No alla liquidazione delle spese nei reclami cautelari proposti in corso di causa

Nel regime successivo alla novella introdotta con legge n. 80/2005, l'ordinanza di rigetto del reclamo cautelare proposto in corso di causa non deve contenere un'autonoma liquidazione delle spese della fase cautelare endoprocessuale, essendo tale liquidazione rimessa al giudice del merito contestualmente alla valutazione dell'esito complessivo della lite qualora tale liquidazione sia comunque stata effettuata, deve essere riconsiderata insieme alla decisione del merito della causa e, ove non lo sia, e sia dedotto uno specifico motivo di appello sul punto, il giudice di appello è tenuto ad una riconsiderazione complessiva delle spese di lite, comprensive delle spese del procedimento endoprocessuale, sulla base dell'esito del giudizio.

Il caso. In una causa di opposizione a precetto, i creditori chiedevano dichiararsi la cessazione della materia del contendere sostenendo di aver rinunciato a mettere in esecuzione il titolo esecutivo. Il Tribunale sospendeva l'esecuzione e dichiarava la cessazione della materia del contendere condannando però i creditori opposti alla rifusione delle spese in favore dell'opponente. Uno dei creditori proponeva appello, ma la Corte respingeva il gravame e condannava l'appellante alle spese e anche ex art. 96 c.p.c. La decisione della Corte. I giudici di Appello avevano rigettato l'impugnazione sulla base della soccombenza virtuale i creditori, agendo in executivis , non avevano notificato una sentenza munita di valida formula esecutiva e da ciò discendeva comunque la nullità dell'atto di precetto. La Cassazione però accoglie il ricorso di uno dei creditori nella parte in cui si doleva del fatto che la sentenza di appello impugnata avesse affermato che non rientrava nella competenza del giudice del merito di primo grado modificare il provvedimento emesso su reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. nell'ambito di un giudizio di primo grado laddove aveva provveduto alla liquidazione delle spese del procedimento cautelare. Nello specifico il reclamo cautelare 669 terdecies c.p.c. anzidetto è il rimedio esperibile nella fase di opposizione pre-esecutiva avverso il provvedimento che decide sull'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo da promuovere al Collegio del Tribunale a cui appartiene il giudice monocratico che ha emesso il provvedimento così Cass. S.U. n. 19889/2019 . Secondo la Cassazione le spese del procedimento cautelare in questione relativo cioè alla sospensione dell'efficacia del titolo esecutivo , promosso in corso di causa ex art. 615, comma 1 c.p.c., erano state erroneamente liquidate dal Collegio all'esito del reclamo proposto ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c. a carico dei ricorrenti. Al contrario, trattandosi di procedimento cautelare in corso di causa, la liquidazione avrebbe dovuto essere effettuata all'esito del giudizio a cognizione piena come si deduce dall’art. 669 septies , comma 2 c.p.c. . Il Tribunale nella sentenza di primo grado che ha definito il giudizio di merito a cognizione piena ha poi ritenuto intangibile la liquidazione delle spese anzidetta in sede di reclamo limitandosi a liquidare solo quelle del giudizio di merito. La Cassazione spiega invece che le spese dei procedimenti cautelari introdotti in corso di causa vanno sempre liquidate all'esito del giudizio di merito unitamente a quelle di quest'ultimo. Se poi sono state erroneamente liquidate in sede cautelare, una volta giunti al termine del giudizio di merito si deve nuovamente provvedere sulle stesse non essendo quindi intoccabili per via della decisione erronea in sede cautelare . Proprio su questo aspetto si fondava la censura del ricorrente il creditore aveva svolto apposito motivo di appello circa l'erronea liquidazione delle spese in sede di reclamo, ma la Corte d'Appello aveva reiterato l'errore del giudice di merito di primo grado considerando anch'essa non più modificabile il provvedimento di liquidazione delle spese in sede di reclamo. Gli Ermellini condividono quindi le doglianze sopra brevemente descritte e accolgono il ricorso rinviando alla Corte d'Appello in diversa composizione per giudicare attenendosi ai principi di diritto indicati nella massima.

Corte di Cassazione, sez. III civile, ordinanza 4 febbraio – 13 maggio 2021, n. 12898 Presidente Vivaldi – Relatore Rubino Rilevato che 1. M.V. propone ricorso per cassazione, notificato il 2 febbraio 2018, articolato in cinque motivi ed illustrato da memoria, nei confronti di G.B. , nonché di G.D. , G.G. , Mo.Ma.Li. , per la cassazione della sentenza n. 3580 del 2017, pubblicata dalla Corte d’Appello di Milano il 2.8.2017, non notificata. 2. La vicenda processuale ha origine dalla sentenza n. 2961 del 2004, emessa dalla Corte d’Appello di Milano in sede di opposizione allo stato passivo del fallimento di G.B. , con la quale si ammettevano al passivo del fallimento, per le somme rispettivamente ad essi riconosciute, diversi creditori, tra i quali l’attuale ricorrente M.V. . 3. I creditori procedenti, sulla base della sentenza, intimavano al G. precetto di pagamento di quanto rispettivamente dovuto. 4. G.B. proponeva opposizione al precetto, ex art. 615 c.p.c., comma 1 e art. 617 c.p.c., sollevando in via preliminare eccezione in ordine all’assenza del timbro di conformità sulla copia della sentenza consegnata a sue mani e chiedendo la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. 5. Successivamente i creditori provvedevano a notificare un nuovo precetto sulla base della copia del titolo completa del timbro di conformità. 6. G.B. proponeva opposizione anche al secondo precetto e la causa arrivava fino in sede di legittimità, ove il ricorso proposto congiuntamente da tutti i creditori veniva in parte accolto, dalla sentenza di questa Corte n. 17626 del 2019, che in accoglimento del terzo motivo cassava con rinvio il provvedimento impugnato affinché la corte d’appello esaminasse il motivo di impugnazione relativo alla liquidazione delle spese del procedimento cautelare svoltosi in corso di causa. 7. Nella causa di opposizione avverso il primo precetto i creditori si costituivano chiedendo si dichiarasse la cessazione della materia del contendere, sostenendo di aver rinunciato a mettere in esecuzione quel precetto. Il Tribunale di Sondrio sospendeva l’esecuzione e dichiarava cessata la materia del contendere, condannando però i convenuti alla rifusione delle spese in favore dell’opponente. 8. La M. e gli altri creditori proponevano appello, che veniva rigettato con condanna alle spese ed anche ex art. 96 c.p.c., comma 3, sulla base della valutazione della soccombenza virtuale la corte d’appello afferma a questo fine l’inidoneità della sentenza notificata dai creditori, a causa della mancanza di una valida formula esecutiva, a valere come titolo esecutivo, con la conseguenza della nullità del precetto. 9. Resiste con controricorso G.B. . Gli altri intimati non hanno svolto attività difensive in questa sede. 10. La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata. Ritenuto che Con il primo motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostanzialmente si duole del fatto di essere stata condannata al pagamento delle spese del giudizio ed anche di un importo ex art. 96 c.p.c. sulla base della ritenuta soccombenza virtuale e contesta che fosse ipotizzabile a suo carico la soccombenza virtuale. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di legge in ordine all’ordinanza collegiale di rigetto del reclamo denuncia la violazione del combinato disposto dell’art. 669 terdecies c.p.c. e art. 669 quinquies rectius septies c.p.c. Contesta il punto della sentenza di appello in cui è stato rigettato, o dichiarato inammissibile il motivo di appello da lei formulato con il quale chiedeva si dichiarasse che il provvedimento di rigetto del reclamo era stato adottato dal giudice incompetente, il giudice della cognizione, che li aveva anche condannati alle spese, mentre avrebbe dovuto essere adottato dal giudice dell’esecuzione, e comunque chiedeva che si dichiarasse l’illegittimità del provvedimento di liquidazione delle spese del procedimento cautelare endoprocessuale in quanto effettuato da parte del giudice del reclamo. Afferma, richiamando i due articoli che assume essere stati violati, che le spese relative al reclamo proposto in corso di causa devono essere liquidate all’esito del giudizio di merito e non autonomamente. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. in materia di giusto processo e sostiene che il comportamento processuale tenuto da lei e dagli altri creditori non era altro che la legittima reazione al comportamento processuale tenuto dal debitore, che li aveva costretti ad intensificare le proprie azioni. Il G. , infatti, dopo aver chiesto anch’egli che si dichiarasse la cessazione della materia del contendere, con comportamento incompatibile con tale scelta processuale chiedeva ed otteneva per la seconda volta la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza posta in esecuzione. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 92 c.p.c. e del D.M. n. 140 del 2012, art. 5, comma 2 nonché dell’art. 111 Cost. in materia di giusto processo perché non sono state ridotte, come da loro richiesto, le spese processuali liquidate a carico degli opposti sulla base del valore della controversia definito in sede di causa. Sostiene che il valore si sarebbe ridotto a zero perché il primo precetto era inutilizzabile e abbia errato la corte d’appello nel ritenere che il valore della controversia sia rimasto pari al valore del credito azionato. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. per essere stata condannata al pagamento di 1.000 Euro per la temerarietà della proposizione dell’appello. Si limita a formulare il motivo senza sostenerlo con alcuna argomentazione. Il primo motivo è inammissibile benché proposto come vizio di motivazione, non fa riferimento a fatti determinati e decisivi che sarebbero stati pretermessi e che se considerati avrebbero potuto portare ad un esito diverso del giudizio ripercorre in effetti tutti i fatti sottesi al giudizio di appello per sostenere che la Corte non li abbia adeguatamente considerati, quindi quello che contesta è sostanzialmente l’esito del giudizio a sé sfavorevole, tentando di indurre la corte inammissibilmente alla rinnovazione del giudizio in fatto e non l’omessa considerazione di un fatto specifico. Il secondo motivo è fondato, nei limiti di cui in motivazione. La prima parte del motivo, laddove fa riferimento alla competenza del giudice dell’esecuzione, non può essere presa in considerazione in quanto, come osservato esattamente dal controricorrente, pone per la prima volta una questione che non è stata mai sollevata in precedenza nel giudizio di merito, e che appare comunque manifestamente infondata per il fatto che, come riferisce pianamente la stessa ricorrente, nessuna esecuzione è stata mai iniziata dopo la notifica del primo precetto, che è stato abbandonato, avendo provveduto i creditori a notificare un nuovo precetto, corredato da una copia esecutiva del provvedimento messo in esecuzione dotata del timbro di conformità. È fondato invece il secondo motivo laddove fa riferimento alla violazione di legge, contenuta nella sentenza impugnata che ha affermato che non rientrava nella competenza del giudice del merito modificare il provvedimento emesso su reclamo ex art. 669 terdecies nell’ambito del giudizio di primo grado laddove aveva provveduto alla liquidazione delle spese del procedimento cautelare. Il secondo motivo va accolto, per le stesse ragioni che hanno portato all’accoglimento dell’analogo terzo motivo del ricorso nella correlata sentenza n. 17626 del 2019, avente ad oggetto la seconda opposizione a precetto tra le stesse parti. Nel procedimento concluso con la sentenza n. 17626 del 2019 la violazione era ricondotta sotto il profilo della mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Anche in quel caso, le spese del procedimento cautelare relativo alla sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo, promosso in corso di causa, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, erano state erroneamente liquidate dal tribunale all’esito del reclamo proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., a carico dei ricorrenti trattandosi infatti di procedimento cautelare in corso di causa, la liquidazione avrebbe dovuto essere effettuata all’esito del giudizio a cognizione piena arg. ex art. 669 septies c.p.c., comma 2 . Il tribunale, in ambo i casi, nella sentenza che ha definito il giudizio di merito a cognizione piena in primo grado, ritenuta inammissibile ogni contestazione sulle spese liquidate in sede di reclamo, si è poi limitato a liquidare esclusivamente le spese del giudizio di merito, ritenendo intangibile la liquidazione di quelle della fase cautelare operata dal collegio in sede di reclamo, ancora una volta erroneamente, per i medesimi motivi sopra esposti. Le spese dei procedimenti cautelari introdotti in corso di causa vanno sempre liquidate all’esito del giudizio di merito a cognizione piena, unitamente a quelle di quest’ultimo dunque, anche laddove siano state erroneamente liquidate in sede cautelare, quando si arriva alla decisione sul merito si deve nuovamente provvedere sulle stesse, così assorbendo e superando la precedente decisione. I ricorrenti hanno nuovamente contestato, con un motivo di appello, sia la legittimità della loro condanna alle spese all’esito del procedimento di reclamo anche in ragione della pretesa abnormità dell’ordinanza collegiale che lo aveva definito , sia la violazione dei massimi tariffari. La corte di appello ha però ritenuto, duplicando in tal modo l’errore già compiuto, che la valutazione del tribunale, secondo la quale la liquidazione delle spese fosse stata correttamente effettuata dal giudice del reclamo, e non dovesse essere toccata con la decisione di merito, fosse conforme a diritto. Il motivo di ricorso in esame va pertanto accolto e la decisione impugnata va cassata in relazione, affinché in sede di rinvio si proceda all’esame del motivo di gravame relativo alla liquidazione delle spese del procedimento cautelare svoltosi in corso di causa. Accolto il secondo motivo di ricorso, i successivi motivi rimangono assorbiti. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che deciderà, anche sulle spese del presente giudizio, attenendosi al seguente principio di diritto Nel regime successivo alla novella introdotta con L. n. 80 del 2005, l’ordinanza di rigetto del reclamo cautelare proposto in corso di causa non deve contenere una autonoma liquidazione delle spese della fase cautelare endoprocessuale, essendo tale liquidazione rimessa al giudice del merito contestualmente alla valutazione dell’esito complessivo della lite qualora tale liquidazione sia comunque stata effettuata, deve essere riconsiderata insieme alla decisione del merito della causa e, ove non lo sia, e sia dedotto uno specifico motivo di appello sul punto, il giudice di appello è tenuto ad una riconsiderazione complessiva delle spese di lite, comprensive delle spese del procedimento endoprocessuale, sulla base dell’esito del giudizio . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbiti i motivi terzo, quarto e quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.