Pensione di reversibilità e assegno vitalizio: ben poche le affinità

L’assegno vitalizio destinato ai parlamentari – la cui disciplina è demandata ai regolamento interni delle Camere – è dotato di caratteri riconducibili anche al regime delle assicurazioni private. Il fatto che per essere trasferito post mortem a un terzo imponga il pagamento di una quota aggiuntiva, lo allontana dai canoni tipici previdenziali. Sono quindi diversi i criteri di ripartizione rispetto alla divisione operata tra coniuge divorziato e superstite in tema di assegno divorzile e di pensione di reversibilità.

Questo il principio enucleato dalla sentenza n. 10177/12, depositata il 20 giugno, della Prima sezione della Cassazione Civile. Battaglia di percentuali. Una donna, divorziata da un uomo poi coniugatosi con un’altra signora, chiedeva l’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità nonché dell’assegno vitalizio spettante all’ex marito in quanto ex parlamentare. Si costituiva la seconda moglie, negando il diritto al riconoscimento dell’assegno vitalizio che, a suo dire, non aveva natura previdenziale. Il Tribunale di Trieste attribuiva all’attrice il 70% del trattamento di reversibilità e il 30% dell’ammontare dell’assegno vitalizio e invertiva chiaramente le quote spettanti alla convenuta. La Corte d’Appello modificava lievemente la fetta del trattamento di reversibilità, senza modificare la porzione di assegno vitalizio. La querelle proseguiva poi in Cassazione. Linee guida. La Suprema Corte in primis precisa che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile, e quello superstite, va fatto sia in base al criterio della durata dei rispettivi matrimoni, sia considerando ulteriori elementi collegati alle finalità solidaristiche entità assegno, condizioni finanziarie delle parti, lunghezza del periodo di convivenza . Non tutti gli elementi predetti devono necessariamente concorrere ed essere valutati in egual misura, rientrando nell’apprezzamento del giudice di merito la determinazione concreta Cass. n. 18461/04 . Se tutti gli elementi riferibili alle parti fossero stati paritari, la pensione sarebbe stata attribuita per il 50% a ciascuna delle donne, ma evidentemente la Corte territoriale ha ravvisato diverse circostanze. Assegno vitalizio quale disciplina? La ricorrente sostiene debba essere assoggettato alle medesime regole, sopra spiegate, della materia della reversibilità vista la supposta natura previdenziale. La giurisprudenza Corte Costituzionale, n. 289/1994 Cassazione, n. 20538/2010 ha invece evidenziato la natura complessa e articolata dell’assegno vitalizio spettante ai parlamentari cessati dal mandato. Trattasi di un unicum specifico e particolare , dotato di tratti riconducibili anche al regime delle assicurazioni private. Trovando origine in una forma di mutualità, il trattamento si è poi tramutato in forma di previdenza obbligatoria, con disciplina ad hoc nei regolamenti parlamentari interni. L’assegno vitalizio viene a ricollegarsi a un’indennità di carica goduta in virtù del mandato pubblico, con caratteri ben diversi dalla classica retribuzione lavorativa. Doglianze rigettate. Ancor più problematica risulterebbe un’assimilazione del beneficiario post mortem al titolare di una pensione di reversibilità. Il trasferimento dell’assegno a un terzo è subordinato al pagamento di una quota aggiuntiva da parte del deputato defunto, e il ricevente viene designato, a scelta del de cuius , nella persone del coniuge o dei figli. Da qui l’assimilazione con il premio assicurativo e la lontananza dai canoni del sistema previdenziale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 aprile – 20 giugno 2012, n. 10177 Presidente Carnevale – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 24-4-2008, B.L. moglie divorziata di D.R. , successivamente coniugato con F.P. e deceduto , e titolare di assegno divorzile, chiedeva l'attribuzione di una quota della pensione di reversibilità nonché dell'assegno vitalizio spettante al D. , quale ex parlamentare. Si costituiva la F. , che non contestava il diritto alla quota della B. nella misura del 70%, negando analogo diritto al riconoscimento di assegno vitalizio, che, a suo dire, non aveva natura previdenziale. Si costituiva pure l'INPDAP, ente erogatore della pensione, nonché la Camera dei Deputati, la quale specificava che il trattamento del D. non aveva natura previdenziale. Il Tribunale di Trieste, con sentenza in data 13-8-2009, attribuiva alla B. la quota del 70% del trattamento di reversibilità e alla F. la residua quota del 30% ripartiva tra le stesse parti, ma in percentuale inversa, l'assegno vitalizio. Avverso la predetta decisione la B. proponeva appello. Costituitasi, la F. ne richiedeva il rigetto e proponeva appello incidentale. L'INPDAP e la Camera dei Deputati si costituivano, rimettendosi alla decisione del giudice. La Corte d'Appello di Trieste, con sentenza in data 21-7 / 28-8-2010, attribuiva l'80% del trattamento di reversibilità alla B. e il residuo 20% alla F. rigettava la domanda dell'appellante principale circa la corresponsione di quota parte dell'assegno vitalizio del D., quale ex parlamentare. Ricorre per cassazione la B. . Resiste, con controricorso, la F Motivi della decisione Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma terzo l. 898/70, circa il riparto della pensione di reversibilità tra essa e la F. . Il motivo va rigettato, in quanto infondato. Correttamente la Corte di merito precisa, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale Corte Cost. n. 419 del 1999 e di questa Corte per tutte, Cass. n. 10669/2007 che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile, e quello superstite, va fatto, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, coincidente con la durata legale di essi, anche considerando ulteriori elementi in vario modo collegati alle finalità solidaristiche proprio del trattamento di reversibilità entità dell'assegno divorzile, condizioni economiche delle parti, durata delle rispettive convivenze. Va ancora precisato che non tutti gli elementi predetti devono necessariamente concorrere ed essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito dell'apprezzamento del giudice di merito la determinazione concreta della loro rilevanza per tutte, Cass. n. 18463 del 2004 . Con motivazione congrua e non illogica, il giudice a quo considera il criterio preminente della durata legale del matrimonio, ma pure delle rispettive convivenze, sempre a vantaggio della B. , anche se tale vantaggio si attenua, considerando le convivenze prematrimoniali e, durante il matrimonio, fino alla separazione . Ancora, la sentenza impugnata considera la posizione reddituale della F. , ben più elevata, stante il suo collocamento lavorativo nell'ambito del personale dirigente della Provincia di Trieste. La B. - continua la sentenza — non era in grado di provvedere al proprio mantenimento, e tale sua condizione giustificava un assegno divorzile alquanto consistente Euro 4000,00 poi ridotto a 3000,00 . Se tutti gli elementi riferiti alle parti fossero stati paritari, la pensione sarebbe stata attribuita al 50% per ciascuna il giudice a quo ha esaminato vari profili che richiedevano un’attribuzione maggiore alla B. considerate tali risultanze, la sentenza impugnata ha elevato l'attribuzione ad essa fino alla quota dell'80% il primo giudice aveva determinato il 70% , superiore ai 2/3 dell'intero ammontare, secondo una valutazione di merito, insuscettibile il controllo in questa sede. Con il secondo motivo, la ricorrente censura l'errata e/o falsa interpretazione della natura dell'assegno vitalizio erogato all'ex coniuge defunto dalla Camera dei Deputati, avendo esso natura previdenziale e dovendo essere dunque assoggettato alla disciplina del riparto della pensione di reversibilità. Con il terzo, lamenta errata e/o falsa interpretazione dell'art. 9 del regolamento parlamentare, indicante il soggetto beneficiario della quota dell'assegno vitalizio in caso di decesso del parlamentare. La giurisprudenza della Corte Costituzionale Corte Cost. n. 289 del 1994 e di questa Corte da ultimo, Cass. n. 20538 del 2010 così come la dottrina in materia, hanno evidenziato la natura complessa e articolata dell'assegno vitalizio spettante ai parlamentari cessati dal mandato, che presenta profili in parte riconducibili al modello previdenziale pensionistico e in parte al regime delle assicurazioni private, rappresentando dunque un unicum, specifico e particolare. Trovando la sua origine in una forma di mutualità Cassa di Previdenza per Deputati e Senatori , tale trattamento si è gradualmente trasformato in una forma di previdenza obbligatoria, che prevede contributi dei titolari ma pure integrazione da parte dello Stato , suscettibile di detrazione dalla base imponibile rappresentata dagli importi dell'indennità di carica. Si tratta di un regime speciale che trova la sua fonte e la sua disciplina nei regolamenti parlamentari interni nella specie, della Camera dei Deputati . E, del resto, l'assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a ricollegarsi ad un indennità di carica goduta in virtù di un mandato pubblico, con caratteri, criteri e finalità ben diverse da quelle proprie della retribuzione connessa ad un rapporto di lavoro. Se l'assegno vitalizio già presenta caratteri non riconducibili automaticamente al trattamento pensionistico, ancor più problematica risulterebbe un'assimilazione del beneficiario post mortem al titolare di una pensione di reversibilità. Va precisato infatti che il trasferimento dell'assegno post mortem ad un terzo, e subordinato al pagamento di una quota aggiuntiva da parte del parlamentare, e il beneficiario viene designato, a scelta di questo, nella persona del coniuge o dei figli. Qui l’analogia con il premio assicurativo a favore dei terzi si configura, ancor più palesemente, e la lontananza del sistema previdenziale è del tutto evidente. È appena il caso di precisare che il D. , indicando la persona del coniuge quale beneficiario del vitalizio, non poteva che riferirsi al coniuge superstite, tale al momento del suo decesso. Vanno rigettati, in quanto infondati, i motivi secondo e terzo. Conclusivamente, va rigettato il ricorso. La natura della causata posizione delle parti richiedono la compensazione delle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso dichiara compensate le spese di giudizio tra le parti.