Vanno concretamente accertate le facoltà cognitive del donante

In tema di capacità del donante e quindi di validità ed efficacia della donazione, l’incapacità naturale, quale causa d’annullamento del negozio, è desumibile anche dalla anteriore certificazione della Commissione medica anche se chiamata a valutare la valutazione della domanda di invalidità pensionistica, proposta dal medesimo soggetto poi divenuto donante.

E’, così, illegittima la sentenza con cui, accertata la patologia del donante e ciò nonostante escluso dal secondo giudice tale presupposto di fatto senza fornire congrua motivazione sulla rilevanza probatoria ed eziologica della relativa documentazione medica prodotta, venga dichiarata valida la donazione già annullata in primo grado. Il principio si argomenta dall’ordinanza n. 21148 depositata il 17 settembre 2013. Il caso. Una signora donava, per atto notarile, dei propri beni che, successivamente, venivano acquistati da una società. Un anno e mezzo prima di tale donazione, la donante si sottoponeva a visita dinanzi alla Commissione medica in relazione alla propria istanza di pensione di invalidità e/o accompagnamento e veniva riconosciuta, a causa di un’anamnesi di arteriosclerosi cerebrale con turbe della memoria e di una diagnosi di vascolopatia cerebrale senile, totalmente e permanentemente inabile al lavoro al 100% e con necessità di assistenza continua. In primo grado, tale donazione veniva, su istanza della medesima donante proseguita dai relativi eredi, annullata per incapacità naturale della donante ma la sentenza veniva riformata in appello. La validità della donazione tra fonti normative e capacità soggettiva. In primis , vanno richiamati gli artt. 428 e 2697 c.c. All’uopo, è da dire che non è consentito al giudice di merito far dipendere il significato medico di una diagnosi dallo scopo legale della visita sanitaria. Segnatamente, sotto il profilo formale, è necessario distinguere tra vizio di violazione di legge, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma errata o trarne da una norma conseguenze giuridiche contrastanti, e vizio di motivazione art. 360, n. 5, c.p.c. , consistente nell’erronea ricognizione della fattispecie concreta attraverso le risultanze di causa Cass. n. 18782/2005 tale secondo vizio può caratterizzarsi sul piano dell’insufficienza obiettiva deficienza del procedimento logico o totale obliterazione di elementi che conducono ad una diversa decisione, Cass. nn. 15264/2007, 14084/07, 2272/07, 9223/06, 1014/06 e 15355/04 e/o della contraddittorietà insanabile inconciliabilità tra ragioni ed argomentazioni del magistrato, Cass. nn. 7476/2001, 914/96, 3286/79 e 2549/77 . In termini di diritto sostanziale, è da precisare che, provata l’infermità mentale permanente, è onere di chi afferma la validità dell’atto liberale dimostrare che esso sia stato posto in essere in occasione di una temporanea regressione della patologia Cass. nn. 17130/2011, 9662/03, 4539/02 e 11833/97 sul punto, va detto, poi, che non rileva che gli eredi della donante non abbiano dubitato anche della piena validità della procura ad litem conferita dalla stessa donante . La diagnosi istruita e fondata su anamnesi può essere fonte di prova. In ambito di donazione ad opera di soggetto dichiarato invalido, il magistrato di merito, contrariamente a quanto sostenuto da App. Catania n. 675/2010, è tenuto ad accertare direttamente e la malattia diagnosticata sia pure a fini pensionistici abbia avuto , o meno, incidenza sulle facoltà cognitive del donante, senza che si possa limitare a presumere ipso facto la non coesistenza tra patologie non può, così, dedurre sic et simpliciter , rispetto alla ricostruzione di fatto operata dal primo giudice, differenti opposte conclusioni critiche in quanto i giudizi di verità relativi al medesimo fatto noto non possono che essere comuni. In altri termini, evitare di prendere posizione su fatti decisivi determina la configurazione del vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. Ergo , il ricorso va accolto e la sentenza va cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 19 marzo - 17 settembre 2013, n. 21148 Presidente Settimj – Relatore Bianchini Svolgimento del processo e motivi della decisione I - Il consigliere relatore nominato ai sensi dell’articolo 377 c.p.c. ha depositato la seguente relazione ex articolo 380-6/5 e 375 c.p.c 1. - Con sentenza n. 675 del 15.6.2010 la Corte d'appello di Catania, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda di annullamento, per incapacità naturale, della donazione per atto notaio Grasso, di Siracusa, del 9.7.1990, domanda proposta dalla donante T.R S. , e proseguita dalle eredi di lei, S.L. ed E. , nei confronti dei donatari C. , S.M. , Lu. e B. . In tale giudizio aveva spiegato intervento volontario la Giesse Costruzioni s.r.l, terza acquirente dei beni già oggetto di donazione. 1.1. - Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte territoriale riteneva che non essendo la donante interdetta, la dimostrazione dell'incapacità naturale di lei gravava sulla parte attrice, non essendo sufficiente ad invertire l'onere probatorio il solo certificato della Commissione medica, rilasciato un anno e mezzo prima della donazione ai fini della domanda di pensione per invalidità e/o di indennità d'accompagnamento, poiché tale atto aveva attestato esclusivamente un'invalidità ostativa al lavoro e uno stato di non autosufficienza, ma non anche un'incapacità naturale. Osservava, altresì, che la dimostrazione del fatto che la malattia di T.R S. non avesse quegli effetti permanenti ritenuti dal giudice di primo grado, si traeva proprio dalla successiva cronologia degli atti, non avendo gli appellanti manifestato alcun dubbio circa la piena validità della procura ad litem rilasciata dalla donante, che aveva sostenuto di alternare momenti di lucidità a momenti d’incapacità. 2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorrono S.L. ed E. , formulando due mezzi d'annullamento. 2.1. - Resistono con controricorso S.C. , M. , Lu. e B. . 2.2. - La Giesse Costruzioni s.r.l. è rimasta intimata. 3. - Col primo motivo le ricorrenti deducono l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione circa il carattere irreversibile e permanente della malattia da cui era affetta la donante al momento dell'atto. La Corte territoriale, si afferma, ha riconosciuto che l'anamnesi di T.R S. riferiva di un'arteriosclerosi cerebrale con turbe della memoria e del comportamento, e che la diagnosi della Commissione medica aveva rilevato una vascolopatia cerebrale senile, che rendevano la donna invalida con totale e permanente inabilità lavorativa al 100% e con necessità di assistenza continua, non essendo ella in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Ma poi la stessa Corte, prosegue parte ricorrente, ha concluso che il certificato medico era stato rilasciato alfine dell'attribuzione della pensione d'invalidità e/o dell'indennità di accompagnamento, e non già per accertare l'incapacità naturale, e che stessi appellanti non avevano manifestato alcun dubbio circa la piena validità della procura ad litem conferita da S.T.R. al proprio avvocato. 3.1. - Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c Si sostiene, al riguardo, che secondo l'indirizzo di questa Corte, in tema d'incapacità d'intendere e di volere, costituente causa d'annullamento del negozio, quando esiste una situazione di malattia mentale di carattere tendenzialmente permanente o protraentesi per un rilevante periodo, è onere del soggetto che sostiene la validità dell'atto dare prova che esso fu posto in essere, in quel periodo, durante una fase di remissione della patologia. Sulla scorta dell'errata ricostruzione della gravità e permanenza dello stato di degenerazione cerebrale della donante, i giudici d'appello hanno manifestamente invertito l'applicazione del ridetto principio, così violando, con esso, uno dei principi regolatori del giusto processo. 4. - Quest'ultimo motivo, che va esaminato con priorità rispetto al primo, in quanto concerne il tema, per sua natura preliminare, del riparto dell'onere della prova, è infondato. Contrariamente a quanto mostra di opinare parte ricorrente, non è l'erronea ricostruzione e valutazione dei fatti storici a determinare la falsa applicazione di legge. Quest'ultima, infatti, consiste o nell'assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista - pur rettamente individuata e interpretata - non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Pertanto, è estranea ad essa la censura di vizio di motivazione, che concerne l'erronea ricognizione da parte del giudice del merito della fattispecie concreta attraverso le risultanze di causa cfr. Cass. n. 18782/05 . 4.1. - Nel caso in esame, la Corte etnea ha valutato esclusivamente il fatto, e solo tramite un diverso apprezzamento di questo è pervenuta ad una soluzione diametralmente opposta a quella cui era giunto il Tribunale, che a sua volta aveva interpretato ed applicato l'articolo 2697 c.c., in relazione all'articolo 428 c.c., in maniera conforme alla giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui, provata l'infermità mentale permanente, è onere di chi affermi la validità dell'atto dimostrare che esso sia stato posto in essere in occasione di una temporanea regressione della patologia cfr. Cass. nn. 17130/11, 9662/03, 4539/02 e 11833/97 . In altri termini, la Corte d'appello non ha ritenuto sic et simpliciter che incombesse sulla parte attrice dimostrare l'incapacità naturale della donante al momento dell'atto, ma al contrario ha escluso il presupposto di fatto - ossia l'accertata esistenza di una patologia permanente - che avrebbe determinato l'inversione dell'onere probatorio. 5. - È fondato, invece, il primo motivo, che critica la sentenza impugnata in ordine al predetto accertamento di fatto, lamentando insufficienza e contraddittorietà della sottostante motivazione, ai sensi dell'articolo 360, n. 5 c.p.c L'insufficienza della motivazione consiste o nella totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero nell'obiettiva deficienza del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento cfr. Cass. nn. 15264/07, 14084/07, 2272/07, 9223/06, 1014/06 e 15355/04 . Il vizio di contraddittorietà della motivazione, invece, presuppone un'insanabile inconciliabilità tra le varie ragioni ed argomentazioni poste dal giudice a giustificazione della soluzione adottata, si da elidersi a vicenda e da rendere impossibile l'individuazione del procedimento logico-giuridico seguito per giungere alla decisione cfr. Cass. nn. 7476/01, 914/96, 3286/79 e 2549/77 . 5.1. - Nella specie, la sentenza d'appello ha affermato che la Commissione di prima istanza, sulla scorta dell'anamnesi da cui era emerso che la paziente era affetta da arteriosclerosi cerebrale con turbe della memoria e del comportamento e della visita aveva diagnosticato una vasculopatia cerebrale senile e certificato ai sensi di legge che S.T. era invalida con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita v. pag. 14 . Contrariamente a quanto sostiene parte controricorrente, tanto l'analisi letterale, quanto la comprensione complessiva del testo della sentenza impugnata, non lasciano adito a dubbi di sorta sul fatto che tale accertamento sulle premesse e sull'esito della visita medica, dapprima compiuto dal Tribunale, sia stato fatto proprio dalla Corte d'appello. Divergenti expressis verbis soli rilievi critici, i giudizi di verità non possono che essere comuni. 5.1.1. - Orbene, tale essendo la ricostruzione di fatto desumibile dalla sentenza impugnata, la successiva valutazione operata dalla Corte territoriale, secondo cui il certificato della Commissione medica, essendo finalizzato all'ottenimento della pensione d'invalidità e/o alla corresponsione dell'indennità d'accompagnamento, non attestava una malattia mentale permanente ma una semplice inabilità al lavoro, è incongrua, e dunque fondatamente criticabile sotto entrambi i profili dedotti. Essa, infatti, a fa dipendere, illogicamente, il significato medico della diagnosi dallo scopo legale della visita sanitaria b non è coerente con l'osservazione preliminare per cui la diagnosi stessa era stata formulata anche sulla base di un'anamnesi che riferiva di turbe della memoria e del comportamento, di guisa che non si comprende se e per quali ragioni queste ultime, sebbene presupposte dalla Commissione medica, siano state ritenute inesistenti ovvero irrilevanti dai giudici d'appello e infine c non approfondisce - né per converso da atto dell'impossibilità di approfondire - il senso del predetto certificato, poiché non chiarisce quale o quali aree encefaliche risultavano compromesse dalla vascolopatia cerebrale, se cioè solo quelle motorie o anche quelle che presiedono alla comprensione, al linguaggio e ai processi di memorizzazione. 6. - Per le considerazioni svolte, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, nei sensi di cui sopra, ex articolo 375, n. 5 c.p.c. . II - La Corte condivide la relaziona, in ordine alla quale il Procuratore generale nulla ha osservato, mentre le considerazioni svolte dalla parte controricorrente nella propria memoria non sono condivisibili, per le ragioni che seguono. La motivazione della Corte territoriale circa il significato da attribuire al certificato della Commissione medica rilasciato ai fini del riconoscimento della pensione d'invalidità è oggettivamente incongrua. Ed infatti a la Corte territoriale ha accolto, al riguardo, proprio una considerazione svolta dagli appellanti S.C. , M. , Lu. e B. , i quali, per l'appunto, avevano sostenuto che detto certificato della Commissione medica aveva riferito l'invalidità all'inabilità lavorativa e non alla capacità d'intendere v. pag. 15 della sentenza impugnata sicché è fuor di luogo che l'inciso finalizzato all'ottenimento della pensione , riferito al suddetto certificato, nell'economia del discorso svolto dalla Corte territoriale non è solo una precisazione d'ordine storico così parte controricorrente afferma a pag. 5 della memoria , ma è la ragione stessa su cui i giudici d'appello hanno basato il proprio convincimento, in perfetta adesione a quanto proposto dagli appellanti inoltre, b la motivazione della Corte d'appello è fin troppo chiara, nel senso ritenuto nella relazione, lì dove v. pag. 16 sentenza impugnata si afferma che Quel certificato, finalizzato - com'è noto - all'ottenimento della pensione d'invalidità e/o all'indennità di accompagnamento, non attesta affatto che la S. fosse affetta da una malattia mentale permanente che la rendeva altrettanto permanentemente incapace di intendere o di volere, tant'è che la Commissione medica, a fronte dell'accertata malattia, ha certificato esclusivamente una invalidità ostativa al lavoro e la necessità di assistenza continua per non essere il soggetto autosufficiente ma non anche una incapacità naturale . È dunque palese l'illogicità del ragionamento svolto dal giudice di merito, che invece di valutare direttamente se la malattia così come diagnosticata avesse o non incidenza sulle facoltà cognitive della S. , ha tratto indirettamente proprio e solo dalla certificata inabilità al lavoro la conclusione negativa circa l'incapacità naturale, come se questa non potesse coesistere con quella. Ancora, è davvero singolare che per confutare quanto osservato nella relazione si sostenga v. pag. 5 memoria controricorrente che nella sentenza impugnata non vi sarebbe alcun accenno riferibile alla Corte d'appello circa l'esistenza di turbe della memoria e del comportamento della S. come se l'assenza di giudizi al riguardo, quand'anche riscontrabile, potesse giovare alla motivazione della sentenza impugnata. Ivi richiamato v. pag. 13 della sentenza di secondo grado quanto detto in merito dal Tribunale, il giudice d'appello non poteva ignorare la relativa problematica. Anche se si volesse sostenere che la Corte territoriale non abbia inteso far proprio il suddetto accertamento medico-legale, e che si sia limitata a riferirne senza né condividerlo, né confutarlo, il vizio motivazionale individuato nella relazione non potrebbe essere più evidente, che in un provvedimento giurisdizionale la riluttanza a prendere posizione sui fatti decisivi esprime in maniera paradigmatica il vizio di cui al n. 5 dell'articolo 360 c.p.c Infine, quant3 al mancato approfondimento dell'incidenza della malattia sulle aree cerebrali della S. , così come rilevato alla lett. c del paragrafo 5.1.1. della relazione, la parte controricorrente suppone sia possibile eludere ogni confronto limitandosi a ribadire l'opinione finale espressa dalla Corte etnea, per poi concludere che il documento in questione non poteva assurgere a prova dell'incapacità di intendere e di volere della S. pag. 6 memoria . Anche qui errando, visto che il giudizio di cassazione non consiste nella valutazione ultima del materiale probatorio acquisito nelle fasi di merito, ma si esaurisce nel verificare che la sentenza impugnata sia immune dai vizi di cui all'articolo 360 c.p.c III - In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catania, che ai sensi dell'articolo 385, 3 comma c.p.c. provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catania, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.