Ex marito pensionato d’oro, ex moglie ancora potenzialmente capace di lavorare: legittima la riduzione dell’assegno

Confermata la riduzione da mille e cinquecento a mille euro, nonostante le buoni condizioni economiche e patrimoniali dell’uomo, diplomatico in pensione, e le difficoltà della donna a reperire un’occupazione. Necessario dimostrare queste difficoltà in maniera oggettiva per poter pensare di attribuire loro un maggiore peso nella ridiscussione del quantum post divorzio.

Nel mezzo del cammin di nostra vita ” è assolutamente razionale ritenere intatte le possibilità di una donna di trovare un’attività lavorativa remunerata. E di questo elemento bisogna tener conto – come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 11645, sezione Prima Civile, depositata oggi – quando è in ballo il quantum dell’assegno divorzile a carico dell’oramai ex marito. Passaggio di valuta Evidente il vantaggio, nel cambio da Lira ad Euro, per l’ex moglie di un diplomatico prima un milione e 300mila lire, poi mille e 500 euro. Ma, secondo l’uomo, oramai in pensione, la cifra va rivista verso il basso, proprio tenendo conto della conclusione della sua esperienza lavorativa e, per giunta, del suo obbligo di mantenimento della prima moglie e della figlia . Richiesta legittima? Non per il Tribunale, che conferma le condizioni economiche del divorzio a favore dell’ex moglie. Ma a ribaltare la situazione provvede la Corte d’Appello, che, accogliendo parzialmente le domande dell’ex marito, riduce a mille euro l’assegno post divorzio e trova – come affermavano gli antichi – in medio la virtus , facendo media, per l’appunto, tra i 500 euro originari e i successivi mille e 500 euro riconosciuti alla ex coniuge. Decisivi, secondo i giudici, fattori diversi, come la pensione dell’uomo, l’obbligo di quest’ultimo di versare un corposo contributo mille e 250 euro alla prima moglie, e, infine, la possibilità per la donna di svolgere attività lavorativa per incrementare le proprie entrate . Ipotesi di lavoro. La riduzione dell’assegno è, ovviamente, argomento di ulteriore discussione tra i due ex coniugi, e, soprattutto, di ulteriore battaglia giudiziaria. Obiettivo dell’ex moglie, che propone ricorso in Cassazione, è vedere riconosciuto il proprio diritto alla soglia massima di mille e 500 euro, soprattutto tenendo presenti le disponibilità patrimoniali dell’ex marito – alla luce anche di una corposa operazione immobiliare e di una pensione pari a quasi 7mila euro mensili – e le proprie limitate condizioni economiche. Riferimento principale è, secondo la donna, la propria incapacità per ragioni obiettive a trovare un lavoro. Ma è proprio questa presunta obiettività a lasciare perplessi Difatti, i giudici, prendendo in esame l’ipotesi di una impossibilità di reperire, all’età di 56 anni, un’adeguata attività , sottolineano che manca la pietra miliare, ossia una statuizione certa sulla oggettiva incapacità lavorativa o su apprezzabili difficoltà di trovare un lavoro . E, comunque, viene aggiunto, è anche da dimostrare il ‘peso’ da riconoscere a questo elemento. Evidentemente, quindi, le valutazioni compiute dai giudici d’Appello sono da ritenere fondate ecco perché, in Cassazione, la decisione di secondo grado viene confermata in toto .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 marzo – 11 luglio 2012, n. 11645 Presidente Luccioli – Relatore Campanile Svolgimento del processo 1. - Con provvedimento del 19 dicembre 2005 il Tribunale di Sondrio rigettava il ricorso proposto dal dr. S.Z. con il quale, ai sensi dell’art. 9 della l. n. 898 del 1970, era stata chiesta, nei confronti dell’ex coniuge sig.ra M.S., la revisione delle condizioni di divorzio, con particolare riferimento all’entità dell’assegno stabilito in favore dell’intimata, già determinato in lire 1.300.000 con la sentenza del 24 novembre 1999 che aveva pronunciato il divorzio, e poi elevato ad € 1.500,00, con provvedimento del 17.1.2003, in considerazione dell’indennità di missione all’estero percepita dal ricorrente, quale Ambasciatore d’Italia in Sri Lanka. 1.1. - Il ricorrente aveva dedotto che la proprie condizioni economiche erano mutate, in quanto, oltre a non usufruire più dell’indennità di missione, essendo ormai pensionato, doveva anche provvedere al mantenimento della prima moglie e della figlia M. 1.2. - Riteneva il tribunale che la domanda di revisione non fosse fondata, poiché il dr. Z., oltre a percepire una pensione pari ad € 5.379,00, aveva di recente alienato un bene immobile al prezzo di € 327.975 aveva poi maturato una cospicua indennità di buonuscita e non risultava gravato da ulteriori oneri in favore di soggetti diversi dalla S., la quale non possedeva fonti di reddito diverse dall’assegno di mantenimento. Si aggiungeva che la perdita dell’indennità di missione era compensata dal venir meno dei costi inerenti alla funzione esercitata all’estero, ragion per cui si riteneva, all’esito di una valutazione complessiva delle rispettive condizioni patrimoniali, che l’assetto risultante dal già intervenuto regolamento degli interessi non si fosse sostanzialmente modificato. 1.3. - La Corte di appello di Milano, con il decreto indicato in epigrafe, accogliendo parzialmente il reclamo dello Z., rideterminava l’assegno di divorzio in € 1.000 mensili, con decorrenza dal mese di febbraio 2006, ponendo in evidenza, in primo luogo, il dato relativo alla perdita dell’indennità di missione e considerando, tuttavia, che tale emergenza non consentisse di riportare l’assegno all’originario ammontare, dovendosi tener conto a delle condizioni della S. b dell’entità della pensione percepita dal reclamante, pari ad € 6.971,35 c del contributo versato dallo stesso alla prima moglie indicato in € 1.250,00 , nonché della circostanza che la reclamata avrebbe potuto anche svolgere attività lavorativa per incrementare le proprie entrate. 1.4. - Per la cassazione di tale decisione la sig.ra S. propone ricorso, affidato ad otto motivi. Resiste con controricorso lo Z. Motivi della decisione . 2. - Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.a., la nullità della decisione per violazione del principio sancito dall’art. 112 c.p.c., per aver considerato la Corte di appello il solo venir meno dell’indennità di servizio del dr. Z., senza valutarla unitamente alle altre circostanze dedotte dalle parti. Analoghi rilievi vengono svolti in relazione ad altre censure della controparte, relative all’ammontare effettivo del TFR, all’entità dell’assegno versato alla prima moglie, alle ragioni che avevano determinato la vendita di un immobile e all’assenza di prove circa la consistenza del patrimonio immobiliare nella S. Vengono formulati i seguenti quesiti di diritto a – Il reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c. è un mezzo d’impugnazione avente carattere devolutivo e, come tale, ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devoluto e delle censure formulate grava sul reclamante l’onere di censurare la decisone impugnata attraverso specifici motivi, ai quali resta circoscritta la cognizione del giudice del, reclamo”. b Conseguentemente, anche in materia di modifica delle condizioni di divorzio ex art. 9 della l. n. 898/70, incorre in vizio di ultrapetizione il giudice del reclamo che esamini punti o statuizioni del provvedimento impugnato che non siano stati oggetto di specifici motivi di gravame, o che accolga il gravame nonostante l’infondatezza dei motivi d’impugnazione specificamente proposti. c Nel caso in cui il giudice di primo grado abbia proceduto a una valutazione complessiva di una serie di circostanze sopravvenute, procedendo ad una rinnovata valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti, e il reclamante si sia limitato a censurare l’entità e/o la rilevanza e/o l’utilizzabilità delle singole circostanze valutate del primo giudice, incorre in vizio di ultrapetizione il giudice del reclamo che, prescindendo dalla fondatezza dei motivi di gravame specificamente proposti, attribuisca autonoma ed automatica valenza ad una sola delle circostanze sopravvenute dedotte dalle parti, senza più collocarla in una valutazione complessiva”. 2.1. - Deve rilevarsi l’inammissibilità, sulla base della evidenziata formulazione dei quesiti, del motivo in esame. Premesso, invero, che il decreto impugnato risulta depositato in data 30 gennaio 2008, debbono trovare applicazione le disposizioni del D.Lgs. 2.2.2006 n. 40 in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009 , con particolare riferimento all’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis nel codice di procedura civile. Alla stregua di tali disposizioni - la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, c. I, nn. 1-2-3-4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Nella fattispecie scrutinata il quesito di diritto articolato in tre momenti contiene la prospettazione di mere questioni giuridiche, senza alcun riferimento alla fattispecie concreta oggetto della controversia, con la richiesta di verificare se vi sia stata violazione delle norme indicate cfr., in termini, Cass., Sez. Un., 24 marzo 2009, n. 7032 Cass., 17 luglio 2008, n. 19769 . La pluralità delle questioni rimane, quindi, inammissibilmente confinata nell’astrattezza, non essendo possibile ravvisare, anche all’esito di una complessiva considerazione, l’enunciazione degli elementi di fatto che caratterizzano la fattispecie e la regola di diritto applicata dal giudice del merito Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519 , anche se non può omettersi di rilevare che la lettura complessiva delle tre articolazioni del quesito, sopra trascritte, sembra rinviare piuttosto a un difetto motivazionale che a un vizio di ultrapetizione. Giova ribadire, per altro, come non possa tenersi conto di quanto enunciato nei motivi di ricorso, avendo questa Corte Cass., Sez. Un., 26 marzo 2007, n. 7258 precisato che un’interpretazione in tal senso della norma si risolverebbe nella sua abrogazione tacita. 3. - Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 135 e 737 c.p.c., nonché dell’art. 111, comma 6, Cost., denunciandosi la nullità del decreto per omessa motivazione in ordine alla fondatezza o meno dei motivi di reclamo. L’esposizione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito Considerato il carattere devolutivo del mezzo di impugnazione previsto dall’art. 739 c.p.c., avente la funzione di rimuovere gli eventuali vizi della decisione del primo grado nei limiti delle censure formulate rilevato che il giudice di primo grado aveva escluso la rilevanza del solo venir meno dell’indennità di missione all’estero anche in considerazione del sopravvenire di altre circostanze, complessivamente valutate nell’ambito di una rinnovata ponderazione comparativa delle condizioni economiche delle parti evidenziato che il reclamante si è limitato a censurare l’entità e/o la rilevanza e/o la utilizzabilità delle singole circostanze valutate dal primo giudice deve ritenersi nullo per mancanza del requisito essenziale della motivazione o per motivazione meramente apparente o perplessa, il provvedimento di riforma del giudice del reclamo che - nulla dica in ordine alla fondatezza o meno dei motivi di reclamo specificamente dedotti non dia conto, nemmeno in altro modo, delle ragioni di fatto e/o di diritto che rendevano erronea la decisione impugnata si limiti ad attribuire autonoma ed automatica valenza alla sola circostanza del venir meno dell’indennità di servizio, senza fornire alcuna spiegazione in ordine alla mancata considerazione delle altre circostanze sopravvenute dedotte dalle parti e già valutate dal primo giudice nell’ambito di una rinnovata ponderazione comparativa delle condizioni economiche delle parti”. 3.1. - Il motivo è infondato. La ricorrente, ribadendo, sotto altra prospettiva, la tesi già svolta nel precedente motivo, denuncia la nullità del decreto per motivazione carente o meramente apparente, laddove il provvedimento impugnato appare sorretto da una congrua esposizione delle ragioni della decisione, mediante l’esame, sia pure in maniera sintetica, delle questioni ritenute rilevanti ai fini della decisione perdita dell’indennità di servizio sua incidenza situazione patrimoniale delle parti obblighi dello Z. residua capacità lavorativa della S. . Va ricordato, a tale proposito, che, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali, e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi - come nel caso in esame gli elementi sui quali, intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, implicitamente, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione, adottata Cass., 15 aprile 2011, n. 8767 Cass., 1° ottobre 2003, n. 14598 Cass., 2 dicembre 1998, n. 12220 Cass., 10 giugno 1997, n. 5169 Cass., 25 maggio 1995, n. 5748 . 4. - Il terzo motivo, con il quale si deduce violazione degli artt. 5 e 9 della l. n. 898 del 1970, per non essersi valutate, nel loro complesso, le variazioni reddituali e patrimoniali verificatesi successivamente alla sentenza di divorzio, è inammissibile, in quanto, mediante la deduzione di una violazione di legge, si richiede, enumerandosi le circostanze di fatto che avrebbero dovuto essere valutate, un inammissibile riesame del merito. 5. - Quanto al quarto motivo, con il quale si deduce - sotto altra prospettazione cioè a dire in relazione alla genericità del riferimento alla situazione patrimoniale della parti - la nullità della decisione per le medesime ragioni giuridiche avanzate con il secondo motivo carenza di motivazione , valgano - ad evidenziarne l’infondatezza, le superiori considerazioni cfr. p. 3.1 . 6. - Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 112 c.p.c. e 2009 c.c., con riferimento alle ritenuta possibilità, per la S., di incrementare le proprie entrate svolgendo attività lavorativa. Si sostiene che il punto circa l’incapacità, per ragioni obiettive, non era posto in discussione a far tempo della decisione di divorzio, e che lo stesso Z. nulla aveva dedotto al riguardo. 6.1. - La medesima circostanza costituisce la base della doglianza contenuta nel motivo successivo, prospettato in relazione alla violazione degli artt. 5 e 9 della l. n. 898 del 1970, avuto riguardo all’insussistenza, per ragioni obiettive, di reperire, all’età di 56 anni, un’adeguata attività. 6.2. - Sempre con riferimento alla circostanza testè evidenziata, con il settimo motivo si deduce nullità della decisione per vizio di motivazione. 7. - I motivi sopra indicati, per i quali risultano rispettate le prescrizioni contenute nell’art. 366 bis c.p.c., possono essere congiuntamente esaminati attesa la loro intima connessione. Essi sono infondati, in quanto, premesso che il riferimento per in vero poco felice alla possibilità per la S. di incrementare i propri redditi è inserito in un più ampio contesto, con l’enumerazione di una serie di circostanze poste alla base della riduzione, in maniera non significativa, dell’assegno da 1.500 e 1000 euro , e rilevato che non risulta dimostrato, nel rispetto del principio di autosufficienza, il dato inerente a una precedente statuizione sull’oggettiva incapacità lavorativa della S., o su apprezzabili difficoltà di reperire un lavoro, deve ritenersi che trattasi di mera quaestio facti, in relazione alla quale, essendo ipotizzabile un vizio motivazionale, non è sufficiente dedurre la natura apodittica dell’affermazione, dovendosi allegare e dimostrare come, soprattutto in presenza di una pluralità di ragioni poste alla base della sentenza impugnata, la carenza abbia inciso in maniera determinante sulla decisione, e quale diversa statuizione sarebbe stata adottata in sua assenza. 8. - L’ultimo motivo è inammissibile, in quanto, l’esercizio del potere di compensazione, anche parziale, delle spese processuali ha natura discrezionale, e non può essere sindacato in questa sede. 9. - In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al presente grado del giudizio, liquidate in € 1700,00, di cui € 1500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.