Emarginazione e povertà per la sua etnia in patria: protezione possibile per lo straniero in Italia

Fondamentale, secondo i Giudici, il riferimento alle evidenti disparità tra la vita nel Paese di origine e quella in Italia. Necessario tenere presenti, difatti, le condizioni di degrado a cui è sottoposta in patria l’etnia di appartenenza dello straniero.

Protezione possibile per lo straniero che in patria, a causa della sua appartenenza a una particolare etnia, è destinato a subire emarginazione, ad ottenere lavori poco remunerativi e a dover fronteggiare una povertà endemica, mentre in Italia ha trovato un lavoro dignitoso e dignitosamente retribuito e ha creato buoni legami con altri connazionali trasferiti nel Belpaese Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 12418/21, depositata l’11 maggio . Riflettori puntati sulla vicenda riguardante un uomo originario del Bangladesh e appartenente alla etnia Bede , etnia che in quel Paese è costretta a vivere in condizioni molto difficili. Su questo elemento punta lo straniero nella richiesta di protezione in Italia. Per i membri della Commissione territoriale prima e per i giudici del Tribunale poi, però, è legittimo rispedire l’uomo nel suo Paese di origine. Ciò perché ci si trova di fronte a un migrante che ha lasciato il proprio Paese soprattutto per l’esigenza di trovare lavoro , mentre non risulta alcuna persecuzione in Bangladesh ai danni del popolo Bede , potendosi parlare, piuttosto, secondo i giudici, di una emarginazione che trova adeguata spiegazione nella storia di un popolo nomade e nella conseguente difficoltà di omologarsi agli stili di vita della maggioranza della popolazione del Bangladesh. Per i giudici di merito, quindi, è impossibile ipotizzare una vulnerabilità dello straniero, né tantomeno una sua integrazione in Italia , poiché nulla emerge, al di fuori del rapporto di lavoro, in merito alla familiarità e ai legami con persone che non appartengono alla cerchia dei suoi connazionali immigrati anch’essi in Italia. La valutazione compiuta in Tribunale viene però censurata duramente dai Giudici della Cassazione. In premessa i magistrati tengono a ribadire che la condizione di vulnerabilità suscettibile di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria può essere desunta dalla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto dallo straniero in Italia e la situazione soggettiva ed oggettiva in cui questi si verrebbe a trovare in caso di rientro nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale . In questa vicenda si è appurato che l’etnia Bede si trova in una situazione di oggettiva emarginazione in Bangladesh, praticando lavori scarsamente remunerativi e vivendo una condizione di povertà endemica . Per completare il quadro, poi, è emerso anche che gli appartenenti all’etnia Bede non hanno la possibilità in Bangladesh di esercitare alcuni diritti fondamentali, come ad esempio l’elettorato attivo . In aggiunta è emerso che lo straniero in Italia dispone di regolare attività lavorativa e ha legami con persone che appartengono alla cerchia dei suoi connazionali immigrati . A fronte di tale quadro è evidente, secondo i Giudici della Cassazione, l’errore compiuto in Tribunale, laddove non si è adeguatamente la situazione di una persona che, per appartenenza ad un identificato gruppo sociale, ha vissuto nel Paese di origine – in cui dovrebbe essere rimpatriato – una condizione di emarginazione, di povertà endemica, di impieghi scarsamente remunerativi e che invece in Italia ha un lavoro regolare e legami con i connazionali . Plausibile, invece, secondo i Giudici della Cassazione, ipotizzare un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti ambientali nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di ogni vita che possa dirsi degna di essere vissuta . Di questa indicazione dovranno tenere conto i giudici del Tribunale, chiamati a riesaminare la richiesta di protezione presentata dallo straniero, che ora può davvero sperare di poter rimanere in Italia.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 12 gennaio – 11 maggio 2021, n. 12418 Presidente Tria – Relatore Amendola Rilevato che 1. il Tribunale di Cagliari, con decreto pubblicato il 19 novembre 2019, ha rigettato il ricorso proposto da A.N. , cittadino del Bangladesh appartenente alla etnia , avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, respinto la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria 2. il Tribunale, dato atto di aver sentito personalmente l’interessato nel corso dell’audizione del 25 luglio 2019 traendone il convincimento si trattasse di migrante che ha lasciato il proprio paese per un insieme di ragioni, tra le quali l’esigenza di trovare lavoro appare nettamente prevalente , ha ritenuto che dalle fonti internazionali consultate e specificamente indicate risultasse come alcuna persecuzione ai danni del popolo venisse consumata nel Paese, di provenienza dell’istante, trattandosi piuttosto di emarginazione che trova adeguata spiegazione nella storia di popolo nomade e nella conseguente difficoltà di omologarsi agli stili di vita della maggioranza della popolazione ha anche rilevato che gli atti descritti dall’interessato come persecutori la ritorsione subita dopo l’infruttuoso tentativo della madre di curare una malata non appaiono, sufficientemente caratterizzati nella loro consistenza oggettiva per potersene dedurre una finalità discriminatoria e non, piuttosto, una violenta rappresaglia legata ad uno specifico fatto episodico in ordine alla richiesta protezione umanitaria il Tribunale ha premesso che il ricorrente non versa in alcuna situazione specifica di vulnerabilità, avuto riguardo alle sue condizioni personali ed al suo stato di salute per quanto riguarda gli accadimenti in cui il richiedente ha raccontato di essere coinvolto - secondo la Corte - si tratta di fatti risalenti ad anni fa e non appare verosimile che possa persistere attualmente una volontà ritorsiva, in suo, danno, soprattutto in considerazione del fatto che il suo coinvolgimento non avrebbe trovato origine in nessuna sua condotta individuale ed autonoma circa l’integrazione dell’A. , il Tribunale l’ha giudicata insufficiente, dal momento che non parla la lingua italiana e fuori dallo svolgimento del rapporto di lavoro nulla emerge con riguardo alla familiarità ed ai legami con persone che non appartengono alla cerchia dei suoi connazionali immigrati quindi, per il Tribunale sardo che cita, espressamente Cass. n. 4455 del 2018, all’esito della valutazione comparativa richiesta non appare raggiunto dal ricorrente un livello di integrazione tale che il suo rientro in patria possa configurare in suo danno la perdita di diritti fondamentali acquisiti 3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 4 motivi il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa. Considerato che 1. il primo motivo denuncia un error in procedendo , sostenendo che il Tribunale sardo, anziché operare una doverosa ricerca sulla discriminazione di cui sono vittime gli appartenenti alla etnia in Bangladesh si lasciava andare a impressioni e giudizi meramente soggettivi sui quali fondava la decisione di rigetto il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge perché il Tribunale dava per acquisita e accertata l’appartenenza dell’odierno ricorrente all’etnia e riconosceva la discriminazione, ed emarginazione degli appartamenti alla stessa, tuttavia erroneamente pure in presenza di tele presupposto non prendeva in considerazione l’applicazione della normativa sopra richiamata limitandosi a generici giudizi soggettivi e di valore sulle ritenute usanze degli stessi il terzo mezzo denuncia il medesimo errore, ancora sotto forma di violazione o falsa applicazione di legge, con particolare riguardo del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b , circa l’individuazione del grave danno che può essere ravvisato, anche se i responsabili di esso siano soggetti non statuali 2. i primi tre motivi di ricorso, congiuntamente scrutinabili per connessione, risultano inammissibili per come formulati essi sono privi di adeguata specificità, risolvendosi in una mera elencazione di norme, senza l’osservanza del fondamentale principio secondo cui i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa, avendo il ricorrente l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del giudizio di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa, ad una parte ben specificata della decisione espressa v., da ultimo, Cass. n. 2959 del 2020 conf. Cass. n. 1479 del 2018 pertanto, se nel ricorso per cassazione si sostiene l’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, si deve chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia Cass. SS.UU. 21672 del 2013 in caso contrario, la censura - pur formalmente formulata come vizio di violazione, di norme legge - nella sostanza si traduce in una inammissibile denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, effettuata nell’esercizio di un Sindacato non censurabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 le censure partono poi dall’errato assunto che il provvedimento impugnato avrebbe riconosciuto che gli appartenenti alla etnia sarebbero soggetti a persecuzioni , mentre i giudici di merito, sulla scorta delle informazioni assunte e specificamente indicate, hanno esplicitamente negato la circostanza e tanto si traduce in un giudizio di fatto non sindacabile in questa sede 3. con l’ultimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 86 del 1998, art. 5, comma 6, quanto al mancato riconoscimento della protezione umanitaria si critica la sentenza impugnata per non aver adeguatamente effettuato la valutazione comparativa richiesta da Cass. n. 4455 del 2018, eccependo che l’A. , in caso di rientro in patria, si troverebbe privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza , tenuto conto che ha una occupazione da anni sul suolo italiano e ha imparato la nostra lingua 4. il Collegio giudica il motivo fondato alla luce dei principi enunciati da questa Corte Cass. n. 4455 del 2018 Cass. SS.UU. n. 24960 del 2019 , la condizione di vulnerabilità suscettibile di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria può essere desunta dalla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto dallo straniero in Italia e la situazione soggettiva ed oggettiva in cui questi si verrebbe a trovare in caso di rientro nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale il giudice del merito è dunque tenuto ad operare la comparazione in ragione, del proprio dovere di collaborazione istruttoria officiosa, al fine di accertare se con il rimpatrio possa determinarsi, all’attualità, non il mero peggioramento della condizione di vita goduta dallo straniero nel nostro paese, ma, tenuto conto della sua condizione soggettiva ed oggettiva età, salute, radici relazionali e parentali, condizione personale, appartenenza ad un gruppo sociale, ecc. , una compressione dei diritti umani correlati al suo profilo, che lo priverebbe della concreta possibilità di condurre un’esistenza coerente con il rispetto della dignità personale tale giudizio comparativo deve riguardare ove allegata anche la condizione economico-sociale del paese di origine, dovendosi verificare se ivi si sia determinata una situazione dettata da ragioni d’instabilità politica od altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale, anche in questa ipotesi Cass. n. 16119 del 2020 v. pure Cass., n. 18443 del 2020 5. ciò posto, nella specie il Tribunale sardo ha premesso che l’etnia , popolo nomade cui appartiene il richiedente protezione, si trova in una situazione di oggettiva emarginazione in Bangladesh, praticando lavori, scarsamente remunerativi in una condizione di povertà endemica , riconoscendosi altresì la oggettiva impossibilità di esercitare alcuni diritti fondamentali, come ad esempio l’elettorato attivo il Tribunale, poi, pur ritenendo insufficiente l’integrazione in Italia dell’istante, ammette che dispone di regolare attività lavorativa ed ha nel nostro Paese legami con persone che appartengono alla cerchia dei suoi connazionali immigrati conclude però apoditticamente escludendo che il rientro in patria possa configurare la perdita di diritti fondamentali acquisiti pertanto il Collegio giudicante non ha adeguatamente comparato la situazione personale vulnerabile di chi, per appartenenza ad un identificato gruppo sociale, ha vissuto nel Paese di origine e nel quale dovrebbe essere rimpatriato una condizione di emarginazione , di povertà endemica , di impieghi scarsamente remunerativi , di oggettiva impossibilità di esercitare alcuni diritti fondamentali , rispetto a quella vissuta in Italia dove ha un lavoro regolare e legami con connazionali, senza quindi verificare concretamente se risultasse un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti ambientali nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di ogni vita che possa dirsi degna di essere vissuta 6. conclusivamente il provvedimento impugnato deve essere cassato in relazione al motivo accolto - dichiarati inammissibili gli altri - con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si atterrà ai principi innanzi enunciati nel rivalutare la richiesta di protezione per motivi umanitari, all’esito provvedendo anche sulle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Cagliari, in diversa composizione, anche per le spese.