Prelievi ""indebiti"" dei soci dalle casse sociali rilevanti ai fini dell'attivo patrimoniale

Posto che le obbligazioni sociali costituiscono debiti che stanno in capo alla società pur nel caso delle società di persone, non concorre a formare l'attivo patrimoniale rilevante a norma dell'art. 1, comma 2 lett. a l.f., il fatto che i soci illimitatamente responsabili siano tenuti, quali garanti ex lege, a rispondere degli stessi. Concorrono invece a formare l'attivo patrimoniale i prelievi di somme dalle casse sociali da parte dei soci, che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti, dato che le somme così percepite sono soggette ad azione di ripetizione di indebito da parte della società.

Così la Corte di Cassazione, sezione I Civile, con la sentenza n. 979/21, depositata il 20 gennaio. Il caso. Una s.n.c. proponeva domanda di concordato preventivo , ma il Tribunale adito disponeva l'inammissibilità della domanda perché la società non aveva le soglie dimensionali previste dall'art. 1 l.f Non seguiva quindi alcuna pronuncia di fallimento evidentemente. Secondo il Tribunale nell'attivo non poteva essere contabilizzata la voce deficit patrimoniale poiché esprimeva solo un mero segno contabile” non dimostrativo di effettive attività patrimoniali rilevanti ex art. 1 l.f Nell'attivo inoltre non rientrava il capitale sociale che risulta invece collocato nelle poste passive come prevede l'art. 2424 c.c La società ricorreva in Cassazione. La sentenza. La Corte respinge in radice il ricorso in quanto inammissibile perché, secondo giurisprudenza costante, il decreto con cui il Tribunale dichiara inammissibile la proposta di concordato preventivo senza emettere sentenza di fallimento non è soggetto a ricorso in Cassazione ex art. 111, comma 7 Cost. non avendo carattere decisorio, né valore di giudicato in tal senso Cass. Sez. Un. 27073/2016 . La Corte tuttavia decide di soffermarsi sul tema giuridico di merito sollevato dal ricorrente per enunciare un principio di diritto nell'interesse della legge secondo le prerogative dell'art. 363, comma 3 c.p.c. considerato anche l’assenza di precedenti specifici sull'argomento. Il tema centrale affrontato dagli Ermellini è dunque il significato da attribuire alla voce deficit patrimoniale composto da debiti dei soci sorti in virtù dell'erosione del capitale sociale o da prelievi effettuati dalle casse sociali. La Cassazione scinde le due ipotesi. In relazione alla prima gli Ermellini affermano che non rientra nell'attivo patrimoniale. Secondo la Corte infatti la società - anche se di persone - costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni con autonomia e capacità distinta rispetto ai soci. La responsabilità dei soci verso terzi si sostanzia allora in una forma di garanzia ex lege , ma la società in autonomia assume obbligazioni direttamente nei confronti dei propri creditori e risponde delle medesime in via diretta. Sul punto quindi la sentenza in commento conclude affermando che la posta di bilancio relativa assume valore meramente contabile dato che la s.n.c. non vanta crediti nei confronti dei soci in riferimento alle obbligazioni sociali. Diverso è il discorso dei prelievi dei soci a proprio favore di somme dalle casse sociali. Gli Ermellini partono dall'osservazione che sovente si verifica la prassi di prelevare a esercizio in corso delle somme in termini di percezioni di utili considerando tali attribuzioni come definitive ed intangibili. Nell'evoluzione giurisprudenziale successiva si è specificato però che il diritto del singolo socio alla percezione degli utili è subordinato, ai sensi dell'art. 2262 c.c., all'approvazione del rendiconto, strumento che equivale all'approvazione del bilancio. Infatti gli utili di periodo si formano in relazione all'esito dei singoli esercizi sociali secondo quanto prevede l'art. 2217 c.c., né è consentita la distribuzione di utili non effettivamente conseguiti come previsto anche per le società in nome collettivo dall'art. 2303 c.c Ove ciò avvenisse, l' indebita distribuzione di utili configura un caso di indebito oggettivo ai sensi dell'art. 2033 c.c. e ciò comporta quindi il diritto di credito della società di ripetere tali somme nei confronti dei singoli soci. Sotto questo aspetto quindi il deficit patrimoniale legato a indebiti prelievi dei soci di somme dalle casse societarie costituisce una posta non fittizia, bensì effettiva e come tale contribuisce a formare l'attivo patrimoniale della società rilevante ai sensi dell'art. 1 l.f

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 settembre 2020 – 20 gennaio 2021, n. 979 Presidente De Chiara – Relatore Dolmetta Fatti di causa 1.- Nel novembre 2015, la s.n.c. omissis omissis ha proposto avanti al Tribunale di Pescara una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6. 2.- Con decreto depositato in data 22 marzo 2016, il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità della domanda così presentata, osservando che dalla documentazione allegata alla domanda non emerge il requisito soggettivo per l’ammissione alla procedura, non essendo evidenziato il superamento dei limiti dimensionali posti dalla L. Fall., art. 1 . 3.- Più in particolare, il Tribunale ha rilevato che, nella documentazione contabile prodotta in specie, bilancio al 31 dicembre 2014 e situazione patrimoniale aggiornata al 30 settembre 2015 , l’ attivo ascende oltre il limite di e 300.000,00 solo per effetto della contabilizzazione della voce deficit patrimoniale . Per precisare che tale voce indica il disavanzo patrimoniale riportato dall’impresa e che essa può essere inserita nelle attività , allorché il passivo risulti a queste superiore ciò, tuttavia, può avvenire per una mera questione di segno contabile, che non può avere l’effetto di indicare un effettiva attività considerabile quale elemento dell’attivo patrimoniale ai fini del superamento della soglia di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2 . Nell’attivo così computabile comunque non rientra - ha anche aggiunto il Tribunale - il capitale sociale, che risulta per contro collocato nell’ambito delle poste passive dall’art. 2424 c.c. 4.- Avverso questo provvedimento ricorre la s.n.c. omissis omissis , promovendo due motivi di cassazione. L’intimata Procura non si è costituita. 5.- La controversia è stata chiamata all’udienza non partecipata della Sesta Sezione civile - 1 del 21 novembre 2017. Con ordinanza interlocutoria dell’11 gennaio 2018, n. 548, il Collegio ha rinviato la causa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile. Ragioni della decisione 6.1.- Con il primo motivo, il ricorrente - lamentando omessa e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia contesta la decisione del Tribunale di assegnare carattere meramente fittizio alla posta deficit patrimoniale . Tale valutazione, che non risulta sorretta da alcun argomento, si manifesta - così si assume - comunque intrinsecamente infondata . Del resto, il Tribunale non ha proprio esaminato la fattispecie concretamente sottoposta al suo giudizio. In realtà, nel caso di specie la voce in questione rappresenta senz’altro una posta effettiva , che va computata ai fini della L. Fall., art. 1, comma 2 essa consiste in crediti della società nei confronti dei soci crediti, da un lato, sorti in virtù dell’erosione del capitale sociale, determinata dalla sommatoria dei fattori perdita di esercizio su varie annualità crediti derivati, dall’altro, da prelievi dei soci . 6.2.- Il secondo motivo, che si inscrive nel vizio di violazione di legge, lamenta in specie la falsa applicazione dell’art. 2424 c.c. Pur richiamando l’art. 2424 c.c. quale norma atta a governare quali debbano essere gli elementi da considerare nella redazione del bilancio - si segnala - il decreto afferma che detti criteri non necessariamente coincidono con quelli riferibili ai requisiti soggettivi di cui alla L. Fall., art. 1 ma tale ultima affermazione appare totalmente infondata . 7.- Il ricorso è inammissibile. Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il decreto, con cui il tribunale dichiara l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo senza emettere consequenziale sentenza dichiarativa del fallimento del debitore, non è soggetto a ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, non avendo carattere decisorio. Invero, tale decreto, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritto soggettivi, non è idoneo al giudicato Cass., Sezioni Unite, 28 dicembre 2016, n. 27073 . 8.- Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione della Procura. 9.- Ciò posto, il Collegio reputa peraltro di doversi pure soffermare su una questione di particolare importanza, che è stata considerata dal decreto del Tribunale abruzzese e così utilizzare il potere che l’art. 363 c.p.c., comma 3, attribuisce alla Corte di Cassazione quello di enunciare principi di diritto nell’interesse della legge. La questione riguarda il rilievo da riconoscere - con specifico riferimento alla nozione di attivo patrimoniale , che viene presa in considerazione dalla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. A - alla voce di bilancio deficit patrimoniale . Se questa sia, più precisamente, da stimare nei termini di mera posta contabile o per contro rappresenti una effettiva voce dell’ attivo patrimoniale con riguardo ai debiti dei soci sorti in virtù dell’erosione del capitale sociale ovvero, e in modo distinto, con riguardo ai prelievi da questi effettuati dalle casse sociali. La peculiare importanza della questione risulta pure sollecitata dalla constatazione che, nella prospettiva segnata dalla disposizione di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, non risultano reperibili in proposito precedenti interventi di questa Corte. 10.- Come appena sopra avvertito, la questione viene a scindersi in due quesiti distinti, che esigono separate disamine. 11.- Per prima va esaminata l’ipotesi dei crediti della società sorti nei confronti dei soci in virtù dell’erosione del capitale sociale , secondo la formula che è stata congegnata dal ricorrente. La locuzione rimanda in via diretta all’idea che - nelle società di persone - debitore finale delle obbligazioni assunte dalla società sia non già quest’ultima, bensì le persone dei soci illimitatamente responsabili. Questa tesi, tuttavia, non corrisponde all’orientamento che la giurisprudenza di questa Corte è venuta a sviluppare nella relativa materia. L’orientamento di questa Corte si sostanzia, infatti, nel rilevare che la società costituisce un distinto centro di interessi e imputazione di situazioni , dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci che la responsabilità verso terzi dei soci, che è sancita dagli artt. 2304 e 2291 c.c., si atteggia come una forma di garanza fissata ex lege che il socio, che ha provveduto a pagare il debito sociale, ha azione di regresso nei confronti della società cfr. Cass., 16 marzo 2018, n. 6650 Cass., 22 marzo 2018, n. 7139 Cass., 26 febbraio 2014, n. 4528 Cass., 12 dicembre 2007, n. 26012 . La tesi così sviluppata trova, d’altro canto, conforto espresso nel tenore della norma generale dell’art. 2266 c.c., che è precisa nell’indicare che la società assume obbligazioni a mezzo dei soci per completezza, è pure da precisare che la responsabilità dei soci, che si trova regolata nella norma dell’art. 2280 c.c., comma 2 viene ad atteggiarsi come sopportazione e distribuzione del rischio dell’insolvenza della società debitrice nel cui esclusivo interesse risulta posta l’obbligazione, sulla falsariga della disposizione generale dell’art. 1299 c.c., comma 3 . 12.- Al complesso di queste osservazioni segue, naturalmente, che rispetto al profilo qui in discorso - la posta di bilancio deficit patrimoniale assume riferimento e valore meramente contabili, dato che la società in nome collettivo non vanta crediti nei confronti dei soci in punto di obbligazioni sociali. Per la maggiore chiarezza dell’esposizione, appare opportuno altresì mettere per esplicito che resta del tutto estranea al tema ora considerato l’ipotesi dei versamenti ancora dovuti dai soci a titolo di conferimento ché questa rappresenta, anzi, la voce dell’attivo delle società che per prima viene presa in considerazione dalla norma dell’art. 2424 c.c. comma 1, ATTIVO, lett. A. . 13.- Discorso un poco più articolato occorre svolgere per l’altro quesito, relativo ai prelievi da parte dei soci di somme dalle casse sociali. In proposito è subito da annotare che, nell’operatività attuale, non sono infrequenti le prassi intese a qualificare i detti prelievi, seppur riferiti a esercizi ancora in corso, nei termini di percezione di utili e altresì a ritenere le attribuzioni patrimoniali, che questi prelievi producono, come senz’altro definitive e quindi intangibili all’unica condizione che consti il previo consenso di tutti i soci. Tale valutazione - così si afferma in letteratura - trae elemento di decisivo supporto nella sentenza emessa da questa Corte in data 9 luglio 2003, n. 10786 non massimata . Questa pronuncia ha ritenuto, in particolare, che quanto alla possibilità, in una società in nome collettivo, di imputare dei pagamenti a utili sociali di competenza del periodo in corso, ancor prima del rendiconto, essa è consentita dall’art. 2262 c.c. Questa norma, infatti, nel subordinare la distribuzione degli utili all’approvazione del rendiconto, ammette espressamente il patto contrario . 14.- Per la verità, tale pronuncia ha, in sé stessa, un orizzonte alquanto circoscritto, posto che risulta fermata sul punto rappresentato dalla possibilità di imputare un trasferimento di somme a versamento di utili. Potrebbe anche sembrare una forzatura, pertanto, attribuirle il senso di ritenere la definitività e intangibilità dell’attribuzione patrimoniale così posta in essere e non già quello - comunque non privo di significato - di ammettere un’attribuzione provvisoria e condizionata al riscontro dell’effettiva sussistenza degli utili di periodo . In ogni caso, i contenuti espressi da tale pronuncia sono stati superati dalla successiva evoluzione della giurisprudenza di questa Corte. Che ha appunto affermato che nelle società di persone il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art. 2262 c.c., all’approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri di valutazione, a quella di un bilancio cfr. Cass., 31 dicembre 2013, n. 28806 Cass. 4 luglio 2018, n. 17489 nella medesima direzione si può già vedere, peraltro, la decisione resa da Cass., 17 febbraio 1996, n. 1240 . Vero è che questi arresti non si sono occupati in modo diretto di una eventuale derogabilità pattizia del principio così enunciato. Non pare dubbio, tuttavia, che esse muovano propriamente dal presupposto della imperatività della regola per cui non può farsi luogo a ripartizione di somme fra soci, se non per utili realmente conseguiti secondo quanto prescrive in modo espresso, per le società in nome collettivo, l’art. 2303 c.c. . Come viene a rimarcare la notazione svolta da Cass., n. 17489/2018 , secondo cui la distribuzione di utili, che non siano effettivamente, conseguiti è fenomeno che tende, per sua propria natura, a produrre un rimborso mascherato dei conferimenti . 15.- Non si può in ogni caso trascurare, nell’indicata direzione, che la richiamata regola risulta presidiata da un’apposita sanzione penale nei confronti degli amministratori, che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti art. 2627 c.c. . Non può, poi, essere ritenuta d’ostacolo a una simile lettura la circostanza che la norma dell’art. 2262 c.c. - nel dichiarare il diritto del socio a percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto - fa salvo il patto contrario . Ché questa possibilità si mostra riferita, secondo la piana lettura del testo normativo, alla possibilità di limitare , non già di espandere , il diritto del socio alla percezione degli utili di periodo e così, in specie, alla possibilità che lo statuto sociale venga a subordinare - durante la vita della società - la distribuzione degli utili al consenso della maggioranza dei soci. 16.- Nel sistema in oggi vigente, gli utili di periodo si formano in relazione all’esito dei singoli esercizi sociali, secondo quanto dispone la norma generale dell’art. 2217 c.c. Le società di persone non conoscono, d’altra parte, la possibilità di distribuire degli acconti sui dividendi, secondo quanto si ricava se non altro dalla norma dell’art. 2433 bis c.c. Dal testo delle norme dell’art. 2433 c.c., comma 4 e art. 2433 bis c.c., comma 7, si ricava agevolmente, poi, che la distribuzione di utili non effettivamente conseguiti configura un’ipotesi di indebito oggettivo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2033 c.c. 17.- Da tutto ciò deriva che il prelievo di somme dalle casse sociali da parte dei soci - che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti dalla società - comporta senz’altro il sorgere del diritto della società di ripetere le somme, che sono state concretamente distribuite, nei confronti di ciascun socio che le abbia fatte proprie. Nel rispetto di queste condizioni - si deve dunque concludere - la voce di bilancio deficit patrimoniale viene a rappresentare una posta non fittizia, bensì effettiva come tale a formare l’attivo patrimoniale della società in relazione alla norma della L. Fall., art. 1, comma 2. 18.- In base alle considerazioni esposte è dunque possibile enunciare il seguente principio di diritto. Posto che le obbligazioni sociali costituiscono debiti che stanno in capo alla società pur nel caso delle società di persone, non concorre a formare l’ attivo patrimoniale , che viene preso in considerazione dalla norma della L. Fall., art. 1, comma 2, lett. a, il fatto che i soci illimitatamente responsabili siano tenuti, quali garanti ex lege, a rispondere degli stessi. Concorrono invece a formare l’attivo patrimoniale i prelievi di somme dalle casse sociale da parte dei soci, che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti, dato che le somme così percepite sono soggette ad azione di ripetizione di indebito da parte della società . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso ed enuncia, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il principio di diritto di cui in motivazione. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a noma dello stesso art. 13, comma 1 bis.