Indagini patrimoniali? Non sempre sono necessarie

Il giudice del merito ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può rigettare l’istanza di indagini tributarie avanzata dalle parti, atteso che l’esercizio di tale potere rientra nella discrezionalità del giudice, purché, tale rigetto, sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14336 del 6 giugno 2013. Il caso . Una donna ricorre in Cassazione lamentando la violazione degli artt. 115 c.p.c., 2729 c.c. e 5, comma 8, L. 898/70 per non avere il giudice di appello ammesso l’indagine patrimoniale nei confronti del marito, ai fini della concessione dell’assegno di divorzio. In primo grado la signora aveva ottenuto un assegno divorzile, nonostante fosse separata da circa 20 anni, avesse un lavoro in proprio avviato dal marito proprio all’indomani della separazione, e si fosse dimostrata economicamente autosufficiente per, appunto, venti anni. La Corte d’Appello annullando la sentenza di primo grado, revocava l’assegno divorzile, accertando in capo alla donna l’insussistenza della condizione di inadeguatezza di mezzi, che costituisce la condizione per l’attribuzione dell’assegno. Entrambe le parti nel corso del giudizio di appello avevano richiesto al giudice di disporre indagini tributarie, ma la Corte aveva ritenuto che alla luce degli elementi di fatto emersi dal giudizio, e cioè l’autosufficienza economica della moglie, la regolamentazione di ogni rapporto economico all’epoca della separazione e il peggioramento delle condizioni economiche del marito , non fosse necessario disporre indagini patrimoniali, non avendo rilievo, nel caso di specie, il rigoroso accertamento delle rispettive situazioni economico-patrimoniali. Semplificando si potrebbe dire che non sempre è necessario verificare l’esatta consistenza economico patrimoniale dei coniugi, attraverso complesse analisi o verifiche spesso la situazione emerge ictu oculi da altri elementi ed il giudice lì deve fermarsi. Non sempre necessarie le indagini patrimoniali. La Cassazione, riprendendo un principio già enunciato Cass. 9861/2006 e 16575/2008, la seconda in materia di separazione afferma che se il giudice del merito ritiene raggiunta la prova dell’insussistenza di presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, non è obbligato a disporre accertamenti patrimoniali a mezzo di polizia tributaria sol perché glielo chiedono le parti. Il potere del giudice, previsto dall’art. 5, comma 8, L. 898/70, è discrezionale e a disposizione del giudice, non delle parte. Il giudice, ove non ammetta l’indagine tributaria, deve motivare la decisione correlandola ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisisti. Interessante, a mio parere, la valutazione da parte della corte d’Appello prima, e, seppur senza entrare nel merito, della Cassazione poi, del lungo lasso di tempo intervenuto tra la separazione di fatto ed il divorzio, passando per la separazione legale, durante il quale la moglie si era sempre dimostrata economicamente autosufficiente, nonché il rilievo attribuito alla dichiarazione espressa dalla moglie nel ricorso consensuale di separazione di non aver nulla a che pretendere anche per il futuro a titolo di mantenimento. Tale posizione si inserisce nell’ultimo – innovativo - orientamento di merito in base al quale la rinuncia all’assegno di divorzio espressa al tempo della separazione, non è priva di valore e soprattutto non è nulla perché attiene a diritti disponibili delle parti e perché non è contraria all’ordine pubblico Tribunale di Torino sez. VII ord. 20 aprile 2012 ma contra la giurisprudenza dominante, da Cass. n. 3777/1981 a Cass. n. 1084/2012 .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 marzo - 6 giugno 2013, n. 14336 Presidente Carnevale – Relatore Acierno Svolgimento del processo Nella sentenza impugnata, con la quale è stata riformata la pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale di Milano, la Corte d'Appello, nel giudizio di cessazione degli effetti civili tra V.C. e T F. , ha negato il riconoscimento dell'assegno divorzile in favore della F. e ha condannato tale parte al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi. A sostegno della decisione assunta, è stato affermato, per quel che ancora interessa - non era necessario disporre le indagini patrimoniali richieste sia dall'appellante principale V. che dall'appellante incidentale F. , non avendo rilievo il rigoroso accertamento delle rispettive situazioni economico-patrimoniali ai fini della decisione - le parti, contratto matrimonio nel 1969. avevano condotto una vita agiata, fondata sul reddito da lavoro autonomo del V. . Nel 1980 era stato acquistato l'immobile adibito a casa coniugale cointestato ad entrambi i coniugi. Nel 1984 le parti si erano separate di fatto. Nel 1994 era intervenuta la separazione consensuale e nel 2004 era stato instaurato il giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nel periodo della separazione il V. aveva fornito alla moglie i mezzi per vivere e ne aveva finanziato l'avvio di un'attività lavorativa autonoma, consistente nell'apertura di un negozio di gioielleria tuttora attivo. In sede di separazione consensuale le parti avevano definito concordemente ogni aspetto patrimoniale ed in particolare il V. aveva acquistato la metà dell'abitazione coniugale intestata alla moglie, la quale aveva dichiarato di non avere alcuna pretesa economica da avanzare anche per il futuro a titolo di contributo per il proprio mantenimento. Fino all'introduzione del giudizio di divorzio l'accordo separativo era stato rispettato anche perché la F. aveva continuato a svolgere l'attività commerciale avviata - la condizione economico patrimoniale della F. successivamente all'instaurazione del giudizio di divorzio non era mutata in quanto la stessa era rimasta titolare di due immobili uno dei quali adibito a gioielleria, aveva trasformato la ditta individuale in impresa familiare con il fratello aveva dichiarato redditi palesemente non corrispondenti a quelli reali, come riconosciuto anche dal giudice di primo grado in quanto del tutto incompatibili con l'autosufficienza economica goduta per oltre venti anni e con l'esistenza e con il lungo periodo di rispetto dell'accordo patrimoniale assunto in sede di separazione, circostanze alle quali doveva riconoscersi un valore indiziante significativo - doveva conseguentemente escludersi che la F. si trovasse nella condizione d'inadeguatezza di mezzi che costituisce la condizione per l'attribuzione dell'assegno divorzile, tenuto, altresì, conto della peggiorata condizione economico-patrimoniale del V. , il quale aveva ceduta la propria impresa cartografica nel 2002, ed aveva ripianato le pregresse perdite di esercizio con il prezzo rateale della cessione si era stabilizzato, infine, su un reddito dichiarato di circa 30000 Euro annui, tenuto conto che per i capannoni di proprietà della società di cui era titolare il V. erano pervenute disdette dai conduttori nel 2007 e che, attualmente era proprietario oltre che dei predetti capannoni soltanto dell'immobile in cui risiedeva non era, pertanto, necessario disporre le indagini patrimoniali richieste sia dall'appellante principale V. che dall'appellante incidentale F. , non avendo rilievo, alla luce del complesso degli elementi di fatto accertati, il rigoroso accertamento delle rispettive situazioni economico-patrimoniali ai fini della decisione - in conclusione le condizioni economico patrimoniali degli ex coniugi non presentavano disparità essendo, come già osservato, peggiorate quelle del V. e rimaste stabili quelle della F. dall'avvio della attività commerciale in poi. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, T F. . Ha resistito C V. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. e 2729 cod. civ., in relazione all'art. 5, ottavo comma della l. n. 898 del 1970, per avere la sentenza impugnata ritenuto sostanzialmente paritarie le condizioni economiche delle parti sulla base di mere presunzioni reputando non veritiere le dichiarazioni fiscali della F. e disattendendo le istanze istruttorie peraltro proposte da entrambe le parti su tale specifico profilo. Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto Stabilisca la Corte se dovendosi accertare in ambito giudiziale la condizione reddituale e patrimoniale delle parti in funzione dell'attribuzione dell'assegno divorzile ex art. 4 comma quinto e nono della L. n. 898 del 1970 ed essendovi contestazione circa tale reciproca condizione reddituale e patrimoniale, contestazione espressa dalle parti anche con richiesta di incombenti istruttori a supporto delle rispettive tesi, e avendo il giudicante ritenuti inattendibili i documenti di reddito acquisiti agli atti, sia possibile senza incorrere in violazione e falsa applicazione degli artt. 3 comma sesto e nono L. n. 898 del 1910, 115 cod. proc. civ. e 2129 cod. civ. definire il giudizio su basi indiziarie rigettando le istanze istruttorie? Il motivo è infondato. Come da consolidato orientamento della giurisprudenza di questa sezione, il giudice del merito ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell'insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell'assegno di divorzio, può procedere al rigetto dell'istanza senza disporre preventivamente accertamenti officiosi attraverso la polizia tributaria, atteso che l'esercizio di tale potere rientra nella discrezionalità del giudice, non trattandosi di un adempimento imposto dall'istanza di parte Cass. 9861 del 2006 , purché sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell'iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti Cass. 16575 del 2008 . Nella specie, peraltro, la Corte d'Appello ha fornito ampia e specifica motivazione in ordine alla superfluità dell'indagine anche con riferimento alla scarsa verosimiglianza delle dichiarazioni fiscali della ricorrente, fondando su numerosi e univoci elementi di fatto tale complessiva valutazione. Nel secondo motivo viene dedotta la medesima censura sotto il profilo del vizio di motivazione. In particolare viene evidenziato che sono stati valorizzati in modo sproporzionato i beni immobile della ricorrente rispetto a quelli del resistente, nonché non considerate le potenzialità economico patrimoniali derivanti dalle plusvalenze prodotte dalla vendita dell'azienda e dalla proprietà di capannoni industriali. Il motivo è manifestamente inammissibile perché manca della sintesi finale richiesta dall'art. 366 bis cod. proc. civ. ratione temporis applicabile S.U. 20603 del 2007 S.U. 2652 del 2008 ed, inoltre, perché richiede a questa Corte una non consentita rivalutazione e comparazione dei fatti alternativa a quella eseguita dalla Corte d'Appello, con adeguata ed esauriente motivazione su tutti gli elementi ritenuti meritevoli di esame. Cass. 9233 del 2006 2272 del 2007 . Il ricorso, in conclusione deve, essere respinto. Le spese del giudizio di cassazione, come liquidate nel dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento liquidate in favore della parte contro ricorrente in Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.