In patria rapporti omosessuali a pagamento coi turisti: protezione possibile in Italia

Riprende vigore la richiesta presentata da un cittadino del Gambia. Necessario valutare il potenziale pericolo per lui in caso di ritorno in patria, dove è previsto il carcere per punire l’omosessualità.

Rapporti sessuali a pagamento con i turisti approdati nel suo Paese – il Gambia – dove l’omosessualità è considerata reato e punita con la detenzione – anche a vita – in carcere –. Comprensibile il timore dell’uomo di subire una persecuzione in caso di rientro in patria. Plausibile, quindi, la protezione per lui in Italia Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 9262/21, depositata il 6 aprile . Riflettori puntati su un uomo, originario del Gambia, che, una volta approdato in Italia, spiega di essere fuggito dal proprio Paese per il timore di essere arrestato, avendo iniziato a prostituirsi con turisti del suo stesso sesso che villeggiavano in diverse località balneari. Questo racconto è però ritenuto non credibile, prima dai membri della Commissione territoriale e poi dai Giudici del Tribunale. Consequenziale, quindi, il ‘no’ alla richiesta di protezione avanzata dallo straniero , che ha comunque aggiunto di avere continuato ad avere rapporti con uomini , pur non dimostrando di avere un preciso orientamento sessuale . Secondo i Giudici di merito, quindi, il pericolo prospettato dal cittadino del Gambia è assolutamente privo di concretezza. A questa netta valutazione lo straniero ribatte in Cassazione ponendo l’accento sulla propria vicenda personale e sulla situazione esistente in Gambia , anche alla luce della norma che in quel Paese punisce l’ omosessualità . A fronte del racconto fatto dallo straniero, il Tribunale ha sì preso atto che in Gambia è stata introdotta dal 2014 una legge in materia di omosessualità che prevede una pena detentiva che può arrivare fino al carcere a vita ma ha poi precisato che lo straniero non è credibile e che ciò che rileva non è tanto che l’accusa di omosessualità sia fondata quanto che tale accusa sia stata formulata e che il soggetto sia esposto al rischio di persecuzione . Dalla Cassazione osservano però che mancano innanzitutto i presupposti per sostenere la non credibilità del cittadino straniero, anche perché non si è tenuto conto della sua situazione individuale, delle sue circostanze personali, della sua condizione sociale e della sua età . Ma ciò che conta davvero è la valutazione del potenziale rischio a cui l’uomo sarebbe esposto in caso di ritorno in patria. E a questo proposito, osservano i magistrati, è mancata la verifica della concreta esposizione a rischio dello straniero che si dichiara omosessuale , anche perché nel suo Paese di origine l’omosessualità è punita come reato . A questo proposito, comunque, i Giudici di terzo grado tengono a precisare che il mero fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali non costituisce, di per sé, un atto di persecuzione, mentre una pena detentiva, che sanzioni taluni atti omosessuali , come in questa vicenda, e che effettivamente trovi applicazione nel Paese che ha adottato una siffatta legislazione, deve essere considerata una sanzione sproporzionata o discriminatoria e costituisce pertanto un atto di persecuzione . Riprende così vigore la richiesta di protezione presentata dal cittadino del Gambia. Su questo fronte, però, è necessario un nuovo processo in Tribunale, laddove comunque bisognerà tenere ben presenti le osservazioni compiute dalla Cassazione. Difatti, lo stesso Tribunale ha ricordato che in Gambia è stata introdotta dal 2014 una legge in materia di omosessualità che prevede una pena detentiva che può arrivare fino al carcere a vita e ciò comporta la necessità di accertare la concreta situazione dello straniero e la sua particolare condizione personale, valutando, quindi, se questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale – reale o percepito – atti persecutori e minacce gravi ed individuali alla propria vita o alla persona e dunque sia nell’impossibilità di vivere nel proprio paese d’origine senza rischi effettivi per la propria incolumità psico-fisica .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 14 ottobre 2020 – 6 aprile 2021, n. 9262 Presidente Scotti – Relatore Pacilli Fatti di causa Con decreto in data 28 marzo 2019 il tribunale di Campobasso ha rigettato il ricorso proposto J.F. avverso il provvedimento, emesso dalla locale Commissione territoriale, di diniego della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal Gambia per il timore di essere arrestato, avendo iniziato a prostituirsi con i turisti del suo stesso sesso, che villeggiavano nelle località balneari. Aveva aggiunto di avere continuato ad avere rapporti con uomini anche se non dimostrava di avere un preciso orientamento sessuale. Il tribunale molisano ha disatteso le domande e ha revocato nel contempo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, avendo osservato che il racconto del migrante non era credibile e che nel non vi è una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata, rilevante per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c ha aggiunto che il pericolo, prospettato dal ricorrente al fine della protezione umanitaria, era infondato. Il Ministero dell’Interno ha depositato una nota con cui ha dichiarato di essersi costituito oltre i termini di legge, al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa. Ragioni della decisione I Con il primo motivo il ricorrente lamenta congiuntamente la violazione di plurimi articoli del D.Lgs. n. 25 del 2008 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, l’omesso esame di fatto decisivo in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione esistente nel sulla base della documentazione allegata e la mancanza totale di motivazione con riguardo allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria . Secondo il ricorrente, il tribunale non solo non avrebbe valutato i motivi del ricorso e attivato i suoi poteri istruttori, ma avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in merito ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, trascurando di considerare la vicenda personale del richiedente in relazione all’attuale sussistenza della violenza indiscriminata e diffusa, che coinvolge il , rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 II con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in e all’omessa attività istruttoria in merito alla protezione umanitaria, su cui il tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi III con il terzo motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3. 2. Il primo motivo è fondato. Il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal per il timore di essere arrestato, avendo iniziato a prostituirsi con i turisti del suo stesso sesso, che villeggiavano nelle località balneari. Il tribunale molisano, dopo aver ricordato che nel è stata introdotta dal 2014 una legge in materia di omosessualità, che prevede una pena detentiva che può arrivare fino al carcere a vita, ha affermato che il ricorrente non era credibile, per le ragioni già indicate , e che ciò che rileva non è tanto che l’accusa di omosessualità sia fondata quanto che tale accusa sia stata formulata e che il soggetto sia esposto al rischio di persecuzione. Siffatta motivazione si appalesa viziata. Deve rilevarsi, innanzitutto, che nel provvedimento impugnato non si riscontra l’indicazione delle ragioni, poste a fondamento della ritenuta non credibilità del ricorrente, così che deve affermarsi che il tribunale molisano ha escluso la credibilità del ricorrente senza dare in alcun modo contezza dell’iter attraverso cui è approdato alla menzionata conclusione. In tal modo il tribunale ha omesso di conformarsi al principio di diritto secondo il quale, in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente di cui all’art. 5, comma 3, lett. c D.Lgs. cit. , con riguardo alla sua condizione sociale e all’età. In particolare, alla stregua dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, che esigono la verifica del compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda la deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi la non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese la presentazione tempestiva della domanda l’attendibilità intrinseca Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728 - 01 , deve riconoscersi che la decisione impugnata ha fondato la valutazione negativa sull’affidabilità delle dichiarazioni del ricorrente su parametri del tutto inafferrabili mentre avrebbe dovuto dare puntuale ragione del proprio approdo in ordine alla non credibilità del ricorrente. Deve poi aggiungersi che il tribunale, laddove ha affermato che non risultava formulata un’accusa nei confronti del ricorrente, non ha fatto buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’esposizione al rischio, che legittima la protezione internazionale. Questa Corte ha già affermato Sez. 3, ord. n. 24007 del 30/10/2020, Rv. 659523 che l’accertamento della condizione personale richiede che il giudicante si ponga in una prospettiva dinamica e non statica occorre che si verifichi la concreta esposizione a rischio da parte dello straniero, che si dichiara omosessuale, perché ad esempio nel paese di origine la omosessualità è punita come reato Cass. 26969/2018 , tenendo presente tuttavia che il mero fatto di qualificare come reato gli atti omosessuali non costituisce, di per sé, un atto di persecuzione, mentre una pena detentiva, che sanzioni taluni atti omosessuali e che effettivamente trovi applicazione nel paese d’origine che ha adottato una siffatta legislazione, deve essere considerata una sanzione sproporzionata o discriminatoria e costituisce pertanto un atto di persecuzione. Inoltre, anche in caso di legislazione non esplicitamente omofoba, il soggetto può essere esposto a gravissime minacce provenienti da agenti privati senza che lo Stato sia in grado di proteggerlo Cass. n. 11176/2019 tra i trattamenti inumani e degradanti lesivi dei diritti fondamentali della persona, che si possono subire in conseguenza dell’omosessualità, non vi è solo il carcere, ma anche gli abusi medici, i matrimoni forzati, lo stupro. Nel caso in disamina, il tribunale ha ricordato che nel è stata introdotta dal 2014 una legge in materia di omosessualità che prevede una pena detentiva che può arrivare fino al carcere a vita ciò avrebbe dovuto indurre il medesimo tribunale ad accertare la concreta situazione del richiedente e la sua particolare condizione personale, valutando, quindi, se questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale, reale o percepito, atti persecutori e minacce gravi ed individuali alla propria vita o alla persona e dunque sia nell’impossibilità di vivere nel proprio paese d’origine senza rischi effettivi per la propria incolumità psico-fisica. Pertanto, in accoglimento del primo motivo, il provvedimento impugnato deve essere cassato, con rinvio al giudice del merito perché proceda ad un nuovo ed appropriato esame delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo, al fine di valutare, secondo le regole e i principi sopra richiamati, se può ritenersi provata una condizione individuale di esposizione a rischio di atti persecutori D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 8, lett. d ovvero di trattamento inumano e degradante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b . 3. Gli altri motivi sono assorbiti. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Campobasso in diversa composizione.