Lavoratore in mobilità? Assegno ridotto per l’ex moglie

Il peggioramento della situazione lavorativa giustifica una revisione dell’importo da versare.

La vicenda. Nel 2002 il Tribunale di Bari dichiarava, con sentenza non definitiva, la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi e, nel 2005, con sentenza definitiva, determinava l’ammontare dell’assegno divorzile, includente il contributo destinato al mantenimento del figlio maggiorenne. Avverso la decisione la donna ricorreva in appello, senza successo, chiedendo - tra le altre cose - la rideterminazione dell’assegno. La Corte di merito, tenuto conto del fatto che rispetto all'originaria situazione economico-sociale riconosciuta dalle parti con gli accordi di separazione si era verificata la novità, negativa per l’ex marito, costituita dalla sua messa in stato di mobilità, nonché della costituzione da parte sua di un nuovo nucleo familiare, con sopraggiunto onere del mantenimento di un figlio ancora minorenne, confermava la pronuncia del giudice di primo grado, il quale aveva ridotto del 10% la somma originariamente fissata negli accordi di separazione. Contro questa decisione la donna proponeva ricorso per Cassazione. L’assegno divorzile. In seguito alla fine dell’unione matrimoniale viene meno il rapporto di coniugio e le parti perdono il relativo status . Tuttavia, poiché possono sopravvivere vincoli di carattere patrimoniale ed assistenziale, non cessano completamente i rapporti. Il giudice - tenuto conto di una serie di criteri dettati espressamente dal legislatore – può disporre l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente un assegno a favore dell’altro, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. L’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente. Tale condizione è da intendersi come insufficienza dei medesimi a consentire un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell'avente diritto. Rileva invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, al fine di ristabilire un certo equilibrio. La decisione . I giudici della Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto e avallando la decisione del giudice di prime cure, con la sentenza n. 26771/2011 hanno sostenuto il diritto del lavoratore collocato in mobilità a una riduzione dell’assegno di divorzio versato in favore dell’ex coniuge. L’assegno divorzile può essere ridotto. La nuova situazione lavorativa dell’ex coniuge, nonché la creazione di un nuovo nucleo familiare - con annessi obblighi derivanti da questo e dalla nascita di un altro figlio - giustificano, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, una revisione dell’assegno divorzile, considerato che l’ex coniuge onerato al versamento ha subito un mutamento in peius della propria situazione lavorativa.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 novembre – 13 dicembre 2011, n. 26771 Presidente Rovelli – Relatore Berruti Svolgimento del processo Il tribunale di Bari con sentenza non definitiva del 7 maggio 2002 dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio di S B. e G F Quindi, con sentenza definitiva del 3 dicembre 2005, determinava la misura dell'assegno divorzile includente la parte relativa al mantenimento del figlio maggiorenne. La B. proponeva appello chiedendo in via istruttoria che venissero disposte indagini di polizia tributaria ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 898 del 1970, relativamente ai redditi del F Chiedeva una nuova determinazione dell'assegno divorzile, tanto relativamente ad essa istante quanto al mantenimento del figlio, oltre alle spese di studio ed a quelle mediche straordinarie per il medesimo, ed altresì la condanna dell'ex coniuge al pagamento delle differenze non ancora corrisposte rispetto all'importo mensile dell'assegno di mantenimento, aggiornato come per legge. Il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria. Chiedeva altresì che la controparte venisse condannata al pagamento in suo favore della quota di legge sul già riscosso TFR, pari ad Euro 150.000,00. La Corte di Bari rigettava l'appello. Riteneva innanzitutto irrituale ed inammissibile la richiesta, appena sintetizzata, relativa alla quota di TFR, in quanto avanzata dal difensore della B. in primo grado, ma solo all'udienza di precisazione delle conclusioni e riproposta quindi con l'atto di appello. Rilevava che sul tema il F. , in primo grado, non aveva accettato il contraddittorio. Pertanto il giudizio di appello non poteva avere ad oggetto tale domanda, estranea al primo giudizio. La corte di merito quindi rilevava che, anche sulla falsariga di patti antecedenti il divorzio estesi in sede di separazione consensuale, tanto il primo giudice quando la concreta attività istruttoria delle parti, avevano trattato unitariamente l'importo dell'assegno dovuto dal F. , in quanto comprensivo sia dell'assegno di divorzio in senso stretto spettante alla donna, che del contributo al mantenimento del figlio. Pertanto decideva la controversia negli stessi termini del primo giudice. In particolare quanto alla misura dell'assegno condivideva la decisione del Tribunale richiamandone la motivazione e dunque considerando che rispetto all'originaria situazione economico sociale riconosciuta dalle parti con gli accordi di separazione si era verificata la novità, negativa per il F. , costituita dalla sua messa in stato di mobilità, nonché ancora, della costituzione da parte sua di un nuovo nucleo familiare con sopraggiunto onere del mantenimento di un figlio minore nato nel 2002. Considerava pertanto corretta la decisione del primo giudice, una riduzione del 10% della somma originariamente fissata negli accordi di separazione. Contro questa sentenza ricorrere per cassazione B.S. con atto articolato su tre motivi, ciascuno sintetizzato nel richiesto quesito. Resiste G.T F. con controricorso. La ricorrente deposita una memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta l'errore del secondo giudice consistito nell'aver ritenuto irrituale ed inammissibile la domanda relativa alla quota di TFR, con conseguente violazione anche del diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione e del dovere di lealtà nel contraddittorio desumibile dall'articolo 88 del codice di procedura civile. Afferma che all'udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, in data 4 luglio 2005, si era avuta la costituzione del nuovo difensore della B. il quale, nella propria comparsa, diversamente dal precedente difensore, aveva formulato la domanda di pagamento della quota di TFR chiedendo la rimessione della causa sul ruolo per le necessarie indagini di polizia giudiziaria. Lo stesso nuovo difensore aveva chiesto anche la nuova determinazione dell'assegno di mantenimento e quindi la condanna del F. al pagamento della quota del riscosso trattamento di liquidazione. Afferma che la domanda ritenuta inammissibile in realtà non sarebbe stata presentata precedentemente perché le circostanze ad essa relative non erano ancora emerse. Dunque la causa sopravvenuta secondo la ricorrente giustificherebbe la presentazione della domanda e l'allegazione della circostanza ad essa relativa finanche nella sede della precisazione delle conclusioni. 1.a. Osserva la Corte che, come il secondo giudice ha osservato, il primo giudizio non ha avuto in alcun modo ad oggetto la liquidazione della quota del TFR in favore della signora B. , nemmeno all'indomani della produzione documentale del F. con la quale il medesimo chiedeva la riduzione dell'assegno antecedentemente fissato nella misura del 10%, con riferimento alle nuove circostanze costituite dal suo stato di mobilità. Neppure in quella sede dunque, nella quale si introduceva correttamente da parte del suo avversario una domanda di modifica delle condizioni economiche del divorzio, la signora B. introdusse, come avrebbe potuto, una domanda di rideterminazione dell'assegno stesso e quindi di determinazione della spettante quota di TFR. Del tutto irrilevante quindi è la allegazione fatta in sede di precisazione delle conclusioni, in data 4 luglio 2005 dopo che le stesse già erano state precisate nella precedente udienza del 31 gennaio 2005, come nota puntualmente il controricorrente ,la convenuta formulava la richiesta in questione. Osserva dunque il collegio che non viene, nella vicenda,come si sostiene, il potere istruttorio del giudice, sicuramente elastico ed ampio nella materia divorzile in particolare in relazione alla ricerca delle effettive condizioni economiche delle parti. Vengono in rilievo piuttosto il principio del contraddittorio e quello del diritto di difesa, e dunque l'ampiezza della istruttoria con riferimento alle domande ritualmente e tempestivamente avanzate. L'equivoco in cui cade il ricorrente è di ritenere, esplicitamente, che l'effetto della richiamata ampiezza del potere istruttorio del giudice in siffatti giudizi è quello di tramutare sempre il processo di appello in una ripetizione del giudizio di primo grado, trascurandone la funzione impugnatoria. La norma dell'articolo 342 cpc civile, comma primo, infatti, non a caso richiama l'articolo 163 cpc, dopo avere peraltro prescritto l'obbligo di indicare da parte dell'appellante i motivi specifici della impugnazione, bensì allo scopo di definire nell'ambito delle doglianze il secondo giudizio. Orbene i motivi specifici della impugnazione sono stati tutti esaminati dal giudice di secondo grado. La doglianza è infondata. 2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 112 c.p.c., dalla quale sarebbe derivata la nullità della sentenza, ovvero del procedimento dal quale essa deriva, ai sensi dell'articolo 360 n. 1 cpc. La B. lamenta che i giudici di appello non abbiano tenuto in considerazione le domande di condanna del F. al pagamento delle differenze non corrisposte rispetto all'esatto importo mensile dell'assegno di mantenimento. Sostiene che la domanda era implicitamente contenuta tanto nella comparsa di risposta in primo grado quanto nel verbale di udienza del 4 febbraio 2002 laddove l'accettazione di un assegno emesso dal F. a copertura di differenze dovute per aggiornamenti Istat relativamente a taluni mesi del 2001 e del 2002 era avvenuta in conto delle maggiori somme dovute. Afferma dunque che da tale comportamento processuale, accettato dal F. , sarebbe derivato l'obbligo del giudice di secondo grado di esaminare la domanda in questione, in tal modo espressa. 2.a. Osserva il collegio che, come ha considerato il giudice di secondo grado, la domanda di cui si tratta non è mai stata formulata nel corso del giudizio di primo grado. È appena il caso di precisare che l'accettazione da parte del difensore di somme nel frattempo pagate, con la clausola relativa al successivo controllo del conteggio, e salvo il buon fine del titolo, come indicato nel verbale di udienza del 4 febbraio 2002, non costituiscono in alcun modo la domanda richiesta dalla legge. Ancora una volta, e per le ragioni indicate nell'esame del primo motivo, la ricorrente dimentica l'obbligo di specificità appena menzionato di cui all'articolo 342 cpc. 3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo dell'132 comma secondo cpc, nonché dell'art. 118 delle disposizioni di attuazione del medesimo codice dalle quali sarebbe derivata ancora una volta la nullità della sentenza impugnata. Sostiene, quanto alla misura dell'assegno, che il giudice di secondo grado non ha motivato ma invece ha richiamato puramente e semplicemente la sentenza di secondo grado senza fornire una sua propria motivazione con riferimento alle necessità istruttorie poste dall'appello. 3.a.Osserva il collegio che anzitutto la sentenza impugnata non si è limitata, come sostiene la ricorrente, a richiamare la sentenza del primo giudice. Essa infatti dopo aver ritenuto puntuale la motivazione del primo giudice che ritiene di fare propria, precisa, con grande sintesi ma con altrettanta precisione, il punto relativo al contrasto tra le parti dovuto alla diminuzione dell'assegno del 10%, menzionando le circostanze che, a suo avviso condivisibilmente, il primo giudice aveva valorizzato. Ovvero la nuova situazione lavorativa del F. e la parallela nuova situazione familiare con gli obblighi in capo a lui appena sorti in conseguenza della stabile relazione e del figlio che gli era nato. Ne deriva che la motivazione, che ribadisce la decisione del primo giudice di ridurre l'assegno rispetto alla misura fissata in sede di separazione, e l’affermazione della non proponibilità di domande estranee al petitum originario in quanto irritualmente o tardivamente presentate, sostiene adeguatamente la decisione di rigettare l'appello. 4. Il ricorso deve essere respinto. La Corte ritiene sussistenti i giusti motivi per compensare le spese attesa la particolarità della vicenda e la sua contendibilità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.