Il precedente tenore di vita non è l’unico criterio per determinare l’assegno divorzile

In tema di scioglimento del matrimonio, il principio di diritto vivente” che impone al giudice di determinare l’ammontare dell’assegno di mantenimento in base al precedente tenore di vita dai coniugi, non è assoluto, dovendo trovare contemperamento negli ulteriori criteri previsti dall’art. 5, comma 6, l. n. 898/70.

Il principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 11/2015, depositata l’11 febbraio. I presunti vizi di incostituzionalità. Nel corso di un giudizio civile per scioglimento del matrimonio, instaurato presso il Tribunale di Firenze, il giudice ha ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/70, come modificato dalla l. n. 74/87. Dall’interpretazione della norma, che il giudice assume consolidata nel c.d. diritto vivente”, risulta che, in presenza di una disparità economica tra coniugi, l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio. Il remittente ritiene censurabile la norma con riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, per la contraddizione logica tra la ratio dell’istituto del divorzio di porre fine ad ogni effetto del matrimonio e la disciplina in questione, la quale di fatto proietta, ben oltre il vincolo matrimoniale, il mantenimento del tenore di vita ad esso riconducibile. Si aggiunga inoltre il presunto eccesso di solidarietà, in relazione all’art. 2 Cost., nonché la violazione dell’art. 29 Cost. per l’espressione di una concezione criptoindissolubilista del matrimonio, oggi anacronistica. La questione non è fondata altri criteri concorrono alla determinazione dell’assegno. La questione di illegittimità costituzionale così proposta, si fonda su un principio interpretativo consolidatosi nel diritto vivente che non trova però riscontro nelle linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di Cassazione, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica. Il consolidato orientamento di quest’ultima, ribadito anche di recente in sede di esegesi della normativa impugnata, afferma il principio per cui il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio rileva ai fini della determinazione in astratto del tetto massimo della misura dell’assegno in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso , ma concorre poi in concreto nel bilanciamento, da operare caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5. Questi ultimi, riferendosi ad elementi quali la condizione ed il reddito dei coniugi, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, la durata del matrimonio e le ragioni della decisione, agiscono in moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, potendo addirittura valere ad azzerarla. Sulla base dell’interpretazione così fornita, i Giudici delle Leggi dichiarano infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale toscano.

Corte Costituzionale, sentenza 9 – 11 febbraio 2015, n. 11 Presidente Criscuolo – Redattore Morelli Sentenza Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio , come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio , promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento vertente tra F.G. e M.P., con ordinanza del 22 maggio 2013, iscritta al n. 239 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2013. Visti l’atto di costituzione di F.G., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli uditi l’avvocato Filippo Donati per F.G. e l’avvocato dello Stato Paolo Marchini per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.– Nel corso di un giudizio civile per scioglimento di matrimonio, l’adito Tribunale ordinario di Firenze ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione – ed ha, per ciò, sollevato, con l’ordinanza in epigrafe – questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio , come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio , nell’interpretazione, che assume consolidatasi in termini di diritto vivente, per cui, in presenza di una disparità economica tra coniugi, l’assegno divorzile [] deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio . Ad avviso del rimettente, la norma, così censurata si porrebbe, infatti, in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto l’assegno di divorzio, pur avendo una finalità meramente assistenziale, finirebbe con l’attribuire l’obbligo di garantire per tutta la vita un tenore di vita agiato in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole con l’art. 2 Cost., sotto il profilo del dovere di solidarietà, in quanto la tutela del coniuge debole non comporterebbe l’obbligo di consentire, ben oltre il contesto matrimoniale, il mantenimento delle medesime condizioni economiche godute durante lo stesso matrimonio con l’art. 29 Cost., in quanto risulterebbe anacronistico ricondurre l’assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, senza considerare l’attuale portata del divorzio, della famiglia e del ruolo dei coniugi. 2.– In questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità e, in subordine, la non fondatezza della questione. 3.– Opposte conclusioni adesive alla prospettazione del Tribunale a quo ha formulato, invece, la difesa del coniuge F.G., attore nel giudizio principale. Considerato in diritto 1.– Il Tribunale ordinario di Firenze solleva, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio , come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio , nell’interpretazione di diritto vivente per cui [] l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio . Ad avviso del rimettente, il diritto vivente , fatto oggetto di censura, violerebbe, infatti, l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, per la contraddizione logica che, quel giudice ravvisa, fra l’istituto del divorzio, che ha come scopo proprio quello della cessazione del matrimonio e dei suoi effetti, e la disciplina in questione, che di fatto proietta oltre l’orizzonte matrimoniale il tenore di vita” in costanza di matrimonio contrasterebbe, inoltre, per eccesso” con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e violerebbe, infine, anche l’art. 29 Cost., esprimendo una concezione criptoindissolubilista” del matrimonio che appare oggi anacronistica . 2.– Della questione così sollevata il Tribunale a quo ha plausibilmente motivato la rilevanza, con riferimento alla rispettiva situazione economica, pregressa ed attuale, dei due coniugi per cui non ha fondamento l’eccezione di inammissibilità, per tal profilo, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato. 3.– Sempre in punto di ammissibilità della riferita questione, non può addebitarsi al rimettente di non aver previamente verificato la possibilità di una interpretazione della normativa censurata, conforme ai parametri costituzionali da lui evocati. L’obbligo di una siffatta verifica è, infatti, ineludibile per il giudice a quo solo in assenza di un diritto vivente sentenze n. 190 del 2000, n. 427 del 1999, per tutte . Mentre, in presenza di una interpretazione del dato normativo consolidatasi – come nella specie si assume – in termini di diritto vivente”, quel giudice ha la facoltà di uniformarvisi o meno sentenze n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004 , restando quindi libero, nel secondo caso, di assumere proprio quel diritto vivente” ad oggetto delle proprie censure ordinanza n. 253 del 2012 . 4.– Nel merito, la questione non è fondata. L’esistenza, presupposta dal rimettente, di un diritto vivente” secondo cui l’assegno divorzile ex art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non trova, infatti, riscontro nella giurisprudenza del giudice della nomofilachia che costituisce il principale formante del diritto vivente , secondo la quale, viceversa, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile. La Corte di cassazione, in sede di esegesi della normativa impugnata, ha anche di recente, in tal senso, appunto, ribadito il proprio consolidato orientamento , secondo il quale il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio rileva, bensì, per determinare in astratto [] il tetto massimo della misura dell’assegno in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso , ma, in concreto , quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5. Tali criteri condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono valere anche ad azzerarla così testualmente, da ultimo, Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 5 febbraio 2014, n. 2546 in senso conforme, sentenze 28 ottobre 2013, n. 24252 21 ottobre 2013, n. 23797 12 luglio 2007, n. 15611 22 agosto 2006, n. 18241 19 marzo 2003, n. 4040, ex plurimis . 5.− L’erronea interpretazione della norma denunciata, da cui muove il rimettente, travolge conseguentemente, in radice, tutte le censure, in ragione di tale premessa, dallo stesso formulate. Per Questi Motivi la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio , come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74 Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio , sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, con l’ordinanza in epigrafe indicata.