La sospensione degli avvocati eletti alle più alte cariche politiche mira a rafforzarne autonomia, indipendenza e terzietà

L’articolo 20, comma 1, l. n. 247/2012 – in forza del quale sono sospesi dall’esercizio professionale durante il periodo della carica gli avvocati eletti Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati l'avvocato nominato Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Viceministro o Sottosegretario di Stato l'avvocato eletto presidente di giunta regionale e presidente delle province autonome di Trento e di Bolzano l'avvocato membro della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura l'avvocato eletto presidente di provincia con più di un milione di abitanti e sindaco di comune con più di cinquecentomila abitanti – mira a rafforzare, attraverso l’obbligatoria imposizione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, l’autonomia, l’indipendenza, la terzietà e la lealtà dell’avvocato iscritto all’Albo nell’assolvimento delle funzioni correlate ai ruoli propri delle figure istituzionali indicate.

Fatto. La sentenza in commento trae origine dall’impugnazione proposta da un avvocato avverso il provvedimento di cancellazione dall’Albo disposto dal suo Ordine di appartenenza in ragione dell’accertata sussistenza della causa di incompatibilità tra l’ iscrizione all’ Albo e il rapporto di pubblico impiego part-time. La decisione della Corte di Cassazione. Per quanto qui di interesse, l’avvocato ricorrente ha impugnato la decisione del Consiglio dell’Ordine lamentando la mancata applicazione, in via di interpretazione analogica costituzionalmente orientata, dell’art. 20, comma 1, l. n. 247/2012 ai dipendenti pubblici part-time attualmente iscritti nell’Albo degli avvocati, secondo cui sono sospesi dall'esercizio professionale durante il periodo della carica l'avvocato eletto Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati l'avvocato nominato Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Viceministro o Sottosegretario di Stato l'avvocato eletto presidente di giunta regionale e presidente delle province autonome di Trento e di Bolzano l'avvocato membro della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura l'avvocato eletto presidente di provincia con più di un milione di abitanti e sindaco di comune con più di cinquecentomila abitanti . Secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite, tale disposizione mira a rafforzare , attraverso l’obbligatoria imposizione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, l’ autonomia , l’ indipendenza , la terzietà e la lealtà dell’ avvocato iscritto all’Albo nell’assolvimento delle funzioni correlate ai ruoli propri delle figure istituzionali indicate. Essa regola, quindi, fattispecie del tutto incomparabili con quella disciplinata dal comma 2 relativa all’avvocato che, avendo i requisiti per l’iscrizione all’Albo, decida volontariamente di sospendere l’esercizio della sua attività professionale. Per tale ragione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Cassazione di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 febbraio - 12 aprile 2021, n. 9545 Presidente Cassano – Relatore Torrice Fatti di causa 1. L’avvocato C.R. , pubblico dipendente in regime di part-time non superiore al 50%, era stato iscritto all’Albo degli Avvocati di Torino in virtù della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 56. 2. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, con la Delib. 22 gennaio 2007, aveva ordinato la sua cancellazione dall’albo degli Avvocati in ragione della accertata sussistenza della causa di incompatibilità tra l’iscrizione all’Albo e il rapporto di impiego pubblico part-time. 3. La Delib. era stata confermata dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 258 del 31.12.2009 e il ricorso proposto dall’Avvocato C. avverso la predetta sentenza è stato rigettato da queste Sezioni Unite con la sentenza 16 gennaio 2014 n. 777. 4. Successivamente, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino con la Delib. 11 febbraio 2014, ha accolto la domanda dell’Avvocato C. di sospensione volontaria dall’esercizio dell’attività forense, domanda formulata sull’assunto che il giudicato costituito dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 777 del 2014 avesse ad oggetto l’incompatibilità tra il solo esercizio della professione forense e la qualità di pubblico dipendente part-time e sulla esplicitata intenzione di volere rimuovere il presupposto di fatto e di diritto sul quale era fondata la sentenza di queste Sezioni Unite innanzi n. 777 del 2014 ricorso pg. 2, 4^ cpv. . 5. Con Delib. 8 aprile 2015, lo stesso COA ha, poi, comunicato all’odierno ricorrente il preavviso di cancellazione dall’Albo per la mancanza del requisito previsto dalla L. n. 247 del 2012, art. 17, comma 1 e, con provvedimento del 12 ottobre 2016, ha ordinato la cancellazione del ricorrente dall’Albo. 6. Il ricorso proposto dall’Avvocato C.R. nei confronti del predetto provvedimento è stato rigettato dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 195 depositata il 19 dicembre 2019 e notificata il 27 maggio 2020. 7. Il Consiglio, per quanto oggi rileva, richiamando i principi affermati da queste Sezioni Unite nella sentenza 29 maggio 2014 n. 12066 e nella sentenza 16 gennaio 2014 n. 777, ha disatteso l’eccezione, formulata dal ricorrente, di illegittimità costituzionale delle disposizioni in materia di funzioni giurisdizionali del C.N.F. per contrasto con l’art. 111 Cost., sotto i profili dell’indipendenza, terzietà ed imparzialità del giudice e con l’art. 24 Cost 8. Ha poi ritenuto che era inconferente il richiamo effettuato dal ricorrente al D.M. n. 178 del 2016, art. 8, lett. d , perché esso si riferisce alla cancellazione dagli elenchi annessi all’Albo, quale adempimento consequenziale rispetto alla cancellazione dall’Albo medesimo o all’accertamento dell’insussistenza originaria dei requisiti di iscrizione nell’elenco e che, pertanto restavano impregiudicate le disposizioni di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 17, comma 9, in materia di cancellazione, disposizioni fatte salve del D.M. n. 178, stesso art. 8 era infondata la tesi del ricorrente secondo cui l’istituto della sospensione obbligatoria dall’esercizio dell’attività professionale, prevista dalla L. n. 247 del 2012, art. 20, comma 1, che il ricorrente assumeva essere applicabile in via analogica alla ipotesi della sospensione facoltativa, consentiva di ovviare alle conseguenze pratiche dell’incompatibilità ciò perché la cancellazione del ricorrente dall’Albo conseguiva al giudicato costituito dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 16 gennaio 2014 n. 777 e non poteva essere messa in discussione dalla successiva richiesta di sospensione, accolta in un primo momento dal COA di Torino, non essendosi verificato alcun mutamento delle ragioni soggettive anche a non ritenere applicabile il principio di cui all’art. 2909 c.c., secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, la sentenza n. 777 costituiva, nondimeno, una affermazione obiettiva sul non diritto del ricorrente a conservare l’iscrizione nell’albo degli avvocati in assenza della rimozione della causa di incompatibilità, affermazione che spiegava efficacia riflessa anche nel giudizio promosso avverso la Delib. COA di Torino 12 ottobre 2016 in virtù dei principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 777 doveva escludersi che della L. n. 339 del 2003, art. 1, non trovasse applicazione alle iscrizioni avvenute prima della sua entrata in vigore e ha efficacia solo per il futuro. 9. Avverso questa sentenza l’Avvocato C.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria. 10. Il COA di Torino, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio. 11. Il P.M. ha depositato memoria ed ha concluso per il rigetto del ricorso, sul rilievo della correttezza delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine alla inapplicabilità dell’istituto della sospensione volontaria a coloro che siano privi dei requisiti per l’iscrizione all’Albo e al fatto che la sospensione volontaria, disposta in primo tempo dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, non escludeva la possibilità dello stesso Consiglio, in presenza di situazioni di incompatibilità, di adottare provvedimenti di segno contrario. Ragioni della decisione Esame dei motivi. 12. Il ricorrente denuncia violazione di legge e/o eccesso e/o sviamento di potere falsa o errata applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 18, al caso particolare di iscrizione all’Albo senza esercizio della professione forense per sospensione temporanea volontaria L. n. 247 del 2012, ex art. 20, comma 2 primo motivo e violazione di legge art. 3 Cost. per mancata applicazione, in via di interpretazione analogica costituzionalmente orientata, della L. n. 247 del 2012, art. 20, comma 1, ai dipendenti pubblici part-time attualmente iscritti nell’albo avvocati secondo motivo 13. Il ricorrente imputa al C.N.F. di non avere considerato che la disposizione contenuta nella L. n. 247 del 2012, art. 18, si riferisce ad una ipotesi di incompatibilità con l’esercizio della professione forense e non con la mera iscrizione all’Albo e asserisce che l’istituto della sospensione dall’esercizio della professione di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 20, consentirebbe di ovviare, sul piano pratico, alle conseguenze dell’incompatibilità . 14. In altri termini, nella prospettiva del ricorrente, la sospensione volontaria dall’esercizio dell’attività professionale eliminerebbe in radice gli effetti, sul piano concreto, dell’iscrizione all’Albo e, in conseguenza, non avrebbe alcun senso procedere alla cancellazione se la stessa non ha alcun effetto aggiuntivo rispetto alla sospensione. 15. Asserisce che la disposizione contenuta dell’art. 20, comma 1, deve essere applicata analogicamente alle ipotesi di sospensione facoltativa, pena il suo contrasto con l’art. 3 Cost 16. Assume, inoltre, che l’intervenuta sospensione volontaria dall’esercizio professionale ha mutato le condizioni soggettive in relazione alle quali la già disposta cancellazione era stata confermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 777 del 2014, perché fa venire meno il presupposto sul quale si fonda detta sentenza, con la conseguenza che questa è ormai inapplicabile ad esso C. . Esame dei motivi. 17. Il primo ed il secondo motivo devono essere esaminati congiuntamente avuto riguardo alla loro stretta connessione. 18. Essi sono, entrambi, infondati. 19. La L. 31 dicembre 2012, n. 247, recante Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense ha regolamentato e disciplinato compiutamente la professione di avvocato art. 1, comma 1 vale a dire la organizzazione e l’esercizio della professione art. 1, comma 2, lett. a . 20. Tra i requisiti richiesti per l’iscrizione all’Albo, della L. n. 247 del 2012, art. 17, comma 1, lett. e , indica l’insussistenza di una delle condizioni di incompatibilità di cui all’art. 18 , disposizione, questa, che al comma 1, lett. d , prevede in modo espresso ed inequivoco che la professione di avvocato è incompatibile con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato . 21. L’art. 20, comma 2, della medesima legge prèvede che l’avvocato iscritto all’albo può sempre chiedere la sospensione dall’esercizio professionale . 22. È evidente che la predetta disposizione incide sulla attività del professionista iscritto all’Albo, il quale, si priva volontariamente della possibilità di esercitare la professione forense. 23. È altrettanto innegabile che la disposizione non contiene alcun elemento letterale che consenta di ritenere che al professionista, che abbia deciso volontariamente di sospendere l’esercizio professionale, non si applichino le disposizioni che disciplinano la sua iscrizione all’Albo professionale e che la sospensione volontaria eviti la cancellazione dall’Albo ove i requisiti previsti dalla medesima legge più non sussistano ovvero siano in origine mancanti. 24. Di contro, il dato letterale contenuto nell’art. 20, comma 2, che fa riferimento all’Avvocato, la sua ratio, che è quella di consentire al professionista iscritto all’Albo di scegliere di sospendere temporaneamente l’esercizio dell’attività professionale, e la lettura sistematica della norma con le disposizioni, contenute negli artt. 17 e 18 della stessa Legge, che regolano l’iscrizione all’Albo professionale, attestano in modo chiaro ed inequivoco che l’istituto della sospensione opera soltanto sul piano dell’esercizio dell’attività professionale, che può, come detto, a scelta dell’interessato, essere sospesa temporaneamente, e, ad un tempo escludono che la sospensione volontaria possa incidere sulle cause di incompatibilità previste dall’art. 17, comma 1, lett. e e dall’art. 18, comma 1, lett. d . 25. Sono manifestamente infondate le argomentazioni difensive del ricorrente che prospettano il contrasto della L. n. 247 del 2012, art. 20, comma 2, con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., facendo leva sulla supposta irragionevole diversità di trattamento tra l’avvocato che, chiamato a svolgere una delle funzioni previste dell’art. 20, comma 1, è sospeso di diritto dall’esercizio professionale durante il periodo della carica Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Viceministro o Sottosegretario di Stato, presidente di giunta regionale e presidente delle province autonome di Trento e di Bolzano, membro della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura, presidente di provincia con più di un milione di abitanti e sindaco di comune con più di 500.000 abitanti e l’Avvocato che, come il ricorrente, non ricopra nessuna di dette cariche ma scelga volontariamente di sospendere l’esercizio dell’attività professionale. 26. La disposizione contenuta del citato art. 20, comma 1, mira, infatti, a rafforzare, attraverso obbligatoria imposizione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, l’autonomia, l’indipendenza, la terzietà e la lealtà dell’Avvocato iscritto all’Albo nell’assolvimento delle funzioni correlate ai ruoli propri delle figure istituzionali indicate. Essa regola, quindi, fattispecie del tutto incomparabili con quella disciplinata nel comma 2, relativa all’Avvocato che, avendo i requisiti per l’iscrizione all’Albo, decida volontariamente di sospendere l’esercizio della sua attività professionale 27. Sono, del pari, manifestamente infondate le argomentazioni difensive esposte nella memoria depositata dal ricorrente, il quale pone la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 23 novembre 1944, n. 382, art. 21, per violazione degli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui al fine di garantire, quanto meno nelle specifiche materie dell’accesso e dell’espulsione dall’esercizio della professione, l’imparzialità del giudice, non prevede che la composizione del C.N.F., in funzione di giudicante, sia integrata da membri non appartenenti alla categoria dell’Avvocatura. 28. Le prospettazioni difensive illustrate nella memoria richiamano i principi affermati dalla CGUE in materia di cd. giurisdizione domestica, e, in particolare quelli affermati nella causa C-506/04 e nella causa C-308/07 nonché il dibattito svoltosi all’interno dell’Avvocatura in ordine a possibili modifiche della struttura del C.N.F. previsione di due sezioni una per l’attività giurisdizionale e l’altra con funzioni rappresentative ed evocano i mutamenti subiti dalla cultura giuridica italiana nell’ultimo decennio indotti principalmente dall’introduzione nel nostro ordinamento di principi propri di sistemi giuridici Europei con radici parzialmente diverse dalle nostre . 29. Tali argomenti, diversamente da quanto opina il ricorrente, non apportano elementi di novità rispetto alle analoghe questioni già affrontate da queste Sezioni Unite nelle sentenze n. 9097 del 2005 e nelle successive conformi sentenze del 16 maggio 2013 n. 11833, del 5 dicembre 2013 n. 27269, ribaditi nella già citata sentenza n. 777 del 2014 pronunciata tra le stesse parti e nelle sentenze del 24 gennaio 2019 n. 2084 e del 27 ottobre 2020 n. 23593, e non giustificano il ripensamento, auspicato nella memoria, degli orientamenti già espressi nelle decisioni innanzi citate. 30. Va, pertanto, ribadito che il Consiglio Nazionale Forense, allorché pronuncia in materia disciplinare, è un giudice speciale istituito con D.Lgs. 23 novembre 1944, n. 382 e tuttora legittimamente operante giusta la previsione della sesta disposizione transitoria della Costituzione le norme che lo concernono, nel disciplinare, rispettivamente, la nomina dei componenti del Consiglio Nazionale ed il procedimento che davanti al medesimo si svolge, assicurano - per il metodo elettivo della prima e per la prescrizione, quanto al secondo, dell’osservanza delle comuni regole processuali e dell’intervento del P.M. - il corretto esercizio della funzione giurisdizionale affidata al suddetto organo in tale materia, con riguardo alla garanzia del diritto di difesa, all’indipendenza del giudice ed all’imparzialità dei giudizi infatti l’indipendenza del giudice consiste nella autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette di qualsiasi provenienza è manifestamente infondata, in riferimento all’art. 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni sul procedimento giurisdizionale innanzi al Consiglio Nazionale Forense, non potendo incidere sulla legittimità di detta normativa neanche la circostanza che al Consiglio spettino anche funzioni amministrative in quanto, come evidenziato anche dalla Corte Costituzionale, non è la mera coesistenza delle due funzioni a menomare l’indipendenza del giudice, bensì il fatto che le funzioni amministrative siano affidate all’organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente sottordinata, essendo in tale ipotesi immanente il rischio che il potere dell’organo superiore indirettamente si estenda anche alle funzioni giurisdizionali Corte Cost. sent. n. 284 del 1986 l’indipendenza del giudice consiste nella autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette di qualsiasi provenienza. 31. Quanto ai principi affermati dalla sentenza CGUE causa C-506/04, deve ribadirsi che la questione decisa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea riguarda soltanto la legittimità della composizione degli organi professionali sotto il profilo della nazionalità di appartenenza degli avvocati che ne fanno parte nel senso che non possono essere composti soltanto da avvocati che esercitino con il titolo professionale dello Stato membro ospitante allorché debbano decidere su impugnazioni al diniego dell’iscrizione all’albo degli avvocati di quello Stato da parte di un avvocato di nazionalità diversa , e non già la questione della legittimità della composizione del CNF sotto i diversi profili della terzietà dell’organo giudicante. 32. Con riguardo, poi, alla sentenza della stessa Corte emessa nel procedimento C - 308/07, nella quale risulta ribadita l’esigenza che il diritto ad un equo processo comporta necessariamente l’accesso da parte di chiunque ad un giudice indipendente ed imparziale, ed è specificato che il dovere di imparzialità deve essere inteso sia sotto il profilo soggettivo nel senso cioè che nessuno dei membri dell’organo giudicante manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali sia sotto quello oggettivo essendo il giudice tenuto ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio , va osservato nuovamente che il richiamo a tali indiscutibili principi non offre di per sé argomenti ulteriori a sostegno della tesi del ricorrente in ordine alla pretesa illegittimità dei criteri di composizione del CNF. 33. Infine, è privo di pregio l’argomento secondo il quale l’influenza derivante dallo scambio con le altre giuridiche Europee imporrebbe il superamento dei principi già affermati da questa Corte con riguardo alla attività giurisdizionale del CNF. 34. Come già osservato da queste Sezioni Unite nelle sentenze del 24 gennaio 2019 n. 2084 e del 27 ottobre 2020 n. 23593, la giurisdizione professionale è conosciuta anche dagli ordinamenti di altri Stati e la Corte Europea dei diritti dell’uomo, chiamata ad esaminare il medesimo problema rispetto all’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848 , ha riconosciuto, con riguardo ad alcune decisioni del Consiglio nazionale dei medici belgi, la sussistenza del requisito dell’indipendenza degli organi della giurisdizione professionale sent. 23 giugno 1981, nel caso Le Compte, Van Leuven, De Meyere e sent. 10 febbraio 1983, nel caso Albert e Le Compte , sottolineando che i membri dei collegi professionali partecipano al giudizio non già come rappresentanti dell’ordine professionale, e quindi in una posizione incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale, bensì a titolo personale e perciò in una posizione di terzietà , analogamente a tutte le magistrature. 35. Il ricorso va rigettato. 36. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità in quanto il COA di Torino non ha svolto alcuna attività difensiva è rimasto intimato . 37. Ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, va disposta l’anonimizzazione dei dati. 38. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 4315 del 2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso Dispone l’anonimizzazione dei dati. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.