto del 18.01.2012, impregiudicata ogni valutazione circa la decadenza della madre dalla potestà genitoriale ex art. 330 c.c. e l'irrogazione alla medesima delle sanzioni di cui all'art. 709 ter, co. 2, nnumero 2 e 4 c.p.c., ordinava alla C.D. di ricondurre immediatamente il figlio presso la residenza paterna in omissis , disponendo l'affidamento esclusivo del bambino al padre ed adottando ulteriori conseguenziali provvedimenti. Sempre nel 2011 il D.T. introduceva dinanzi all'autorità giudiziaria peruviana altro procedimento per sottrazione internazionale del figlio, che l'I 1.01.2013 veniva conclusivamente definito in senso a lui sfavorevole, nonostante un primo provvedimento in data 5.03.2012, di accoglimento della sua richiesta di rimpatrio del minore in Italia. Successivamente il medesimo D.T. proponeva dinanzi al TM di Trieste un ulteriore procedimento R.G.A.comma 557/2012 , volto alla declaratoria di decadenza della C.D. dalla responsabilità genitoriale. In pendenza di questo procedimento emergeva che il D.T. aveva illecitamente riportato in Italia il figlio, per cui l'adito TM, al fine di apprestare immediata tutela e nel contempo di completare l'istruttoria in merito all'affidamento del bambino, disponeva con decreto emesso il 31.12.2013 provvedimento urgente ed emesso inaudita altera parte che, fermo restando quant'altro disposto col precedente decreto del 18.01.2012, il minore D.T.E.M. fosse affidato, per sostegno e controllo, al Comune territorialmente competente rispetto alla residenza del medesimo, dando anche specifiche disposizioni in ordine alle modalità di svolgimento del nuovo regime. Tanto anche premessoci TM osservava e riteneva che - al D.T. andava in effetti imputata la sottrazione internazionale del figlio, da lui a novembre 2013 riportato in Italia dal Perù, ove il bambino viveva dal gennaio del 2011 con la madre che non aveva prestato il suo assenso a tale rientro - la sottrazione internazionale attuata dal D.T. si configurava come illecita anche in quanto il contenuto precettivo delle statuizioni immediatamente esecutive, di affidamento esclusivo al padre e d'imposizione alla C.D. dell'ordine di fare immediato rientro in Italia col figlio, adottate dal TM col decreto del 18.01.2012, vigenti all'epoca della seconda sottrazione internazionale, era sospeso per effetto del provvedimento emesso dalla Corte d'Appello peruviana e ciò fintantoché il Tribunale, in seno al procedimento c.d. di riesame pendente sub numero 557/2012 R.G.A.C., nell'ambito della sua plena cognitio , avesse completato l'attività istruttoria, già richiamata ed ancora in corso, e si fosse pronunciato, confermando o revocando il suddetto affidamento esclusivo al padre - sebbene in linea astratta sussistessero i presupposti di una possibile restituzione del minore alla madre, trattandosi, appunto, di sottrazione illecita, tuttavia ricorrevano le condizioni derogatorie ostative tassativamente enucleate dall'art. 13 della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, lett. b appariva invero dirimente - e riconducibile alla previsione di cui alla lett. b di tale disposizione circa un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile - l'innegabile pregiudizio psicofisico che avrebbe subito il minore a seguito di un ulteriore trasferimento, cui la decisione di accoglimento peraltro in pendenza del giudizio di riesame lo avrebbe sottoposto inevitabilmente, in caso di rimpatrio in , tenuto conto che E.M. aveva subito un primo trasferimento in quel paese all'età di otto mesi, nel gennaio del 2011, ove era rimasto per due anni e dieci mesi, fino al novembre del 2013, quindi un successivo rientro in Italia, dove si trovava ormai da otto mesi. Ancora, doveva essere apprezzato che attualmente era stata in Italia apprestata ed era in essere un'articolata rete di supporto in cui erano stati coinvolti il Servizio sociale e i Servizi specialistici, al fine di sostenere i genitori nell'esercizio delle loro funzioni ed al fine del rafforzamento delle correlate responsabilità, secondo il principio della bigenitorietà. Era stato infatti incaricato il Servizio sociale competente di avviare ampie visite tra madre e figlio al fine di garantire la continuazione del loro rapporto, nonché di svolgere osservazioni sulla relazione madre-bambino durante le visite, acquisendo informazioni sullo stato di salute del minore ed autorizzando lo stesso Servizio ad effettuare degli accessi domiciliari presso la residenza paterna al fine di valutare l'adeguatezza dei rapporti familiari e dell'ambiente di residenza del minore. Tutte le informazioni e l'evoluzione della situazione del minore in relazione ad entrambe le figure genitoriali, al suo ambiente di vita ed al suo stato psicofisico si desumevano dalle più recenti relazioni dei Servizi acquisite nell'ambito del proc. numero 557/2012 R.G.A.comma e ben note alle parti, che erano infatti le medesime parti costituite in entrambi i procedimenti. Il sostegno e l'intervento del Servizio sociale e dei Servizi specialistici, così come disposto nell'ambito dell'altro procedimento sopra indicato, allo stato sembravano salvaguardare una relativa, ma decisiva serenità nelle relazioni genitoriali, fondamentale per la tutela della sana ed equilibrata crescita psicofisica del minore in questo delicato momento, assicurando al bambino quello stato di serenità e tranquillità che rappresentava la migliore condizione per consentire tutti gli approfondimenti ancora necessari ai fini della corretta decisione nel procedimento relativo al suo affidamento. Premeva osservare che siffatta, attuale congiuntura rappresentava, innanzitutto, garanzia del migliore interesse del minore, sotto il profilo sia del suo diritto ad una sana crescita e ad un equilibrato sviluppo psicofisico, sia del suo diritto alla bigenitorialità in quanto allo stato poteva mantenere, alla luce degli interventi sociali e giuridici attuati con la compresenza dei signori C.D.S.R. e D.T.F. sul territorio, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, diritto, sotto entrambi gli indicati profili, di pregnanza costituzionale e di rilievo sovranazionale. In conclusione, lo scenario di vita che si sarebbe profilato per il minore nell'ipotesi di un suo rientro in Perù con la madre avrebbe comportato un grave pregiudizio per il bambino, il quale si sarebbe trovato nuovamente, mentre erano in corso gli approfondimenti istruttori legati al procedimento di riesame della vicenda del nucleo da parte del giudice naturale, a subire un ulteriore drastico cambiamento di vita, con tutte le inevitabili ripercussioni negative sul suo equilibrio psico-affettivo in evoluzione e, del tutto verosimilmente, con immediata perdita dell'attuale possibilità di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, come stava invece avvenendo, esclusivamente in seguito all'articolata rete di Servizi attivata ed ai plurimi sostegni messi in campo sui molteplici fronti tratteggiati. Pur potendo, invero, analogo apparato di supporto essere predisposto altresì nel paese di origine materno, nondimeno il relativo approntamento avrebbe certamente richiesto tempi non compatibili con le esigenze impellenti del minore, alla luce dei suddetti trascorsi, nonché una sospensione di fatto degli interventi in atto a sua tutela, oltre che la privazione di figure di riferimento professionali, che stavano operando con lui da mesi, il che avrebbe costituito ulteriore grave rischio di pregiudizi verosimilmente inoperabili sulla sua salute psicofisica. Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte si imponeva il rigetto della richiesta di rientro del minore D.T.E.M. , ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 13 lett. b Convenzione de L'Aja del 25/10/1980, ratificata con L. numero 64/1994. Avverso questo provvedimento notificato il 25.07.2014, C.D. , in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore D.T.C.E.M. , ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrato da memoria e notificato il 20.09.2014 al PM presso il Giudice a quo, nonché al D.T. , che il 30.10.2014 in proprio ed anch’egli nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul figlio, ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi. Motivi della decisione Preliminarmente in rito va ritenuta l'irricevibilità dei documenti prodotti dalla ricorrente ed estranei all'ambito di quelli di cui è consentito il deposito in questa sede. A sostegno del ricorso la C.D. denunzia 1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13 co. 1 lettera b della Convenzione dell'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori . 2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 16, 17 Conv. Aja e dell'art. 112 c.p.c., ex art. 360 numero 3 c.p.c. . I due ammissibili motivi del ricorso principale, coi quali la C.D. lamenta l'illegittimità del mancato accoglimento della sua domanda di rimpatrio in Perù del figlio, censurando l'applicazione della condizione ostativa all'emanazione dell'ordine di rientro prevista dall'art. 13 lett. b della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, sono suscettibili di esame unitario e meritano favorevole apprezzamento nei sensi in prosieguo precisati. Come noto cfr anche Cass. numero 5236 del 2007 numero 20365 del 2011 14792 del 2014 in tema di illecita sottrazione internazionale di minori, ai sensi della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, il giudizio sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, cosicché tale domanda può essere respinta, nel superiore interesse dello stesso, solo in presenza di una delle circostanze ostative indicate dagli artt. 12, 13 e 20 della predetta Convenzione. Il Tribunale minorile nel decretare il diniego di ritorno del minore non ha dato alcun rilievo al disposto dall'art. 20 della Convenzione, richiamato nel ricorso, e, poiché la richiesta materna di rimpatrio era stata presentata entro l'anno dal trasferimento del figlio, non avrebbe potuto valorizzare l'integrazione del bambino in Italia ha, invece, ritenuto sussistente la circostanza ostativa contemplata dall'art. 13 lett. b ossia accertato che per effetto del ritorno il minore sarebbe stato esposto al fondato rischio di pericoli fisici o psichici, o si sarebbe potuto trovare in una situazione intollerabile. Peraltro, nella valutazione della sussistenza di tali circostanze il Tribunale ha posto l'accento unicamente sulla situazione per più aspetti favorevole in cui il bambino era venuto a trovarsi dopo il suo trasferimento illecito in Italia ad opera del padre, considerando anche che dalla madre era già stato del pari illecitamente trattenuto in Perù. La considerata situazione è di per sé estranea alla fattispecie derogatoria prevista dal citato art. 13 lett. b in tema cfr Cass. numero 9499 del 1998 , che rettamente intesa riconduce, nell'interesse superiore del minore, l'esposizione ai contemplati fondati rischi, al suo rientro nel luogo estero di sottrazione, ivi, quindi, localizzandoli, e che, in questa specifica prospettiva ben può involgere l'accertamento dell'adeguatezza delle condizioni anche materiali di vita e di accudimento del minore nel luogo estero di rientro, ma non consente di valorizzare soltanto il benessere e la maggiore positività della sistemazione del medesimo minore nel territorio italiano in tema, cfr anche Cass. numero 5236 del 2007 numero 10577 del 2003 , atti invece ad incidere sul diverso ambito del suo affidamento e/o collocamento. Col ricorso incidentale condizionato il D.T. deduce 1. Violazione o falsa applicazione dell'art. 3 della Convenzione Aja 25.10.1980 ex art. 360 numero 3 c.p.c. . Il ricorrente sostiene la liceità della sua iniziativa di rientro del figlio, in quanto avvenuta in conformità del suo diritto di custodia del bambino la censura, che tra l'altro non centra la specifica ratio decidendi correlata alla sospensione dell'efficacia del decreto di affidamento del minore al solo padre, è infondata, giacché la decisione sull'affidamento emessa dal giudice nazionale non legittima l'esecuzione personale ed autonoma del provvedimento da parte dell'affidatario il quale, agendo di sua iniziativa, senza il rispetto della procedura per l'esecuzione all'estero di un provvedimento del giudice nazionale, realizza il fatto materiale della sottrazione del fanciullo all'altro genitore e del successivo trasferimento in altra nazione, che integra il presupposto per l'applicazione dell'art. 3 della Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 Cfr. Cass. numero 13167 del 2004 . Per il resto le doglianze inammissibilmente introducono generici rilievi critici e nuove ed assiomatiche circostanze di fatto. 2. Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'applicazione dell'art. 13 numero 1 lettera b della Convenzione dell'Aja 25.10.1980 . Il motivo è inammissibile per difetto di soccombenza. Conclusivamente si deve accogliere il ricorso principale nei precisati sensi e quanto al ricorso incidentale respingere il primo motivo e dichiarare inammissibile il secondo, con conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, respinge il primo motivo e dichiara inammissibile il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione. Ai sensi dell'art. 52, comma 5, del D.Lgs. numero 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.