Sul danno cagionato al privato decide il lodo arbitrale solo se c’è lesione dell’affidamento riposto nell’emanazione del provvedimento amministrativo

Affinché si perfezioni la fattispecie di lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, e la relativa controversia in quanto concernente diritti soggettivi possa essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto, è necessario che sia identificabile un comportamento della P.A., differenziabile dalla mera inerzia, o dalla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo, che abbia cagionato al privato un danno in modo indipendente da eventuali illegittimità di diritto pubblico, ovvero che abbia indotto il privato a non esperire gli strumenti previsti per la tutela dell’interesse legittimo pretensivo a causa del ragionevole affidamento riposto nell’emanazione del provvedimento non più adottato.

E’ quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 12428 depositata l’11 maggio 2021. Una società consortile a r.l. proponeva domanda di arbitrato nei confronti di un Ente locale con condanna al risarcimento del danno . In particolare, parte attrice esponeva che, a seguito dell’approvazione del Programma di Recupero Urbano PRU ex art. 11 d. l. n. 398/1993 e della relativa gara, era intervenuta l’aggiudicazione dell’intervento di recupero in suo favore, aggiudicazione che si concludeva con la stipula di relativa convenzione urbanistica per la concessione alla società aggiudicataria del diritto di superficie a fronte dell’obbligo della medesima della realizzazione nel termine fissato degli alloggi e delle opere di urbanizzazione in conformità del progetto approvato. Tuttavia, i lavori relativi ad una parte dei lotti non erano potuti iniziare dapprima per la mancata disponibilità dei suoli, per essere stati accolti i ricorsi dei proprietari avverso l’occupazione di urgenza dei suoli da espropriare, e poi per il mancato esaurimento della procedura di approvazione della variante. Il servizio di vigilanza edilizia aveva redatto verbale di accertamento di lavori eseguiti in difformità dalla concessione rilasciata in attuazione della convenzione, cui avevano fatto seguito i relativi provvedimenti impugnati innanzi al giudice amministrativo. Con provvedimento dirigenziale l’Ente locale aveva dichiarato la decadenza del diritto di superficie ex art. 11 della convenzione nel caso di mancato inizio o ultimazione dei lavori nel termine e di mancato rispetto delle caratteristiche costruttive e tipologiche previste dalla concessione edilizia. Il lodo arbitrale , accogliendo parzialmente i quesiti di cui alla domanda attrice, dichiarava l’Ente locale tenuto al pagamento di una certa somma di denaro a titolo di risarcimento del danno. Successivamente, quest’ultimo, si vedeva rigettato il gravame proposto avverso il lodo perché secondo la Corte di Appello adita la cognizione degli arbitri si era limitata alle questioni di diritto soggettivo attinenti l’esecuzione della convenzione urbanistica e l’adempimento dei relativi obblighi, con esame del quesito relativo agli abusi edilizi solo in punto di fatto circa l’esistenza della circostanza e senza emanare decisioni sulla legittimità dei provvedimenti adottati dall’Ente locale il quale quindi, si vedeva costretto a ricorrere per Cassazione. Gli Ermellini, hanno ritenuto parzialmente fondato il secondo dei motivi di ricorso proposto dall’Ente locale con il quale lo stesso denunciava che con il lodo arbitrale erano stati decisi quesiti vertenti su questioni aventi natura di interesse legittimo e pertanto compromettibili. Nello specifico, parte ricorrente osservava che era precluso al Collegio Arbitrale l’esame relativo a numerosi quesiti aggiungendo che alcun obbligo gravava sullo stesso in ordine all’approvazione di una variante del PRU, trattandosi dell’ esercizio di un potere pubblicistico , tale costituendo anche l’approvazione del progetto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione comportante la dichiarazione di pubblica utilità di cui in un quesito veniva lamentata l’omissione. I Giudici di legittimità, riportando quanto statuito in materia dalle Sezioni Unite, osservano che spetta al giudice ordinario , per la ricorrenza di diritti soggettivi, la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della P.A. che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento del medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa è configurabile non solo nel caso in cui tale danno derivi dall’emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo e illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione. Nel caso di specie, prosegue il Collegio di legittimità, nell’atto introduttivo del procedimento arbitrale, con riferimento al mancato completamento del procedimento di approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano e alla mancata approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione non risulta dedotta in giudizio una specifica fattispecie di affidamento incolpevole del privato tale da avere indotto il medesimo a non esperire gli strumenti di tutela dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione dei provvedimenti in questione. I Giudici concludono affermando che nella specie, deve escludersi che in relazione all’emanazione di tali provvedimenti sia stata dedotta una specifica fattispecie di lesione dell’affidamento. A fronte della mera omissione provvedimentale non c’è che l’interesse legittimo pretensivo, tutelabile con l’istanza atipica di provvedimento ed il ricorso avverso il silenzio innanzi al giudice amministrativo.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 27 aprile – 11 maggio 2021, n. 12428 Presidente Spirito – Relatore Scoditti Fatti di causa 1. CON.CA. società consortile a r.l. propose domanda di arbitrato nei confronti del Comune di Benevento con condanna al risarcimento del danno. Espose in particolare parte attrice quanto segue. A seguito dell'approvazione del Programma di Recupero Urbano PRU , di cui al D.L. n. 398 del 1993, art. 11 e della relativa gara, era intervenuta l'aggiudicazione dell'intervento relativo al piano di recupero di via omissis in favore della società attrice, giungendosi così alla stipulazione in data 4 agosto 2000 e successiva nuova stipulazione in data 24 luglio 2002 di convenzione urbanistica per la concessione alla società aggiudicataria del diritto di superficie a fronte dell'obbligo della medesima di realizzazione nel termine fissato degli alloggi e delle opere di urbanizzazione in conformità del progetto approvato. I lavori relativi ad una parte dei lotti non erano potuti iniziare, dapprima per la mancata disponibilità dei suoli, per essere stati accolti i ricorsi dei proprietari avverso l'occupazione d'urgenza dei suoli da espropriare, e poi per il mancato esaurimento della procedura di approvazione della variante. Il servizio di vigilanza edilizia aveva redatto verbale di accertamento di lavori eseguiti in difformità dalla concessione rilasciata in attuazione della convenzione, cui avevano fatto seguito i relativi provvedimenti impugnati innanzi al giudice amministrativo. Con provvedimento dirigenziale di data 2 settembre 2008 il Comune aveva dichiarato la decadenza dal diritto di superficie, prevista dall'art. 11 della convenzione nel caso di mancato inizio o ultimazione dei lavori nel termine e di mancato rispetto delle caratteristiche costruttive e tipologiche previste dalla concessione edilizia. 2. Il lodo arbitrale, accogliendo parzialmente i quesiti di cui alla domanda, dichiarò il Comune tenuto al pagamento della somma di Euro 2.799.567,62 a titolo risarcitorio. 3. Avverso il lodo propose appello il Comune. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell'appello. 4. Con sentenza di data 29 settembre 2014 la Corte d'appello di Napoli rigettò l'appello. Per quanto qui rileva, osservò la corte territoriale, premesso che era preclusa la compromettibilità in arbitri delle controversie relative ad interessi legittimi, che la cognizione degli arbitri si era limitata alle questioni di diritto soggettivo attinenti, come affermato dal collegio arbitrale, all'esecuzione della convenzione urbanistica ed all'adempimento dei relativi obblighi, con esame del quesito relativo agli abusi edilizi solo in punto di fatto circa l'esistenza della circostanza e senza emanare decisioni sulla legittimità dei provvedimenti adottati dal Comune. 5. Ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Benevento sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. 6. Con ordinanza interlocutoria n. 935 del 20 gennaio 2012 la Prima Sezione Civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per la decisione del secondo motivo di ricorso attinente alla giurisdizione. Il Collegio ha proceduto in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni motivate ritualmente comunicate alla parte ricorrente. E' stata depositata memoria di parte. Ragioni della decisione 1. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia che con il lodo arbitrale sono stati decisi quesiti vertenti su questioni aventi natura di interesse legittimo e pertanto non compromettibili. Osserva la parte ricorrente che era precluso al Collegio Arbitrale l'esame dei quesiti proposti con la domanda indicati con i numeri 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 12 , 16 e 19 e che, quanto al quesito n. 15 , relativo alla decadenza dalla concessione del diritto di superficie, trattasi di atto amministrativo c.d. di autotutela vincolata, per il quale era stata dal lodo pronunciata l'illegittimità della decadenza nonostante la mancata impugnazione del relativo atto dirigenziale. Aggiunge che alcun obbligo gravava sul Comune in ordine all'approvazione di una variante del PRU, trattandosi dell'esercizio di un potere pubblicistico, tale costituendo anche l'approvazione del progetto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione comportante la dichiarazione di pubblica utilità , di cui nel quesito 4 viene lamentata l'omissione. Osserva ancora che il quesito n. 5 , avente ad oggetto l'omessa sottoscrizione del nuovo schema di convenzione approvato dal Consiglio comunale, in cui veniva riconosciuto il diritto di CON.CA. all'aggiornamento del prezzo, costituiva indebita ingerenza nelle valutazioni della PA e che, quanto al quesito n. 8 avente ad oggetto l'illegittimo accertamento di abusi edilizi, il giudice amministrativo aveva confermato la legittimità dei provvedimenti adottati. Aggiunge inoltre che il Collegio Arbitrale era sguarnito di ogni competenza circa il quesito 14 , avente ad oggetto la mancata realizzazione delle opere pubbliche previste dal PRU. 2.1 Il motivo è parzialmente fondato. Con riferimento al quesito n. 14 , pur reputato dagli arbitri relativo a diritti soggettivi, vi è carenza di interesse a ricorrere trattandosi di quesito rigettato dal lodo, come esposto nello stesso ricorso a pag. 14. Va premesso che il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione così da ultimo Cass. Sez. U. 26 ottobre 2020, n. 23418 30 ottobre 2019, n. 27847 . E' risalente e costante l'affermazione che le convenzioni urbanistiche costituiscono accordi sostitutivi di provvedimento amministrativo ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 11 Cass. Sez. U. 11 agosto 1997, n. 7452 1 febbraio 1999, n. 8 17 gennaio 2005, n. 732 7 febbraio 2002, n. 1763 20 novembre 2007, n. 24009 9 marzo 2012, n. 3689 6 dicembre 2012, n. 21912 25 maggio 2007, n. 12186 5 ottobre 2016, n. 19914 . La controversia relativa ad una convenzione urbanistica rientra in tal modo nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a n. 2 cod. proc. amm Ai sensi tuttavia dell'art. 12 del medesimo codice le controversie concernenti diritti soggettivi, devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto. Deve pertanto farsi una ricognizione dei quesiti posti con la domanda arbitrale, ed oggetto del motivo di ricorso, allo scopo di stabilire se si abbia ricorrenza di diritti soggettivi o interessi legittimi. Un preliminare criterio direttivo della ricognizione è quello della pertinenza del quesito alla questione dell'adempimento delle obbligazioni previste dalla convenzione, questione inerente, come è evidente, anche alla luce del richiamo ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti nel citato art. 11, alla materia dei diritti soggettivi. Come affermato da Corte Cost. 15 luglio 2016, n. 179, in base alla convenzione urbanistica sorgono vincoli sia per l'autorità procedente che per il contraente privato. L'effetto obbligatorio della convenzione urbanistica discende dalla circostanza che l'esercizio del potere amministrativo mediante un modulo convenzionale comporta in linea di principio l'esaurimento del potere discrezionale, salvo che non residuino comunque spazi di discrezionalità amministrativa. Il vincolo contrattuale permane finchè l'Amministrazione non eserciti il potere di recesso unilaterale dall'accordo per sopravvenuti motivi d'interesse pubblico, dietro corresponsione di indennizzo per l'eventuale pregiudizio, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 4. La natura anfibia dell'accordo sostitutivo di provvedimento fa si che la subordinazione del recesso unilaterale dell'Amministrazione alla sopravvenienza di motivi d'interesse pubblico derivi non solo dalla vincolatività dell'accordo ai sensi dell'art. 1372 c.c. in base al quale il contratto può essere sciolto per cause ammesse dalla legge , ma anche dalla consumazione del potere amministrativo mediante la stipulazione dell'accordo, il quale, come si evince dalla denominazione del capo della legge in cui si inserisce l'art. 11, realizza una forma di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, per cui il potere può riemergere solo sub specie di potestà di autotutela. 2.2. Muovendo dalla dichiarazione di decadenza dal diritto di superficie, prevista dall'art. 11 della convenzione nel caso di mancato inizio o ultimazione dei lavori nel termine e di mancato rispetto delle caratteristiche costruttive e tipologiche, la clausola collega al verificarsi dei presupposti previsti, integranti fatti di infedele esecuzione della convenzione, la risoluzione di diritto del rapporto. Essa è pertanto da qualificare, per la natura di inadempienza delle condotte rilevanti alla luce della disposizione convenzionale, come clausola risolutiva espressa. La risoluzione di diritto integra un'ipotesi di estinzione del rapporto alternativa al recesso unilaterale dal rapporto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico e rappresenta una vicenda rilevante dal punto di vista dell'adempimento della convenzione e dunque dei diritti soggettivi. Sul piano dell'adempimento degli obblighi previsti dalla convenzione urbanistica si colloca anche la questione degli abusi edilizi, questione qui rilevante come fatto rientrante nella valutazione della fedele esecuzione della convenzione, ai fini dell'attivazione della clausola risolutiva espressa, e non rilevante ai fini della legittimità del provvedimento adottato in seguito all'accertamento dei detti abusi. 2.3. Gli ulteriori quesiti, oggetto della proposta impugnazione, sono l'omessa sottoscrizione del nuovo schema di convenzione, che avrebbe consentito di aumentare il prezzo di cessione degli alloggi, schema approvato con Delibera del Consiglio comunale, il mancato completamento del procedimento di approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano e la mancata approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione. La prima verifica da compiere è quella se trattasi di profili rilevanti ai fini dell'adempimento della convenzione urbanistica. La convenzione non prevede obblighi che rinviino agli aspetti in questione, secondo quanto è dato di accertare mediante il diretto accesso agli atti consentito dalla natura processuale della censura proposta. Peraltro una questione interpretativa della convenzione non si pone perchè la denuncia relativa al mancato esercizio di poteri amministrativi attiene a circostanze sopravvenute rispetto alla conclusione della convenzione e relative alla fase dell'esecuzione. Deve pertanto verificarsi se obblighi siano insorti sulla base dell'integrazione della convenzione alla luce del principio di esecuzione del contratto secondo buona fede di cui all'art. 1375 c.c Del resto, come si legge nel controricorso, ciò che il privato ha inteso dedurre in giudizio è il comportamento del Comune in relazione agli obblighi assunti con la convenzione . Come è noto, con riferimento alla buona fede in executivis sono presenti in dottrina due linee di fondo, quella che vi attribuisce una funzione integrativa del regolamento mediante l'inserimento di obblighi accessori o strumentali e quella che vi assegna una funzione valutativa della condotta delle parti, ovvero di limite rispetto a modalità dell'agire reputate abusive nell'ambito di una valutazione distinta da quella di stretto diritto ed operante anche mediante lo strumento dell'exceptio doli generalis . Poichè nella prospettazione della parte attrice il mancato esercizio dei poteri amministrativi, che avrebbe determinato la non eseguibilità della convenzione urbanistica per la parte dipendente dall'esercizio dei detti poteri, rileverebbe in relazione agli obblighi assunti con la convenzione , ciò che viene qui in rilievo è la buona fede quale fonte di integrazione della convenzione. Deve pertanto deve accertarsi se la detta non eseguibilità sia imputabile all'inadempimento di un'obbligazione, la cui fonte sia non la volontà delle parti della convenzione, ma la legge in forza della clausola di buona fede in executivis. Più in generale deve essere valutato se, alla luce della L. n. 241 del 1990, art. 11, che prevede che agli accordi sostitutivi di provvedimento si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili , risulti compatibile con l'accordo sostitutivo di provvedimento la norma di cui all'art. 1375 c.c., quale fonte eteronoma di obblighi. Il presupposto di applicabilità dei principi del codice civile alla convenzione urbanistica è l'esaurimento del potere amministrativo con la stipulazione dell'accordo. Se tale è il presupposto, allora il limite di applicabilità dei principi in discorso è segnato dal regolamento contrattuale divisato dalle parti, perchè il perimetro del potere esaurito è dato dalle clausole convenzionali stipulate in luogo del suo esercizio. La sfera di discrezionalità amministrativa, non trasfusa nell'accordo, non è recuperabile all'obbligazione convenzionale, per via di integrazione legale degli obblighi sulla base della fonte eteronoma della buona fede, perchè, in mancanza dell'esercizio del potere in forma convenzionale e del suo esaurimento nell'accordo, permane la deroga al diritto civile stabilita dalla norma attributiva del potere amministrativo. L'applicazione della clausola generale di buona fede introdurrebbe obblighi derivanti non dalla convenzione, nella quale è stato speso il potere, ma dalla legge e dunque da un ordinamento nel quale prevale sul diritto comune la norma attributiva del potere. Il diritto comune si riespande solo in presenza dell'esaurimento del potere nell'accordo sostitutivo dando vita all'obbligazione di diritto civile. La misura di compatibilità dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti con l'accordo sostitutivo di provvedimento è data dall'esaurimento del potere nelle clausole convenzionali, che definiscono così il perimento di applicazione dei principi in questione. Per tutto ciò che non è disposto dal regolamento contrattuale vige la norma attributiva del potere, sulla quale non prevalgono le norme di diritto comune, ivi compreso l'art. 1375, quale fonte di obbligazioni, per la natura propria di deroga al diritto comune della norma in discorso, la quale attribuisce all'Amministrazione il potere di regolare gli interessi in luogo della legge e del contratto. Stante la prevalenza della norma attributiva del potere, è incompatibile con l'accordo sostitutivo di provvedimento il principio della buona fede in executivis quale fonte di integrazione degli obblighi contrattuali. Tale conclusione trova conferma nel requisito della motivazione che ai sensi dell'art. 11, comma 3, deve assistere l'accordo sostitutivo di provvedimento. La motivazione attiene al potere che risulta assorbito nella convenzione, non a quello che non è stato speso ed al quale afferirebbero le determinazioni integratrici di fonte legale. Con l'integrazione legale della convenzione, quanto agli obblighi ricadenti sull'Amministrazione, si avrebbe una produzione di effetti giuridici per un verso riconducibili alla legge, e non all'autorità amministrativa in forma convenzionale, nonostante la presenza della norma attributiva del potere, per l'altro carenti del requisito motivazionale. Rispetto alla corona di poteri amministrativi non esauriti con la conclusione dell'accordo, e tuttavia incidenti in linea di fatto sull'attuazione dell'accordo medesimo, non essendo configurabile un rapporto obbligatorio permane così una situazione di interesse legittimo. Si tratta, per riprendere quanto affermato da questa Corte a proposito della diversa fattispecie dell'accordo di programma di cui alla L. n. 142 del 1990, art. 27 poi trasfuso nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 34 , di una situazione analoga a quella dell'interesse legittimo che viene in rilievo quando il privato intende esercitare il potere di reazione avverso scelte discrezionali operate dall'Amministrazione che rendono inattuabile l'accordo nei termini programmati cfr. Cass. 5 febbraio 2021, n. 2738 . Per tornare al caso di specie, relativo alla mancata approvazione sia della variante al Programma di Recupero Urbano che dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, lo strumento di tutela da esperire, a tutela dell'interesse pretensivo all'esercizio del potere amministrativo in senso favorevole al privato, è quello dell'istanza atipica di parte per l'adozione del provvedimento alla quale far seguire, nel caso di permanenza dell'inerzia dell'Amministrazione, il ricorso avverso il silenzio ai sensi dell'art. 117 cod. proc. amm Si rammenti che nell'ambito della giurisdizione amministrativa la domanda di risarcimento del danno per lesione di interesse legittimo trova il limite, ai sensi dell'art. 30, comma 3, cod. proc. amm., nei danni che si sarebbero potuti evitare attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti come di recente rammentato da Cons. Stato, ad. Plen. 23 aprile 2021, n. 7 . 2.4. Escluso che il diritto soggettivo, in relazione a quanto non risulti divisato dalle clausole della convenzione urbanistica, possa sorgere quale effetto di quest'ultima per via di integrazione legale, deve accertarsi se una posizione di diritto soggettivo sia rinvenibile assumendo il punto di vista del comportamento, che il Procuratore generale ha introdotto nelle sue conclusioni motivate, scisso dall'attuazione del rapporto convenzionale, ma tuttavia incidente sull'esecuzione della convenzione ai fini della sussunzione della fattispecie nella clausola arbitrale. Il riferimento è a quanto di recente affermato da queste Sezioni Unite, e cioè che spetta al giudice ordinario, per la ricorrenza di diritti soggettivi, la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa è configurabile non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicchè il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione Cass. Sez. U. 28 aprile 2020, n. 8236 conforme Cass. Sez. U. 15 gennaio 2021, n. 615 . Il procedimento amministrativo costituisce un'interlocuzione fra l'Amministrazione ed il privato retta da norme per l'esercizio della funzione amministrativa. Rispetto a tale agere che si dispiega mediante atti formali e si colloca sul piano del diritto pubblico, deve essere individuato quale sia lo spazio del comportamento in violazione dei canoni di correttezza e buona fede perchè lesivo dell'affidamento riposto nell'adozione di un provvedimento amministrativo. Deve in particolare meglio essere definito il campo di applicazione del diritto civile rispetto all'azione regolata dal diritto amministrativo. La buona fede che qui rileva non è quella che l'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo menziona, quale forma del rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione unitamente alla collaborazione, e che corrisponde non alla regola di diritto civile, ma a un principio generale dell'ordinamento che ha la funzione, al pari della collaborazione, di modellare l'esercizio del potere fronteggiato dall'interesse legittimo e di cui è espressione la previsione del termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi nell'art. 21 nonies per l'annullamento d'ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo, c.d. affidamento legittimo . La correttezza che emerge con la lesione dell'affidamento è quella cui si correla una posizione di diritto soggettivo. Per la verità, nella stessa disciplina del procedimento amministrativo s'incunea il diritto comune, ove si consideri la L. n. 241 del 1990, art. 2 bis, comma 1, che prevede che la pubblica amministrazione è tenuta al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento . Come chiarito da Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5 in materia di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrativa in procedura di evidenza pubblica, sul cui solco è da ultimo Cons. Stato, sez. II, 20 novembre 2020, n. 7237 , la norma individua un diritto soggettivo perchè la violazione del termine di conclusione del procedimento non determina l'invalidità del provvedimento adottato in ritardo, ma rappresenta un comportamento scorretto dell'Amministrazione. Più precisamente, l'Adunanza plenaria chiarisce che il tempo del procedimento non rientra nella sfera del potere dell'Amministrazione, la quale rispetto al tempo è gravata da un obbligo. In definitiva, per riprendere una classica distinzione dottrinale, la norma sul tempo del procedimento è una norma non di azione, nella quale l'Amministrazione rilevi come autorità, ma è una norma di relazione, ricondotta da Cons. Stato, ad. Plen., 23 aprile 2021, n. 7 nell'ambito della responsabilità aquiliana. Il campo del comportamento, soggetto alla normativa civilistica di correttezza, corrisponde dunque a quell'area in cui l'Amministrazione dismette i panni dell'autorità, o perchè manchi una norma attributiva del potere, come nel caso del tempo del procedimento, o perchè la stessa Amministrazione assuma una condotta che acquista rilevanza al di là del regime degli atti formali del procedimento amministrativo, entrando in un'area disciplinata dal diritto comune. Rispetto alla mera inerzia dell'Amministrazione, suscettibile di essere compulsata con l'istanza del privato ed il successivo ricorso avverso il silenzio, o alle condotte procedimentali quali l'obbligo di valutare le memorie scritte ed i documenti presentati dai partecipanti al procedimento art. 10 o la tempestiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza art. 10 bis , il comportamento dell'Amministrazione rilevante ai fini dell'affidamento del privato si pone - e va valutato su un piano diverso rispetto a quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo Cass. Sez. U. 28 aprile 2020, n. 8236 . Deve trattarsi di un comportamento che, pur dispiegandosi anche mediante atti formali, sul piano del significato sporga rispetto alla fisiologia del procedimento e che pertanto si differenzi rispetto a quest'ultimo, perchè la responsabilità non è da procedimento, che resta regola dell'azione di un'autorità che esercita un potere, ma da comportamento. La questione della correttezza del comportamento è indipendente da quella della legittimità del procedimento, il quale potrebbe anche non essere attinto da violazioni sul piano formale. La fattispecie di comportamento lesivo dell'affidamento va così tenuta distinta da quella di violazione della norma del procedimento le cui conseguenze, sul piano del provvedimento, sono regolate dalla L. n. 241, art. 21 octies, comma 2 , per cui potrebbe aversi un comportamento in violazione della regola di responsabilità civile nonostante la validità dell'atto sul piano del diritto pubblico. Non differenziando peraltro procedimento e comportamento, e collegando al medesimo presupposto di fatto la produzione di effetti giuridici distinti a seconda del criterio qualificatorio adottato legalità del procedimento o correttezza del comportamento , si verrebbe a riproporre l'antica teoria della prospettazione, elaborata sul finire del diciannovesimo secolo dalla dottrina amministrativistica, secondo cui ciò che determina la giurisdizione non è il petitum sostanziale, ossia l'oggettiva situazione dedotta in giudizio, ma la situazione fatta valere della parte, consentendo così a quest'ultima di scegliere il giudice cui rivolgersi. La lesione dell'affidamento ovvero della libertà di autodeterminazione negoziale, secondo Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5 quale danno evento, eventualmente in unione con contegni non formali dell'Amministrazione, introduce una distinzione già sul piano del fatto, ancor prima dell'effetto giuridico, rispetto alla fattispecie di violazione procedimentale. Entrando nella problematica dell'affidamento, come di recente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, per aversi un affidamento giuridicamente tutelabile in capo al privato, occorre, da un lato, una condotta della pubblica amministrazione connotata da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell'interessato, versante in una condizione di totale buona fede, un'aspettativa al conseguimento di un bene della vita e, dall'altro, che la fiducia riposta da quest'ultimo in un esito del procedimento amministrativo a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta come fondata Cons. Stato, sez. II, 9 marzo 2021, n. 2013, che ha deferito all'Adunanza plenaria la questione, fra l'altro, delle condizioni in presenza delle quali sia configurabile un diritto al risarcimento per lesione dell'affidamento incolpevole . L'affidamento incolpevole di natura civilistica si sostanzia così nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta si tratta, in sostanza, di un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'amministrazione fondata sulla buone fede Cass. Sez. U. 28 aprile 2020, n. 8236 . Trattandosi della lesione dell'affidamento di natura civilistica, differenziata ed indipendente, come si è detto, dalla violazione procedimentale, deve intervenire un quid pluris rispetto alla mera inerzia o alla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo. Quel quid pluris deve integrare una fattispecie di diritto comune nella quale possa valutarsi, dal punto di vista della qualificazione giuridica, che l'Amministrazione abbia dismesso i panni dell'autorità che agisce sulla base di norme di azione per avere assunto dei comportamenti, formali ed informali, eccedenti il significato dell'esercizio fisiologico della funzione amministrativa, entrando così in una sfera suscettibile di essere apprezzata, alla luce della normativa di correttezza, alla stregua di un comune rapporto paritario. A fronte della possibilità di esperire gli strumenti di tutela dell'interesse legittimo per la mancata emanazione di un provvedimento amministrativo, deve essere intervenuto un comportamento dell'Amministrazione che abbia indotto il privato a non promuovere le iniziative a tutela del proprio interesse legittimo pretensivo ed a confidare ragionevolmente sul soddisfacimento della sua aspettativa. Dunque non la mera inerzia, suscettibile di essere compulsata nelle forme previste dall'ordinamento, la quale potrebbe pure risultare legittima all'esito dell'eventuale esercizio degli strumenti di tutela, ma contegni positivi, formali ed informali, tali da indurre colpevolmente il privato a fare affidamento su un esito favorevole della vicenda in corso e ad astenersi dall'intraprendere le iniziative a tutela del proprio legittimo interesse. Data l'autonomia della nozione di comportamento rispetto a quella di azione amministrativa, dal punto di vista dell'esercizio della funzione l'inerzia potrebbe essere legittima, ma ciò nondimeno risultano cagionate dalla lesione dell'affidamento nell'emanazione di un provvedimento favorevole conseguenze patrimoniali pregiudizievoli, in termini di perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali condizionate dal comportamento scorretto. Sotto altro profilo, conseguenza della lesione dell'affidamento, patrimonialmente rilevante, è anche quella che al danno subito a cagione del colposo comportamento non possa più rimediarsi con l'attivazione degli strumenti di tutela avverso l'inerzia dell'Amministrazione, non tempestivamente attivati appunto per l'affidamento ragionevolmente indotto dalla controparte pubblica. Elemento costitutivo del diritto soggettivo dedotto in giudizio è così l'affidamento colpevolmente indotto dall'Amministrazione con il proprio comportamento circa l'emanazione del provvedimento tale da indurre il privato a non esperire gli strumenti di tutela dell'interesse legittimo pretensivo, ovvero tale da determinare, in assenza di una questione di legittimità di diritto pubblico, l'irrilevanza degli strumenti di controllo dell'azione amministrativa ai fini della preservazione della sfera patrimoniale del privato, la quale può così essere riparata solo con il rimedio risarcitorio. Il privato che agisce per i danni ha l'onere di allegare e provare lo specifico comportamento lesivo dell'affidamento. Ricorrendo tale fattispecie, il diritto soggettivo che, ai fini della compromettibilità in arbitrato, non poteva essere configurato sulla base del rapporto derivato dalla convenzione urbanistica, è suscettibile ora di essere individuato sulla base del comportamento tenuto dall'Amministrazione, a prescindere dall'adempimento dell'obbligazione convenzionale. 2.5. Tornando al caso di specie, va evidenziato che nell'atto introduttivo di procedimento arbitrale, cui queste Sezioni Unite possono accedere in ragione della natura processuale della censura proposta, con riferimento al mancato completamento del procedimento di approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano e alla mancata approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione non risulta dedotta in giudizio una specifica fattispecie di affidamento incolpevole del privato, tale da avere indotto il medesimo a non esperire gli strumenti di tutela dell'interesse legittimo pretensivo all'adozione dei provvedimenti in questione. Vi è esclusivamente un riferimento alla convocazione di CON.CA. a decine di riunioni, facendole sopportare ingenti spese legali e tecniche, per poi abbandonare le trattative nel momento in cui risultava possibile la risoluzione di tutte le problematiche pendenti . Tale riferimento, a parte il problema della configurabilità di una fattispecie di lesione dell'affidamento, è posto però in relazione non alle suddette omissioni provvedimentali, ma alla contestazione di difformità delle opere realizzate rispetto a quanto assentito e di decadenza dalla concessione edilizia, nonchè in relazione alle istanze presentate per la definizione di tali questioni . Significativamente nel controricorso CON.CA. continua ad esprimersi in termini di mera omissione di provvedimento ed aggiunge che ciò che intendeva ottenere dagli arbitri, come si è anticipato sopra, era solo una valutazione del comportamento del Comune in relazione agli obblighi assunti con la convenzione , obblighi la cui portata è stata sopra scrutinata quanto all'estraneità, dei profili relativi al completamento del procedimento di approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano e all'approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, agli effetti dell'accordo. Deve in conclusione escludersi che in relazione all'emanazione di tali provvedimenti sia stata dedotta una specifica fattispecie di lesione dell'affidamento. A fronte della mera omissione provvedimentale non c'è che l'interesse legittimo pretensivo, tutelabile con l'istanza atipica di provvedimento ed il ricorso avverso il silenzio innanzi al giudice amministrativo. Quanto invece all'omessa sottoscrizione del nuovo schema di convenzione, che avrebbe consentito di aumentare il prezzo di cessione degli alloggi, approvato con Delibera del Consiglio comunale, nell'atto introduttivo del giudizio è stata allegata l'inottemperanza del Comune alla diffida a presentarsi presso il notaio per la stipulazione della convenzione sulla base dello schema per il quale vi era la Delibera consiliare. Non è dubbio che qualora tra l'approvazione dello schema di convenzione e il momento di stipulazione della convenzione stessa vengano meno i presupposti sui quali l'approvazione è stata fondata, l'amministrazione procedente non possa ritenersi obbligata alla stipulazione e, conseguentemente, a proseguire il relativo iter procedimentale, potendo valutare l'eventuale sussistenza di ragioni di revoca dell'approvazione, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies. Il rapporto dedotto in giudizio non è però relativo all'esercizio del potere in questione, ma al comportamento inerte dell'Amministrazione a fronte dell'approvazione dello schema di convenzione. L'inerzia dell'Amministrazione è qui in grado di acquistare, nello specifico contesto della delibera consiliare di approvazione dello schema e del permanente mancato esercizio del potere di revoca, la valenza di comportamento tale da indurre il legittimo affidamento sulla conclusione della convenzione, per cui può ritenersi dedotta in giudizio la violazione della normativa di correttezza, da cui l'inerenza della controversia a un diritto soggettivo. 2.6. Vanno in conclusione enunciati i seguenti principi di diritto posto che la convenzione urbanistica non è suscettibile di produrre obblighi per la pubblica amministrazione, con i correlativi diritti soggettivi del privato, attraverso l'integrazione legale dell'accordo sostitutivo di provvedimento, per l'incompatibilità del principio di integrazione del contratto sulla base della buona fede con la norma attributiva del potere amministrativo, la controversia relativa alla mancata adozione di provvedimenti che abbia determinato la non eseguibilità della convenzione, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è afferente ad interessi legittimi e non può essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto affinchè si perfezioni la fattispecie di lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, e la relativa controversia in quanto concernente diritti soggettivi possa essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto, è necessario che sia identificabile un comportamento della pubblica amministrazione, differenziabile dalla mera inerzia o dalla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo, che abbia cagionato al privato un danno in modo indipendente da eventuali illegittimità di diritto pubblico, ovvero che abbia indotto il privato a non esperire gli strumenti previsti per la tutela dell'interesse legittimo pretensivo a causa del ragionevole affidamento riposto nell'emanazione del provvedimento non più adottato . Il motivo di ricorso va quindi accolto limitatamente alla mancata approvazione della variante al Programma di Recupero Urbano ed alla mancata approvazione dei progetti per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, ipotesi tutte devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed involgenti una controversia concernente interessi legittimi e dunque non risolvibile mediante arbitrato rituale di diritto. P.Q.M. Accoglie parzialmente il secondo motivo di ricorso rimette alla Prima Sezione Civile la causa per la decisione, con separata sentenza, degli ulteriori motivi.